Praticanti Avvocati & Jus Postulandi – La Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, numero 3917 del 20 Gennaio, depositata il 29 Febbraio 2016.

ABSTRACT
Col presente Articolo pubblichiamo la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, del 20 Gennaio 2016 (depositata in Cancelleria il 29 Febbraio 2016) numero 3917 con la quale, in virtù del Principio di Diritto affermato, sono stati chiariti tutti i dubbi interpretativi inerenti all’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati Abilitati al Patrocinio. Nel silenzio della legge, ed in assenza di specifici precedenti in thema nella Giurisprudenza di Legittimità, fino ad oggi, tale disciplina rimase controversa.

L’articolo, che precede al testo della sentenza (riportata per intero nell’appendice in fondo), è scritto da chi ha seguito, passo dopo passo, l’intera vicenda, in fatto ed in diritto, studiando la questione approfonditamente per anni.

Nell’articolo sono riportati ed indicati (in esclusiva per i lettori del sito) i motivi di diritto che hanno reso necessario proporre il ricorso in Cassazione. L’indicazione dei motivi di diritto eccepiti, sostenuti ed argomentati durante lo svolgimento del ricorso, è necessaria ed utile a qualsiasi giurista (Avvocato; Professore; Ricercatore; etc…) che, al di là della massima, voglia comprendere profondamente il Ragionamento Giuridico della Suprema Corte.

Exempli Gratia, un giurista (avvocato) interessato a “ripresentare” la questione di legittimità costituzionale, potrebbe comprendere quali sono stati i motivi di diritto proposti e non cosiderati dalla Suprema Corte al fine di: non rifondare un ricorso sugli stessi motivi; e/o affiancare a quelli, altri motivi non precedentemente considerati. Per un ricercatore, di contro, ciò è fondamentale per comprendere le “direttrici evolutive” del Diritto e della Giurisprudenza.

Il testo della sentenza, infatti, non esplicita chiaramente i motivi che sono stati rigettati. Tale silenzio è “forte”, soprattutto, nel secondo e terzo motivo del Ricorso.

Non solo, i commenti, pubblicati fino ad oggi, hanno mostrato una certa superficialità nell’affrontare le istanze giuridiche alla base della decisione.

In sintesi: il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte risolve la questione giuridica inerente all’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio. In particolare, era dubbio se i Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio potessere, oppure no, proporre appello verso le decisioni del Giudice di Pace, quando la “res contesa” rientrava per valore, materia e territorio, nella loro “competenza”.

La Suprema Corte chiarisce che, nel silenzio della legge, la disposizione normativa debba essere INTERPRETATA RESTRITTIVAMENTE. Pertanto, al Praticante Avvocato con Abilitazione al Patrocinio non è riconoscita la possibilità di proporre appello contro le sentenze del Giudice di Pace (anche qualora la “res contesa” rientri nei limiti di valore, materia e territorio, attinenti al suo “Jus Postulandi“).

La pronuncia riguarda la disciplina del tirocinio forense, ratione temporis, disciplinata dall’art. 7 della L. n. 479 del 16/12/1999 che modificò l’art. 8 del R.D.L. n. 1587/1933.

Di contro, oggi, la disposizione legislativa “in forza” è quella dell’art. 41 della legge n. 247/2012 che ha introdotto la “nuova disciplina dell’ordinamento della Professione Forense”. Questo articolo esclude ai Praticanti Avvocati “… un proprio …” Jus Postulandi. Essi, di contro, possono “… esercitare attività professionale in sostituzione dell’avvocato” presso il quale svolgono “la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo, in ambito civile di fronte al tribunale e al giudice di pace, e in ambito penale nei procedimenti di competenza del giudice di pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, rientravano nella competenza del pretore”.

La sentenza della Suprema Corte può essere vista come una decisone che si pone “in linea” con gli attuali sviluppi legislativi e con le attuali politiche riformatrici che si sono affermate nella riforma dell’Ordinamento Forense del 2012.

INTRODUZIONE

La sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, del 20 Gennaio 2016 (depositata in Cancelleria il 29 Febbraio 2016) numero 3917 pone fine alle discussioni ed alle controversie che si erano venute a formare sull’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio. Da tempo, infatti, ci si chiedeva se i Praticanti Avvocati Abilitati al Patrocinio avessero, oppure no, la facoltà di proporre appello contro le sentenze emesse dal Giudice di Pace, quando la “res contesa” rientrava nei limiti (per: valore; materia; territorio) indicati dall’art. 7 della Legge n. 479/1999.

