LEGAL DECISION MAKING E L’AZIONE POLITICA DEI MAGISTRATI.

LEGAL DECISION MAKING E L’AZIONE POLITICA DEI MAGISTRATI.

Le profezie di ciò che i tribunali faranno, e nulla di più pretenzioso, costituiscono ciò che io intendo per diritto

Oliver W. Holmes (1841 – 1935)

Perché parlare di Legal Decision Making e dell’azione politica dei magistrati?

Lo studio del Ragionamento giuridico nasce dalla Curiosità Intellettuale, osservando “questo grandissimo libro che continuamente ci stà aperto davanti agli occhi (io dico l’Universo)” (Galileo Galilei, Il Saggiatore, 1623). Un libro che “non si può intendere se prima non s’impara … la lingua, … i caratteri, nei quali è scritto“.

Per intendere l’universo giuridico, pertanto, occorre comprendere il linguaggio normativo, ovvero quell’insieme di pratiche discorsive che lo caratterizzano. Quest’ultime sono costituite, in ultima analisi, da giudizi di valore, ovvero comandi espressi “in forma grammaticale fuorviante” (Carnap R., 1996). In altre parole, il linguaggio normativo non esprime alcuna Conoscenza sulla Creazione e/o sull’Universo in re ipsa. Le sue asserzioni non possono essere valutate in termini di vero o falso, né essere corroborate o confutate da controfattuali.

Gli enunciati normativi esprimono i desiderata d’una Comunità di Discorso sul come “vorrebbe disciplinare” l’agentività dei suoi membri, le dinamiche intersoggettive dalle quali emergono diseguali distribuzioni dei diritti e dei doveri, del Capitale a là Bourdieu ed dei rapporti di forza fra i soggetti che la compongono.

L’agentività umana, pertanto, trova nel linguaggio normativo la più potente procedura di validazione ricorsiva attraverso cui realizzare la costruzione sociale della realtà a là Berger e Luchmann (1996). In altre parole, strumento d’oggettivazione principe, configurante e ri-configurante ogni aspetto del vissuto sociale.

La dimensione normativa appartiene ad un dominio ben distinto e separato a quello descrittivo e/o dichiarativo. Conformemente alla legge di Hume, ovvero al criterium di demarcazione tra ciò che è empirico e ciò che non lo è, non è possibile passare dalla dominio descrittivo a quello normativo. Farlo, significherebbe passare un confine “dimensionale” fra il “regno” della Logica Formale e quello della Logica dei Valori. Nel primo, le asserzioni possono essere valutate in termini di vero o falso. Ancora, il ragionamento in valido o invalido.

Nel secondo, nulla di ciò è possibile. Le asserzioni normative co-esistono tutte nella loro opposizione in un limbo metafisico d’indeterminatezza. Un limbo dal quale è tratto ciò che è utile all’opportunità politica pro tempore. Argomentato con retorica illusione.

La dimensione normativa, quindi, ricade nell’opportunità politica, degli interessi di prospettive situate, nelle gerarchie di valori che gli attori sociali danno al proprio agere. Nulla, ma costumi e credenze relativi/e, mutevoli e diversi/e, fra soggetto e soggetto, popolo e popolo. Interessi contrapposti in una dialettica di cui sono ontologicamente portatori.

La scelta, pertanto, non consegue ad alcuna deduzione e/o induzione. Essa esprime l’opportuno desiderato dell’interprete. Movente covert d’una giustificazione overt.

La motivazione segue sempre alla decisione, assumendo la struttura logica del: post hoc, ergo propter hoc. Confermation bias col quale la realtà fattuale e normativa, assume aspetto funzionale a corroborare, confermare e rinforzare, le credenze espresse nei dispositivi. Non dimostrativa, ma strumentale all’attrarre consenso.

Da ciò è chiaro come l’argomentazione della logica dei valori, della dialettica eristica e/o della nuova retorica a là Perelman, sia funzionale ad attrarre consenso ad una scelta di opportunità politica. Opportunità fatta apparire come neutro tecnicismo, automatica applicazione d’una legge alla quale dare esistenza. Massima forma di deresponsabilizzazione nell’attribuzione d’ogni colpa ad una impersonale Volontà generale a là Rousseau.

La logica dei valori, quindi, attiene alla capacità d’argomentare coi topoi della retorica i desiderata delle gerarchie assiologiche proprie del soggetto agente.

Stesso agere d’un Luigi XVI nel rispondere, in modo lapidario, all’obiezione del Duca D’Orleans (“sire, ma questo è illegale”): “E’ legale perché lo voglio io”. Una la differenza. Mentre Luigi XVI non aveva necessità di rendere giustificazione, i giuristi d’uno Stato di Diritto sono chiamati a creare ex post gli assiomi da cui estrarla.

Il giurista, pertanto, è un apprendista stregone nel glissare fra le dita il linguaggio con le sue parole, nel trasmutare gli enunciati normativi (disposizioni) in proposizioni normative (norme, ovvero interpretazioni dei primi)[1]; nel dare nuovi significati a realtà con ricostruzioni processuali d’essa.

Politico per vocazione e per natura, il magistrato e’ tutto, tranne la vox legis voluta dalle teorie cognitiviste. L’idea del giudice-funzionario, richiesto dalla Rivoluzione francese, resta pura Utopia. Egli è sempre creatore attivo del diritto e del fatto sui quali esercita azioni creative intrinsecamente politiche.

Come affermato dal Giudice della Corte Suprema Americana degli USA, Oliver W. Holmes (1841 – 1935): “le profezie di ciò che i tribunali faranno, e nulla di più pretenzioso, costituiscono ciò che io intendo per diritto[2].

Nulla di male, se si riconosce la natura politica del magistrato, responsabilizzandone la sua funzione. Basterebbe seguire le indicazioni date da Montesquieu: rendendolo responsabile difronte coloro per i quali agisce (art. 101, comma 1, della Costituzione) con: mandati a termine; incarichi assegnati elettivamente. Di contro, nell’irresponsabilità generale e nell’autoreferenzialità, la natura politica deraglia nell’arbitrio d’un Sistema corrotto e completamente fuori controllo a la Palamara (2021).

La dimensione descrittiva, invece, è governata dalla logica formale e dalla logica atomica di Wittgenstein. Quest’ultima afferma conoscenze sulla Creazione, ovvero sul mondo fisico e reale. Pertanto, essa può essere indagata in termini di Verità e di Validità. Due concetti, seppur usati da alcuni come sinonimi e/o interscambiabili, ben distinti e diversi.

La Verità attiene alla sostanza, ovvero al contenuto dell‘enunciato. Essa è presente se, e solo se, esiste una corrispondenza biunivoca, perfetta sovrapponibilità, fra gli elementi atomici dell’enunciato descrittivo e quelli della Realtà / Mondo.

La Validità, invece, attiene alla forma del ragionamento. Essa dice solo se la conclusione a cui si è giunti sia una corretta inferenza rispetto alle premesse assunte. La validità non riguarda affatto la verità, potendo una la conclusione valida essere falsa. L’inferenza logica fornisce, infatti, un mero controllo sulla correttezza della deduzione fatta sulla base di n premesse, ma nulla può affermare sulla verità delle premesse assunte.

Non a caso, Bernard Russell aveva affermato che la logica è quella disciplina che non sa’ di cosa parla, né sa’ se ciò di cui parla sia vero. Una affermazione alla quale Wittgenstein, suo discente, tentò di rispondere formulando la logica atomica di cui si è detto.

Conformemente a Wittgenstein, tutta la filosofia dovrebbe ridursi allo studio del linguaggio. La logica, infatti, “non è una dottrina, ma una immagine speculare del mondo” (punto 6.13 del Tractatus logico-philosophicus) espressa negli enunciati dichiarativi di quest’ultimo. In essi, gli elementi atomici della Realtà sono trasmutati in eventi verbalizzati. Sulla base della presenza, o meno, di questa corrispondenza diventa possibile attribuire un valore di verità (Vero; Falso). L’enunciato è vero, se e solo se ad ogni elemento atomico dell’enunciato corrisponde un elemento atomico della Realtà. Falso, qualora difettasse della corrispondenza di cui si è detto. In altre parole, lo stato di verità dell’enunciato dichiarativo consiste in un bicondizionale implicito, ovvero in una equivalenza materiale, fra gli elementi atomici della proposizione linguistica e quelli del Mondo.

Mutatis mutandis, qualcuno potrebbe obiettare che lo stato di validità possa essere attribuito anche al linguaggio normativo. La risposta è no, per i motivi di cui sopra e sotto.

Conformemente a Wroblewski (1974)[3], la struttura della sentenza è quella d’un sillogismo. Una struttura capace di fornire solo “giustificazione interna, poiché essa non sottopone a prova la fondatezza delle sue premesse”. Nulla dice sul vero e sul falso. Ancora, lo stato di validità è illusorio per i motivi illustrati infra.

Nella deduzione propriamente detta, l’intelligenza è posta dinanzi ad alcune premesse. Da esse, deduce le conclusioni. Di contro, il “sillogismo normativo” procede in modo opposto. La conclusione non segue alle premesse, ma le antecede. Quest’ultime sono create ex post in modo funzionale alla conclusione per darle apparente validità.

In altre parole, nel mondo descrittivo il sillogismo si presenta col seguente modello: a (variabile nota) + b (variabile nota) = c (conclusione ignota da sussumere). In altre parole, assunte n premesse note, deve essere inferita la conclusione ignota.

Di contro, nel mondo normativo avviene l’esatto opposto. Il modello è il seguente: c (conclusione voluta) = a (variabile ignota da trovare) + b (variabile ignota da trovare). In altre parole, una volta assunta la conclusione, tutto è riletto per trovare le premesse funzionali ad essa.

Non si può parlare, in questo caso, d’alcun ragionamento deduttivo – propriamente dettovalutabile in stati di validità e/o invalidità. Al più, si può parlare della presenza, oppure meno, d’una capacità argomentativa del magistrato e saperla esercitare in modo coerente.

Da quanto sopra, la Giustizia non è mai applicazione imparziale di regole pre-esistenti al caso. Essa è, infatti, entità malleabile ed elastica: in alcuni casi si ferma di fronte alla necessità della politica, …, in altri, …, va avanti come uno schiacciasassi anche se il farlo nuoce all’immagine ed alla credibilità del Paese. Non c’è etica, solo convenienza(Sallustri A. e Palamara L., Il Sistema, 2021).

non esistono … fenomeni morali, ma … interpretazioni morali dei fenomeni

Frederich Nietzsche

non esisono … fenomeni giuridici, ma … interpretazioni giuridiche dei fenomeni

Epis Luca

L’Interpretazione giuridica: dal formalismo al Nichilismo Post-Modernista

All’epoca tecno-nichilista a là Magatti Mauro (2009), le competizioni per il potere sono combattute con lotte per il significato (Mininni, 2008). Attraverso d’esse, si riconfigurano le credenze e le narrazioni d’una Comunità di Discorso coi rapporti di forza ad essa sottostanti (Lyotard, 1983). Espressione della forte interconnessione dialogico-ricorsiva fra Conoscenza e Potere (Foucault, 1980).

Azioni che avvengono sia in fase legislativa che applicativa. Solo in quest’ultima, però, assumono significato attraverso azioni di sence-making a là Weik (1995) fatte da chi esercita la funzione giudiziaria.

Conformemente a Llewellyn Karl N. (1972), ogni volta in cui si guarda al Diritto bisogna sempre tener ben distinte le: “regole giuridiche e diritti reali da un lato e regole giuridiche e diritti di carta dall’altro lato[4]. Le prime sono il diritto vivente, ovvero quanto è cogente. Le seconde, sono l’oggetto dell’interpretazione del magistrato. Un limbo dal quale estrarre le norme e le argomentazioni funzionali al deciso.

Guastini ha sempre distinto fra disposizioni legislative, la carta scritta da un legislatore, e le norme, le interpretazioni date ad essa. Solo quest’ultime sono l’insieme di regole cogenti applicate nella società. Da ogni enunciato normativo possono originarsi n proposizioni normative dalle quali scegliere in base all’occorrenza. Infatti, la portata delle norme può essere ampliata e/o ristretta; modificata e/o cambiata. Esse possono essere disapplicate, private di efficacia, oppure applicate rigidamente in modo esemplare ed inflessibile.

Scelte che conseguono ai soli interessi e/o obiettivi dell’interprete. Interessi diversi da persona a persona, da magistrato a magistrato, da epoca ad epoca, avendo ogni portatore di interesse quelli propri della prospettiva situata da cui proviene. Prospettive spesso in competizione fra loro.

D’altronde, tutti i valori sono relativi. Ogni tentativo di fondarli finisce sempre per implodere nel trilemma di Agrippa e/o Münchhausen (Hans Albert). In altre parole, ricade sempre in una di queste tre occorrenze:

  • il regresso all’infinito;
  • il circolo vizioso;
  • la rottura dogmatica.

Ancora, prova è data dal Diritto a là Kelsen, nonostante l’autore volesse sostenere una visione Scientifica e/o Logica d’esso. Infatti, trasmutando il Diritto in un Sistema logico formale, si dimostra la sua assenza di Coerenza e di Completezza.

La prima costituisce nella capacità di non dimostrare troppo. Un Sistema deve essere in grado d’evitare d’affermare sia una asserzione che la sua negazione. Qualora ciò accade, esso cade nella inconsistenza. Una condizione dalla quale si può dimostrare tutto e l’opposto di tutto. Ogni Sistema giuridico positivo è, quindi, per sua natura inconsistente. Prova empirica è data dalla copiosa giurisprudenza contrastante e/o altalenante.

Conformemente ad Alonzo Church, l’inconsistenza segue al limite intrinseco del linguaggio. La complessità del linguaggio naturale impedisce la creazione d’un prodotto cartesiano fra l’insieme dei significanti del linguaggio naturale e l’insieme dei significanti d’un linguaggio logico-formale. In altre parole, è impossibile creare coppie ordinate fra i due linguaggi usando algoritmi di conversione. Questo in quanto non è possibile avere corrispondenza biunivoca fra gli enunciati normativi e le loro proposizioni (interpretazioni).

L’assenza d’un algoritmo di trasformazione impone all’interprete la creazione sia delle regole di trasformazione che e di quelle di inferenza logica. Regole che, pertanto, rispecchiano scelte discrezionali.

La seconda consiste nella capacità d’un Sistema di non dimostrare troppo poco. In altre parole, il Sistema deve essere capace di dimostrare ogni asserzione valida che gli appartiene. Evidenza e’ data dal processo di godelizzazione, ovvero dal teorema dell’indefinibilità di Godel. Il teorema afferma l’indimostrabilità d’alcune asserzioni del Sistema in quanto quest’ultimo non può definirle né vere, né false. Pertanto, esse non possono essere ne’ accettate, ne’ rifiutate.

In ambito giuridico, Kelsen dimostra l’indefinibilità del Sistema. Conformemente all’autore, il Diritto assume una struttura gerarchia. In esso, le norme valide sono le sole ad essere cogenti ed obbligatorie. Il principio di delegazione[5] governa quanto attiene a ciò.

Al vertice del Sistema giuridico si trova la norma fondamentale. Quest’ultima, ricade in una rottura dogmatica, ovvero trascende la natura stessa del Diritto. La norma fondamentale, pertanto, non è ne’ valida, ne’ non valida, ma indefinibile. Una indefinibilità che a cascata ricade su tutto il Sistema.

Il Diritto, pertanto, è nulla, ma mera opportunità politica retta solo sul consenso.

La Rivoluzione francese, pertanto, vedeva nel giudice – creatore del diritto una minaccia alla Volontà generale a là Rousseau, ovvero al potere legislativo espresso legittimamente dall’Assemblea. I Giudici, infatti, potevano modificare le leggi per mezzo dell’interpretazione. Nacque, così, la Corte di Cassazione (Legge sul Tribunal de Cassation del 27 novembre – 1 dicembre 1790. Ancora, l’art. 3 della costituzione del 3 settembre 1791). La ratio era impedire al giudice di essere centro di potere autonomo e concorrenziale al Legislativo. Se era necessario interpretare, c’era l’istituto del referè legislatif. Un tentativo già fatto dall’imperatore Giustiniano quando, per motivi analoghi, decise di vietare ai giudici ogni forma di interpretazione[6]. Altro obiettivo, era quello d’impedire ai giudici d’essere Casta feudale autoreferenziale. Un pericolo affrontato da Montesquieu. Quest’ultimo suggerì, infatti, d’affidare la funzione giudiziaria a dei giudici eletti con mandati a termine.

La lettura delle norme poteva essere fatta solo attraverso l’analisi logica e grammaticale. Imperativo era il motto di Victor Hugo: “guerra alla retorica e pace alla sintassi”. Ciò presupponeva l’esistenza d’una corrispondenza biunivoca fra i testi normati e le loro interpretazioni.

Il diritto, pertanto, venne ridotto alla lettera della legge. Bonnecase J. (1933) affermò: “… non so’ cosa sia il diritto civile; io insegno il codice napoleonico …[7].

Le teorie formaliste implosero velocemente su se stesse a causa del delta incolmabile fra le disposizioni legislative e le norme: loro interpretazioni.

Così si passò alle teorie scettiche ed alla teoria mista di Hart (1965)[8].

Lo scetticismo ha seguito la filosofia di Nietzsche, trovando sua massima espressione nel Nichilismo del Post-Modernismo. Nel diritto, il Realismo americano ne rappresenta un suo aspetto.

Le teoria mista fu presentata da Hart, definito da Simmonds “one of most fine cambridge mind”. Hart cercò di superare la contrapposizione fra cognitivismo e scetticismo, definiti la Scilla e la Cariddi del Diritto. Essa sostiene la co-esistenza d’un “nocciolo duro”, per il quale non c’è necessità interpretativa, ed alcune zone grigie sulle quali esercitarla.

La teoria di Hart, però non ha retto ai contro-fattuali propri dell’esperienza giuridica inglese. Un evidenza sostenuta da un altro cantabrigiense nel 2006 (lo scrivente), mentre partecipava ad alcuni corsi di Jurispruidence tenuti da Simmonds, Allan e Kletzer. Tesi condivisa da molti dei massimi giuristi anglo-americani. Quanto emerse, infatti, corroborò la visione dell’oxoniense Bentham, ovvero le sue critiche al Sistema giuridico. Il diritto si presenta come “velo di mistero, artamente intessuto dai giudici e dai giuristi, per occultarne la vera natura e poter così perseverare impunemente nella promozione e nella tutela dei loro privati interessi, contrari all’utilità generale” (Chiassoni, 2010)[9]. Questo avviene attraverso la Mistificazione del Diritto[10] con i suoi cinque strumenti: le formulazioni non imperative, ma assertive; le espressioni fittizie; le finzioni giuridiche; le espressioni pseudo-descrittive; gli pseudo-tecnicismi ed espressioni gergali.

Bisogna convenire con le parole di Guastini: “una interpretazione può essere più o meno argomentata o persuasiva, ma in nessun caso può essere vera o falsa” (Guastini, 1985, Lezioni sul Linguaggio giuridico, Torino, Gipichelli). Tutto ricade nell’opportunità politica del momento. Un fatto ribadito anche: da una parte, dalla filosofia analitica che dimostra come da un testo seguano n significati possibili; dall’altra parte, dall’ermeneutica che mostra come quest’ultimi ricevano significato nella fusione degli orizzonti a là Gadmer (Verità e Metodo). In altre parole, il significato attribuito dall’emittente ad un testo non è mai quello compreso dai riceventi. Quest’ultimi lo rileggono sempre in base alla loro esperienza ed ai loro vissuti.

Alla fine, siamo tornati al punto di partenza: bisogna sempre distinguere chiaramente “tra regole giuridiche e diritti reali da un lato e regole giuridiche e diritti di carta dall’altro lato[11], ovvero come il delta fra di essi consegua all’azione del Legal Decision Making.

Capire il Diritto significa capire il Ragionamento giuridico.

Oggigiorno, dopo aver conosciuto bene la magistratura ed il suo Sistema, concordo con Oliver W. Holmes (1841 – 1935): “Le profezie di ciò che i tribunali faranno, e nulla di più pretenzioso, costituiscono ciò che io intendo per diritto”. Un approccio realista che trova validità nella sua capacità predittiva. L’outcome d’un processo si inferisce più accuratamente e precisamente dalla conoscenza dei giudici, dei loro valori, delle loro credenze e/o appartenenze, che non dalla legislazione obiettiva in essere che dovrebbero applicare.

e’ una vergogna. … nessuno ci controlla; cane non morde cane

Sallustri A e Palamara L, 2021

Il Giudice politico

Il Diritto, quindi, è una costruzione sociale fatta dall’agere dei magistrati. Attraverso azioni di anactment e di sencemaking, quest’ultimi piegano e ripiegano le disposizioni ed i fatti ai loro desiderata.

L’assenza di mandati a termine e d’incarichi elettivi li rende praticamente irresponsabili d’ogni decisione assunta. Unico argine è la diffusione della funzione giudiziaria, ovvero il riesame da parte di magistrati di grado superiore per il principio devolutivo.

Un argine indebolito dal Legislatore che, incapace di risolvere il problema della lunghezza dei processi, crea limiti di impugnazione e/o aggravi al suo esercizio.

La diffusione del Potere giudiziario comporta anche la necessità d’ottenere, da parte dei colleghi, validazione ricorsiva. Quest’ultima rende il diritto vivente del singolo caso estendibile oltre di esso quando presente.

Senza questi processi di reificazione, il singolo giudice non può ri-configurare alcun aspetto ordinamentale. Questo, spinge, all’assenza di protagonismi, ma all’associazionismo da cui l’attutale Sistema. Ad ogni modo, l’azione giudiziaria è sempre politica sia che innovi (crei precedenti) che reifichi (confermi una delle visioni del mondo già esistenti). In entrambi i casi, richiede d’optare a favore d’una visione fra le n esistenti, ovvero di schierarsi col proprio agere pro e/o contra alcune di esse.

L’azione politica di cui sopra avviene nel rito del processo. Luogo, quest’ultimo, in cui la competizione per il potere, ovvero la lotta per il significato, è esplicitata nella contrapposizione delle prospettive situate dei portatori d’interessi ad esso chiamati. Il giudice, però, non e’ terzo, ne’ imparziale, tanto meno un neutrale risolutore, essendo egli stesso un portatore d’interesse autonomo rispetto a quello delle parti.

Chiamato a posizionarsi in un contesto locale d’azione, il giudice ri-elabora gli aspetti idiosincratici dei vissuti esperienziali delle parti, ovvero degli universi soggettivi che si sovrappongono nella narrazione processuale, secondo propria sensibilità politica, rileggendoli sulla base delle credenze e finalità proprie alla sua prospettiva situata.

L’obiettivo non e’ mai quello d’accertare e/o affermare la Realtà per quello che è, ritenendola indisponibile negli atti processuali ove entrano solo frammenti re-interpretatati e selezionati, modificati e trasformati, ma restituire configurazioni sociali conformi alla propria visione del mondo. Configurazioni trasmutate negli eventi verbalizzati della narrazione giuridica emergente.

Nella dialettica processuale, d’altronde, emerge sempre una contrapposizione d’opposte versioni, affermanti sia A che non-A.  Una condizione simile a quella dell‘inconsistenza dalla quale può affermarsi tutto ed il suo opposto. La scelta d’affermare l’una, piuttosto che l’altra versione, ricade nella libera valutazione d’un magistrato che, per le ragioni dette, non può essere fatta sulla base d’un algoritmo col quale computare ogni fattore del caso. Essa, così, viene assunta sulla base d’una euristica alla quale dare ex post argomentazione.

Il magistrato, alla fine, si crea sia i fatti sui quali è chiamato a giudicare che le regole da applicare ad essi. Entrambe rielaborazioni portatrici d’una volontà politica propria dell’interprete.