La questione giuridica affrontata e risolta dalla Suprema Corte ruota attorno alla INTERPRETAZIONE dell’art. 7 della L. n. 479/1999 (cd. Legge Carotti). Un articolo che elenca dettagliatamente e tassativamente i limiti dell’Jus Postulandi attribuito ai Praticanti Avvocati dopo il conseguimento dell’Abilitazione al Patrocinio. Quest’ultimi, infatti, possono esercitare la professione dinanzi al Giudice di Pace ed al Tribunale in composizione monocratica entro alcuni limiti.

La Cassazione ha affermato che l’art. 7 della Legge n. 479/1999 debba essere INTERPRETATO RESTRITTIVAMENTE in quanto eccezione alla regola generale espressa dall’articolo 82 del codice di procedura civile. Con tale affermazione, la Suprema Corte ha ribaltato la tesi dei Ricorrenti che sostenevano, sì, una INTERPRETAZIONE RESTRITTIVA: ma NON della disposizione legislativa (enunciato normativo) che attribuiva l’Jus Postulandi al Praticante Avvocato d’innanzi al Giudice di Pace ed al Tribunale in composizione Monocratica (regola generale); ma delle disposizioni legislative (enunciati normativi) che ponevano le eccezioni a tale Jus Postulandi ponendo dei limiti per valore, materia e territorio (eccezioni alla regola generale che attribuiva l’Jus Postulandi).

Tale disposizione legislativa che riguardava i Praticanti Avvocati nell’esercizio del loro tirocinio, infatti, è un enunciato normativo che, in quanto tale, non può essere interpretato per analogia (e/o esteso a casi simili) proprio perché riguarda i soli Praticanti Avvocati. Di contro, tale disposizione legislativa (nei soli confronti dei Praticanti Avvocati) si suddivide in: una regola generale, che concede a quest’ultimi l’Jus Postulandi dinanzi al Giudice di Pace ed al Tribunale in composizione monocratica; ed una regola speciale, composta da un elenco tassativo di eccezioni, che limita per valore, materia e territorio, l’Jus Postulandi dato. Questa, secondo i ricorrenti, era la struttura della norma esaminata analiticamente.

In questa prospettiva, sempre secondo i ricorrenti, si sarebbe dovuto INTERPRETARE RESTRITTIVAMENTE l’elenco tassativo di eccezioni e limiti.
Una diversità d’opinione, rispetto quella affermata dalla Suprema Corte, che è parte della normale dialettica giuridica necessaria all’evoluzione del Diritto.

Di sfondo, c’erano altre questioni:
• l’applicabilità dei termini e della sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c.;
• alcune eccezioni d’incostituzionalità dell’artt. 82 e 182 c.p.c. (ovvero: d’alcune loro interpretazioni);
• la nullità della sentenza per violazione del principio del contradittorio (che fu messa: sia in narrativa; e sia all’interno degli altri motivi presentati). Essa svolgeva un effetto rafforzativo, echeggiando: sia come un autonomo argomento di diritto; sia come un argomento a fortiori che ribadiva come tali violazioni comportavano la, e furono commesse in, violazione del principio del contradittorio, comportando la nullità prevista dall’art. 101 c.p.c. .

La scelta della Corte di non considerare l’eccezione di nullità detta supra (omettendo alcun riferimento ad essa nel testo della sentenza) sembra più una decisione di economia processuale fatta per evitare un nuovo processo di appello nel quale, il giudice di rinvio avrebbe dovuto decidere secondo il principio di diritto affermato dalla Corte.

In altre parole, la Suprema Corte ha volute evitare una dichiarazione di nullità per una sentenza con la quale si dichiarava nullo un appello, per evitare un nuovo processo di appello nel quale, il Giudice di Rinvio (applicando il principio detto), avrebbe dovuto dichiarare nuovamente la nullità dell’appello !?!? Tutto chiaro?

Tale scelta, non si spiega se non come una decisione di economia processuale. Infatti, solo pochi mesi prima, la Suprema Corte aveva affermato la nullità d’ogni decisione presa in violazione del principio del contradittorio, escludendo la così detta “terza via” e/o la possibilità del giudice d’eccepire d’ufficio qualsiasi questione senza concedere i termini per integrare il contradittorio.

ANTEFATTO

Come ricostruito dalla Suprema Corte, “E.L. ed Ep.Lo. convennero in giudizio il Comune di Rapallo, proponendo opposizione avverso il verbale loro notificato, relativo a contravvenzioni al codice della strada, e chiedendone l’annullamento”.