Magistratura e Politica, pertanto, sono due facce d’una stessa medaglia. La Giustizia è l’azione politica dei magistrati. Un azione che non mai imparziale applicazione di regole, ma malleabile ed “elastica: in alcuni casi si ferma di fronte alla necessità della politica, … , in altri, … , va avanti come uno schiacciasassi anche se il farlo nuoce all’immagine ed alla credibilità del Paese. Non c’è etica, solo convenienza” (Sallustri A. e Palamara L., Il Sistema, 2021).

Non a caso il Presidente della Repubblica Mattarella rispose con le seguenti parole: “la magistratura ha bisogno di un profondo processo riformatore, e anche di una rigenerazione etica e culturale”.

Una rigenerazione che, però, difficilmente potrà avvenire, a meno che  … .

La struttura della Sentenza

Conformemente all’art. 111 della Costituzione, “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Un adempimento capace di assolvere a due funzioni: da una parte, fornire alla Società un mezzo di controllo sull’azione dei magistrati; dall’altra parte, fornire giustificazione alle parti sui processi mentali che hanno portato alla decisione. In altre parole, la possibilità’ di rilevare i vizi dell’impugnazione (Guastini R., 2004; Tarello G., 1980).

Conformemente a Wroblewski Jerzy (1974)[12], la struttura argomentativa della sentenza fornisce “giustificazione interna, poiché essa non sottopone a prova la fondatezza delle sue premesse”. Essa presenta una premessa maggiore (la fattispecie normativa), una premessa minore (la fattispecie fattuale) ed una conclusione. Quest’ultima valutabile in termini di valida‘, oppure meno, rispetto alle argomentazioni assunte a premessa.

Il ragionamento deduttivo della sentenza, però, non rispecchia i reali processi di giudizio avvenuti in Camera di consiglio. Ancora, solo in apparenza è una deduzione.

La motivazione, infatti, è scritta in un momento successivo alla decisione. Quest’ultima, come detto, è assunta a priori sulla base d’euristiche, così che il magistrato compie un procedimento opposto a quello deduttivo. Partendo dalla conclusione, ricostruisce le premesse di cui ha bisogno per giustificarla.

Ciò che il lettore legge è l’inverso dell’operazione fatta dal magistrato, come lo è una fotografia rispetto al suo negativo.

In questo consiste tutta la logica formale applicabile al Diritto: dare una parvenza di validità alla conclusione. Si possono avere conclusioni apparentemente valide, seppur completamente false, attraverso tecniche interpretative creatrici d’IperRealtà a là Boudrillard ed d’Iperlegalità a là Epis. Tutto avviene nella trama linguistica e nei suoi giochi di parole.

Conformemente a Geertz (1973): “l’uomo è un animale intrappolato in maglie di significati che lui stesso ha creato“. Egli non agisce direttamente con la Realtà, ma per mezzo delle visioni del Mondo e/o delle mappe del territorio di cui dispone.

Mappe strutturate attraverso il pensiero ed il linguaggio nel quale esso si esprime. L’ipotesi Sapir-Whorf ha dimostrato come la forma mentis dipenda dal linguaggio, ovvero dalle categorie e dai significati trasmessi con esso. L’universo può essere organizzato, quindi, solo per mezzo delle categorie linguistiche di cui si dispone. Anche Wittgenstein intuì questo nel suo Tractatus logico-philosophicus quando affermò: “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”.

In altre parole, tutto è linguaggio. La bravura del giurista (giudice, avvocato, docente che sia) consiste: nell’usarlo; nel camminarci attraverso senza inciamparci; nel glissarselo fra le dita, evitando che gli scivoli via; nel raccontare narrazioni avvincenti; e, far pendere l’ascoltatore dalle proprie labbra.

C’era un adagio, infatti, che storicamente accompagnava i laureandi in diritto, rammentando la natura della disciplina di cui diventavano dottori:

tibi quoque tibi quoque

e’ concessa facoltà

di poter in jure utroque

gabellar l’umanità.

Come detto, se al linguaggio dichiarativo possiamo applicare i principi e le leggi della logica formale e della logica atomica di Wittgenstein, al linguaggio normativo nulla di ciò è possibile. Quest’ultimo ricade, come detto, nel solo dominio della Nuova Retorica a là Perelman, ovvero nell’affascinare con la parola.

Come profetizzò Nietzsche (1992; 1994): “Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l’avvento del nichilismo“.

Oggigiorno viviamo già in pieno Nichilismo giuridico e politico.


Il ragionamento giuridico nel Cyber-Crime

Il rapporto fra Diritto e Scientia

Il Cyber-Crime si occupa di reati che avvengono per mezzo dell’uso della tecnologia. Si ritiene che quest’ultima possa aiutare nell’accertamento della Veritas. L’impressione, però, non considera due fattori: il primo, attiene alla dimensione creativa che resta in capo al magistrato nell’accertamento dall’elemento materiale; il secondo, il comun minimo denominatore ad ogni forma di bias proprio della tecnologia e dell’uso delle Scienze nel Diritto.

Tutte le teorie scientifiche con la loro tecnologia si fondano sull‘induzione e sulla probabilità statistica. Esse descrivendo i phenomena attraverso dei condizionali materiali (Epis, 2019).

Il Ragionamento umano è portato a cadere in fallacia, utilizzando la struttura logica del sillogismo condizionale. Nel modus tollens, nell’affermare il conseguente, si finisce per affermare erroneamente anche l‘antecedente. Nel modus ponens, negando l’antecedente, si tende a negare anche il conseguente. Di contro, in entrambi i casi nulla può essere inferito.

Esplicitiamo il sillogismo condizionale - modus tollens:

  • la premessa maggiore è l’ipotesi scientifica che lega una variabile ad un’altra (exempli gratia, se sia usa TOR, allora l’IP del hacker resta nascosto): Se p allora q.
  • la premessa minore è data dai data rilevati dalle indagini (l’IP dell’hacker è restato sconosciuto): allora q;
  • la conclusione erronea sta’ nell’affermare l’antecedente p (l’hacker ha usato TOR). Questo ragionamento è fallace come fatto dalla polizia giudiziaria di Genova nel caso illustrato (nel primo capitolo) per chiedere l’archiviazione. Di contro, nessuna indagine è stata fatta per cercare l’IP del reo. Ancora, nulla corroborava l’uso di TOR.

La struttura logica è:

(1) se p allora q;

(2) affermo q;

(3) concludo p !?!?.

Perché’ avviene? Le persone (inclusi gli esperti) sostituiscono al condizionale materiale un bicondizionale (se, e solo se, p allora q)[13]. Le inferenze erronee commesse, infatti, sarebbero corrette in quest’ultimo caso.

Come si arriva a sostituire il condizionale materiale con un bicondizionale? Faigman D. (2010) ci ha dato un indizio. Scienziati e Giuristi non riflettono sul rapporto intercorrente fra: Scienza e Diritto. Esse sono discipline ontologicamente diverse: ragionano in modo diverso; usano logiche diverse; si occupano di questioni diametralmente opposte.

La Scienza usa il metodo induttivo. Osservando una pluralità di casi (samples), inferisce un legame statistico e probabilistico fra due phenomena alias: un antecedente p; e, un conseguente q. Le leggi scientifiche sono leggi probabilistiche. Alla scienza non interessa sapere se Tizio ricade nell’occorrenza O (oppure no). Alla Scienza intessa sapere la frequenza che hanno i membri x d’una popolazione infinita M a ricadere nell’occorrenza O. Le sue leggi sono basate sul condizionale materiale.

La molteplicità delle teorie atte a spiegare gli stessi phenomena sono conseguenza di ciò. Ognuna d’esse lega uno stesso conseguente q ad n antecedenti p diversi. Nel nostro caso, possono esistere n motivi e/o n strumenti informatici diversi per raggiungere lo stesso risultato.

Pertanto, la Scienza e lo scienziato nulla possono dire sul singolo caso, salvo in cui quest’ultimo venga osservato direttamente. Ma, in questa evenienza, non serve né la Scienza, né lo scienziato, ma il testimone!

Di contro, nel Diritto si usa la deduzione. Partendo da “fatti certi” (ovvero assunti attraverso l’istruttoria nel contradittorio delle parti. Posti ad assioma e/o premessa del suo ragionamento una volta trasformati con le regole proprie della logica dei valori), ci si pone l’obiettivo d’affermare se quel caso singolo e specifico ricada (oppure no) nell’occorrenza O. Al diritto non interessa sapere la frequenza che i membri x d’una popolazione infinita M hanno di ricadere nell’occorrenza O. Al Diritto interessa stabilire ed accertare solo se Tizio (alias: quell’unico soggetto fra tutti quelli possibili) sia uno dei casi che ri-entrano (oppure no) nell’occorrenza O.

Il ragionamento giuridico non è un ragionamento probabilistico, ma deduttivo governato dal principio di determinatezza e bivalenza. Nel giudizio c’è un solo stato di verità che può assumere solo due valori: vero e/o valido; falso e/o invalido[14]. Il principio del terzo escluso non ammette altre vie. Il giudice, quindi, ha un compito ben diverso rispetto a quello dello scienziato. Questo si riflette nell’uso di logiche e ragionamenti diametralmente opposti.

Non ha senso per il diritto dire che Tizio potrebbe aver usato TOR all’80% in O e, pertanto, non accertare l’evento e/o svolgere nessuna forma d’istruttoria. Assolvere e/o condannare su questa base, tanto vale assolvere e/o condannare “a caso” l’80% d’una intera popolazione M perché una statistica afferma questa percentuale! Questo è scientismo; nulla di diverso dal fideismo. Pertanto su questa sola base: o, si assolve sempre (poiché mai c’è la certezza); o, si condanna sempre (poiché per tutti c’e’ una maggior probabilità). Di contro, la decisione deve essere basata su altri fattori.

Le teorie scientifiche, coi loro rilevamenti, non trovano alcuna applicabilità diretta ed automatica nel Diritto. Per inferire qualcosa occorre un bicondizionale. Così, l’Homo Sapiens Sapiens per risolve il problema: ragiona come se ci fosse il bicondizionale (!) anche se non c’è.

E’ pertanto evidente che la conoscenza probabilistica della scienza (col suo condizionale materiale) non ha alcuna applicabilità diretta ed automatica nel giudizio in quanto, anche se è capace di provare il conseguente q, non permette d’inferire alcun “ignoto” antecedente p. Quest’ultimo potrebbe essere dedotto solo da altri fattori. Quest’ultimi: (1) se esistenti, rendono inutile il ricorso al condizionale materiale della Scienza; (2) se assenti, non rendono possibile inferire nulla dal condizionale materiale della Scienza (usato come illustrato ut supra). Diversamente si ricade in nuove superstizioni, nuovi fideismi, nuovi feticismi, … mascherati da scientismo. Tutti frutti d’ideologie pericolose conseguenti al mito del progresso a là Hatch (2006).

Passare dalla prova sul conseguente all’affermazione dell’antecedente nel condizionale materiale è nulla di più d’un inganno sofista.

Quanto detto supra vale per un condizionale materiale del tipo: (1) per tutti gli x; (2) se p (x), allora q (x). Esso ci permette almeno d’affermare il conseguente q, accertato l‘antecedente p.  Nel caso preso ad esempio, che l’uso di TOR rende maggiormente difficile accertare l’IP dell’indagato. Questo solo qualora TOR sia l’unico strumento per rendere possibile l’anonimato.

Di contro, la Scienza fornisce alcune leggi basate su un condizionale materiale diverso: (1) per alcuni x; (2) se p (x) allora q (x).  In questo caso, assolutamente nulla può essere dedotto! Non solo non è possibile inferire l’antecedente (una volta affermato il conseguente), ma neppure inferire il conseguente (una volta affermato l’antecedente). La regola vale solo per alcuni x, noi non sappiamo se il nostro x è fra questi oppure no.

Nel campo informatico questo è presente in base alle capacità tecniche dei soggetti. La regola usata, infatti, vale solo per alcuni x, ovvero per quei soggetti e/o esperti informatici che sanno usare in modo competente TOR e conoscono i rischi della rete. Di contro, usato da persone inesperte, TOR è poco più d’un browser come tutti gli altri. Ancora, esistono molti strumenti per rimanere anonimi oltre TOR.

Questo ci porta ad affermare come la Scienza si presti a moderni sofismi, ovvero all’essere “prostituita” al servizio degli interessi economici e/o ai fini delle parti e/o ripiegata a cadere al servizio delle dinamiche proprie della logica dei valori e/o nuova retorica a là Perelman. Sofismi capaci di gabellare anche gli esperti privi d’una adeguata capacità critica logico-epistemologica.

Nonostante l’evidenza dell’errore denunciato, esso avviene quotidianamente a tutti i livelli. Molti atti d’indagine delle Procure della Repubblica e della polizia giudiziaria ne sono ricchi. Le regiudicande, infatti, sono talmente fatte male che spesso il magistrato giudicante (sia per condannare che per assolvere) deve procedere in base all’art. 507 cpp, ovvero all’acquisizione d’ufficio di nuove prove ritenute necessarie. Questo una volta terminata l’infruttifera, confusa e confondente, attività delle parti!

Nelle Scienze Criminologiche, Psicologiche e Sociali, l’errore di cui si e’ detto domina incontrastato. Esso è presente nelle Science forensi, inclusa la compiuter forensics, nelle quali s’aggiungono ulteriori elementi di bias.

Due di quest’ultimi sono: a) l’illusoria forza dell’evidenza scientifica di provare l’avvenuta condotta del reato in assenza d’ulteriori elementi corroboranti; b) l’arbitrarietà nel definire i criteria di demarcazione, ovvero di cut off, per ritenere dei data scientifici evidenza processuale.

Nel processo, infatti, potrebbero entrare delle “evidenze scientifiche”, frutto d’errore tecnico. Decidere soltanto sulla base di quest’ultime, in assenza d’ulteriori comprovanti, conduce spesso in gravi ingiustizie.

La pseudo-prova scienfica, ovvero quella contaminata da errore, può creare forti pregiudizi. Pregiudizi che spesso i magistrati non sanno gestire e/o valutare. Considerata facile soluzione del caso, semplificazione del lavoro, la prova tecnica viene assunta acriticamente conducendo ad errori clamorosi, spesso difficili da correggere.

Un esempio del primo è il famoso caso di Adam Scott avvenuto in UK. Nel 2011, Adam Scott viene arrestato per violenza sessuale commessa, secondo l’accusa, a danno d’una donna a Manchester. L’unica prova contro di lui era quella del DNA. Gli esperti forensi affermarono alla Corte che “la possibilità di ottenere un profilo di DNA identico, da un soggetto non correlato con Adam Scott, sarebbe stata di una su due miliardi”. Pertanto, Scott venne incarcerato e trattenuto in carcere, nonostante fosse innocente. Un innocenza provata dal fatto di non essere mai stato a Manchester. La sua non colpevolezza, però, venne riconosciuta solo dopo 5 mesi. Dalle indagini condotte sui tabulati del suo telefono cellulare risultò come egli fosse stato a Plymouth poche ore dopo l’aggressione. Ancora, ulteriori accertamenti, dimostrarono come Scott fu implicato nel caso solo per una contaminazione accidentale del campione avvenuta in laboratorio. Lo stesso laboratorio, infatti, aveva esaminato un campione di saliva di Scott. Campione prelevato a seguito d’una indagine per rissa nella quale era stato coinvolto ad Exeter.

Un esempio del secondo attiene ai criteria di demarcazione da usarsi in dattiloscopica. Un paramento biometrico irripetibile, appartenibile ad un solo essere umano con corrispondenza biunivoca. Assunte a postulato le leggi di Galton, il problema, ricade nell’accertamento della corrispondenza fra le impronte digitali che sono state repertate dalla polizia scientifica e quelle dell’indagato. I reperti, infatti, spesso riproducono impronte parziali. La corrispondenza, pertanto, non è mai data da una perfetta sovrapposizione, ma dalla presenza d’un numero n di minutiae coincidenti nei due campioni: biforcazioni; deviazioni; tratto di linea; termine di linea; punto; isolotto; occhiello; gancio. L’esperto può affermare solo che nei campioni ci sono n numeri di coincidenza. Maggiori sono i punti di coincidenza, maggiori sono le probabilità statistiche che le due impronte siano della stessa persona. Il discrimen del numero di punti minimo di coincidenza necessari per considerare il reperto prova è arbitrario. La Cassazione italiana ne richiede 18. Diverse Corti americane solo 9! A ciò si aggiunge il fatto che ogni giudice italiano è libero di apprezzare la prova secondo suo prudente giudizio, ovvero dare ad essa il peso che vuole.

Ancora, repertare una impronta digitale non significa alcunché, salvo che un soggetto sia stato presente sul luogo del delitto. Essa non dice se abbia compiuto il delitto, oppure no, ne’ tanto meno quando sia passato di lì.

Per non lasciarsi dominare da facili bias, i Giudici devono acquisire competenze interdisciplinari e capacità critiche logico-epistemologiche[15] al fine di assolvere pienamente al proprio mandato. Una capacità necessaria anche per assolvere all’opera di peritus peritorum, ovvero declinare in modo competente la Scienza all’interno del processo attribuendole il giusto “peso” e significato.

Oggigiorno, l’essere peritus peritorum non è limitato al decidere fra opposte consulenze, ma essere capace di valutare ed attribuire il giusto valore e significato al dato scientifico senza cadere nello scientismo e/o nel feticismo tecnologico[16].

I bias e le fallacia di cui abbiamo detto; le discrezionalità proprie della valutazione dei data tecnico-scientifici; … mostrano come lo strumento scientifico sia sempre oggetto dell’interpretazione del magistrato, cadendo nella logica dei valori di cui si è detto.

La psicologia cognitiva ci spiega le fallacia sottostati alla verificazione.

Tutte le teorie accusatorie e/o acquisizioni e/o informazioni, dovrebbero essere falsificate per comprendere la portata della loro validità. Di contro, la tendenza è quella di verificare. Verificare “qualcosa” non è falsificare. Il verificare, infatti, il più delle volte conduce a confermare i teoremi accusatori e/o le credenze false. Ciò è frequente nelle scienze sociali e forensi. L’operatore è portato ad “ingigantire” gli elementi corroboranti; trascurare e/o “minimizzare” quelli confutanti. Non solo, si arriva alla creazione d’eventi, di comportamenti e di situazioni, che non sarebbero mai esistiti/e se non ci fosse stata quella credenza (che per quanto falsa), ha finito per condizionare gli atteggiamenti ed i comportamenti degli Agenti Sociali, creando ex post confermation bias. Creato quest’ultimo, si passa a convalidare la falsa credenza iniziale: post hoc, ergo propter hoc (Epis, 2012-2015; 2019)[17]!

Questo tipo d’errore prospera nelle scienze forensi e criminologiche. Una prova è stata data dallo studio di Rosenhan (1973).

Nell’esperimento venne data una informazione errata ad alcuni psichiatri, psicologi ed infermieri. Fu detto che alcune persone erano “malate di mente”, quando ciò era falso. Tutti gli psichiatri, psicologi ed infermieri, delle Strutture coinvolte si mostrarono incapaci di riconoscere l’errore. Questo avvenne poiché nessuno cercò di falsificare l’informazione data. Di contro, tutti la posero a verificazione. La verifica fu fatta re-interpretando tutto il comportamento normale dei soggetti come sintomo della “inesistente malattia mentale”!

Questo esempio mostra come funziona la verificazione. Ancora, mostra come sia necessaria la falsificazione ancor più nelle Scienze forensi!

Wason (1966) ha dimostrato la tendenza a verificare le ipotesi (non a falsificarle) con l’esperimento delle 4 carte.

Abbiamo su un tavolo 4 carte. Esse hanno dei numeri da un lato e delle lettere dall’altro. Le carte sono le seguenti:

  • la prima ha una “A”;
  • la seconda ha una “C”;
  • la terza un “2”;
  • la quarta un “3”.

La regola da “accertare” è: se le carte hanno una vocale su un lato allora esse hanno un numero dispari sull’altro. La forma logica è: (1) per tutti gli x; (2) se p (x) allora q (x).

La maggioranza delle persone, ovvero il 90%, sceglie di girare la carta con la consonante “C” e quella col numero pari “3”. Questi due “valori” corrispondono alle variabili logiche: “non-p“; e, “q“. Questi due valori sono irrilevanti al fine di valutare la correttezza della regola di questo condizionale materiale. Infatti, conformemente alla tavola di validità del condizionale materiale:

  • All’accadimento dell’antecedete non-p, può conseguire sia q e sia non-q;
  • All’accadimento al conseguente q, può antecedere sia p che non-p.

Il condizionale materiale, infatti, resta valido in entrambi i casi detti supra. In questo modo, ponendo a verifica la regola posiamo ritenerla vera anche se falsa. Solo falsificandola, possiamo accertare se la regola è vera. Per farlo dobbiamo girare “A” e “2”. “A” equivale a p; “2” a non q. Il condizionale materiale richiede che: (1) affermando p “A” debba conseguire q (un numero dispari sul retro) per essere valido; (2) affermando il conseguente non q “2”, l’antecedente non può essere p (una vocale).

Pertanto:

(1) la tendenza a verificare (non a falsificare);

(2) l’esistenza del crud factor[18];

(3) l’esistenza della profezia che si auto-avvera (Merton, 1967)[19];

(4) l’esistenza del meccanismo del post hoc, ergo propter hoc[20];

(5) n

… giocano sempre a favorire la convalida d’una credenza, ancor più se falsa.

Ancora, la Scienza, come il Diritto, raramente presentano condizioni chiaramente identificabili come bianche o nere, ma per lo più grigie. Nel grigio, tutto può essere corroborato e/o confutato per i motivi indicati supra. Cosa corroborare e/o confutare consegue solo ad una scelta politica e/o d’interesse.

Dalla Logica alla Retorica

Come abbiamo detto, la struttura formale della sentenza assume la forma logica del sillogismo (dando l’illusione della correttezza di quanto affermato da essa). Di contro, le premesse assunte in essa come argomenti ricadono nel libero arbitro. Tutto quanto ricade, mutatis mutandis, nell’interpretazione giuridica, nella logica dei valori, nell’opportunità politica che porta a preferire una narrazione fra le n possibili. Exempli gratia, ciò è possibile agendo sulle fattispecie fattuali, oppure su quelle normative. Ancora, quanto non ottenibile attraverso il diritto sostanziale lo è col processuale.

Il primato e la supremazia della retorica sulla logica formale è dimostrato dal fatto che quest’ultima non è applicabile alle premesse assunte nel sillogismo. La loro assunzione è governata dalla logica dei valori a là Perelman.

La scelta consegue ad un interesse; l’argomentazione alla scelta fatta. Quest’ultima ha l’obiettivo di rendere razionale la scelta, nascondendo l’interesse e l’euristica di cui è conseguenza.

L’argomentazione non è il motivo della scelta, ma la conseguenza di essa.

Non solo. Le premesse possono conseguire alle fallacia logiche quali quelle esaminate supra nel caso del sillogismo condizionale.

Altre derivano da costrutti contradittori dai quali e’ possibile affermare tutto e l’opposto di tutto: ex falso quodlibet. Questo accade spesso nelle Scienze forensi. Epis (2006; 2015) lo ha dimostrato nel falsificare il costrutto della personalità antisociale.

Le euristiche

Riassumendo: il legal decision making e’ quel complesso di attività costituite dall’uso d’euristiche, ovvero di regole di derivazione semplificate, attraverso le quali il magistrato giunge ad assumere una decisione sui casi che gli sono portati all’attenzione. Ancora, è composto dalle argomentazioni proprie della logica dei valori e/o nuova retorica a là Perelman con le quali fornisce giustificazione alla decisione assunta.

L’uso dell’euristica costituisce una di scorciatoia mentale, rispetto agli algoritmi, con la quale – il magistrato – si alleggerisce il carico di lavoro. Esse permettono l’uso minore di risorse attentive per le funzioni esecutive e per il Sistema Attentivo Supervisore.

Il magistrato, spesso, si trova a dover gestire un’importante mole di fascicoli. Ognuno di essi è ricolmo di contenuti probatori. Una attenta disamina di tutti i fascicolo assegnati diventa materialmente impossibile.

Le euristiche vengono in aiuto, nonostante i rischi distorsivi e d’errore. Quest’ultimi sono contro-bilanciati dalla possibilità d’assumere decisioni economiche e semplificate, sintetizzando la motivazione ed eliminando le dissonanze cognitive.

C’è anche un interesse opportunistico all’uso delle euristiche. Uno dei criteria di valutazione del magistrato è la produttività. Esso favorisce la quantità rispetto alla qualità. Ebbene, l’euristica realizza ciò.

Le principali euristiche operanti nel processo sono quelle: dell’ancoraggio ed aggiustamento; del framing; della familiarita’ e della disponibilità’; dell’autorità; della rappresentatività; della semplificazione; dell’analisi mezzi – benefici; dell’analogia; della lunghezza dl messaggio; della distorsione retrospettiva; etc … .

L’ancoraggio è un’importante euristica. L’interprete resta legato all’ancora iniziale, ovvero dalla credenza assunta. Ogni successivo esame probatorio e/o dibattimentale, corroborante e/o confutante che sia, verrà letto sempre partendo da essa. Pertanto, la credenza iniziale non verrà mai modificata e/o sostituita, ma al più aggiustata. I mass media possono condizionare pesantemente outcome d’un processo creando su magistrato credenze a priori.

Il framing sottolinea come la decisione sia influenzata dalla presentazione del materiale e dall’avversione al rischio. Il magistrato non solo è influenzato dall’effetto primacy e recency, ma anche dalla volontà di evitare rischi alla carriera. La decisione, pertanto, consegue alle credenze presenti nel suo ambiente e/o nei soggetti ai quali – formalmente e/o informalmente – deve rispondere. Il ragionamento giuridico, pertanto, non è sempre l’outcome d’un giudice solitario chiuso nella sua camera di consiglio, ma d’un pensiero di gruppo che trova espressione nello scambio di opinioni e/o pareri fra colleghi a la’le allegre comari di Windsor” (William Shakespeare).  La decisione, pertanto, rispecchia sempre la pressione sociale dell’ambiente, tanto più forte quanto più prossima.

La familiarità e/o disponibilità porta il magistrato a dare maggior valore a chi conosce e/o stima. L’opinione che il magistrato ha sulle parti determina, spesso, l’outcome d’un processo prima ancora del suo inizio.

L’autorità è un’altra euristica ampiamente utilizzata. Essa si basa sull’ipse dixit. Nel decidere è accettata la visione di chi ha maggior peso all’interno della sua Comunità di Discorso.

La rappresentatività consiste nel dare più importanza alla quantità che alla qualità. In altre parole, si ritiene vero ciò che avviene più spesso, ovvero ciò che è comune, piuttosto che accertare quanto attiene alle peculiarità del caso specifico.

La semplificazione domina nel ragionamento giuridico. Essa e’ necessaria alla coerenza della motivazione e ad eliminare ogni dissonanza cognitiva.

Etc … .

L’uso delle euristiche non deve scandalizzare. Piuttosto, bisogna riconoscere come i giudici agiscano sempre politicamente e creativamente. Ciò dovrebbe portare ad una loro responsabilizzazione politica con mandati elettivi ed a termine.

Nel Post-Modernismo, la questione non è più chi ha ragione o chi ha torto. L’obiettivo di tutti è semplicemente quello d’“aver ragione a tutti i costi”, affermando e ri-affermando (nn) con determinazione la propria “verità e/o versione del Mondo“, a prescindere da qualunque connessione con la Realtà. Nella ripetizione (nn) la propria versione diventa frame capace d’imporsi nell’oggettivato e guidare i comportamenti e le scelte altrui. Queste dinamiche oggigiorno avvengono ovunque a tutti i livelli: nel mondo giuridico e nei processi; nei media; nella ricerca scientifica; etc … .

L’azione politica del magistrato avviene attraverso la sentenza con la quale impone la sua versione del mondo alle parti ed, attraverso la reificazione, all’Ordinamento.

L’Intelligenza artificiale: una speranza, oppure …   

L’intelligenza artificiale (IA) è la capacità di emulare l’intelligenza umana, usando algoritmi deterministici e/o probabilistici. Applicata al Diritto, è vista come mezzo atto a superare l’azione politica del magistrato. Una speranza irrealizzabile. I bias dell’intelligenza umana, infatti, si spostano solo di livello: da quello umano a quello artificiale.

I bias umani si spostano nella progettazione dell’algoritmo. Per farlo, esistono diverse metodologie. Una di queste è l’uso delle reti neurali. Quest’ultime sono composte da una serie di nodi e/o neuroni artificiali, disposti in più strati e/o layer. Quest’ultimi si suddividono in tre aree. Uno strato di input; uno o più strati interni e/o nascosti di elaborazione; uno strato di output. La capacità computazionale è direttamente proporzionale al numero degli strati nascosti. Le reti di grandi dimensioni hanno milioni di neuroni artificiali e decine di miliardi di connessioni.

Nel diritto penale l’uso dell’intelligenza artificiale può trovare applicazione in due contesti:

  • per potenziare le attività preventive e repressive sul crimine, ovvero quelle di law enforcement e di polizia predittiva;
  • per realizzare dei Sistemi di decisone automatica capaci di sostituire, in tutto o in parte, la decisione del giudice-uomo.

In questo paragrafo faremo alcune osservazioni sul secondo.

La Commissione per l’efficacia della giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa ha adottato, il 4 dicembre 2018, la Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e nei relativi ambienti. In essa si enunciano i principi ai quali l’Intelligenza Artificiale (IA) si deve conformare:

  • principio del rispetto dei diritti fondamentali;
  • principio di non discriminazione;
  • principio di qualità e sicurezza;
  • principio di trasparenza, imparzialità e correttezza;
  • principio di garanzia del controllo umano.

Lo stesso documento avverte che l’uso degli algoritmi basati sull’IA comporta il rischio di favorire la rinascita di teorie deterministiche a scapito delle teorie dell’individualizzazione della pena. Uno pseudo-problema quest’ultimo. L’individualizzazione è spesso usata in modo arbitrario e disinvolto. Per esempio, questo avviene regolarmente nella gestione delle attenuanti ed aggravanti, etc … .

Ad ogni modo, nel 2019, la Fondazione Leonardo – Società delle Macchine aveva presentato alla Camera dei Deputati un lavoro nel quale si affrontavano anche i rischi legati agli algoritmi deterministici. Si era suggerito di passare a quelli probabilistici. Ciò, però, comportava un margine di errore pari al grado di probabilità.

Pertanto, si ricade sempre nelle situazioni illustrate nelle sezioni precedenti.

La reale paura sottostante è quella che l’uomo diventi subordinato alla sua creazione. Ancora, se l’Intelligenza artificiale potrebbe realizzare l’utopia Giustinianea e quella Rivoluzionaria francese, potrebbe anche concretizzare un incubo: il Global-Panopticon. Una realtà nella quale l’umanità si ritroverebbe in una prigione universale, nuovo stato di polizia, governata/o dagli algoritmi delle intelligenze artificiali che lui stesso create.

Le paure sono ampliate dal fatto che i Poteri costituzionali, con i loro pesi e contrappesi, sono diventati incapaci di garantire le garanzie dei cittadini. Il vero potere, infatti, è in mano ai privati. Da una parte, ci sono gruppi e/o individui con Capitali e risorse maggiori di quelle degli Stati; dall’altra parte, tutti i software d’IA sono di produzione privata.

La tecnologia, infatti, non entra nel processo in modo neutrale. Essa creerebbe sempre un delta fra la legge e la sua applicazione, riproponendo quanto descritto sugli enunciati normativi e le loro proposizioni normative.

In questo caso non sarebbe più un magistrato a compiere ciò, ma un software di IA. L’applicazione della legge, infatti, resterebbe sempre mediata. Prima da una intelligenza umana, poi artificiale. Un artefatto tecnologico e culturale creato da un soggetto. Pertanto, i bias di quest’ultimo non si eliminano, ma si spostano da un livello all’altro. Ancora, la valutazione delle prove viene fatta su base predittiva, algoritmica e automatizzata. Valutazioni probabilistiche che potrebbe inferire comportamenti futuri con un certo errore statistico, ma nulla possono dire su eventuali responsabilità passate di soggetti accusati per esse. I motivi solo quelli già illustrati nelle sezioni precedenti.

Così, alla fine, l’IA riflette e rispecchia – pur nelle sue differenze – l’intelligenza umana, presentando alcune limitazioni ereditate da essa. Questo avverrebbe anche nel caso in cui si verificassero le profezie di Stephen Hawking sulla super intelligenza artificiale. Nonostante quest’ultima possa diventare capace di migliorarsi ed evolversi autonomamente, lo farebbe sempre a partire da un programma umano e su di una base predeterminata. Un evoluzione che, pertanto, resterebbe sempre influenzata e direzionata da esso.

Concludendo: la comprensione del diritto passa per la conoscenza del Ragionamento giuridico. Un fatto che resta invariato sia nel caso in cui sia portato in essere da una intelligenza umana che artificiale, restando entrambe strumento di mediazione fra la legge e la sua applicazione per nelle proprie differenze.

 “Non v’è altra tenebra che l’ignoranza

Shakespeare, Romeo e Giulietta

 “In questo mondo che stà diventando sempre più interconnesso, noi dobbiamo imparare a tolleraci a vicenda, noi dobbiamo apprendere ed accettare il fatto che qualcuno dirà cose che a noi non piacciono. Noi possiamo vivere insieme solo in questo modo. Se vogliamo vivere insieme e non morire insieme dobbiamo imparare qualche forma di carità e di tolleranza, che sono assolutamente vitali per la sopravvivenza della vita umana su questo pianeta”.

Bernard Russell dette alla BBC (1959)

Conclusione

Dall’elaborato emerge come il giudice-funzionario a là Rivoluzione francese sia stato e rimanga un utopia. Attraverso i processi interpretativi ed argomentativi, il magistrato assume sempre il ruolo di giudice-creatore del diritto.

Una azione creatrice che avviene attraverso l’interpretazione giuridica e l’argomentazione e che è elemento necessario, costitutivo e fisiologico, dell’assumere decisioni. L’effettuare scelte, infatti, è sempre atto di natura intrinsecamente politica e discrezionale.

Questo scritto non affronta gli aspetti sociologici e/o politologici di questo agere, né i drives ad esso sottostanti. Ancora, non indaga le ricadute nell’Ordinamento e negli equilibri d’uno Stato di Diritto. Questo tipo di disamina richiederebbe attente valutazioni della cronaca giudiziaria, analisi storiche ed attuali dei rapporti e dei legami, intercorsi ed intercorrenti, fra politica e magistratura, studi sulle dimensioni soft ed hard della Realtà, ovvero su tutte quelle implicazioni sociali ed istituzionali derivanti da questi agere. Delle analisi così fatte dovrebbe considerare anche gli aspetti comparativi. Non solo, esse richiederebbero anche di considerare l’azione dei processi cognitivi e sociali, le dinamiche di pensiero di gruppo, l’influenzamento e/o il condizionamento derivante dai meccanismi della pervasività dell’azione sociale, il potere disciplinare a là Foucault, etc… .

La riflessione ha mostrato, anche, l’illusorietà delle speranze poste da alcuni nell’Intelligenza Artificiale per realizzare l’utopia del giudice-funzionario e delle teorie formaliste dell’interpretazione.

Salvo le differenze che attengono alle diversità esistenti fra l’Intelligenza umana ed artificiale, l’uso di quest’ultima si limiterebbe a spostare solo di livello tutte quelle dinamiche e bias illustrate/i nel presente scritto. La questione, come detto, ricadrebbe nel trilemma di Münchhausen ed, in particolare, nella condizione del regressus ad infinitum.

Il lettore potrebbe farsi la seguente domanda. Perché presentare questa riflessione assieme ai reati informatici?

Le risposte potrebbero essere molteplici, ma fornirò quella emersa dal testo stesso. La dissertazione ha mostrato come nel processo, alla fine, tutto ricada nel dominio della logica dei valori: sia il linguaggio normativo che le prove scientifiche. Una tesi che doveva essere posta a falsificazione a là Popper.

Ebbene, i reati informatici sono le fattispecie giuridiche connaturate dal maggior grado di tecnologia e d’evidenza scientifica. Più d’ogni altro, sembrano lasciare poco, meglio nulla, all’interpretazione. Tutto è registrato, tracciato e documentato!

L’osservare che anche queste fattispecie – alla fine – ricadono nelle dinamiche tipiche della logica dei valori, comprova e corrobora fortemente quanto illustrato nella tesi presentata.

L’esempio riportato riguardava l’uso dell’archiviazione per diminuire il carico degli Uffici, allocando le risorse disponibili su alcuni reati piuttosto che altri. Scelte che, per quanto possano essere motivate dal voler usare proficuamente le limitate risorse, non sono amai tecniche, ma sempre di natura politica. L’articolo 112 della Costituzione, infatti, non lo permetterebbe, … . Queste scelte, però, creano – di fatto – aree di tollerata illegalità che, se non legittimate da incarichi politici con mandati elettivi, non dovrebbe esistere.

Ancora, i reati informatici si occupano della dimensione digitale sulla quale si stanno trasferendo molte attività. Una dimensione che richiede d’essere affidabile e tutelata. Pertanto, più d’ogni altro reato – indipendentemente dall’impatto economico e/o dalla sua gravità – merita sempre approfondimenti investigativi da parte degli Organi inquirenti. Di contro, purtroppo, come rilevato da diversi osservatori, fra cui la Prof.ssa Madeio (2019), c’è poca consapevolezza sulla pericolosità dei reati informatici che, anzi, sono percepiti meno pericolosi degli altri … .

Alla fine, per tutti i motivi illustrati, chi scrive ritiene che sia necessario riconoscere l’intrinseca natura politica del giudice, accettarla e creare dei Sistemi capaci di modularla e controbilanciala.

Per questo motivo, il presente autore consiglia di attualizzare le idee di Montesquieu, rendendo i giudici responsabili difronte ai cittadini con mandati elettivi ed a termine. Ancora, suggerisce di facilitare l’esercizio d’ogni mezzo di impugnazione. L’impugnazione, come la diffusione del potere giudiziario, è l’unico strumento capace di correggere gli errori e d’arginarne le derive che potrebbero occorrere.

I Sistemi auto-referenziali come quello in essere, infatti, sono deragliati nell’abuso – come emerso dalla cronaca – impedendo la realizzazione dell’auspicio di Bernard Russell (1959). L’ingiustizia, infatti, genera sempre conflitto sociale ed intolleranza.

Quanto raccomandato, invece, permetterebbe maggior armonia, pace sociale, fra le diverse visioni del mondo ed i diversi attori sociali.

D’altronde, cos’è uno Stato di Diritto se non un luogo in cui possono co-esistere diverse visioni del mondo capaci di confrontarsi e contro-bilanciarsi a vicenda?

Se è vero che nello Stato di Diritto il Potere limita il Potere è anche vero che questo richiede l’esistenza di visioni del mondo capaci di limitare altre visioni del mondo. Di contro, c’è la tirannia del pensiero unico.

 “la convinzione che la propria visione della realtà costituisca l’unica realtà è un illusione pericolosissima. Diventa ancora più pericolosa se accompagnata dallo zelo missionario di illuminare il resto del mondo, qualora il resto del mondo lo voglia, oppure no.”

Paul Watzlawick (1976).

 

 

[1]    Tarello Giovanni, 1980, L’interpretazione della Legge, Milano, Giuffrè.

[2]   Holmes Oliver W. (1920), Collectedlegal papers, New York;

[3]   Wroblewski Jerzy (1974), Legal Syllogism and Rationality of Judical Decision, in Rechtstheorie, 5, 1.

[4]   Llewellyn Karl N. (1972), Jurisprudence. Realism in theory and practice, Chicago.

[5]   In altre parole, alle regole che disciplinano il potere di produrre le norme. Ogni norma trova la sua validità nella conformità, oppure meno, alle fonti superiori di autorizzazione.

[6]    Bellomo M., 1993, Società ed istituzioni dal medioevo all’inizio dell’età moderna, Roma il Cigno – Gallileo Gallilei Edizioni di Arte e Scienza; Bretone M., 1993, Storia di Diritto Romano, Bari, Laterza.

[7]     Bonnecase J. (1933), La pensee juridique francaise de 1804 a l’heure presente, Bordeaux, (2 volumi).

[8]      Hart (1965), Il concetto di Diritto, Torino, Einaudi.

[9]    Chiassoni Pierluigi (2010), L’indirizzo analitico nella filosofia del diritto, I, Da Bentham a Kelsen., Milano: Giapichelli editore.

[10]   Hart (1973), The Demistification of Law, in Essay on Bentham. Jurisprudence and Political Theory, Oxford, Claredon Press. Olivecrona K. (1978), Bentham’s Veil of Mistery, tradotto in La realta’ del diritto. Antologia di scritti, a cura di Castiglione S., Faralli C., Ripoli M., Torino, Giapichelli, 2000.

[11]  Llewellyn Karl N. (1972), Jurisprudence. Realism in theory and practice, Chicago.

[12]  Wroblewski Jerzy (1974), Legal Syllogism and Rationality of Judical Decision, in Rechtstheorie, 5, 1.

[13]  Il bicondizionale è l’unione di due condizionali materiali legati da congiunzione: (se p allora q) e (se q allora p).

[14]  Vero / falso attiene agli enunciati descrittivi. Valido / invalido al ragionamento e/o inferenza.

[15]  Abilità trasversale ad ogni sapere.

[16]  Exempli gratia, nel processo minorile, questo non si realizza con Collegi Misti (composti da Giudici Togati ed Esperti non laureati in Diritto). L’Esperto (Giudice Onorario) deve sempre essere, prima di tutto, un laureato in Diritto con forma mentis giuridica. La conoscenza d’altre discipline deve conseguire a questo, legittimando l’ingresso onorario nella magistratura in veste di Esperto. Solo un esperto, così formato grazie alla forma mentis acquisita, può garantire:

  • una reale integrazione fra Diritto e Saperi diversi;
  • una reale comprensione del caso giuridico e di “come” declinare la Scienza in esso;
  • un effettiva capacità di dialogare, comprendere e comunicare, col Collegio e tutte le Parti processuali (parlandone la stessa Lingua).

Solo i Giuristi garantiscono una corretta amministrazione della Giustizia, la salvaguardia dell’Ordinamento Giuridico e dei suoi principii. Persone non laureate in Diritto, senza una forma mentis giuridica, non possono essere la Vox Legis e/o dei Giudici. Dovrebbero limitarsi al ruolo d’ “expert witnessall’occorrenza.

[17]   Alcuni usano l’espressione ex post, ergo propter hoc per indicare l’attribuzione di causalità ad un fatto e/o evento antecedente a quello osservato.

Epis (2011/2015), di contro, lo usa in modo specifico e tecnico. Con tale espressione Epis indica una teoria e/o in generale una falsa credenza priva di giustificazione che arriva a creare (tramite: i meccanismi di confermation bias; le dinamiche create dagli atteggiamenti dovuti a queste false credenze iniziali; l’effetto della profezia che si auto-avvera; etc…) un fatto e/o un evento e/o una modifica alla Realtà e/o alle caratteristiche delle persone, che ex post è usato/a a fondamento della validità e/o della verità della stessa falsa credenza iniziale. Quest’ultima è fatta passare per essere: effetto dei suoi stessi effetti. Ciò è ottenuto omettendo di riconoscere che quest’ultimi non sono la causa della credenza ma l’effetto d’essa. Così gli effetti della falsa credenza diventano ex post la causa della falsa credenza che solo a questo punto trova giustificazione (ergo propter hoc).

[18] ovvero: “in social science, everything is somewhat correlated with everything” (Meehl, 1990a; 1990b) così che: il “cosa” correlare è una scelta “politica” del soggetto. Una scelta che, una volta fatta, viene corroborata dalla statistica.

[19]  e delle diverse forme che assume. Essa spinge sempre a favore della conferma dell’ipotesi, arrivando (ove assente) a creare la stessa realtà conformemente alla credenza.

[20]   Exempli gratia: se un soggetto è condannato sui risultati d’un lie-detector (anche qualora errati e seppur innocente), tale condanna sarà usata come prova del successo del lie-detector!

La Capacita’ Umana di Riconoscere le Menzogne. I Lie-detectors et Similia. L’Ordinamento Giuridico Italiano.

And after all, what is a lie? Tis but

The truth in masquerade; and I defy

Historians, heroes, lawyers, priests to put

A fact without some leaven of a lie.

The very shadow of true truth would shut

Up annals, revelations, poesy,

And prophecy …

Praised be all liars and all lies!

Lord Byron, Don Juan

L’articolo in PDF può essere ottenuto a questo link: La Capacita’ Umana di Riconoscere le Menzogne – Articolo

Introduzione: la capacità umana di saper riconoscere le menzogne

Nonostante molti ritengano che l’Homo Sapiens Sapiens abbia sviluppato la capacità di riconoscere le menzogne, come parte del suo adattamento filogenetico[1] (Swanson C. R., Chamelin N. C. et Territo L., 1996); di contro, prove empiriche e sperimentali (research findings) suggeriscono altro. La “specie umana” non è stata in grado di sviluppare questa abilità come adattamento filogenetico[2], neppure come apprendimento attraverso l’esperienza. Alcuni studi indicano che non c’è differenza statisticamente significativa fra “il tirare a caso” ed il provare a riconoscere le menzogne (Ekman et O’Sullivan, 1991). Altre ricerche riportano “come” la capacità di riconoscere le menzogne sia inferiore al caso (Porter S., Woodworth M. et Birt A. R., 2000).

Sebbene molte persone si credano capaci di riconoscere le menzogne, pochissime[3] sono capaci di ottenere risultati migliori del “tirare a caso” (Bartol C. R. et Bartol A. M., 2004; De Paulo et Pfeifer, 1986; Kraut et Poe, 1980). Soltanto gli Agenti della CIA (Central Intelligence Agency) sono riusciti a riportare risultati migliori. Alcuni studi riportato performance del 64% (Ekman et O’Sullivan, 1991). Il che, sigifica fallire 1/3 delle volte.

La metodologia usata è l'”analisi” della comunicazione verbale e non verbale. E’ creduto che, chi mente, sia nervoso per un “innato” senso di colpa. La tensione, il disagio emotivo conseguente, si riflette sui comportamenti osservabili.  Exempli gratia: guardare in basso; evitare di guardare l’interlocutore negli occhi; muovere il pollice in “circolo”; sperimentare secchezza in bocca (Swanson C. R.; Chamelin N. C. et Territo L., 1996; Segrave K., 2004). Gli antichi cinesi, su tali premesse, inventarono il primo lie-detector: masticare un “pugno di riso”. Sputato si inferiva se la persona aveva mentito dal grado di secchezza e/o di umidità che aveva.

Conformemente a Segrave K. (2004), alcune di queste metodologie sono riportate anche negli antichi Veda: i testi sacri della religione Induista (e delle sue precedenti forme: Vedismo e Bramanesimo).

La ricerca psicologica, fisiologica ed etologica, ha suggerito che l’essere umano “tende” a modificare la comunicazione verbale e non verbale quando mente. Secondo Ekman, O’ Sullivan, Friesen et Scherer (1991), la combinazione delle clues verbali e non verbali porta a risultati del 86%. Il loro studio, però, non è stato confermato da altra letteratura.