Infatti, la sanzione era del tutto infondata ed illegittima in base allo stesso verbale ed al rapporto sull’incidente redatto dall’agente di polizia municipale. Durante il procedimento di opposizione, per confermare la sanzione amministrativa emessa, l’agente di polizia municipale del Comune di Rapallo cambiò completamente versione. Per confermare la legittimità della sanzione, egli raccontò i fatti in modo completamente diverso rispetto al verbale ed al rapporto sull’incidente da lui stesso redatto!! Sulla base di tale testimonianza, paradossalmente, il Giudice di Pace di Rapallo rigettò l’opposizione e confermò la sanzione amministrativa compensando le spese di giudizio.

La sentenza fu impugnata per diversi vitia. Tra i più “grossolani” c’erano: la contraddittorietà fra quanto testimoniato dall’agente di polizia municipale e quanto dichiarato nel verbale e nel rapporto sull’incidente; la contraddittorietà della sentenza e del suo sillogismo. Infatti, era impossibile sussumere la conclusione assunta dal Giudice di Pace, una volta poste come premesse: la fattispecie fattuale emergente dal rapporto e/o dalla testimonianza; e la fattispecie giuridica indicata dalla sanzione amministrativa presente nel verbale notificato. Infatti, la sanzione amministrativa emessa dal Comune di Rapallo NON era “compatibile” in entrambe le “versioni” date. A tutto ciò, s’aggiungevano una pletora di altri vitia, in fatto ed in diritto, che rendevano necessario un appello. “Ciliegina sulla torta” era il fatto che, l’agente di polizia municipale, di fatto, dando due versioni completamente diverse: o, fece falsa testimonianza; o, dichiarò il falso in un atto pubblico.

L’appello fu presentato da un Praticante Avvocato con Abilitazione al Patrocinio (… che nel caso specifico fui Io …). Questo poiché fino all’ora, di fatto, ciò era “permesso” nel Foro di Chiavari. Nessuna eccezione, di solito, veniva sollevata sulla questione nel silenzio della legge. Nessuna indicazione diversa fu data dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Chiavari, quando chiesta.

Durante il procedimento d’Appello, infatti, l’avvocato Nicatore (che rappresentava il Comune di Rapallo), non sollevò alcuna eccezione circa l’assenza dell’Jus Postulandi del Praticante Avvocato con Abilitazione al Patrocinio. La questione, di contro, fu sollevata (in violazione: del principio del contradittorio; dell’art. 101 del Codice di Procedura Civile, come novellato dall’art. 45 della legge n. 69 del 18 Giugno 2009; degli artt. 24 e 111 della Costituzione) dal Giudice del Tribunale, Dott. Del Nevo, il quale la rilevò direttamente in sentenza, senza concedere alle parti i termini per integrare il contradittorio. Su tale eccezione rilevata d’ufficio, il Giudice dichiarò la nullità dell’appello per difetto d’Jus Postulandi, così evitò d’entrare nel merito dello stesso. La sentenza, infatti, non si pronuncia, neppure per obiter dictum e/o indirettamente, su alcuno dei motivi di diritto e di fatto oggetto dell’appello, né tanto meno sulla legittimità o meno della sanzione.

La sentenza fu notificata dal Comune di Rapallo a E. L. e Lo. Ep., subito dopo il suo deposito in cancelleria, così che iniziarono a decorrere i termini brevi per proporre Ricorso in Cassazione.

Fu grazie all’avv. Stefano Savi del Foro di Genova, all’ora Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Genova, che il Ricorso fu reso possibile.

Da qui, in poi, devo fare alcune precisazioni. Da una parte, ho da ringraziare diversi giuristi (Avvocati; Professori; Ricercatori; etc…) coi quali ho avuto, a vario titolo, scambi d’idee sul thema (… essi hanno reso possibile trasmutare questo ricorso in una dotta disquisizione giuridica, ove la riflessione sui principi di diritto prevaleva rispetto il fatto sottostante …). Dall’altra parte, ho da dire che ogni responsabilità sulle strategie processuali, sulle eccezioni e sulle argomentazioni giuridiche, usate per sostenere il ricorso (e per l’esito avuto) è solo Mia, nessun biasimo può essere imputato a loro.

Per finire, preciso che il merito del principio di diritto affermato (che piaccia oppure no) è del Giudice Dott. Del Nevo e degli Eccellenti Giudici della Suprema Corte di Cassazione, i quali hanno arricchito di molto i motivi di diritto posti alla sua base.

Tale decisione della Corte, ed il principio affermato, non è una “vittoria” dell’avv. Nicatore (e/o del Comune di Rapallo) che, di contro, non hanno eccepito la questione in Appello ed hanno rivestito un ruolo passivo in Cassazione, limitandosi a “ripetere” quanto affermato ex ufficio dal Giudice Dott. Del Nevo. Anche in Udienza Pubblica (il Comune di Rapallo) si è limitato a sostenere (in una battuta) l’inammissibilità del Ricorso (… una tesi non accolta dalla Suprema Corte di Cassazione).