Secondo Vrij A. (2000), le persone non sono in grado d’usare le “clues” verbali e non verbale per riconoscere le menzogne poiché: “observers do not want to detect a lie“.

Di contro, è opinione di chi scrive che l’incapacità sia una impossibilità. Essa è immanente all’ambivalenza del comportamento umano. Ogni manifestazione comportamentale, fisiologica e/o neuronale, può conseguire ad una pluralità di fattori.

Da ciò deriva l’impossibilità della Scientia a porre legami bicondizionali fra i data comportamentali, fisiologici e/o neurologici, e l’intenzione e/o l’attività del mentire. Nella migliore delle ipotesi, esiste solo un condizionale materiale del tipo: (1) per ogni x; (2) se p (x) allora q (x). Tradotto: (1) valido per tutti gli esseri umani; (2) se un essere umano mente, allora mostra una reazione fisiologica. Di contro, altre volte abbiamo teorie che poggiano solo su un condizionale materiale del tipo: (1) per alcuni x; (2) se p (x), allora q (x). Non mancano quelle semplicemente sbagliate.

Come spiegherò infra, nessuna teoria basata su un condizionale materiale permette d’inferire “qualcosa” partendo dal conseguente q (le clues comportamentali e/o fisiologiche e/o neurologiche). Ciò è provato dal fatto che: non esiste un relazione reciproca (che lega bi-univocamente ed esclusivamente) le due variabili considerate p e q. Non c’è neppure una relazione diretta fra p e q[4].

Di contro, la relazione è:

(1) indiretta. Il conseguente q non è causato da p (il mentire) ma da una terza variabile (mediatore) che funge da ponte: l’arousal. Questa variabile viene attivata da una pluralità indefinita ed indefinibile d’altri fattori n.  Pertanto i data osservati indicano solo presenza di arousal;

(2) duplicemente condizionata. E’ condizionato sia il nesso causativo fra il “mentire” e l’arousal, sia il nesso causativo fra l’arousal ed i “cambiamenti fisiologici”. Esistono quindi altre variabili chiamate moderatori che influiscono sulla “forza della relazione”. Esse possono modulare e/o eliminare l’influenza che la variabile indipendente ha sulla variabile dipendente.

Exempli gratia, tutte le verbal and not verbal clues citate dalla letteratura (variabili dipendenti) sono “indicatori” d’uno stato di arousal (mediatore) che può essere cagionato da qualunque emozione (variabili indipendenti). Il conseguente q, pertanto può avere come antecedente sia p (il mentire) e/o sia non-p (non mentire).

L’arousal, infatti, consegue all’attivazione del sistema autonomo simpatico ed all’asse ipotalamo-ipofisi-surrenali. Pertanto, oltre a conseguire a “qualsiasi” altra emozione, consegue anche a cause fisiologiche.

Alcuni esempi.

L’eye blinkings è considerato come un indicatore comportamentale di menzogna (Karpardis, 2005; Bartol C. R. et Bartol A. M. 2004). Di contro, molte ricerche non confermano tale relazione (Mehrabin, 1971).

L’ampliamento dell’apertura degli occhi (open wider the eyes) che è considerato come un indicatore di menzogna da Swanson C. R., Chamelin N. C. et Territo L. (1996), di contro significa solo sorpresa e/o il desiderio di “vedere meglio” (Eibel-Eibelfeldt, 1993).

Un più alto “pitch of voice” considerato da Kapardis (2005) come indicatore di menzogna presenta forte correlazione con la comunicazione intima (Eibel-Eibelfeldt, 1993).

Etc … etc … .

Tutte le clues possono far inferire solo uno stato di arousal. Qualunque altra deduzione (verità; menzogna; … n) è pura interpretazione retrospettiva a là Weick (1995). Significati verosimili non legati alla Veritas, ma ad obiettivi e/o fini ricercati dal sencemaker. Anche qualora vi fosse un sencemaker “neutrale” (privo d’un particolare obiettivo), essi sarebbero sempre espressione d’una “prospettiva situataa là Marcus et Clifford (1986) e /o d’un frame.

Solo il soggetto interessato, mutatis mutandi, può conosce: se mente, oppure no; se mente sul mentire, oppure no. Tutto il resto è “gioco di prestigio”. Mercanzia venduta dagli scienziati alle fiere che, come osti col vino, dicono essere la migliore!

Dal “per tutti gli x” al “per alcuni x”.

Ogni persona reagisce in maniera differente da ogni altra. Questo risulta in un condizionale materiale valido solo per alcuni x.

Tutti i giocatori di Poker lo conoscono.

Non esistono behavioural patterns universali applicabili in modo standardizzato a tutti i soggetti (per ogni x).

La letteratura lo conferma. Akehurst et al. (1996) e Kapardis (2005) affermano che le persone riconoscono meglio le proprie patterns comportamentali piuttosto che quelle degli altri. In altre parole, affermano l’esistenza di patterns comportamentali differenti da persona a persona.

L’effetto “guardia e ladro” fa’ il resto. Pensate alla dialettica esistente nell’informatica fra gli hakers e gli esperti di cyber-security. I secondi cercano tecnologie sempre più complesse per impedire ai primi d’accedere da un sistema informatico; gli altri fanno l’opposto, in un “gioco infinito”. Il limite della nuova tecnologia è valido solo: per alcuni x.

Coi lie-detectors et similia è lo stesso. Alcuni sviluppano sistemi sempre più sofisticati per scoprire la menzogna. Altri imparano a mentire sempre in modo più sofisticato. Quest’ultimi riducono i lie-detectors a proprio favore. Dal judicium Dei al judicium Scientiae, è sempre l’innocente a perde.

Nessuno può vincere all’interno di questa relazione dialogico ricorsiva che alimenta se stessa.  Per vince, bisogna uscire da essa e tornare a guardare i fatti!

Chi si ricorda di Luca?

“… ogni albero si riconosce dai suoi frutti …” (6, 43-45)[5].

E’ inutile usare radars con “aerei invisibili”. Di contro, una “vedetta” li vede!

Gli esperti di lie-detectors non pensano così. Come affetti da un disturbo cronico recidivante, ritengono i limiti essere “propri” di quella tecnologia. Così chiedono altri fondi per sviluppare nuove tecnologie in un infinito ciclo vizioso. Ma il limite è ontologico e resta immanente ad ogni tecnologia. Semplicemente, assume, di volta in volta, forme diverse e/o finisce per ricadere su piani differenti.

Gli scienziati non l’anno capito; i teologi morali e gli escatologi: sì. L’idea d’un Giudizio Divino (nel quale un Giudice onnisciente è capace di riconoscere il vero dal falso) è stata abbandonata. Si è passati all’“auto-giudizio”. E’ la stessa anima a giudicare se stessa in virtù della sua Coscienza. In altre parole, si riconosce l’ovvio. Solo il soggetto può sapere cosa sia vero o falso nella Sua Vita.

Pertanto, per quanto “some behaviours are more likely to occur when people are lying” (Vrij, 2000) non è possibile uscire dal condizionale materiale. Il conseguente q può derivare (e.g.): sia, da un arousal causato da un “senso di colpa” per aver mentito; sia, da una arousal causato dalla situazione spiacevole in cui l’innocente si trova (Swanson C. R., Chamelin N. C. et Territo L., 1996).

L’errore logico sottostante ad ogni lie detectors et similia.

Esiste un comun minimo denominatore alla base d’ogni bias ed errore dei lie-detectors.

Le teorie scientifiche, fondate sull‘induzione e sulla probabilità statistica, legano phenomena solo con condizionali materiali.

Nel nostro caso, fra il conseguente (elemento oggettivo: cambiamenti comportamentali, fisiologici e neuronali) e l’antecedente (elemento soggettivo: l’intenzione di mentire) c’è un condizionale materiale non un bicondizionale. Di contro, le persone (giudici; scienziati; criminologi; periti; comuni cittadini) lo dimenticano. Esse sostituiscono al condizionale materiale il bicondizionale nel fare le inferenze sui casi singoli!?!?

I lie-detectors rilevano la presenza e/o l’assenza del conseguente (variazione fisiologica). Il conseguente è posto come premessa minore d’un sillogismo condizionale del tipo modus tollens.

Come dimostrato dalla psicologia cognitiva, la stragrande maggioranza delle persone cade in fallacia se poste dinanzi ad un sillogismo condizionale. Nel modus tollens, affermato il conseguente, affermano erroneamente l‘antecedente. Nel modus ponens, negato l’antecedente, negano erroneamente il conseguente. Di contro, in entrambi i casi nulla può essere inferito.

Esplicitiamo il sillogismo condizionale - modus tollens:

  • la premessa maggiore è l’ipotesi scientifica che lega una variabile ad un’altra (la menzogna ad un cambiamento fisiologico): Se p allora q.
  • la premessa minore è data dai data rilevati dai lie-detectors (la presenza dei cambiamenti fisiologici): allora q;
  • la conclusione erronea sta’ nell’affermare l’antecedente p. Dato che c’è variazione fisiologica, Tizio mente.

La struttura logica è:

(1) se p allora q;

(2) affermo q;

(3) concludo p !?!?.

Perché avviene? Le persone (inclusi gli esperti) sostituiscono al condizionale materiale un bicondizionale (se, e solo se, p allora q[6]. Le inferenze erronee commesse, infatti, sarebbero corrette in quest’ultimo caso.

Come si arriva a sostituire il condizionale materiale con un bicondizionale? Faigman D. (2010) ci ha dato un indizio. Scienziati e Giuristi non riflettono sul rapporto intercorrente fra: Scienza e Diritto. Esse sono discipline ontologicamente diverse: ragionano in modo diverso; usano logiche diverse; si occupano di questioni diametralmente opposte.

La Scienza usa il metodo induttivo. Osservando una pluralità di casi (samples), inferisce un legame statistico e probabilistico fra due phenomena alias: un antecedente p; e, un conseguente q. Le leggi scientifiche sono leggi probabilistiche. Alla scienza non interessa sapere se Tizio ricade nell’occorrenza O (oppure no). Alla Scienza intessa sapere la frequenza che hanno i membri x d’una popolazione infinita M a ricadere nell’occorrenza O. Le sue leggi sono basate sul condizionale materiale.

La molteplicità delle teorie atte a spiegare gli stessi phenomena sono conseguenza di ciò. Ognuna d’esse lega uno stesso conseguente q ad n antecedenti p diversi.

La Scienza e lo scienziato nulla può dire sul caso singolo, salvo che l’osservi direttamente. Ma, in tale evenienza, però, non serve né la Scienza, né lo scienziato, ma il testimone!

Di contro, il Diritto usa la deduzione. Partendo da “fatti certi” (assunti attraverso l’istruttoria nel contradittorio delle parti e posti come assiomi e/o premesse del suo ragionamento), ha l’obiettivo d’affermare se un caso singolo e specifico cade (oppure no) nell’occorrenza O. Al diritto non interessa sapere la frequenza che i membri x d’una popolazione infinita M hanno di ricadere nell’occorrenza O. Al Diritto interessa stabilire ed accertare solo se Tizio (alias: quell’unico soggetto fra tutti quelli possibili) sia uno dei casi che ri-entrano (oppure no) nell’occorrenza O.

Il ragionamento giuridico non è un ragionamento probabilistico, ma deduttivo governato dal principio di determinatezza e bivalenza. Nel giudizio c’è un solo stato di verità che può assumere solo due valori: vero e/o valido; falso e/o invalido[7]. Il principio del terzo escluso non ammette altre vie. Il giudice, quindi, ha un compito ben diverso rispetto a quello dello scienziato. Questo si riflette nell’uso di logiche e ragionamenti diametralmente opposti.

Non ha senso per il diritto dire che Tizio potrebbe rientrare all’80% in O. Se si condanna su tale base, tanto vale condannare “a caso” l’80% d’una intera popolazione M perché lo dice una teoria! Questo è scientismo; nulla di diverso dal fideismo. Pertanto su tale sola base: o, si assolve sempre (poiché mai c’è la certezza); o, si condanna sempre (poiché c’è per tutti una maggior probabilità). Di contro, la decisione deve essere basata su altri fattori.

Pertanto, le teorie scientifiche non trovano alcuna applicabilità nel Diritto (alias: in un ragionamento sul caso singolo nel quale è da inferire l’antecedente p, provato ed affermato il conseguente q). Per inferire qualcosa occorre un bicondizionale. Così, l’Homo Sapiens Sapiens risolve il problema: ragiona come se ci fosse il bicondizionale!

E’ pertanto evidente che la conoscenza probabilistica della scienza (col suo condizionale materiale) non ha alcuna utilità nel giudizio in quanto, anche se è capace di provare il conseguente q, non permette d’inferire alcun “ignoto” antecedente p. Quest’ultimo potrebbe essere dedotto solo da altri fattori. Quest’ultimi: (1) se esistenti, rendono inutile il ricorso al condizionale materiale della Scienza; (2) se assenti, non rendono possibile inferire nulla dal condizionale materiale della Scienza (usato come illustrato ut supra). Diversamente si ricade in nuove superstizioni, nuovi fideismi, nuovi feticismi, … mascherati da scientismo. Tutti frutti d’ideologie pericolose conseguenti al mito del progresso a là Hatch (2006).

Passare dalla prova sul conseguente all’affermazione dell’antecedente nel condizionale materiale è nulla di più d’un inganno sofista.

Quanto detto supra vale per un condizionale materiale del tipo: (1) per tutti gli x; (2) Se p (x), allora q (x). Esso ci permette almeno d’affermare il conseguente q, accertato l‘antecedente p.

Di contro, la Scienza fornisce alcune leggi basate su un condizionale materiale diverso: (1) per alcuni x; (2) se p (x) allora q (x).  In questo caso, assolutamente nulla può essere dedotto! Non solo non è possibile inferire l’antecedente (una volta affermato il conseguente), ma neppure inferire il conseguente (una volta affermato l’antecedente). La regola vale solo per alcuni x, noi non sappiamo se il nostro x è fra questi oppure no.

Questo ci porta ad affermare che la Scienza si presta a moderni sofismi atta a “prostituirla” al servizio degli interessi economici e/o fini d’una parte.  Sofismi capaci di gabellare anche gli esperti privi d’una adeguata capacità critica logico-epistemologica.

Nonostante l’evidenza dell’errore denunciato, esso avviene quotidianamente a tutti i livelli.

Nelle Scienze Criminologiche, Psicologiche e Sociali domina incontrastato.

E’ necessario ai Giudici acquisire competenze interdisciplinari ed una capacità critica logico-epistemologica[8] al fine d’assolvere pienamente al proprio compito. Una capacità necessaria anche per essere in modo efficace un reale peritus peritorum competente a declinare la Scienza all’interno del processo attribuendole il giusto “peso” e “significato”.

Oggigiorno, l’essere peritus peritorum non è più limitato a decidere fra opposte consulenze, ma richiede la capacità di valutare ed attribuire il “giusto valore e significato” al dato scientifico senza cadere nello scientismo e/o nel feticismo tecnologico.

Questo non si realizza con Collegi Misti (composti da Giudici Togati ed Esperti non laureati in Diritto). L’Esperto (Giudice Onorario) deve sempre essere, prima di tutto, un laureato in Diritto con forma mentis giuridica. La conoscenza d’altre discipline deve conseguire a questo, legittimando l’ingresso onorario nella magistratura in veste di Esperto. Solo un esperto, così formato grazie alla forma mentis acquisita, può garantire:

  • una reale integrazione fra Diritto e Saperi diversi;
  • una reale comprensione del caso giuridico e di “come” declinare la Scienza in esso;
  • un effettiva capacità di dialogare, comprendere e comunicare, col Collegio e tutte le Parti processuali (parlandone la stessa Lingua).

Solo i Giuristi garantiscono una corretta amministrazione della Giustizia, la salvaguardia dell’Ordinamento Giuridico e dei suoi principii. Persone non laureate in Diritto, senza una forma mentis giuridica, non possono essere la Vox Legis e/o dei Giudici. Dovrebbero limitarsi al ruolo d’ “expert witness” all’occorrenza.

Da cosa scaturisce la perseveranza della letteratura nel sostenere la validità di tali strumenti? Perché qualcuno ci crede e li usa?

Nuovamente è la psicologia cognitiva che ci spiega la fallacia sottostate a tale perseverazione.

Tutte le teorie, ipotesi e/o informazioni, dovrebbero essere falsificate al fine di ritenerle valide od invalide. Di contro, le persone hanno la tendenza a verificare. Verificare “qualcosa” non è falsificare. Il verificare, infatti, il più delle volte porta a confermare teorie e/o informazioni false. Ciò è frequente nelle scienze sociali ed in psicologia. Si cercano ed “ingigantiscono” gli elementi corroboranti; si trascurano e “minimizzano” quelli confutanti. Non solo, si arriva pure a creare eventi, comportamenti e situazioni, che non sarebbero mai esistiti se non ci fossero state quelle credenze (che per quanto false), condizionando gli atteggiamenti ed i comportamenti delle persone e degli Agenti Sociali, creano ex post confermation bias. Creato quest’ultimo, poi si passa a convalidare la falsa credenza iniziale: post hoc, ergo propter hoc (Epis, 2012-2015)[9]!

Questo tipo d’errore prospera in psicologia. La prova è studio di Rosenhan (1973).

Nell’esperimento fu data una informazione errata a psichiatri, psicologi ed infermieri. Essa fu che alcune persone erano “malate di mente”, quando ciò era falso. Tutti gli psichiatri, psicologi ed infermieri, della Struttura furono incapaci a riconoscere l’errore. Questo avvenne poiché nessuno cercò di falsificare l’informazione data. Di contro, tutti la posero a verificazione. La verifica fu data re-interpretando tutto il comportamento normale come sintomo della “inesistente malattia mentale”!

Questo è un esempio di come funziona la verificazione. Questo è un esempio del perché è necessaria la falsificazione che, in pratica, mai avviene in Psicologia!

Wason (1966) ha dimostrato la tendenza a verificare le ipotesi (non a falsificarle) con l’esperimento delle 4 carte.

Abbiamo su un tavolo 4 carte. Esse hanno dei numeri da un lato e delle lettere dall’altro. Le carte sono le seguenti:

  • la prima ha una “A”;
  • la seconda ha una “C”;
  • la terza un “2”;
  • la quarta un “3”.

La regola da “accertare” è: se le carte hanno una vocale su un lato allora esse hanno un numero dispari sull’altro. La forma logica è: (1) per tutti gli x; (2) se p (x) allora q (x).

La maggioranza delle persone, ovvero il 90%, sceglie di girare la carta con la vocale “C” e quella col numero pari “3”. Questi due “valori” corrispondono alle variabili logiche: “non-p“; e, “q“. Questi due valori sono irrilevanti al fine di valutare la correttezza della regola di questo condizionale materiale. Infatti, conformemente alla tavola di validità del condizionale materiale:

  • all’accadimento dell’antecedete non-p, può conseguire sia q e sia non-q;
  • all’accadimento al conseguente q, può antecedere sia p che non-p.

Il condizionale materiale, infatti, resta valido in entrambi i casi detti supra. In questo modo, ponendo a verifica la regola posiamo ritenerla vera anche se falsa. Solo falsificandola, possiamo accertare se la regola è vera. Per farlo dobbiamo girare “A” e “2”. “A” equivale a p; “3” a non q. Il condizionale materiale richiede che: (1) affermando p “A” debba conseguire q (un numero dispari sul retro) per essere valido; (2) affermando il conseguente non q “2”, l’antecedente non può essere p (una vocale).

Pertanto:

(1) la tendenza a verificare (non a falsificare);

(2) l’esistenza del crud factor[10];

(3) l’esistenza della profezia che si auto-avvera (Merton, 1967)[11];

(4) l’esistenza del meccanismo del post hoc, ergo propter hoc[12];

(5) n

… giocheranno sempre a favore del convalidare “qualcosa” anche se errato.

Anche nella Scienza, infatti, salvo rari casi dove tutto è chiaramente bianco o nero, il resto è grigio. Nel grigio, si può corroborare “tutto quello che si vuole” per i motivi indicati supra. Cosa corroborare è solo una scelta politica e/o d’interesse. Tale corroborazione non prova che il fatto sia vero.

Dalla Logica alla Retorica

Mentre la struttura formale della sentenza assume la forma logica del sillogismo (dando l’illusione della correttezza di quanto affermato da essa), le premesse assunte come argomenti ricadono nel libero arbitro. Tutto quanto attiene all’interpretazione della fattispecie giuridica e fattuale spesso presenta doppie valenze e/o si presta a n letture diverse. Exempli gratia, ciò è possibile agendo sul contesto e/o sulle prospettive situate.

Pertanto la logica formale non è applicabile a ciò che diventa premessa del sillogismo. A questo livello agisce solo la logica dei valori a là Perelman. Quest’ultima serve solo a rendere razionale (e promuovere consenso su) una scelta presa e fatta a priori rispetto all’argomentazione adottata.

La scelta consegue ad un interesse; l’argomentazione alla scelta. Quest’ultima ha l’obiettivo di rendere razionale e condivisibile la scelta, nascondendo l’interesse per il quale è stata fatta!

L’argomentazione non è il motivo della scelta, ma la conseguenza di essa.

Non solo. Le premesse possono conseguire a fallacia logiche quali quelle esaminate supra nel caso del sillogismo condizionale.

Altre derivano da costrutti contradittori dai quali è possibile affermare tutto e l’opposto di tutto: ex falso quodlibet. Questo accade spesso nelle Scienze Psicologiche e Sociali. Epis (2006; 2015) dà un esempio di ciò applicato al costrutto della personalità antisociale.

Gli strumenti tecnologici per il riconoscimenti delle menzogne: i lie-detectors

Voice lair detectors e/o Psychological Stress Evaluetor PSE

Conformemente a Kapardis (2005) e Bartol C. R. e Bartol A. M. (2004), il PSE si basa sui seguenti assunti: 1) quando una persona mente avvengono dei cambiamenti nella sua voce; 2) questi cambiamenti sono causati da una serie di mutamenti fisiologici nel soggetto; 3) questi mutamenti fisiologici sono determinati dalla condizione di stress (arousal) prodotta dal mentire.

Pertanto il PSE cerca di identificare nella voce tutti quei “low frequency changes” (difficili da rilevare attraverso l’orecchio umano) al fine di poter riconoscere un incremento di arousal. Quest’ultimo produrrebbe dei micro-tremori nelle corde vocali e nella muscolatura coinvolta. Nonostante l’entusiasmo iniziale e la sua ampia utilizzabilità (Karpadis, 2005; Segrave K., 2004), diversi studi hanno riportato come il PSE non riporti performance migliori rispetto al “tirare a caso” (Karpadis, 2005; Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004).

L’errore, come detto supra, è nei presupposti. Lo strumento rileva mutamenti fisiologici legati all’arousal non alla menzogna.

Che il legame fra i mutamenti fisiologici in questione e la menzogna sia un condizionale materiale è dimostrato da Lykken D. T. (1988) e Eibl-Eibelsfeldt (1993). Micro variazioni nella voce possono conseguire anche quando il soggetto dice il vero. Exempli gratia, qualora si senta a disagio (si pensi al contesto dell’interrogatorio) e/o qualsiasi altro fattore che attiene alla dimensione affettivo-emotiva che si è generata con l’interlocutore.

Poligraph (Rilevant-Irrilevant technique R-I; Control Question Test CQT; Guilty Knowledge Test of information test GKT)

I poligragh sono strumenti tecnologici che, rispetto al PSE, hanno una maggiore “sensibilità” nel rilevare stati di arousal. Questo “vantaggio”, però, è controbilanciato dall’avere una minore versatibilità. Lo strumento misura una pluralità di cambiamenti fisiologici. Da questo deriva il nome: poly (molte); graph (misure). L’assunto alla base del suo funzionamento è il seguente: i cambiamenti fisiologici sono legati alla comparsa d’uno stato di arousal. Esso sarebbe causato dalla “paura” d’essere identificato come mentitore (Howitt D., 2002).

Pertanto, in via preliminare, possiamo notare lo stesso errore logico descritto supra. Non è possibile porre il connettivo logico, bicondizionale, fra il conseguente “mutamenti fisiologici” (arousal) e l’antecedente “paura d’essere scoperti come mentitori”.

Conformemente a Bartol C.R. e Bartol A. M. (2004), Kapardis (2005), Raskin D. C. (1989) e Vrij A. (2000), esistono diverse tecniche utilizzabili per rilevare le risposte fisiologiche attraverso il poligraph. Queste sono: R-I (relevant – irrelevant technique); CQT (control question technique); GKT (guilty knowledge test or Information test). Queste sono le tre metodologie maggiormente utilizzate.

Oltre ad esse, esistono altre tecniche meno usate quali: relevant – relevant procedure (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004); direct lie control test (Raskin D. C., 1989). La prima è stata una tecnica sviluppata per risolvere alcune debolezze metodologiche del R-I method. La seconda, di contro, è stata un tentativo di risolvere alcune criticità emerse col CQT.

Rilevant-Irrilevant technique R-I

La tecnica R-I si basa sull’assunto che: la paura di essere identificati come bugiardi produce differenti risposte fisiologiche nel soggetto “to rilevant question over the irrilevant ones” (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004). Questo assunto, per le ragioni viste supra, non è sempre vero. L’arousal misurata è legata solo ad uno stato di attivazione emotivo. Pertanto, l’attività fisiologica può accadere anche quando uno dice il vero (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Gale A., 1988). L’ansia sperimentata da un innocente è sufficente a causare risposte positive alle rilevat question (Kapardis, 2000). Questa metodologia non ha raggiunto neppure accettabili livelli di validità interna ed esterna (Raskin D. C., 1989).

Control Question Test CQT

Il metodo CQT si avvale di tre tipi di domande: le domande neutrali; le domande rilevanti; le domane di controllo (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Vrij A., 2000; Raskin D. C., 1989). La sua peculiarità è nelle domande di controllo. Attraverso le domande di controllo si cerca di rilevare il tipo di risposta fisiologica data dall’organismo quando cerca di negare un comportamento supposto comune a tutti. La reattività fisiologica emersa viene poi confrontata con la reattività fisiologica mostrata nelle relevant questions (Vrij A., 2000; Raskin D. C., 1989). C’è solo una pecca. Negare un comportamento fatto da tutti, indica imbarazzo nell’affermarlo. Quindi l’arousal misurata è quella dell’imbarazzo. Non è quella del “senso di colpa per aver mentito” e/o per la “paura d’essere scoperti mentitori”!

Altri problemi di questa metodologia rilevati dalla letteratura sono: (1) la difficoltà intrinseca nel costruzione le domande di controllo “that will elicit stronger physiological responses in innocent than relevant question about crime” (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Vrij A., 2000; Raskin D. C., 1989); (2) la rilevazione di arousal emotivo in soggetti innocenti causato da ragioni che nulla hanno a che vedere col senso di colpa per l’aver mentito (Vrij, 2000); (3) la debolezza dei fondamenti teorici su cui è basato (Ben-Shakher G., 2002); (4) una inadeguata standardizzazione (Ben-Shakher G., 2002); “lack of objective quantification of the physiological responces” (Ben-Shakher G., 2002); (5) il problema della “contaminazione” dalle risposte non-fisiologiche (Ben-Shakher G., 2002); (6) la credenza che i soggetti esaminati hanno sull’infallibilità del test (Vrij, 2000). Exempli gratia, qualora i soggetti esaminati non credono all’infallibilità del test, essi non emetteranno risposte fisiologiche utili ai fini della validità del test.

Guilty knowledge test o information test GKT

Il GKT è considerata la metodologia migliore per rilevare le menzogne (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002). Nonostante ciò, poco lavoro è stato fatto per la sua implementazione (Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002).  Conformemente a Raskin D. C. (1989), Vrij A. (2000), Kapardis A. (2005), questo metodo utilizza domande costruite con “materiale non conosciuto” della scena del crimine. Le informazioni utilizzate possono essere conosciute solo dalle persone che sono intervenute sulla scena del crimine (operatori) e dal reo (che lo ha commesso).

Il test assume la forma di domande a scelta multipla. Il suo scopo non è quello di rilevare la menzogna, ma la presenza di “guilty knowledge“. Quest’ultima è rilevata osservando l’eventuale presenza d’una forte risposta fisiologica in correlazione con le alternative che sono legate alla scena del crimine. Il miglior discriminatore fisiologico, per valutare la presenza o l’assenza di guilty knowledge, è dato dalle electro-dermal responces (Kapardis A., 2000; Raskin D. C.,1989).

Secondo Ben-Shakher G. e Elaad E. (2002), il CQT può risolvere molti problemi legati alle precedenti metodologie. Esso usa una procedura standard. Questo fa sì che tutti i soggetti sottoposti al test sono esposti alla stessa esperienza. Esso risulta capace di diminuire il rischio di bias indotto dalle risposte non-fisiologiche. Esso presenta un grado di accuratezza che può essere stimato da studi di laboratorio. E’ ipotizzata una riduzione dei falsi positivi.

Di contro, la validità interna (misurata in laboratorio) poco ci dice sulla validità ecologica. Questo metodo, ancora, dipende interamente sulla quantità di elementi non conosciuti al pubblico utili per creare un numero sufficiente di domande (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004).

Altri limiti sono dati dalla percezione ed attenzione del reo stesso. Il reo, infatti, potrebbe non aver percepito alcuni aspetti della scena del crimine notati da chi costruisce le domande (Vrij A., 2000). Ancora più banalmente, il reo potrebbe aver scordato molti elementi della scena del crimine (Vrij A., 2000).

Altri limiti sono dati da alcuni aspetti pratici: il numero esiguo di operatori capaci ad utilizzare questa metodologia (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004) in quanto non inclusa in molti programmi di formazione; il numero esiguo di casi criminali reali nei quali può essere usata (kapèardis A., 2005; Vrij A., 2000).

E’ stato rilevato anche che la guilty knowledge può essere presente anche in soggetti diversi dal reo (Vrij A., 2000). Un semplice testimone che, per non essere coinvolto neghi il fatto, può essere erroneamente qualificato come reo.

Per tali motivi, chi scrive considera errato concludere che il GKT protegge gli innocenti dall’essere sospettati e/o accusati erroneamente per un crimine non commesso come, di contro, è affermato da alcuni (Kapardis A., 2005; Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002).

Errori e Bias comuni nei poligraphes

Indipendentemente alla struttura logica posta a fondamento delle inferenze assunte, la letteratura presenta una pluralità di bias comuni a tutte le metodologie utilizzate nel poligraph.

L’esperienza degli operatori (Kapardis A., 2005); l’utilizzo di “contromisure” da parte degli esaminati atte a “contaminare” i data rilevati (Vrij A., 2000; Gudjonsson G. H., 1988; Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002; Honts C. R. & Amato S. L., 2002); l’azione del confermation bias quando l’operatore ritiene l’esaminato il possibile reo (Howitt D., 2002); … ne sono un esempio.

Le contromisure non sono solo quelle apprese da soggetti con appositi training[13], ma anche tecniche comuni che chiunque può improvvisare al momento.

Nonostante alcuni autori dubitino dell’efficacia di quest’ultime (mordersi la lingua; tendere i piedi; contare le pecore; contare all’indietro; visualizzazioni; etc…), esistono una pluralità di studi che confermano come l’uso delle contromisure possa nullificare la capacità discriminativa del poligraph (Vrij A., 2005). Honts C. R. & Amato S. L. (2002) riportano diverse contromisure impiegate efficacemente con le differenti metodologie (R-I; CQT; GKT).

Le critiche più forti, in aggiunta, sono fatte contro i fondamenti teorici e metodologici sui quali i poligraph sono basati (Ney T., 1988; Lykken D. T., 1988).

Ney T. (1988) ha identificato quattro assunti posti alla base dei poligraph: (1) l’essere umano non può controllare le sue risposte fisiologiche ed i suoi comportamenti; (2) specifiche emozioni possono essere predette da specifici stimoli; (3) esistono specifiche relazioni fra alcuni parametri fisiologici ed alcuni comportamenti; (4) non esistono differenze nelle risposte fisiologiche delle persone. Lo stesso autore, dopo avere esaminato tali assiomi, conclude che sono tutti quattro errati. Le persone possono imparare a controllare le loro risposte fisiologiche; non esistono reazioni fisiologiche specifiche legate univocamente a specifiche emozioni (l’arousal è unica per tutte); le relazioni fra i diversi parametri delle emozioni sono deboli; l’attivazione fisiologica legata alle emozioni degli individui può variare.

Lykken D. T. (1988) sostiene come l’essere umano non abbia risposte fisiologiche specifiche e proprie del mentire. Sulla stessa linea è Bull R. M. (1988). In altre parole, questi autori provano empiricamente l’inesistenza d’un bicondizionale.

Un altro problema, poco considerato in letteratura, è l’incapacità dei lie-detectors di distinguere fra menzogne e false memorie. Un soggetto può risultare veritiero anche se dice il falso qualora riporti una falsa memoria e/o sia convinto di dire il vero.

Allo stesso modo, un soggetto che dice la verità può passare per mentitore se è stato portato a dubitare d’essa (e.g.: condizionamento sociale; pressione sociale; interrogatori di polizia “poco ortodossi”; etc…).

Tutte queste critiche sono fondate dall’elevata percentuale di errori commessi dai poligraphes. In particolare, per i motivi logici descritti supra, il livello dei falsi positivi è maggiore rispetto ai falsi negativi (Carroll D., 1988).

Anche la reliability emersa dagli studi di laboratorio (Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002) è stata criticata (Howitt, 2002). Quest’ultimo autore afferma che la validità interna ottenuta negli studi di laboratorio non possa dare alcuna validità ecologica. Il contesto emotivo dei due settings è fortemente diverso. Una cosa è fallire il test in una simulazione di laboratorio; altra cosa è fallire il test durante una indagine criminale. Non a caso, persone con alibi deboli (seppur innocenti) preferiscano confessare falsi crimini per ottenere conseguenze penali assai più tenui, piuttosto che dichiararsi innocenti contro un lie-detector, rischiando sanzioni penali molto più pesanti.

Per tali motivi, non sono d’accordo con chi sostiene che: la confessione d’un falso crimine (dopo un polygraph positivo) consegue al dubbio creato da questo sulla memoria (Vrij A., 2000). Di contro, è assai più probabile che sia la scelta razionale di chi si trova d’innanzi un sistema giuridico basato sulle fallacie logiche dette supra che portano l’innocente a confessare “falsi crimini” per ottenere conseguenze giuridiche miti.

Ciò è provato in Italia nella giurisdizione tributaria. Lo spesometro e gli studi di settore possono essere visti “come” lie-detectors sulla verità o falsità della dichiarazione del contribuente. Ricevuto un accertamento basato sullo spesometro e/o sugli studi di settore, nessuno dubita sulla propria memoria e/o innocenza. Il contribuente fa solo una valutazione razionale fra i costi per resistere in giudizio (con il relativo rischio sull’esito) ed i costi conseguenti la definizione agevolata della controversia (ammettendo l’illecito non commesso). Di contro, la definizione agevolata fatta dall’innocente (come scelta razionale[14]) viene usata dall’Agenzia delle Entrate come una confessione dell’illecito “commesso” e della sua colpevolezza e, pertanto venir usto ex post per fondare la validità dello strumento stesso come mezzo idoneo per scovare i bugiardi!! Ex post, ergo propter hoc. Ciò contribuisce pure a gonfiare le statistiche sugli illeciti e sull’evasione.

Metodologie con fMRI

La risonanza funzionale elettromagnetica fMRI è stata proposta come possibile soluzione alle debolezze del PSE e del Poligraph.

Come il GKT, la fMRI cerca di rilevare guilty knowledge.

Ciò è fatto osservando le neuro-immagini delle aree dell’encefalo attivate.

Secondo Kapardis A. (2005), questa metodologia è più affidabile del GKT, poiché sarebbe in grado di escludere l’uso di contromisure. Di contro, chi scrive è meno ottimista. Gli errori logici ed i bias rilevati supra restano anche il questo caso. Essi sono trasferiti da un sistema ad un altro. Prima era errato un bicondizionale fra le risposte fisiologiche ed il mentire. Adesso è errato un bicondizionale fra l’attivazione di certe aree celebrali ed il mentire. Anche nelle neuroscienze, almeno in questo caso, abbiamo un condizionale materiale.

Le neuroscienze sono un campo periglioso. Ogni area può essere attivata da una pluralità di processi e funzioni diverse (e.g. Benso F., 2013). E’ la conoscenza a priori dei processi mentali attivati a dare significato alle neuro-immagini e non vice versa. Non esiste un modulo della menzogna incapsulato, corrispondente univocamente ad un area celebrale specifica.

Un bicondizionale, d’altronde, implicherebbe un rigoroso determinismo atto ad escludere sempre la colpevolezza e la responsabilità del soggetto. A quel punto non avrebbe più senso parlare di responsabilità penale (criminale e/o amministrativa).

Non solo. Ogni immagine è mediata da un computer e da un software. Entrambi hanno tutti i limiti: della tecnologia pro tempore; delle conoscenze del programmatore; degli errori di misurazione; etc …[15].

Ancora, l’immagine è nulla di più d’una mappa che non corrisponde al territorio.

Woodruff W. A. (2014) ha rilevato forti limiti nell’impiegare la fMRI come lie-detector. Essi sono: l’assenza di una validità esterna ed ecologica. Tutti gli studi sono stati fatti in laboratorio con soggetti pagati per mentire.

La fMRI è incapace di distinguere fra credenze soggettive (incluse false memorie) e verità oggettive.

Nonostante ciò, l’Ordinamento Italiano ha mostrato una certa apertura alle neuroscienze (Gusmai A., 2017). L’autore riporta come dal 2009 ad oggi, le neuroscienze hanno fatto ingresso in alcune vicende giudiziarie. Questo sarebbe avvenuto sulla base dell’assioma per il quale: “tutte le attività umane – non solo i muoventi corporei, ma anche quelle più complesse come la formazione di giudizi morali e la percezione di emozioni – dipendono da connessioni neurali” (Gusmai A., 2017).

La tecnica neuro-scientifica che sembra aver conquistato la “simpatia” del Tribunale di Cremona è l’a-IAT: “deve subito essere sottolineato, al fine di evitare ogni equivoco, che tali metodologie nulla hanno a che vedere con antiquati tentativi di verificare la <<sincerità>> di un soggetto tramite lie detectors o poligrafi, strumenti che pretenderebbero rifondare la valutazione su grossolani sintomi psico-fisici del periziando … … l’analisi delle risposte non si basa su interpretazioni soggettive … …, ma su analisi algoritmiche computerizzate” (Trib. Cremona, G.U.P, 19/07/2011).

Quindi, passiamo ad analizzare l’a-IAT.

Autobiographical Implicit Assocetion Test a-IAT

Il test a-IAT deriva dall’Implicit Assocetion Test (IAT). Ha la finalità di rilevare la presenza d’una traccia mnestica (di tipo autobiografica) nella memoria di lungo termine (MLT). Il metodo misura ed utilizza i tempi di latenza nel rispondere alle domande. Quest’ultime includono: domande neutre; e, domande relative alla traccia mnestica da verificare.

La presenza della traccia mnestica nella MLT è inferita da un minor tempo di latenza. Di contro, l’assenza è inferita da un maggior tempo di latenza.

Lo strumento può essere impiegato come lie-detector. In quest’ultimo caso, il mentire causerebbe un maggior tempo di latenza a causa del conflitto intrapsichico che si genererebbe nel soggetto e dello sforzo cognitivo che è necessario per superarlo (Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A., 2014). Questa spiegazione, però, è influenzata dal paradigma psicodinamico. Un paradigma non scientifico, ricco di costrutti vuoti e caratterizzato da derive semiotiche (Epis, 2011/2015). Questo rende impossibile comprendere la natura dei tempi di latenza e porre a falsificazione la teoria alla base dell’a-IAT[16].

Di contro, i tempi di latenza hanno spiegazione nella struttura del funzionamento mentale e nelle neuroscienze.

Il funzionamento del sistema attentivo-esecutico descritto dalle neuroscienze ci fornisce una chiara esposizione della struttura mentale e della natura dei tempi di latenza.

Maggiori tempi di latenza sono dati: (1) dalla richiesta di maggiori risorse attentive; (2) dall’intervento del Sistema Attentivo Supervisore a là Shallice (1988) e l’uso di funzioni esecutive.

Passare dalla modalità automatica alla modalità cosciente richiede l’uso di maggiori risorse attentive e l’intervento del Sistema Attentivo Supervisore (SAS). La capacità limitata delle risorse attentive causa i tempi di latenza maggiori.

Exempli gratia, un pianista suona un pezzo musicale appreso da tempo (Per Elisa di Beethoven) conversando amabilmente con un amico. Il pezzo musicale è suonato in modo automatico e non richiede: (1) l’impiego di risorse attentive (maggiori rispetto a quelle presenti nel modulo dedicato); (2) l’intervento del SAS. Questo permette di dedicare risorse attentive ad altre attività: parlare con l’amico.

Questa attività è parte d’un modulo appreso di terzo tipo che ha un suo processore “dedicatoa là Moscovitch e Umiltà (1990) chiamato condensatore (Benso, 2007). Le risorse attentive necessarie sono fornite da quest’ultimi. Pertanto, non è necessario l’intervento del SAS che può occuparsi di compiti diversi.

Riferire “qualcosa” d’appreso (alias: codificato nella MLT) è equiparabile ad un comportamento automatico: suonare un “pezzo musicale” appreso da tempo.

Di contro, mentire richiede d’uscire dall’automatismo. Bisogna creare una “versione diversa ed alternativa” della Storia. Ciò richiede l’intervento del SAS, delle funzioni esecutive e di maggiori risorse attentive[17].

Quindi, minori tempi di latenza derivano da comportamenti automatici et similia per i quali non occorre l’intervento del SAS. Maggiori tempi di latenza indicano comportamenti coscienti che richiedono maggiori risorse attentive, l’intervento del SAS e delle funzioni esecutive.

Quando un soggetto mente deve costruire una versione alternativa. Questo richiede l’intervento del SAS, di maggiori risorse attentive e diverse funzioni esecutive, quali:

(1) la funzione esecutiva dell’inibizione. Il soggetto deve inibire l’automatismo che lo porta a dare la risposta appresa (alias: conforme alla traccia mnestica). Quest’ultima agisce come un distrattore e/o interferenza, entrando in “competizione” con le “diverse risposte” che il soggetto desidera dare.

(2) Successivamente, il SAS deve attivare la funzione esecutiva dello switch, passando dalla versione storica codificata nella MLT alla versione alternativa;

(3) Poi, bisogna mantenere la versione alternativa nella memoria di lavoro (MBT). Ciò richiede la funzione esecutiva dell’update e controllare, di volta in volta, ogni interferenza.

(4) Ancora, può essere necessaria la funzione esecutiva della pianificazione, auto-monitoraggio ed auto-controllo.

Questo causa maggiori tempi di latenza nel mentire.

Comunque, salvo la diversa spiegazione data ai tempi di latenza, concordo con due conclusioni presentate da Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A. (2014). Quest’ultimi hanno ragione nel: mettere in dubbio la validità del test a-IAT; e, sollevare perplessità verso l’art. 188 c.p.p. (principio della libertà morale).

Una prova sulla poca affidabilità dell’a-IAT è data dall’esperimento di Vershure, Prati, De Houwer, (2009). Lo studio riporta i data sulle prestazioni ottenute da un gruppo di studenti ai quali fu insegnato a mentire all’a-IAT. Essi hanno riportato performance, nel far passare delle menzogne per memorie autentiche, fino al 78%.

L’a-IAT, infatti, non discrimina fra ricordi reali e falsi ricordi (ricordi apparenti; falsi riconoscimenti).

L’a-IAT, pertanto, è privo della struttura logica del bicondizionale e conserva molti dei limiti comuni a tutti i lie-detectors. Per non essere ripetitivo, presenterò solo alcune osservazioni neuro-scientifiche.

Il conseguente q del condizionale materiale alla base dell’a-IAT può essere causato da un qualsiasi fattore di disturbo (interferenza e/o distrattore) atto a far uscire il soggetto da una modalità esecutiva automatica, richiedendo l’intervento del SAS.

Esso può essere semplicemente un fattore di disturbo ambientale. A ciò si aggiunge che le variazioni nei tempi di latenza sono legate in modo dialogico ricorsivo: alla motivazione; alle emozioni; alle condizioni fisiche.

Pertanto, nulla cambia rispetto a quello che abbiamo detto per gli altri lie-detectors.

Di contro, mentire all’a-IAT è semplice. Basta passare da una modalità cosciente (governata dal SAS) ad una modalità esecutiva automatica, routitudinaria. Qualunque “cosa” può essere appresa e resa automatica con la ripetizione e l’allenamento. L’allenamento serve anche a ricaricare il processore dedicato e le risorse attentive autonome “stanziate” per l’esecuzione del comportamento automatico appreso.

Dato che il SAS e le risorse attentive intervengono solo nel caso in cui le azioni, comportamenti o apprendimenti, automatici o routitudinari, siano insufficienti e/o non disponibili a garantire una prestazione efficiente (Lewis e Todd, 2007; 2007), nessun maggior tempo di latenza è rilevato qualora il soggetto renda la “versione alternativa” una risposta automatica.

Ancora, le funzioni esecutive, le risorse attentive, possono essere allenate ed aumentate, e.g., con i “doppi compiti non automatizzati”.

Se un soggetto fosse “pigro”, invece, può ricorrere all’auto-suggestione, l’auto-ipnosi, l’etero-ipnosi.

Come detto, l’a-IAT (ed ogni altro lie-detector) è incapace di distinguere fra verità oggettiva e soggettiva, fra memorie reali e false , etc… .

Principio di libertà morale (art. 188 c.p.p.) e lie-detectors nella casistica Italiana.

I lie-detectors hanno fatto ingresso nel processo Italiano dalla “porta di servizio”.

Conformemente a Gusmai A. (2017) e Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A. (2014), l’ingresso è avvenuto attraverso le CTU. Le neuroscienze e neuro-immagini, e.g, sono state usate nelle CTU per vagliare la capacità di intendere e volere.  Exempli gratia, la Corte d’Assise d’Appello di Trieste (sentenza n. 5/2009) ha riconosciuto la parziale incapacità di intendere e di volere ad un algerino che uccise un colombiano poiché lo chiamò: “omosessuale”. La Corte riconobbe che: (1) il soggetto aveva un grave disturbo psichiatrico documentato; e, (2) presentava una “vulnerabilità genetica” verso comportamenti aggressivi qualora provocato dal contesto sociale. Le neuroscienze furono usate per integrare e corroborare la diagnosi psichiatrica descrittiva.

Conformemente a Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A. (2014), l’a-IAT fu usato in tre casi:

(1) Il primo caso è del Tribunale di Como, 2011. La CTU utilizzo la fMRI, assieme all’elettroencefalogramma (EEG) e la morfometria basata sul Voxel (VBM), per argomentare il vizio parziale di mente. La a-IAT fu usata per valutare la genuinità dell’amnesia circa i due delitti. Il test escluse la genuinità poiché suggeriva, secondo i consulenti, che nella MLT potevano essere stati codificati (e pertanto essere recuperabili) ricordi relativi ai due omicidi. Sebbene l’a-IAT fu usato come elemento utile d’una diagnosi sulla capacità di intendere e di volere, di fatto, divenne un test di verità su quanto affermato dall’imputata: “non ricordare i due omicidi”. Questo lo rende un caso borderline verso l’art. 188 c.p.p. .