RICORSO IN CASSAZIONE & LE QUESTIONI GIURIDICHE AFFRONTATE

Col primo motivo di ricorso si era fatta una succinta ricostruzione storica dello sviluppo legislativo inerente all’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati. In essa, furono indicati anche i precedenti della giurisprudenza di merito sui quali era basata la decisione del Giudice Dott. Del Nevo (exempli gratia, la prima sentenza in thema fu emessa dal Tribunale di Modena, sentenza n. 38/2006).

Tale introduzione, che fungeva da argomento storico per guidare il ragionamento giuridico verso le conclusioni prospettate dai ricorrenti, proseguiva nel sostenere che l’art. 7 della L. n. 479 del 16/12/1999 conferiva ai Praticanti Avvocati Abilitati al Patrocinio l’Jus Postulandi di proporre appello contro le sentenze del Giudice di Pace, in quanto, il legislatore non lo escluse.

La possibilità d’appellare le sentenze del Giudice di Pace, infatti, non compariva nell’elenco tassativo dei limiti all’Jus Postulandi concesso (come detto supra). Esso, infatti, non era indicato nei limiti di materia, valore e territorio.

Si era reputato che la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza n. 10102 del 29 aprile 2013) avesse “aperto” ad una interpretazione capace di distinguere fra limiti oggettivi (limiti per: valore; materia; territorio) e limiti funzionali (e.g., attinenti al tipo di: atto; rito processuale; grado di giudizio; etc …). Infatti, nella sentenza n. 10102/2013, la Corte rigettò il ricorso per la violazione dei limiti di valore, riconoscendo (di contro) al Praticante Abilitato l’Jus Postulandi per le cause di lavoro di competenza del Tribunale monocratico (in funzione di giudice del lavoro) quando rientravano nei limiti di valore e territorio previsti. Questo poiché la legge non le escludeva (non ponendo limiti funzionali, e.g. inerenti al tipo di: atti introduttivi; e/o riti processuali; … ma solo oggettivi). Infatti, la Suprema Corte sottolineò che il tenore letterale della norma che riconosceva l’Jus Postulandi negli “affari civili” (limitatamente “alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire 50 milioni”) comprendesse anche le materie del lavoro e della previdenza in quanto non escluse nei limiti successivamente posti.

Allo stesso modo, si ritenne che la legge, nell’attribuire tale Jus Postulandi negli “affari civili”, comprendesse anche la possibilità in capo ai Praticanti Avvocati di proporre appello contro le sentenze del Giudice di Pace quando la “res contesa” rientrava nei limiti di valore, materia e territorio, indicati dall’art. 7 della L. n. 479 del 16/12/1999.

Di tutt’altra opinione è stata, invece, la II Sezione della Corte di Cassazione, che escluse “categoricamente” tale possibilità. Una decisione che, da un punto di vista di politica del diritto, potrebbe inserissi “in linea” con gli attuali sviluppi normativi che hanno “ristretto” ulteriormente l'”indipendenza” e l’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati dopo l’introduzione della “nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” come indicata supra.

Col secondo motivo di ricorso si sosteneva la violazione e la falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. per i motivi, qui infra, illustrati. Questi motivi sono stati posti, anche, alla base delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 82 e 182 c.p.c. verso gli artt. 2, 3, 24, 111 della Costituzione (eccepite nel terzo motivo di ricorso). Le questioni di legittimità costituzione riguardavano alcune interpretazioni di questi articoli, ovvero alcune norme (proposizioni normative) estratte dalle disposizioni legislative (enunciati normativi) e non le disposizioni legislative in quanto tali.

I ricorrenti vollero superare la dottrina della “nullità assoluta ed insanabile” dell’atto introduttivo sottoscritto da soggetto privo d’Jus Postulandi (all’interno del processo civile) osservando come questa dottrina, di fatto, fosse già stata superata all’interno del Nostro Ordinamento nel 2000 (e/o almeno si erano create delle “brecce”).

La giurisdizione tributaria, infatti, sollevò tale questione alla Corte Costituzionale che, in tale occasione, affermò che l’atto introduttivo del giudizio (ricorso), depositato e sottoscritto da persona sprovvista d’Jus Postulandi, non comportasse l’inammissibilità (e/o una nullità assoluta ed insanabile) dell’atto introduttivo stesso, bensì il potere del Giudice di assegnare un termine perentorio per permettere alla parte di sanare tale irregolarità, nominando un difensore con Jus Postulandi (sentenza n. 186 del 13/06/2000).