Personalmente non ritengo che l’a-IAT fosse necessario alla CTU. Il fulcro d’ogni diagnosi psichiatrica e psicologica è il colloquio clinico. E’ solo nel colloquio clinico che avviene la diagnosi. I tests sono solo elementi ausiliari ed accidentali. Essi sono utili solo a creare: scenografie pittoresche; setting suggestivi; parcelle elevate; … ma non fornire informazioni. I loro risultati, infatti, non hanno alcun significato. Tutt’al più, un rozzo screening. Solo nel colloquio clinico, i risultati dei tests possono acquisire significati. La diagnosi avviene nel colloquio, attraverso il colloquio, non coi tests.

Non solo. L’amnesia implica l’acquisizione dell’esperienza e/o dell’informazione che il soggetto consapevolmente non è più in grado di recuperare. Ciò, però, non fa venire meno l’effetto priming e/o un recupero inconscio. L’effetto priming è stato riscontrato pure in soggetti che soffrivano di amnesia retrograda e/o anterograda d’origine fisiologica e neurologica.

(2) Il secondo caso è del Tribunale di Cremona, GUP, 19/07/2011. Questo caso è interessante in quanto l’IAT ed il TARA furono usate come lie-detectors per valutare l’attendibilità del racconto della persona offesa – testimone.

Il caso riguarda un commercialista che avrebbe posto sgradire attenzioni sessuali su una minorenne.

L’indagine sulla memoria della persona offesa (test I.A.T. e T.A.R.A.) servì per “verificare” se era presente traccia mnestica nella MLT conforme alla testimonianza data. Nel caso di specie, il CTU concluse positivamente.

Di contro, il giudice poteva risolvere il caso “semplicemente” senza ricorrere al test! La parte offesa può essere testimone nel processo penale. La Cassazione riconosce che il giudice può formare il suo prudente convincimento sulla sola testimonianza della parte offesa. Questo qualora siano assenti elementi contrari atti a screditarla.

Pertanto, se la testimonianza è ritenuta attendibile dal giudice: non serve alcun test! Di contro, se esistono elementi contrari atti a togliere credibilità alla testimonianza, quegli stessi elementi contrari sono atti a togliere credibilità al risultato del test!

Quindi, a cosa serve al giudice il test?

Ritagliarsi un po’ di visibilità? Passare per innovativo-progressista? Creare precedenti per agevolarsi la carriera? Deresponsabilizzarsi, delegando ad un test la decisione del caso?

Non vorrei che anche i giudici, come molti psicologi (non degni della professione) finissero per diventare “dipendenti dai tests” delegando ad essi ogni decisione! Non lo dico io: lo dice il test!

Ancora peggio, non vorrei che i test (anch’essi basati al massimo su un condizionale materiale) fossero usati per creare prove inesistenti (che sono incapaci di dare)!

Il giudice condannò l’imputato poiché ritenne vera la testimonianza, non per i motivi detti supra, ma per essere stata confermata dall’a-IAT!

Il giudice affermò che l’a-IAT non ha nulla a che vedere con gli imprecisi lie-detectors!

Chi scrive avrebbe ritenuto valida una “motivazione classica” non fondata sull’a-IAT. Di contro, il presente autore ritiene viziata una decisione fondata su un test (a-IAT) per i motivi ut supra.

(3) Il terzo caso riguarda un omicidio. Durante una festa di famiglia, una persona sparò al cugino che non vedeva da 20 anni. Il fatto avvenne in stato alterato di coscienza. Un particolare sorriso, fatto dal cugino al figlio dell’imputato, attivò il comportamento. Questo avvenne poiché il sorriso fu identico a quello che la vittima fece 20 anni prima, quando abusò sessualmente l’inputato ed il fratellino di quest’ultimo. All’epoca rispettivamente avevano: 11 e 9 anni.

Anche questo caso era risolvibile senza a-IAT. Abbiamo: (1) una amnesia causata da un trauma; (2) la creazione d’un area dissociata, ovvero a là Ericsson: la creazione di memorie, apprendimenti e comportamenti, stato dipendenti; (3) l’attivazione delle memorie, apprendimenti e comportamenti, stato dipendenti nel rivedere lo stesso sorriso.

L’a-IAT fu usata per: convalidare l’autenticità del ricordo dell’abuso; della provocazione; della non frequentazione con la vittima nel corso degli anni; per verificare se abbia agito d’impulso. Il risultato positivo fece concludere i CTU per un’infermità di mente temporanea (rottura psicotica transitoria) atta a giustificare l’incapacità totale di intendere e volere al momento del fatto.

Lo stesso risultato poteva essere raggiunto senza ricorrere all’a-IAT. Bastava una CTU “classica”, fondata sul colloquio clinico e sulla conoscenza della letteratura, eventualmente integrata dalle informazioni acquisibili dai testimoni.

Anche questo caso è un caso borderline. Sebbene l’a-IAT fu usata dal CTU come elemento per valutare la capacità di intendere e volere, di fatto, fu un test sulla verità di quanto affermato dall’imputato.

Secondo Gusmai A. (2017), i giudici tendono ad “appropriarsi” della scienza per farla diventare fonte di legittimazione delle decisioni giuridiche. Problema è che la Scientia è composta da set di teorie mutabili e mutevoli. Per ogni studio che dimostra A; c’è sono altri che dimostrano B, C, D, E, … Z. Tutte co-esistono in un limbo nel quale, di volta in volta, in base all’interesse del caso se ne “pesca” una piuttosto che un’altra.

Per tali motivi, senza scomodare Kuhn (1960; 1972), si è ritenuto che i “fatti scientifici” siano nulla di più d’un accordo interno ad una Comunità di Discorso a là Lyotard (1983). L’accordo che emerge, non rispecchia la Veritas, ma i rapporti di forza e di potere interni alla stessa Comunità di Discorso. Un fatto assai evidente nelle Scienze Psicologiche.

Applicando ciò alla realtà processuale, si traduce nella vittoria (non di chi ha ragione) ma di chi paga i rappresentati più influenti della Comunità di Discorso. Il giudice (qualora privo d’una sua propria capacità critica logico-epistemologica), trovandosi inevitabilmente difronte ad opposte consulenze: o, “sposa” fideisticamente e/o acriticamente e/o opportunisticamente la tesi del CTU (semplificandosi il lavoro di motivazione)[18]; oppure, inevitabilmente, finisce per accogliere la tesi dell’esperto più “rinomato” (alias: con “maggior potere” all’interno della Comunità di Discorso). Ciò deriva dal fatto che l’uomo tende (erroneamente) a ritenere l’Autorità fonte attendibile di informazioni! L’Autorità è vista “degna di fiducia”, esperta in thema. Ciò porta a non mettere in dubbio, né a falsificare o accertare, quanto riferito da essa (Zappalà S., 2007). Di contro, l’informazione d’una fonte autorevole, non garantisce la sua attendibilità. Anzi, l’ipse dixit segue tutti i bias ed errori del caso.

E’ espressione d’una prospettiva situata; è tentativo di “portare acqua al proprio mulino” (alias: al proprio paradigma a là Kuhn; e/o alle proprie teorie versus quelle della “concorrenza”). E’ cercare di fare gli interessi del proprio cliente e/o quelli d’una parte a danno dell’altra. Non mancano poi i “giochi di potere” (incluse le mere simpatie ed antipatie) interni alla stessa Comunità di Discorso.

Come insegna Foucault, Potere e Conoscenza sono “due facce della stessa medaglia”. Questa commissione è tanto maggiore, quanto più la fonte è autorevole[19].

Il giudice, perciò, non deve seguire nessuno se non la legge. Al fine di garantire la giustizia, il giudice deve: porre sullo stesso piano tutte le tesi; vagliarle (testarle e falsificarle) alla luce dei fatti concreti assunti in quel giudizio attraverso il contradittorio; esaminarle con la sua capacità critica logico-epistemologica; approfondire lui stesso l’argomento attraverso la sua capacità di ragionamento interdisciplinare; declinare la Scientia nel giudizio consapevole di quanto detto supra;  etc … etc… ; per arrivare a fondare il suo prudente apprezzamento su tale riflessione ragionata e non su un ipse dixit d’uno “a caso”!

Il giudice deve accertare la verità dei fatti. In caso di dubbio: (1) nel processo penale, l’imputato è innocente; (2) nel processo civile, soccombe la parte che non ha assolto all’onere della prova (impostole dalla legge). Il giudice non è un giocatore d’azzardo: non punta ad un tavolo da Casinò in base a delle probabilità!

Questo rischio, indirettamente, è stato riconosciuto anche da Jones O. D. et al. (2013). L’autore ha evidenziato come i giudici devono sviluppare la capacità di distinguere fra le inferenze corrette e scorrette che possono essere fatte utilizzando la Scientia (in particolare, l’autore si riferiva alle neuroscienze). Questo perchè: “it is easier to misunderstand or misasplly neuroscience data then it is to understand and apply them correctly“.

Nonostante i lie-detectors non possono essere utilizzati nel nostro ordinamento in quanto pregiudicano la libertà morale dell’imputato ex art. 188 c.p.p., come visto sembrano esserci entrati dalla “porta di servizio”.

L’art. 188 c.p.p dice: “non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione“. Pertanto tutti i lie-detectors et similia (incluso l’a-IAT) dovrebbero essere inammissibili in quanto privano l’imputato della facoltà di non rispondere e/o non auto-accusarsi. Passata l’idea della loro ammissibilità[20], il mero rifiuto a sottoporsi al test sarebbe visto come “ammissione di colpevolezza”.

Conclusione

Sebbene l’Homo Sapiens Sapiens, sin dai tempi antichi ha cercato di trovare un sistema per discriminare fra la verità e la menzogna (Segrave K. 2005), non sembra esserci riuscito neppure con la tecnologia.

I risultati, infatti, sono contradittori, con margini di errore elevati. Ciò sembra aver portato la letteratura a dividersi in due fazioni: una fortemente scettica verso i lie-detectors (Nye T., 1988; Carrol D., 1988; Lykken D. T. 1988; etc…); l’altra sostenitrice dei lie detectors. Quest’ultima, però, lo fa più per la loro “utilità”, che per la “robustezza” dei data sulla validità interna ed esterna (Barland G. H., 1988; OTA, 1993; etc…).

Mentre i lie-detectors sono ampiamente utilizzati in USA, come abbiamo visto essi non trovano impiego all’interno di alcuni Ordinamenti Europei quali quello Italiano.

Nonostante ciò, subdolamente, l’a-IAT ha fatto ingresso dalla “porta di servizio” creando alcuni casi borderline.

Al momento, comunque, è precluso il loro utilizzo sia durante la fase delle investigazioni e sia durante il giudizio (dibattimento).

Questa decisione poggia su due motivi. Il primo è prettamente giuridico e riguarda il principio della libertà morale dell’imputato (art. 188 c.p.p.). Il secondo è “scientifico” e ricade sull’alto livello di inaccuratezza degli strumenti.

Nonostante ciò, il Tribunale di Cremona ha messo in dubbio questo secondo motivo, affermando che l’a-IAT sia molto più sicuro dei poligraph e PSE!

Molto probabilmente l’a-IAT darà vita ad un dibattitto giuridico in thema.

Alla fine possiamo concludere con le parole di Leonard Saxe: “a lie-detector does work as long as the subject believes it works. A good examiner scares the crap out of you. It’s theatre“.

Ma Verità e Giustizia non dovrebbero essere ridotte ad una rappresentazione teatrale!

Non le vidi, non so, non ho udito parlare da altri,

non saprei indicare, non potrei avere un compenso

per avere informato, non assomiglio ad un vigoroso ladro di buoi.

Non è opera mia … altre cose ho a cuore:

… …

affermo di non essere colpevole io …”.

(Disse Hermes ad Apollo interrogato sul furto delle vacche, Inno Omerico IV. A Hermes)

[1] in quanto ritenuta una life-skill trasversale, essenziale e necessaria, per la sopravvivenza della specie.

[2] inteso come: abilità codificata nel patrimonio genetico della specie atta ad emergere senza bisogno d’alcun apprendimento.

[3] indipendentemente dalla professione ed esperienza.

[4] con nesso causativo immediato con rapporto asimmetrico ed unidirezionale.

[5] Matteo: “Guardatevi dai falsi profeti; essi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete … ogni albero buono dà frutti buoni … ogni albero cattivo dà frutti cattivi … … Dai loro frutti, dunque, li riconoscere“, 7 (15 – 21).

[6] Il bicondizionale è l’unione di due condizionali materiali legati da congiunzione: (se p allora q) e (se q allora p).

[7] Vero / falso attiene agli enunciati descrittivi. Valido / invalido al ragionamento e/o inferenza.

[8]abilità trasversale ad ogni sapere.

[9] Alcuni usano l’espressione ex post, ergo propter hoc per indicare l’attribuzione di causalità ad un fatto e/o evento antecedente a quello osservato.

Epis (2011/2015), di contro, lo usa in modo specifico e tecnico. Con tale espressione Epis indica una teoria e/o in generale una falsa credenza priva di giustificazione che arriva a creare (tramite: i meccanismi di confermation bias; le dinamiche create dagli atteggiamenti dovuti a queste false credenze iniziali; l’effetto della profezia che si auto-avvera; etc…) un fatto e/o un evento e/o una modifica alla Realtà e/o alle caratteristiche delle persone, che ex post è usato/a a fondamento della validità e/o della verità della stessa falsa credenza iniziale. Quest’ultima è fatta passare per essere: effetto dei suoi stessi effetti. Ciò è ottenuto omettendo di riconoscere che quest’ultimi non sono la causa della credenza ma l’effetto d’essa. Così gli effetti della falsa credenza diventano ex post la causa della falsa credenza che solo a questo punto trova giustificazione (ergo propter hoc).

[10] ovvero: “in social science, everything is somewhat correlated with everything” (Meehl, 1990a; 1990b) così che: il “cosa” correlare è una scelta “politica” del soggetto. Una scelta che, una volta fatta, viene corroborata dalla statistica.

[11] e delle diverse forme che assume. Essa spinge sempre a favore della conferma dell’ipotesi, arrivando (ove assente) a creare la stessa realtà conformemente alla credenza.

[12] Exempli gratia: se un soggetto è condannato sui risultati d’un lie-detector (anche qualora errati e seppur innocente), tale condanna sarà usata come prova del successo del lie-detector!

[13] e.g., agenti segreti che impiegano particolari tecniche di rilassamento.

[14] In quanto gli costa meno pagare le sanzioni e le maggiori imposte seppur innocente che affrontare tutti i costi d’un contenzioso tributario.

[15] Si pensi a come sono manipolabili i software. Un esempio recente è dato dalle Aziende Automobilistiche che (grazie a “ritocchi” fatti sul software) facevano risultare emissioni inquinanti inferiori a quelle reali. La tecnologia non garantisce mai maggiore onestà e trasparenza, ma semplicemente rende l’inganno più sofisticato, nascosto e difficile da riconoscere. Nel caso delle Aziende Automobilistiche le prove fornite dai computer erano in apparenza “valide”. La contraffazione non poteva essere rilevata da esse. L’inganno era su un “piano” diverso: nel software.

[16] Conflitto intrapsichico è un vuoto contenitore. Dice tutto e niente. E’ un principio esplicativo a là Bateson. E’ una moderna forma di nominalismo. E’ l’insieme vuoto (privo d’elementi) sottoinsieme d’ogni possibile insieme in Psicologia (teoria degli insiemi), usato dagli psicologi come gli illusionisti usano l’abracadabra!

[17] Il SAS gestisce le funzioni esecutive e le risorse attentive.

[18] tesi comunque influenzata dal CTP più autorevole, qualora il CTU sia di minor fama e/o abbia minor “peso” d’uno dei CTP all’interno della Comunità di Discorso.

[19] Le variazioni che avvengono all’interno del Corpus di Conoscenza d’una data Comunità di Discorso, infatti, comportano mutamenti nei rapporti di forza fra i membri di quella Comunità (Lyotard, 1983). Oggigiorno, inoltre, la “competizione per il potere” si sviluppa nell’intersoggettività attraverso “lotte per il significato” (Minnini, 2008).

[20] anche come strumenti per verificare l’esistenza d’una traccia mnestica.

Principio di Precauzione & Inquinamento Elettro-magnetico (EMF)

Abstract

Questo articolo analizza il principio di precauzione e come esso possa trovare applicazione in riferimento all’inquinamento elettro-magnetico (EMF) in particolare UHF. Gli aspetti normativi e scientifici saranno trattati. Alla fine si osserverà come il principio di precauzione sia l’unico strumento giuridico atto a difendere il diritto alla salute e l’ambiente da possibili effetti negativi (soprattutto di lungo termine) conseguenti ad uno sviluppo tecnologico esponenziale che non permette alcuna valutazione a priori sui possibili impatti e/o effetti che potrebbe avere sulla salute umana e sull’ambiente.  Infatti, “il Principio di Precauzione impone, in caso di dubbio sul livello di rischio, di adottare l’impostazione più conservativa consistente nel minimizzare detto rischio, eventualmente preferendo l’opzione zero rischio” (Tribunale Civile di Venezia, sentenza n.441 del 19/02/08). In altre parole, qualora lo stato delle conoscenze scientifiche è tale da porre anche un ragionevole dubbio sulla sussistenza di possibili effetti nocivi per l’uomo e l’ambiente (conseguenti ad un determinato agente), il principio di precauzione permette di adottare tutti quei provvedimenti che possono evitare la concretizzazione del rischio.

 

Principio di Precauzione

Il Principio di Precauzione, previsto dall’Art.174 del Trattato UE, è parte integrante dell’ordinamento nazionale (Tribunale Civile di Milano, sentenza n.43678 del 10/10/03). Esso (per la natura delle cose a là Gustav Radbruch) è finalizzato ad affrontare e prevenire, con una azione cautelare e preventiva (Cassazione sentenza n. 9893 del 27/07/2000), gli effetti di “breve e lungo termine” d’una possibile esposizione ad una res/agente sui quali la letteratura scientifica presenti un “quadro” d’incertezza atto a giustificare un “ragionevole dubbio” (Tribunale Civile di Venezia, sentenza n.441 del 19/02/08).

Di contro, quando vi sia una certezza sul nesso causale (sia di breve che di lungo termine) non trova applicazione il principio di precauzione ma altri istituti giuridici preordinati (non più a prevenire qualcosa di potenziale e di futuro) ma difendere da pericoli attuali e certi.

Da ciò consegue che i criteria metodologici ed epistemologici applicabili per definire se applicare (oppure no) il principio di precauzione sono completamente diversi dai criteria applicabili per intervenire su un pericolo attuale e presente. Essi non possono essere quelli “stretti” della medicina medico legale usati (exempli gratia) per: liquidare danni; accertare responsabilità; valutare profili socio-economici finalizzati alla reintegrazione del cittadino nel suo stato di salute e/o nelle sue attività produttive; concedere benefici di legge; liquidare malattie professionali e/o infortuni di lavoro.

Di contro, occorre un’analisi attenta della ricerca e della letteratura scientifica per valutare se esista, oppure no, una situazione di incertezza che possa giustificare un ragionevole dubbio sui possibili effetti di breve e di lungo termine. La presenza del ragionevole dubbio legittima l’impostazione di misure cautelari e preventive atte a minimizzare il rischio e creare lo stato più conservativo possibile (preferendo eventualmente l’opzione zero rischio).

Il Quadro Normativo

Riferimenti Normativi

Il riconoscimento normativo del “principio di precauzione” lo si trova espressamente nell’art. 191 del Trattato di Lisbona (TFEU); nella direttiva 85/337/CE; nel Regolamento EC No. 178/2002; nell’art. 174 del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (e successive novellazioni) firmato a Roma il 25 marzo 1957, accanto al principio di prevenzione ed al principio di correzione, oltre ad essere suggerito dai documenti Ispesl-Iss del 29/01/1998 e Ispesl 03/03/1998. Tale principio richiede che: per proteggere la salute e l’ambiente da potenziali danni a lungo termine è necessario adottare ed imporre misure di cautela anche in situazioni di incertezza scientifica. In altre parole, il principio di precauzione legittima l’imposizione di misure cautelari in momenti anteriori a quelli nei quali debbano essere predisposti interventi preordinati alla difesa del pericolo (essendo la sua funzione preventiva). La sua applicazione può benissimo avere effetti restrittivi sui diritti d’iniziativa economica e/o privata per la peculiare natura dei beni giuridici tutelati (la salute e l’ambiente) il cui danneggiamento non potrebbe essere adeguatamente riparato attraverso un intervento successivo (Tribunale di Milano, sentenza n.43678 del 10/10/03).

Riferimenti Giurisprudenziali Europei

La Corte di Giustizia ha affermato che le disposizioni del trattato che esprimono gli obiettivi fondamentali e i principi essenziali hanno valore costituzionale ed, assieme alla Commissione delle Comunità Europee, ha ribadito come il principio di precauzione abbia portata generale e sia esteso alla salute ed ai consumatori. Un principio che rientra a pieno titolo in quelli che hanno effetto diretto (Court of Justice, Case: Van Gend en Loos versus Nederlandse Administratie der Belastingen, 1963) sugli ordinamenti nazionali. In altre parole, è direttamente applicabile dai giudici nazionali (che diventano “EU law Judge”). Inoltre, la Corte di Giustizia ha riconosciuto che il principio di precauzione si applica quando sussiste una situazione di incertezza riguardo all’esistenza o alla portata di rischi (a lungo termine) per la salute delle persone, potendo essere adottate misure di protezione senza dover attendere che sia pienamente dimostrata l’effettiva esistenza di tali rischi (Corte Giust. UE, sentenza del 17 dicembre 2015, Neptune Distribution, C 157/14, punti 81 e 82)[1]. Non solo, la Corte ha più volte statuito che le norme nazionali devono essere lette dai magistrati degli Stati membri in conformità ai principi ed alle norme europee (Case C-106/89, Marleasing SA; Case C-148/78, Ratti).

Riferimenti Giurisprudenziali Nazionali: Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha trattato il principio di precauzione (a vario titolo) nelle sentenze: 399/1996; 185/1998; 121/1999; 351/1999; 382/1999. Nella sentenza n. 351/1999 ribadisce come l’adozione di misure precauzionali per la tutela della salute umana rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 32 della costituzione che impone e legittima l’adozione di adeguate misure di cautela. Nella sentenza n. 382/1999 la Corte respinge le censure di illegittimità costituzionale avanzate dall’Avvocatura di Stato contro una legge della regione Veneto che prevede valori limite di esposizione ai campi elettromagnetici molto inferiori rispetto a quelli imposti dal D.P.C.M. 23 aprile 1992. La Corte, di fatto, riconosce che il diritto alla salute prevale sull’ “interesse nazionale” e/o economico di alcune Compagnie operanti nel settore. Nella sentenza n. 185/1998 la Corte afferma che la situazione di incertezza scientifica NON E’ SUFFICIENTE di per sé AD ESLUDERE l’adozione di provvedimenti di contenuto positivo o negativo, preordinati alla tutela della salute umana. Ovvero ha riconosciuto (in altre parole) come una situazione di incertezza possa legittimare l’adozione di provvedimenti cautelari come richiesto dall’istituto del principio di precauzione. Pertanto, il principio di precazione è recepito nel Nostro Ordinamento come: principio europeo direttamente applicabile; principio ontologicamente immanente nel nostro ordinamento; espressione dell’art. 32 Cost., oltre a potersi vedere come diritto inviolabile ex art. 2 Cost. . Entrambe le Alte Corti (Europea e Costituzionale) lo ritengono principio direttamente applicabile dai singoli giudici nazionali.

 

Riferimenti Giurisprudenziali Nazionali: Cassazione e Giurisprudenza di Merito

L’applicazione del principio di precauzione in riferimento all’elettrosmog è stata riconosciuta già da numerosa giurisprudenza di cassazione e di merito.

Exempli gratia: la Corte di Cassazione (sentenza del 27 luglio 2000, n.9893) ha riconosciuto ai Giudici di Merito il diritto ed il dovere di accertare i possibili rischi per la salute al di là di quelli che sono i limiti ufficiali di legge in base a quanto emerge dalla letteratura scientifica nel momento in cui decidono.  “Il diritto alla salute, posto a base della domanda, è infatti un diritto fondamentale dell’individuo, che l’articolo 32 Cost. protegge direttamente (Corte cost. 26 luglio 1979 n. 88; 14 luglio 1986 n. 184; 18 dicembre 1987 n. 559; 27 ottobre 1988 n. 992; 22 giugno 1990 n. 307; 18 aprile 1996 n. 118). … La Corte costituzionale, nella sentenza 30 dicembre 1987 n. 641, ha espressamente affermato che, in tema di lesione della salute umana, è possibile il ricorso all’articolo 2043 cod. civ. e che si è cosi in grado di provvedere non solo alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma anche di prevenire e sanzionare l’illecito. … E perciò rientra nei poteri del giudice ordinario … accertare se, sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite nel momento in cui si tratta di decidere sulla domanda, … vi sia pericolo per la conservazione dello stato di salute nella esposizione al fattore inquinante di cui si tratta, ancorché tale esposizione si determini nel rispetto dei limiti massimi stabiliti dalla disciplina di rango secondario vigente al momento della decisione. … La tutela giudiziaria del diritto alla salute … può essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie.

Sulla stessa linea è la Corte d’Appello di Milano (sentenza n.2168 del 10/06/09) che, confermando la sentenza n. 1490 del 17/10/05 del Tribunale Civile di Como, sottolinea come i rischi da elettrosmog “non nascono da autosuggestione, ma da studi scientifici, significativi per numero e per qualità, tanto da essere stati presi in considerazione dalla IARC nelle sue classificazioni” e come in questo caso trovi benissimo applicazione il principio di precauzione che ha il suo fondamento nell’art.174 del Trattato UE. Trattato che è parte integrante dell’ordinamento nazionale. Anche il Tribunale Civile di Milano (sentenza n. 43678 del 10/10/03) riconosce l’importanza del principio di precauzione come strumento giuridico atto a difendere la salute umana, potendo il giudice derogare agli stessi limiti di legge quando la letteratura scientifica presente nel momento in cui si decide rilevi una situazione di incertezza per soglie di esposizioni minori rispetto a quelle di legge. Nel caso, il Tribunale di Milano riconosceva come soglia di massimo limite di esposizione 0.5 V/m contro i 6 V/m della legge.

Questo sample mostra come la giurisprudenza ha ritenuto il principio di precauzione atto a prevalere sui limiti ufficiali di legge e/o sulle guide internazionali ICNIRP, dovendo il giudice daccogliere quei limiti minori che possano emergere dalla letteratura scientifica. D’altronde, che i limiti ufficiali in thema di EMF non fossero idonei a garantire e tutelare la salute umana fu riconosciuto già da una pluralità di Enti.

Esempio di Enti che hanno ritenuto le attuali linee guida ufficiali non adatte alla tutela della salute umana e sostenuto la necessità di applicare il principio di precauzione in thema di EMF

La necessità di applicare il principio di precauzione in thema di EMF è stato riconosciuto: dal Consiglio d’Europa; dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa; da molti Enti Pubblici Territoriali e numerosi Studiosi. Tutti riconoscono come le emissioni UHF (e più generalmente EMF) rappresentino un potenziale fattore di danno per la salute nel lungo termine. Per tali motivi si è più volte invitato ad usare al loro posto “reti cablate” ed evitare l’uso di Wi-Fi / GSM (in particolare dove siano presenti bambini, donne incinta, convalescenti, etc…). Pertanto, a fortiori, tale invito vale anche all’interno delle “mura domestiche” dove tali persone vivono e dormono. Che la tutela debba riguardare anche l’abitazione privata è stato ribadito (e.g.) dal Secondo Appello di Friburgo (firmato da medici di livello internazionale) ove nel primo punto invitano a garantire la “tutela dell’inviolabilità dell’abitazione tramite drastica limitazione delle radiazioni elettromagnetiche che penetrano tra le proprie “quattro mura””.

Questa necessità, assieme all’incapacità degli attuali limiti stabiliti dalla legge e dalle linee guida internazionali è stato ribadito anche da diverse Autorità. Qui infra ne riporto un sample:

L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 1815 del 27 maggio 2011 ha riconosciuto come dall’inquinamento elettromagnetico derivino effetti potenziali nocivi, non termici, ma biologici … anche quando ci siano esposizioni a livelli inferiori rispetto i valori limite ufficiali (e.g. ICNIRP). Per tali motivi l’Assemblea raccomanda: “in relazione all’uso privato di telefoni mobili, telefoni DECT (cordless), WiFi, WLAN e WIMAX per computer ed altri dispositivi wireless come i BABY PHONES” che si dia “la preferenza a connessioni internet cablate” (ovvero non Wireless) soprattutto ove siano presenti bambini in generale e in particolare nelle scuole”.

Il Report del Committee on the Environment, Agriculture and Local and Regional Affairs dell’Assemblea Parlamentare riporta come “One must respect the precautionary principle …; waiting for high levels of scientific and clinical proof can lead to very high health and economic costs“.

Il Consiglio d’Europa ribadì come:“The EU Commission and the EEA sees the precautionary principle as central to public policymaking where there is scientific uncertainty and high health, environmental and economic costs in acting, or not acting, when faced with conflicting evidence of potentially serious harm”, ripetendo quando detto dall’Assemblea Parlamentare: “Waiting for high levels of proof before taking action to prevent well known risks can lead to very high health and economic costs, as we have seen with asbestos, leaded petrol and smoking”.

L’European Environmental Agency (2007) affermò come le nuove scoperte richiedano “for tougher safety standards” (“per standards di sicurezza più rigidi / severi“) rispetto agli attuali.

La Comunità Scientifica ha sollevato tale problema più volte.

Ricordiamo, exempli gratia, il Gruppo di Scienziati conosciuto come “Seletun Scientific Panel” che nel 2010 ribadì proprio come le: “Present guidelines, such as IEEE, FCC, and ICNIRP, are not adequate to protect humans from harmful effects of chronic EMF exposure“. (“Le attuali guide linea di riferimento, quali quelle IEEE, FCC e ICNIRP, non sono adeguate alla protezione degli esseri umani da effetti dannosi per una esposizione cronica/prolungata ai campi EMF“). Questi Scienziati avanzarono anche delle raccomandazioni quali quella di usare trasmissioni cablate nelle scuole e nei luoghi in cui ci sono bambini (pertanto a fortiori anche nelle case ove vivono), raccomandando fortemente di non installare impianti e/o connessioni wireless al fine di evitare una pervasiva e prolungata esposizione per i bambini a tali frequenze.

Nel 2012, il gruppo di lavoro del progetto “BioInitiative 2012” arrivò alle stesse conclusioni. Gli scienziati affermarono come le: “Existing FCC and ICNIRP public safety limits seem to be not sufficiently protective of public health, in particular for the young (embryo, fetus, neonate, very young child)“. (“gli esistenti limiti di sicurezza del FCC e ICNIRP sembrano non essere sufficientemente protettivi per la salute pubblica, in particolare per i giovani (embrioni, feti, neonati, bambini della prima infanzia)“).

La particolare preoccupazione rivolta ai bambini,e.g., è stata sottolineata pure dal Presidential Cancer Panel (2010) che affermò come i bambini: “sono a particolare rischio a causa della loro minore massa corporea e rapido sviluppo fisico“. Una preoccupazione condivisa dall’American Academy of Pediatrics.

Una recente pubblicazione di Massimo Coraddu, Eugenio Cottone, Angelo Levis, Alberto Lombardo, Fiorenzo Marinelli e Massimo Zucchetti (2016) fa il punto sulla situazione affermando come: “Existing FCC and ICNIRP public safety limits are not sufficiently protective of public health, in particular for the young subjects – embryos, fetuses, neonates, very young children – and for those which are exposed to extremely high ELF and RF/EMF levels. Sufficient evidence comes from epidemiological studies of an increased risk from exposure to EMF of adverse acute effects and even long-term carcinogenic effects that cannot be attributed to chance, bias or confounding” (“Gli esistenti limiti FCC e ICNIRP di pubblica sicurezza non sono sufficientemente protettivi della salute pubblica, in particolare dei soggetti giovani – embrioni, feti, neonati, bambini di prima e seconda infanzia – e per coloro che sono esposti ad alti livelli di campi: di estrema bassa frequenza (ELF); di radiofrequenza (RF); ed elettromagnetici (EMF). Dagli Studi Epidemiologici provengono prove sufficienti d’un rischio maggiore, causato dall’esposizione ai campi elettromagnetici, per effetti acuti negativi e, perfino, effetti cancerogeni di lungo tempo che non possono essere attribuiti al “caso”, bias (errore) o variabili confondenti”).

Alle stesse conclusioni arrivò pure la giurisprudenza italiana.
Il Tribunale Civile di Milano (sentenza n. 43678 del 10/10/03) afferma che: “il rispetto dei limiti posti dalla normativa vigente e, in particolare, dalle norme secondarie … non rende le immissioni di per sé lecite e compatibili con la tutela del diritto alla salute. Deve, infatti, tenersi conto della rilevanza costituzionale del diritto alla salute (art. 32 della Costituzione) e del grado di tutela conseguente, necessariamente prevalente sulla libertà (libertà e non diritto) di impresa, pur prevista dall’articolo 41 della Costituzione… . Alla scala di valori posta dalla Costituzione deve, poi, aggiungersi il Principio di Precauzione, previsto dall’articolo 174 del Trattato U.E., che deve considerarsi parte dell’ordinamento nazionale“. Pertanto, il Tribunale di Milano, concordando con i massimi esponenti della Comunità Scientifica, non ritiene il limiti ufficiai di legge 6 V/m (ovvero gli standard dell’ICNIRP) sufficienti a tutelare il diritto alla salute. Il Tribunale opta per valori più bassi: non superiori ai 0,5 Volt per metro. Un limite lievemente più basso allo 0,6 V/m suggerito: dall’ICEMS; da Bioinitiative; del Consiglio d’Europa; dalla Conferenza di Salisburgo che ha raccomandato un limite di 0,1 microW/cm2 (0,6 V/m).

Rilevanti sono anche i diversi appelli internazionali da parte di diversi scienziati rivolti all’OMS e all’ONU proprio per rivedere i limiti delle linee guida ormai obsoleti, oltre ad invitare ad un minore uso (soprattutto quando evitabile ed inutile) dei dispositivi wireless. Da ultimi riportiamo gli appelli internazionali del 2015 e del 2017. Chi scrive ritiene che la mera presenza d’un appello dimostra e integra la situazione di incertezza per applicare il principio di precauzione.

Anche a livello politico ci sono state alcune prese di posizione.

La Francia, con Legge n. 468 del 29 gennaio 2015, vieta l’uso del WI-FI negli asili nido e nelle scuole materne per proteggere i bambini dai potenziali danni di lungo termine provocati da tali emissioni elettromagnetiche. Una nocività già riscontata anni prima quando, nel 2011, utenti ed impiegati di alcune biblioteche di Parigi manifestarono diverse forme di malessere a seguito di esposizioni a EMF emessi dai sistemi Wi-Fi. Il Comune di Parigi fu stato costretto a rimuovere la rete Wi-Fi. Tale rimozione fu seguita dalla French National Library e da alcune Università Francesi. Sempre in Francia, un giudice di Tolosa ha riconosciuto la sindrome da ipersensibilità elettromagnetica ad una donna di 39 anni assegnandole una pensione di invalidità. La sindrome fu riconosciuta essere causata dall’esposizione ad apparecchi ed onde elettromagnetiche.

In Svezia è stata riconosciuta ufficialmente la sindrome da intolleranza ai campi elettromagnetici, e come tali campi possano essere collegati a gravi malattie quali il cancro, la leucemia e l’Alzheimer.

L’Inghilterra, dopo un boom d’installazioni di Wi-Fi nelle Scuole iniziato nel 2006, a seguito di malesseri denunciati da docenti e studenti, iniziò un graduale smantellamento dei trasmettitori in tutte le scuole inglesi. Il Responsabile della HPA (Health Protection Agency) aprì un’inchiesta per identificare e valutare le implicazioni che la tecnologia wireless può avere sulla salute.

In Germania, il Governo Merkel (Ministero Federale per la Protezione dalle Radiazioni) ha espressamente invitato la popolazione tedesca a prediligere sempre l’accesso via cavo (reti cablate) rispetto alle reti wireless. In particolare, il Parlamento del Land della Baviera ha raccomandato di non utilizzare il Wi Fi nelle scuole di ogni grado.

In Spagna, il Parlamento della Navarra, applicando il principio di precauzione in thema di Wi-Fi deliberò di rimuoverlo dalle Scuole.

In Italia, nonostante i politici Italiani siano rimasti “insensibili” alle segnalazioni provenienti dalla comunità scientifica internazionale “arroccandosi” (e.g., il governo) dietro alle linee guida dell’ICNIRP, diversi Enti Pubblici Territoriali hanno assunto politiche diverse. La Provincia di Bolzano con risoluzione 378/15 impegnò la Giunta a limitare al minimo indispensabile l’esposizione ai CEM della popolazione, con particolare riguardo ai bambini e ai giovani frequentanti le scuole. Il Consiglio Regionale del Piemonte con mozione n. 500/2015, approvata il 19/01/2016, impegnò la Giunta a sostituire negli ambienti scolastici e in altre strutture pubbliche le reti locali wireless già esistenti con impianti a basse radiazioni che richiedano l’attivazione manuale da parte dell’utente e l’utilizzo limitato nel tempo e nello spazio. Il Consiglio Regionale del Lazio con le mozioni 301 e 302 dello 05/03/2015 impegnò il Presidente della Regione ad adottare interventi urgenti contro l’elettrosmog. Per tutelare la salute pubblica fu chiesto di rispettare il principio precauzionale.

Alla Camera dei Deputati (il 16 Aprile 2016) l’On. Gianni Melilla ha presentato una interpellanza parlamentare ove ha sostenuto, difronte al Ministro dell’Ambiente, la necessità d’attivare iniziative per vietare l’uso di tali apparecchiature Wi-Fi nelle scuole e negli ospedali, privilegiando al loro posto quelle via cavo. L’On. Melilla presentò in parlamento una sintesi delle tesi promosse da molti medici e scienziati Italiani che scrissero nel 2015 una diffida al governo quando ipotizzo d’aumentare i limiti di legge nell’autunno del 2014.       

La Situazione di Incertezza ed il Ragionevole Dubbio nella letteratura scientifica

Alla base del principio di precauzione, come detto supra, ci deve essere la letteratura scientifica. Questa deve presentare una condizione di incertezza.

In questo articolo esamineremo se la letteratura scientifica inerente ai campi elettro-magnetici (EMF), in particolare UHF, giustifichi l’applicazione del principio di precauzione.

La situazione di incertezza in thema è provata da “come” l’argomento sia controverso in letteratura e dai continui appelli internazionali che la Comunità Scientifica presenta regolarmente (di cui l’ultimo nel 2017). Inoltre, il mero fatto che l’Agenzia Internazionale per la Lotta contro il Cancro abbia inserito le “radiazioni elettromagnetiche” nel gruppo 2B (possibile agente cancerogeno) dimostra (al di là d’ogni ragionevole dubbio) l’integrazione di tutti i criteria necessari per l’applicare del principio di precauzione. Un fatto che, in se e per se, integra la situazione di incertezza richiesta dal principio di precauzione, come riconosciuto dalla Corte d’Appello di Milano (sentenza n. 2168 del 10/06/09), che confermando la sentenza n.1490 del 17/10/05 del Tribunale Civile di Como, afferma che non può obbiettarsi che si tratti dimere paure … posto che i timori in questione non nascono da autosuggestione, ma da studi scientifici, significativi per numero e per qualità, tanto da essere stati presi in considerazione dalla IARC nelle sue classificazioni”.

A questo si può aggiungere che: una volta in cui l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ammette che il 3% della popolazione occidentale presenta sintomi da elettro-sensibilità per esposizione a campi elettro-magnetici di Wi-Fi, telefonia mobile, etc…, è ammettere che tali esposizioni non causano solo effetti termici ma anche biologici e/o psico-comportamentali.

A livello di letteratura scientifica ormai sono copiosi gli studi che sottolineano gli effetti negativi di breve e di lungo termine conseguenti a tali campi. Come sample riportiamo ciò che è stato pubblicato da un gruppo di ricercatori internazionali all’interno dell’iniziativa / progetto “Bioinitiative” (link: www.bioinitiative.org). Dagli studi ivi raccolti, emerge chiaramente che le conseguenze alle esposizioni EMF non si limitano agli effetti termici ma possono essere fattori di causa o con-causa, nel lungo termine, per una pluralità di condizioni psico-fisiche che vanno da:

  • abnormal gene transcription (Adamantia F. Fragopoulou, MSc, PhD, Prof. Lukas H. Margaritis, PhD, Evidence for EMF Transcriptomics and Proteomics Research 2007-2012, section 5);
  • genotoxicity and single-and double-strand DNA damage (Prof. Henry Lai, PhD, Genetic Effects of Non-Ionizing Electromagnetic Fields, Section 6);
  •  stress proteins because of the fractal RF-antenna like nature of DNA (Prof. Martin Blank, PhD, The Cellular Stress Response: EMF-DNA Interaction, Section 7);
  • chromatin condensation and loss of DNA repair capacity in human stem cells (Prof. Henry Lai, PhD, Genetic Effects of Non-Ionizing Electromagnetic Fields, Section 6; Prof. Igor Belyaev, Ph D, Dr Sc,  Evidence for Disruption by Modulation Role of Physical and Biological Variables in Bio-effects of Non-Thermal Microwaves for Reproducibility, Cancer Risk and Safety Standards, section 15);
  • reduction in free-radical scavengers – particularly melatonin (Adamantia F. Fragopoulou, MSc, PhD, Prof. Lukas H. Margaritis, PhD, Evidence for EMF Transcriptomics and Proteomics Research 2007-2012, section 5; Prof. Henry Lai, PhD, Neurological Effects of Non-Ionizing Electromagnetic Fields, section 9; Zoreh Davanipour, DVM, PhD, ELF MF – Melatonin Production – Alzheimer’s Disease and Breast Cancer, section 13; C. L. Sage, MA, Evidence for Breast Cancer Promotion (Melatonin Studies in Cells and Animals), section 14; Prof. Igor Belyaev, Ph D, Dr Sc,  Evidence for Disruption by Modulation Role of Physical and Biological Variables in Bioeffects of Non-Thermal Microwaves for Reproducibility, Cancer Risk and Safety Standards, section 15; Paul Héroux, PhD, Professor, Ying Li, PhD, Plausible Genetic and Metabolic Mechanisms for the Bioeffects of Very Weak ELF Magnetic Fields on Living Tissues, section 16; Abraham R. Liboff, PhD, Professor Emeritus, Electromagnetic Medicine Non-Inductive Non-Thermal Modalities, section 17);
  • neurotoxicity in humans and animals (Prof. Henry Lai, PhD, Neurological Effects of Non-Ionizing Electromagnetic Fields, section 9);
  • carcinogenicity in humans (Prof. Michael Kundi, PhD, Evidence for Brain Tumors, Sections 11; Lennart Hardell, MD, PhD, Professor, Use of Wireless Phones and Evidence for Increased Risk of Brain Tumors, section 11; Prof. Michael Kundi, PhD, Evidence for Childhood Cancers (Leukemia), section 12; Zoreh Davanipour, DVM, PhD, ELF MF – Melatonin Production – Alzheimer’s Disease and Breast Cancer, section 13; C. L. Sage, MA, Evidence for Breast Cancer Promotion (Melatonin Studies in Cells and Animals), section 14;   Prof. Igor Belyaev, Ph D, Dr Sc,  Evidence for Disruption by Modulation Role of Physical and Biological Variables in Bioeffects of Non-Thermal Microwaves for Reproducibility, Cancer Risk and Safety Standards, section 15; Paul Héroux, PhD, Professor, Ying Li, PhD, Plausible Genetic and Metabolic Mechanisms for the Bioeffects of Very Weak ELF Magnetic Fields on Living Tissues, section 16; Abraham R. Liboff, PhD, Professor Emeritus, Electromagnetic Medicine Non-Inductive Non-Thermal Modalities, section 17);
  • serious impacts on human and animal sperm morphology and function (Prof. Jitendra Behari, PhD, Dr. Paulraj Rajamani, PhD, Electromagnetic Field Exposure Effects (ELF-EMF and RFR) on Fertility and Reproduction, Section 18);
  • effects on offspring behavior, psychological and neurological effects, (Prof. Jitendra Behari, PhD, Dr. Paulraj Rajamani, PhD, Electromagnetic Field Exposure Effects (ELF-EMF and RFR) on Fertility and Reproduction, Section 18; Prof. Carlo V. Bellieni, MD, Dr. Iole Pinto, PhD, Fetal and Neonatal Effects of EMF, section 19; Martha Herbert, PhD, MD, Findings in Autism (ASD) Consistent with Electromagnetic Fields (EMF) and Radiofrequency Radiation (RFR), section 20);
  • effects on brain and cranial bone development in the offspring of animals that are exposed to cell phone radiation during pregnancy (Adamantia F. Fragopoulou, MSc, PhD, Prof. Lukas H. Margaritis, PhD, Evidence for EMF Transcriptomics and Proteomics Research 2007-2012, section 5;  Prof. Jitendra Behari, PhD, Dr. Paulraj Rajamani, PhD, Electromagnetic Field Exposure Effects (ELF-EMF and RFR) on Fertility and Reproduction, Section 18).

L’inquinamento elettro-magnetico è responsabile e/o co-responsabile anche di diversi problemi psico-comportamentali dei ragazzi in età scolare (disturbi di attenzione con o senza iperattività'; disturbi di apprendimento; disturbi della condotta; etc…). Questi disturbi, pur presentando una genesi multifattoriale, hanno come possibile fattore di causazione e/o con-causazione proprio le esposizioni ai campi elettromagnetici.
Che vi sia un rapporto causativo sembra dimostrato dal fatto che i bambini che hanno avuto una madre che usava cellulari durante la gravidanza hanno probabilità maggiori a sviluppare:
• problemi embrionali (25% di maggiore probabilità);
• deficit di attenzione con o senza iperattività (35% di maggiore probabilità);
• disturbi della condotta (49% di maggiore probabilità). Questo tipo di disturbo fa poi da apripista nell’adolescenza alle tossico dipendenze ed alla personalità antisociale.
Che i campi elettromagnetici hanno effetti bio-chimici e neurologici è stato visto osservando come possano alterare: sia le capacità di auto-controllo (Bernd Figner); sia il senso di moralità (Liane Young).

In Italia, sono assai significativi i lavori e gli studi del Prof. Angelo Levis (Professore dell’Università di Padova; biologo di fama internazionale; membro permanente della Commissione Tossicologica Nazionale presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma; consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità presso l’Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro – I.A.R.C. di Lione).