Questo creò, all’interno del Nostro Ordinamento, una disparità di trattamento che si accordava poco con l’art. 3 della Costituzione, non essendoci motivi razionali atti a giustificare ciò.

Infatti, le discipline degli artt. 12 della L. 546/1992 (Jus Postulandi nel Processo Tributario) e 82 c.p.c. (Jus Postulandi nel Processo Civile) sono sostanzialmente simili. Esse non giustificano un diverso regime delle nullità.

Così la disparità che si è venuta a creare fra la giurisdizione ordinaria civile e la giurisdizione tributaria creava un problema con l’art. 3 della Costituzione. La prima rimase ancorata ad antiche tradizioni (per di più di creazione dottrinale), la seconda s’evolse fino a permettere la sanabilità del vitium.

Così, i ricorrenti, assumendo che l’agire del Legislatore è un agire razionale (mirante ad armonizzare la legge ai principii costituzionali), sostennero la tesi secondo la quale con la novellazione del 2009 il Legislatore, razionalmente, volle eliminare tale disparità di trattamento, portando ad una “uniformazione” della disciplina proprio con l’art. 182 cpc.

Fu sostenuto che, i motivi che spinsero il Legislatore a novellare il codice di procedura civile non potevano essere quelli di conservare lo “stato delle cose” immutato, ma introdurre in esso delle novità! Queste “novità” dovevano rispecchiare i principii costituzionali e portare “discipline uniformi” e razionali all’interno dell’Ordinamento.

Nel caso specifico, fu sottolineato come l’articolo 182 cpc, muovendosi in tale spirito, avrebbe uniformato le diverse discipline che si erano venute a creare sui difetti di procura e di rappresentanza tra la giurisdizione ordinaria civile e quella tributaria. In altre parole, avrebbe uniformato le conseguenze che avrebbero colpito l’atto introduttivo firmato da soggetto privo di Jus Postulandi.

Non a caso, l’art. 182 c.p.c. fu introdotto nel diritto processuale civile (dopo forti resistenze). Il suo tenore letterale sembrava proprio introdurre (nel processo civile) il principio affermatosi nel 2000 all’interno del processo tributario detto supra.

Per tali motivi, i ricorrenti sostennero che il Giudice mis-usò e disapplicò l’art. 182 cpc, poichè questo articolo, come novellato nel 2009, non si limitava ai difetti di rappresentanza e/o di procura degli avvocati.

Questo punto, espresso sintenticamente, fu uno degli argomenti presentati. Un argomento che può essere ampliato di molto, osservando come vi sia un forte parallelismo fra i due articoli. Entrambi, infatti, prevedono l’Jus Postulandi per i soli iscritti agli albi professionali, rilegando la difesa personale come eccezione alla regola per alcune cause di modico valore. L’art. 12 della L. 546/1992, in altre parole, fu modellato sulla base dell’art. 82 cpc anche se estendeva l’Jus Postulandi ad altri professionisti iscritti nei relativi albi (e.g. Commercialisti).

Infatti, la lettera della disposizione legislativa, autorizzava il Giudice, una volta rilevato un qualsiasi difetto di rappresentanza e/o di assistenza e/o di autorizzazione, ovvero un qualsiasi vizio che determini la nullità della procura al difensore, di assegnare alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa.

Quindi si ritenne che il tenore letterale era così ampio da inglobare qualsiasi difetto: di nullità; di procura; di rappresentanza. Infatti, non solo riguardava i soggetti che operavano come “sostituti processuali” (avvocati), ma anche i rappresentati di persone giuridiche. Escluderne l’applicazione ai soli Praticanti Avvocati avrebbe creato una disparità di trattamento ingiustificata nel nostro Ordinamento verso gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Per tali motivi, si ritiene che l’art. 182 c.p.c. fosse applicabile nel caso specifico. Ogni diversa interpretazione sul modus procedendi e sull’interpretazione degli artt 82 e 182 cpc avrebbe contrastato coi principii costituzionali (art. 2; l’art. 3; l’art. 24; l’art. 111) visti: sia come criteria esegetici delle fonti subordinate; e, sia come “linee guida” per il Legislatore.

Nonostante ciò, la Suprema Corte decise di ribadire (all’interno del processo civile) la pre-vigente dottrina della “nullità assoluta ed insanabile”, “tagliando corto” sui motivi dedotti e sostenuti.

CONCLUSIONI

Con questo articolo si sono illustrati tutti gli aspetti rilevanti e tutte le questioni giuridiche sottostanti, che sono state sostenute e sono state poste alla base della decisione presa dalla Suprema Corte, così che qualsia giurista (Avvocato; Professore; Ricercatore; etc…) possa acquisire una piena consapevolezza sul thema, su come sono avvenuti gli sviluppi giurisprudenziali e quali sono state le argomentazioni proposte e scartate dalla Suprema Corte.

In questo modo, qualora qualcun’altro voglia ripresentare, studiare e/o sviluppare, la questione può aver chiari tutti i punti e tutti gli aspetti che sono stati già: prospettati; studiati; eccepiti; argomentati; considerati; e … rigettati dalla Suprema Corte.

RINGRAZIAMENTI:

I ringraziamenti sono molteplici, mi scuso se nel farli possa omettere qualcuno. Innanzi tutto, ringrazio l’avv. Stefano Savi per aver reso possibile questo ricorso. Da grande penalista, lo ha arricchito sottolineando l’importanza d’un’esposizione chiara, sintetica e centrata sui punti chiave. Tutti insegnamenti importanti, che hanno “corretto” le “cattive abitudini” acquisite da alcuni civilisti, che di contro, “tendono” a dilungarsi in argomenti ridondanti per “tuziorismo” difensivo. Si ringrazia l’avvocato Michaela Calzetta (penalista) che ha contribuito alla redazione dell’atto introduttivo.

Ringrazio il Foro il Genova in generale (… da sempre, per tradizione, Scuola di Massima Eccelenza Giuridica …) per: averMi “adottato”; aver reso possibile trasformare questo ricorso in una costruttiva crescita giuridica, una occasione di riflessione atta a contribuire all’evoluzione del Diritto ed alla sua chiarificazione, … tutte cose che non furono possibili nel “fu” Foro di Chiavari.

Ringrazio anche tutti i Professori e Ricercatori con i quali, a vario titolo, ho avuto l’occasione di parlare e/o avere brevi, ma significativi scambi. Tra di essi, voglio ringraziare il Prof. Costanzo (costituzionalista dell’Università di Genova) ed il Prof. Costantino (processualista civile dell’Università degli Studi Roma Tre). Il primo ha arricchito la riflessione giuridica portandoMi a riflettere su alcuni themae, oltre a “spronarMi” con la sua chiarezza concettuale ad abbandonare gli stili “confusi e confondenti” che, di contro, s’affermano nella pratica, prendendo talvolta il sopravvento. Il secondo Mi ha indicato alcuni suoi articoli che lessi con molto piacere, articoli che ho trovato fondamentali per giungere ad una più profonda comprensione del processo civile. Entrambi, in ogni caso, hanno: trasmesso la “passione” per il Diritto; permesso di trasformare un procedimento giuridico (… diciamolo pure, di modesto valore …) in un’occasione di crescita giuridica ineguagliabile.

Grazie.

APPENDICE: La Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, n. 3917 del 20 Gennaio, depositata il 29 Febbraio 2016. Testo Integrale.

TESTO DELLA SENTENZA

Suprema Corte di Cassazione
Sezione II Civile
Sentenza 20 Gennaio – 29 Febbraio 2016, n. 3917

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente -

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere -

Dott. MATERA Lina – Consigliere -

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere -

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20029/2011 proposto da:

E.L.N. (OMISSIS), EP.LO. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli Avv.ti SAVI STEFANO, MINOTTI DANIELE, quest’ultimo per proc. not. del 2/10/2015 rep. n. 36958;
ricorrenti -

contro

COMUNE RAPALLO (OMISSIS), IN PERSONA DEL SINDACO P.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato PETRETTI ALESSIO, rappresentato e difeso dall’avvocato NICATORE ANDREA;
controricorrente -

avverso la sentenza n. 286/2011 del TRIBUNALE di CHIAVARI, depositata il 18/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato Minotti Daniele difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Petretti Alessio con delega depositata in udienza dell’Avv. Nicatore Andrea difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. E.L. ed Ep.Lo. convennero in giudizio il Comune di Rapallo, proponendo opposizione avverso il verbale loro notificato, relativo a contravvenzioni al codice della strada, e chiedendone l’annullamento.

Nella resistenza del convenuto, il Giudice di Pace di Rapallo rigettò l’opposizione.

2. Sul gravame proposto dagli attori, il Tribunale di Chiavari, in composizione monocratica, dichiarò la nullità dell’atto di appello, in quanto sottoscritto da praticante avvocato, ritenuto non abilitato alla sottoscrizione dell’atto di impugnazione.

3. Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione E.L. ed Ep.Lo., formulando tre motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Rapallo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 479 del 1999, art. 7, per avere il Tribunale ritenuto che il praticante avvocato non fosse abilitato a proporre appello innanzi al Tribunale in composizione monocratica avverso le sentenze del giudice di pace; a dire del ricorrente, dovrebbe invece ammettersi il patrocinio del praticante avvocato nel giudizio di appello innanzi al Tribunale in composizione monocratica avverso le sentenze del giudice di pace, poichè il detto art. 7 non distingue tra giudizio di primo grado e giudizio di appello.

La censura non è fondata.

Va premesso che il caso sottoposto al giudizio di questa Suprema Corte, essendo relativo ad una causa iniziata con ricorso depositato il 17.9.2009 e ad un atto di appello proposto l’11.5.2010, è soggetto ratione temporis alla disciplina del tirocinio forense di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 e successive modificazioni (e non alla nuova disciplina dello svolgimento del tirocinio di cui all’art. 41 della sopravvenuta L. 31 dicembre 2012, n. 247, che ha introdotto la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”).

Il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (convertito, con modificazioni, dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36 e successive modificazioni) prevede che il praticante avvocato, durante il periodo di pratica forense, possa esercitare un patrocinio limitato nell’attività professionale (solo dinanzi alle Preture del distretto della Corte di Appello nel quale è iscritto per la pratica) e nel tempo (dopo un anno di iscrizione nel registro e per non più di sei anni: R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 8; L. 27 giugno 1988, n. 242, art. 10, recante “Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale”), sottoposto ad una particolare vigilanza del Consiglio dell’ordine di appartenenza (R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 14, lett. c) e a speciali adempimenti attinenti alla frequenza di uno studio di avvocato e all’esercizio del patrocinio (R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 17, n. 5; R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, artt. 1 e segg. recante “Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore”; D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, artt. 1 e segg., recante “Regolamento relativo alla pratica forense per l’ammissione all’esame di procuratore legale”).

Viene, pertanto, riconosciuto ai praticanti avvocati uno speciale status abilitativo provvisorio, limitato e temporaneo, giustificato dalle esigenze di svolgimento del tirocinio e in vista degli esami da affrontare per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione forense e l’iscrizione nel relativo albo (in tali termini, Corte Cost.: Sentenza n. 5 del 1999; Sentenza n. 127 del 1985; Ordinanza n. 75 del 1999; Ordinanza n. 163 del 2002).

Tale speciale status abilitativo provvisorio costituisce eccezione alla regola generale per cui il patrocinio legale è consentito previo superamento dell’esame di stato ed iscrizione all’albo degli avvocati; pertanto, le norme che consentono l’esercizio del patrocinio a chi, come il praticante avvocato, non ha superato l’esame di stato e non è iscritto nel detto albo professionale introducono un’eccezione ad un principio generale e come tali sono di stretta interpretazione.

A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 che ha soppresso l’ufficio del pretore ed ha istituito il giudice unico di primo grado, l’ambito di esercizio di tale speciale abilitazione riconosciuta ai praticanti avvocati è stato rideterminato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 7, che stabilisce che i medesimi, dopo il conseguimento dell’abilitazione al patrocinio, possono esercitare l’attività professionale ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 nelle cause di competenza del giudice di pace e dinanzi al tribunale in composizione monocratica, limitatamente: a) negli affari civili: 1) alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni; 2) alle cause per le azioni possessorie, salvo il disposto dell’art. 704 c.p.c., e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’art. 688 c.p.c., comma 2; 3) alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie; b) negli affari penali, alle cause per i reati previsti dall’art. 550 c.p.p. (in tali termini, la lett. b, relativa agli affari penali, è stata modificata dal D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 2 terdecies, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2000, n. 144).

Orbene, come è dato constatare nell’esame del testo della disposizione appena richiamata, nell’elenco delle materie per le quali il praticante avvocato è abilitato al patrocinio dinanzi al Tribunale elenco che ha carattere tassativo non sono richiamate le cause di competenza del giudice di pace ai sensi dell’art. 7 c.p.c. (cause relative alle apposizione di termini e all’osservanza delle distanze per il piantamento di alberi e siepi; relative alla misura e alle modalità d’uso dei servizi condominiali; in materia di immissioni e in quelle relative ad interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali); nè è comunque prevista la possibilità in generale per il praticante avvocato di esercitare lo ius postulandi dinanzi al Tribunale in composizione monocratica quando tale organo eserciti ai sensi del combinato disposto degli artt. 341 e 350 cod. proc. civ. le funzioni di giudice di appello avverso le sentenze del giudice di pace.

Poichè la disposizione di cui alla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 7 introduce una eccezione alla regola generale per cui il patrocinio legale è subordinato al superamento dell’esame di stato e all’iscrizione nell’albo degli avvocati, se ne impone una stretta interpretazione e ai sensi dell’art. 14 preleggi non ne è consentita l’interpretazione estensiva, non potendo quanto essa prevede essere esteso oltre i casi da essa considerati.

E’ ben vero che le cause che l’art. 7 cod. proc. civ. individua per valore come di competenza del giudice di pace (cause relative a beni mobili di valore non superiore a 5000 Euro e quelle relative a risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti di valore non superiore a 20.000 Euro) potrebbero rientrare in astratto tra quelle per le quali la L. n. 479 del 1999, art. 7, lett. a), n. 1 (cause di valore non superiore a lire cinquanta milioni delle vecchie lire) ammette il patrocinio del praticante avvocato dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.

Tuttavia, nel silenzio della legge, deve escludersi che il legislatore abbia inteso concepire un sistema nel quale il patrocino del praticante avvocato nel giudizio in appello dinanzi al Tribunale in composizione monocratica sia consentito per alcuni segmenti della competenza del giudice di pace (quelli individuati per valore) e non per gli altri, con conseguente incoerenza del sistema.

In definitiva, nel silenzio della legge relativamente alla possibilità del praticante avvocato di esercitare il patrocinio in grado di appello e in considerazione del fatto che le norme che riconoscono lo ius postulandi al praticante avvocato sono di stretta interpretazione, va esclusa la possibilità di riconoscere al praticante avvocato l’esercizio dello ius postulandi in grado di appello dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.

Alla stregua di quanto sopra deve enunciarsi il seguente principio di diritto: “Il praticante avvocato non è legittimato ad esercitare il patrocinio nel giudizio di appello che si svolge dinanzi al Tribunale in composizione monocratica nelle cause civili di competenza del giudice di pace”.

2. Col secondo motivo di ricorso, proposto in subordine, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 182 cod. proc. civ., per avere il Tribunale una volta verificato che il difensore degli appellanti era privo di ius postulandi omesso di assegnare agli stessi un termine perentorio per il rilascio della procura alle liti, secondo quanto prevede l’art. 182 cod. proc. civ..

Anche questa doglianza è infondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, l’iscrizione nell’albo professionale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 24 e segg., ha natura costitutiva ai fini dell’esercizio della libera professione forense davanti ai Tribunali o alle Corti di appello, con la conseguenza che l’atto introduttivo del giudizio di impugnazione sottoscritto da un praticante procuratore, non ancora iscritto nell’albo professionale degli avvocati ed abilitato a svolgere soltanto l’attività indicata nell’art. 8 del R.D.L. cit., è affetto da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, data la stretta attinenza alla costituzione del rapporto processuale (Sez. 1, Ordinanza n. 20436 del 23/09/2009, Rv. 610035; Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 23/03/1988, Rv. 458282; Sez. 3, Sentenza n. 26898 del 19/12/2014, Rv. 633782).

Poichè il difetto di ius postulandi dà luogo ad una nullità assoluta e insanabile, è escluso che il giudice possa concedere, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2, un termine perentorio per la sanatoria di un vizio insuscettibile di essere sanato.

3. Col terzo motivo di ricorso, proposto in estremo subordine, si eccepisce infine l’illegittimità costituzionale degli artt. 82 e 182 cod. proc. civ., come interpretati dal giudice di appello, per violazione degli artt. 2, 3 e 24 Cost..

La questione di legittimità costituzionale, come prospettata dal ricorrente, è manifestamente infondata.

Questa Corte ha già affermato, e non può che ribadire, che la questione di legittimità costituzionale della disposizione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, denunciata, in relazione all’art. 24 Cost., in quanto affida alla discrezionalità del giudice istruttore l’assegnazione di un termine per la regolarizzazione del difetto di assistenza, rappresentanza o autorizzazione, è priva di rilevanza allorchè non si tratti di difetti attinenti alla capacità processuale, quali sono quelli cui si riferisce la disposizione denunciata, ma di nullità assoluta e quindi insuscettibile di produrre qualsiasi effetto o di essere sanata dell’atto di citazione, ai sensi del terzo comma, dell’art. 82 cod. proc. civ., per mancanza dello ius postulandi (Sez. 2, Sentenza n. 4357 del 26/07/1985, Rv. 441821).

Quanto agli altri profili della dedotta questione di legittimità costituzionale, essi non superano la soglia dell’assoluta genericità e, comunque, risultano manifestamente infondati, risultando gli artt. 82 e 182 cod. proc. civ., nella interpretazione datane da questa Corte, perfettamente compatibili con le norme costituzionali richiamate.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. In considerazione della questione giuridica sottoposta e dell’assenza di precedenti specifici nella giurisprudenza di questa Corte, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 20 Gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 Febbraio 2016