Questo articolo, non avendo l’obiettivo di ripercorrere l’intero sviluppo storico della ricerca e dei “warnings” (“avvisi / allerte”) dati dagli Scienziati, vi invita a legge uno dei tanti scritti del Prof. Angelo Levis “Effetti biologici e sanitari a breve e a lungo termine delle radiofrequenze e delle microonde” (che potrete trovare al seguente Link: http://nomuos.org/documents/Levis_effetti_biologici_microonde.pdf).

Significativi sono anche gli studi del CNR (Istituto di Genetica Molecolare, Sezione di Bologna), dell’Istituto Ramazzini e dei fellows del Collegium Ramazzini di Bologna.

Un cenno sul “perchè” i “limiti” e/o gli “standard ufficiali” di legge possano non svolgere appieno il loro “presunto” ruolo: Lobbies & Politica; the Social Constraction of Sciences.

La Corte di Appello di Brescia (Sezione Lavoro, sentenza n. 614 del 10.12.09), confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 17438 del 3-12 Ottobre 2012), ha attualizzato questo thema. Memore di come le Industrie del Tabacco ebbero per decenni ostacolarono il riconoscimento scientifico dei possibili danni alla salute causati dal fumo (attraverso il finanziamento di studi a loro confacenti e la manipolazione dei data) ha precisato come per valutare l’attendibilità degli Studi Scientifici sia fondamentale osservare l’origine delle fonti di finanziamento. Secondo la Corte d’Appello, exempli gratia, gli studi scientifici co-finanziati dalle Ditte produttrici di telefoni cellulari (che argomentano la non pericolosità delle emissioni elettro-magnetiche) non hanno lo stesso grado di attendibilità degli Studi Indipendenti che affermano i possibili danni alla salute per esposizione all’elettro-smog.

Una tesi rinforzata dai Giudici della Cassazione che hanno sottolineato come sia importante una analisi critica della documentazione scientifica prodotta dai consulenti delle parti e dal CTU. Una analisi che non può prescindere dal considerare “chi” sono gli Enti Finanziatori degli studi e “quali” possibili conflitti di interesse possano avere. La Cassazione ha affermato che: “la maggiore attendibilità … di tali studi – quelli citati dai CTP della parte offesa … stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non essere stati cofinanziati, a differenza di altri … anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari” è un fatto  che “costituisce ulteriore e non illogico fondamento delle conclusioni accolte”.

Questa sentenza ci porta ad affrontare ed a riflettere su come gli interessi dei Gruppi economici e delle Lobby possano influenzare (non solo attraverso la politica) le stesse risultanze scientifiche ma anche ciò che viene creduto oggettivo dalle masse, ovvero i frame mediatici utilizzati.

Che il Potere a là Foucault sia connesso con la Conoscenza è fatto noto. Che la Conoscenza non è Verità ma una costruzione sociale è stato dimostrato da  Berger e Luckman (1966, The Social Construction of Reality). Che i Gruppo economici e di potere usino i Media per creare Monopoli di Conoscenza fu reso esplicito da Harold Innis. L’autore parlò di come le masse sono “passive” difronte alle informazioni veicolate dai Mass Media che definisce: “vast monopolies of communication” (1952, The Strategy of Culture). In altre parole, chi controlla e gestisce le informazioni può definire le “credenze sociali”.

Altri autori hanno parlato di questo fenomeno attraverso il concetto di frame (exempli gratia, Foa) e di come gli “spin-doctor” manipolino le informazioni a tal fine.

Mentre i monopoli di conoscenza operano verso le masse ignoranti, fra i membri della Comunità Scientifica (comunità di discorso) agiscono altri meccanismi analoghi descritti da Lyotard. L’autore esplicita come le relazioni di forza e di potere interne alla Comunità di Discorso definiscono ciò che si crede come “vero” / “reale” e ciò che viene rigettato. Il cambiamento delle conoscenze, infatti, si riflette in un mutamento dei rapporti di forza e di potere  interni alla stessa Comunità di Discorso.

Latour e Woolgar (1979, Laboratory Life: The Construction of Scientific Facts) hanno parlato del  “way in which the daily activities of working scientists lead to the construction of scientific facts“.

Tutte queste teorie riunite assieme portato alla comprensione della Social Constraction of Sciences. Una teoria che descrive (in tutti i suoi diversi profili ed aspetti) “come” le credenze scientifiche siano influenzate da molteplifi fattori extra scientifici quali: il “dove” e “come” vengono orientati i finanziamenti; il come sono “avvantaggiati” e/o “ostacolati” alcuni ricercatori piuttosto che altri; etc… .

Tutto ciò spiega come molto spesso i “dubbi” e/o i “contrasti” interni alla letteratura scientifica siano influenzati dagli interessi economici di alcuni Gruppi di potere. Inoltre, ciò che spesso è considerato “oggettivo” può ricadere nell’essere nulla di più d’una costruzione sociale, “artificiosa ed artefatta”.

Non bisogna essere scienziati per comprendere ciò, basta guardare la realtà di tutti i giorni: “cosa” avviene nei piccoli gruppi; “cosa” accade nei condominii; le dinamiche che si formano negli ambienti di lavoro; “come” si creano le dicerie; etc… . Quante “bufale” (per intesse di “qualcuno”) sono vendute per “credenze” a tutti i “livelli”?!?!

Conclusione

Secondo l’autore, in termini di attualità e concretezza, esiste una letteratura scientifica che non esclude che tali forme di elettrosmog possano avere effetti negativi (diversi da quelli termici) sulla salute nel lungo termine e che pertanto si presenti una situazione di incertezza che giustifica l’applicazione del “principio di precauzione(come già riconosciuto ufficialmente dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa et al.) al fine di provvedere all’emanazione di provvedimenti cautelari finalizzati ad arginare tale rischio fino a quando non vi siano certezze maggiori.

Infatti, la letteratura scientifica e le nuove scoperte suggeriscono come gli standards di riferimenti indicati dalle linee guida dell’ICNIRP del 1998 siano ormai obsoleti e superati, non atti a garantire l’assenza di ogni potenziale effetto negativo alla salute umana nel lungo termine in particolare per: gli infanti ed i bambini; le donne incinta; qualunque soggetto che possa presentare una condizioni di debolezza e/o predisposizione.

Pertanto, da quanto osservato, il principio di precauzione trova piena legittimazione in thema di inquinamento elettro-magnetico.

[1] “81. Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, il legislatore dell’Unione deve tenere conto del principio di precauzione, secondo il quale quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (vedere, sentenza Acino/Commissione, C‑269/13 P, EU:C:2014:255, punto 57)”.

“82. Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura non concludente dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute pubblica nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive (v., in tal senso, sentenza Acino/Commissione, C‑269/13 P, EU:C:2014:255, punto 58)”.

Rule of Law, Ancien Regime & European Union

This Post is a brief presentation of Epis’ book:The Meaning of Rule of Law.

This book reports studies that the writer did at the University of Cambridge in 2005/2006.

Nevertheless, this Post is useful for an understanting of: “what” the Principium of Rule of Law is; and “why” I affirmed that the European Union acted sometimes in violation of the principium of Rule of Law, looking a “new form” of Ancien Regime.

Even though the writer believes that:
1) a corpus of legal values should be written inside each Constitution;
2) and Judges, Lawyers and People, have the duty to defend those values against the tendency of the Power to go beyond them; …
… the study affirms that:
1) on one hand, the principium of Rule of Law (and/or Supremacy of Law) does not include a corpus of legal principles (and/or values) inside itself, as somebody affirmed;
2) on the other hand, the principium of Supremacy of Law means a more important legal value: the SUPREMACY of LAW ABOVE the POWER.

It was a Revolution, when Power believed to be above the Law.

It happened, exempli gratia, in France during the Ancien Regime.

Sovereigns, Nobles and whoever had some kind of Power, believed to be above the Law. They were used to act above Law.

Viola P. (1994) gave an example of this. He reported an anecdote happened between the Duke of Orleans and the King of France. When the Duke of Orleans said to the King: “Majesty, but it is illegal!”, the king answered: “No, It is legal because I will”.

The principium of Supremacy of the Law had the aim to end these kinds of Legal Systems. It states that everyone is under the Law.

Sovereigns, Nobles, Bureaucrats, Banks and Financial Powers, are all under the Law.

In other words, they have to comply with the Law. If they do not, they are an Arbitrary Power.

The latter is a Power that: either, it is not given by a Law; or, it is used without following the right procedures, which bind the exercise of that power.

As Power tends to go beyond its limitations, there is Arbitrary Power also inside our modern Legal Systems.

The principium of Supremacy of Law, hence, is still frequently violated. It is proved by some recent events happened inside the European Union and Institutions.

For example, when the President of Euro-group decided to exclude Greece, Varoufakis told him to be illegal (as the Duke of Orleans told to the King of France during the Ancien Regime). So, Varoufakis asked for a legal advice.

The lawyers and bureaucrats of the European Union answered him that the President of Euro-group could act as he/she wants! This is as the Euro-group does not exist for the Law!!

Hence, they argued: the Euro-group is above the Law!!!!!

In other words, the European Union answered like the King of France during the Ancien Regime.

But, if the Euro-group does not exist, the Euro-group is not above the Law.

Actually, all the Powers, Decisions and Acts, of the Euro-group are illegal, unlawful, illegitimate. This is told by the principium of Supremacy of Law.

On the contrary, the European Union is a New Ancien Regime. Nothing more! Nothing less!

So, how is it possible that the principium of Supremacy of Law is still violated, nowadays?

This is as the principium of Supremacy of Law was reduced by Power to be a simulacre a là Bauderillard (1981).

Power makes people forget its true meaning. It was done with a very easy game. A new set of meanings were put inside Supremacy of Law. All of them were pleasant, agreeable and fashionable, principles. But, they were also void principles as much as they were pleasant. At the end, people have forgotten the real meaning of Supremacy of Law.

Power started again to act above the Law a là Ancien Regime!!

Epis L., The Meaning of Rule of Law. Link to the e-book: The Meaning of Rule of Law – Book

Un esempio di come il Diritto può essere ridotto ad una “barzelletta” da alcuni avvocati!

Di recente, Mi è capitato d’assistere ad un fatto “giudicamente esilarante” (!), che non potevo non condividere con i miei lettori.

Nel narrare questa storia (… tratta da un reale procedimento giuridico: Giudice di Pace di Chiavari, Ruolo Generale numero 69/2016, abbreviato in G.d.P. di Chiavari, R. G. n. 69/2016 …), i nomi dei protagonisti sono stati sostituiti con degli pseudonimi. Avendo poca “fantasia”, gli pseudonimi sono quelli tipicamente usati negli esempi giuridici: Tizio; Caio e Sempronio.

Il protagonista di questa storia è Tizio. Tizio è uno dei tanti cittadini italiani, laureati in giurisprudenza. Nonostante ciò, decise di non iscriversi all’Albo degli Avvocati per diversi motivi. Fra questi, si può annoverare “un po’ di nausea” per come il Sistema Giuridico è stato ridotto: un Diritto trasmutato in “barzelletta“, ove la Giustizia non è null’altro che “l’interesse del più forte” (a là Trasimaco).

Ebbene, per farla breve, Tizio decise di citare in giudizio Caio. Caio è un piccolo imprenditore locale. Tizio gli affidò la riparazione hardware d’un computer. Nel farlo, commise lo stesso “errore” che Dio fece con Adamo: espresse un “divieto”. Gli disse di non “toccare” il software, di non accedere alla memoria, e se proprio doveva entrare nel computer, d’usare solo ed esclusivamente l’Utenza chiamata: “Zona Tecnico” (creata appositamente a tal fine).

Caio, di contro, come Eva non seppe resistere alla “tentazione” del “proibito”. Come fu lasciato solo col computer, nonostante non necessitasse d’usare alcuna Utenza (ed in ogni caso avesse a disposizione l’Utenza: “Zona Tecnico”) fece saltare tutte le passwords di tutte le Utenze, causando danni immensi al contenuto del computer, per come questo fu programmato a “resistere” a: tali “attacchi”; ed “accessi” NON autorizzati.

Così Tizio decise di citare Caio stando in giudizio personalmente (ovvero, senza un avvocato).

Utilizzò la procedura prevista dall’art. 316, 2 comma, cpc proponendo la domanda verbalmente al Giudice di Pace, il quale ne fece redigere processo verbale. L’attore notificò la domanda al convenuto (Caio): sia alla sua residenza; sia al suo domicilio; … come risultavano dalla visura fatta presso la Camera di Commercio.

Caio si rivolse ad un avvocato “di grido” di Santa Margherita Ligure: Sempronio. L’avvocato Sempronio, in udienza, fu una Pacchia. Fece costituire due volte il “povero” Caio: una volta come Caio, persona fisica ed imprenditore, che avrebbe ricevuto l’atto presso il suo domicilio; una volta come Caio persona fisica non imprenditore, che avrebbe ricevuto l’atto presso la sua residenza!!!!.

Caio firmò pure due procure nelle due “vesti”!!!!!!!!!!

Questo fu quanto, di più esilarante poteva accadere!! L’avvocato Sempronio non arrivò “a cercare mezzogiorno alle tre” (come direbbe Gurdieff), ma trasmutò il diritto stesso (… persino il suo ABC …) in una vera e propria “barzelletta“.

Con la duplice costituzione, Caio chiese al giudice una duplice condanna alle spese per l’attore!! Ora mi chiedo, invece, se il giudice non dovrebbe condannare duplicemente Caio per lo stesso motivo!!

Infatti, l’errore commesso dall’avvocato Sempronio è imperdonabile (rasentando: la responsabilità professionale; e la violazione della deontologia professionale).

L’impresa individuale non ha personalità giuridica di alcun tipo come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, sez. III Civile, n. 6734 del 2011): “non vi è diversità tra colui che viene indicato come titolare di una “ditta” (o, rectius, “impresa”) individuale ed il medesimo come persona fisica, visto che, per scolastica nozione, quella non ha alcuna autonomia patrimoniale ed il primo si risolve nel secondo, senza possibilità di tenere distinti, in capo al medesimo soggetti, i rapporti a lui facenti capo quale imprenditore e quelli estranei all’impresa“.

Una visione pacificamente riconosciuta pure dalla giurisprudenza di merito, exempli gratia, il Tribunale di Modena (sentenza n. 341 del 2010) ha affermato che la domanda proposta nei confronti d’una Impresa Individuale (alias: “ditta individuale”) deve ritenersi intentata, ai fini della legittimazione passiva, contro la persona fisica del suo titolare, in quanto la ditta non ha soggettività giuridica distinta ma si identifica con il titolare, sotto l’aspetto sia sostanziale che processuale.

Ora, Tizio (conoscendo alcuni dei “mattacchioni” che s’aggirano nel “fu Foro di Chiavari”) volle scongiurare proprio tale incresciosa evenienza. Egli precisò come la citazione fosse fatta contro l’impresa individuale di Caio, ovvero” (… a scanso d’equivoco …) “essendo impresa individuale, contro il Sig.” Caio. L'”ovvero” aveva un ruolo esplicativo, sintetizzante e richiamante, la giurisprudenza indicata supra, proprio per evitare “confusione” negli avvocati!

Purtroppo, come spesso accade, quando si cerca di “prevenire qualcosa” si porta quel “qualcosa” (che si vuole prevenire) ad essere!

Vi ricordate cosa J. R. R. Tolkien fece dire a Galadriel circa il suo Specchio: “Remember that the Mirror shows many things, and not all have yet come to pass. Some never come to be, unless those that behold the visions turn aside from their path to prevent them“.

Un concetto ripreso dal mito greco. Vi ricordate Edipo. Ebbene, il mito d’Edipo non dice nulla di quello che Freud gli fece dire. Freud era solo uno fissato col sesso!! Di contro, il mito d’Edipo esprime proprio il concetto della “Profezia che si auto avvera“, nel momento in cui chi riceve la profezia cerca di fare “qualcosa” per impedire che possa avverarsi!!

Edipo, infatti, non volendo che la profezia si realizzi, cambia direzione. Non torna a Corinto ma decide d’andare a Tebe. Ma fu proprio questo che la fece realizzare!!

Per un capriccioso Fato, ciò accadde anche a Tizio. Tizio, senza bisogno di recarsi a Delphi, conosceva bene gli avvocati locali e cosa avrebbero eccepito. Così, cercò di “prevenire” che il Diritto fosse ridotto a “barzelletta”. Volle subito precisare che l’impresa individuale s’identifica con la persona fisica del suo imprenditore. Ma, nonostante ciò, come c’insegna il mito greco e come Tolkien ha ripetuto, nel momento in cui si cerca d’impedire ad “una visione del futuro” di diventare presente, ecco che questa si realizza.

Così, il diritto tornò ad essere una “barzelletta”!

La domanda che lascio ai miei lettori, ora è questa: chi è il “colpevole”?

L’avvocato iscritto all’Albo!?!?

Tizio che ha tentato d’impedire alla “profezia” di realizzarsi!?!?

Oppure, gli stessi “corsi e ricorsi storici“, che portano i miti a ripetersi nel tempo, nei confronti dei quali le persone non possono far nulla !?!?

In ogni caso questa doppia costituzione in giudizio  dell’imprenditore è un fatto giuridicamente interessante e divertente che non poteva passare in silenzio !!!!!!!!!!!

“Qualcosa” sul “Dogma” della Nullità Assoluta ed Insanabilità degli Atti sottoscritti da chi è privo d’Jus Postulandi

ABSTRACT

In questo Post vengono sviluppate alcune riflessioni giuridiche, analizzando la giurisprudenza di legittimità, sulla “reticenza” mostrata dalla Suprema Corte nel sollevare eccezioni dì incostituzionalità che vadano a “minare” la “Dottrina della Nullità Assoluta ed Insanabile” degli atti sottoscritti da persona priva di Jus Postulandi.

RATIONALE

Alcune persone Mi hanno chiesto “perchè” la Suprema Corte non abbia voluto accogliere l’eccezione di incostituzionalità posta nel secondo motivo del ricorso (RG n. 20029/2011) di cui si è parlato nell’articolo pubblicato l’8 Aprile 2016 (Praticanti Avvocati & Jus Postulandi – La Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, numero 3917 del 20 Gennaio, depositata il 29 Febbraio 2016).

Precisando che si rispetta appieno la decisione della Suprema Corte, come giurista però non posso sottrarmi ad una riflessione in thema. Così, non potendo conoscere le ragioni vagliate dai supremi giudici in camera di consiglio, posso solo fare delle riflessioni giuridiche analizzando la giurisprudenza di legittimità nel suo sviluppo storico.

Per chi non avesse letto l’aricolo del 8 Aprile 2016 si riassume l’eccezione sollevata alla Suprema Corte.

I ricorrenti eccepirono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. (sollevando una questione di legittimità costituzionale degli artt. 82 e 182 c.p.c. verso gli artt. 2, 3, 24, 111 della Costituzione) qualora interpretati in modo tale da escludere categoricamente la sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c. per gli atti sottoscritti da un Praticante Avvocato Abilitato al Patrocinio eccedenti i limiti del suo Jus Postulandi.

La questione di legittimità costituzione riguardava alcune interpretazioni di questi articoli: le norme (proposizioni normative) estratte dalle disposizioni legislative (enunciati normativi). Essa non concerneva le disposizioni legislative in quanto tali.

I ricorrenti “sfidarono” la dottrina della “nullità assoluta ed insanabile” dell’atto introduttivo sottoscritto da soggetto privo d’Jus Postulandi (all’interno del processo civile) osservando come questa dottrina, di fatto, fosse già stata superata all’interno del Nostro Ordinamento nel 2000 (e/o almeno fosse stata messa in discussione).

Infatti, nella giurisdizione tributaria fu sollevata tale questione alla Corte Costituzionale che affermò nella celebre sentenza n. 186 del 13/06/2000 che: l’atto introduttivo del giudizio (ricorso), depositato e sottoscritto da persona sprovvista d’Jus Postulandi, non comportasse l’inammissibilità (e/o una nullità assoluta ed insanabile) dell’atto introduttivo stesso, bensì il potere del Giudice di assegnare un termine perentorio per permettere alla parte di sanare tale irregolarità, nominando un difensore con Jus Postulandi.

Questo creò, all’interno del Nostro Ordinamento, una disparità di trattamento (poco compatibile con l’art. 3 della Costituzione) tra la giuristizione tributaria e quella ordinaria civile. Una disparità di trattamento che non trovava motivi giuridici atti a giustificarla.

Infatti, analizzando le discipline degli artt. 12 della L. 546/1992 (Jus Postulandi nel Processo Tributario) e 82 c.p.c. (Jus Postulandi nel Processo Civile) si scopre che esse sono sostanzialmente simili. In realtà, l’art. 12 della L. 546/1992 trova la sua “ispirazione” nell’art. 82 c.p.c.. Così, non apparirebbe ragione alcuna atta a motivare un diverso regime delle nullità.

Ipotizzando che l’agire del Legislatore è un agire razionale (mirante ad armonizzare la legge ai principii costituzionali), i ricorrenti sostennero che con la novellazione del 2009 si volle eliminare questa disparità di trattamento proprio con l’art. 182 c.p.c., introducendo nel processo civile i principii affermati dalla Corte Costituzionale.

Fu sostenuto che, se il Legislatore volle novellare il codice di procedura civile non lo volle fare per conservare lo status a quo delle cose, ma per introdurre dei cambiamenti.

Questi, nel caso specifico, sarebbero stati: armonizzare le diverse discipline che si erano venute a creare sui difetti di procura e di rappresentanza tra la giurisdizione ordinaria civile e quella tributaria.

Per tali motivi, i ricorrenti sostennero che il Giudice disapplicò l’art. 182 c.p.c. escludendone l’applicazione ai Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio.

La Suprema Corte, di contro, ribadì la pre-vigente dottrina della “nullità assoluta ed insanabile”, “tagliando corto” sui motivi dedotti e sostenuti.

Alcuni lettori, così, mi hanno chiesto alcune riflessioni su tale “reticenza” mostrata dalla Suprema Corte.

LA SENTENZA N. 189 DEL 13 GIUGNO 2000 DELLA CORTE COSTITUZIONALE 

E’ doveroso dire che, per tradizione, la Suprema Corte ha sempre difeso il “dogma” della Nullità Assoluta ed Insanabile degli atti sottoscritti da persona priva di Jus Postulandi.

Infatti, questa dottrina fu sostenuta con forza all’interno dello stesso processo tributario ( Cass. n. 1781 del 03/03/1999; Cass. n. 7966 del 12/06/2000; Cass. n. 10133 del 02/08/2000).

Tale tesi fu “sfidata” dalla setenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 198 del 13/06/2000 (confermata successivamente con l’ordinanza n. 158 del 09/05/2003).

La Corte Costituzionale affermò che la violazione dell’obbligo d’asistenza tecnica, ovvero la sottoscrizione dell’atto introduttivo da persona priva d’Jus Postulandi, non comporti la nullità assoluta ed insanabile e/o l’inesistenza, ovvero l’inammissibilità del ricorso, in quanto fa scattare il potere/dovere dei giudici d’asegnare un termine perentorio per sanare la situazione. Solo nel mancato rispetto del termine si sarebbe verificata l’inammissibilità.

Da un punto di vista giuridico, ci si sarebbe aspettati un adeguamento immediato da parte della giurisprudenza di legittimità nei confronti della decisione della Corte Costituzionale. Ciò però non avvenne.

Inizialmente, infatti, la Suprema Corte “rifiutò″ d’applicare tale decisione. La sezione tributaria della Suprema Corte, infatti, si rifiutò di dare applicazione a tale principio (Cass. n. 1100 del 29/01/2002).

Ciò rese necessario l’intervento delle Sezioni Unite, le quali, di contro, accolsero il principio emesso dalla Corte Costituzionale (Cass., SS.UU., n. 22601 del 08/07/2004).

Solo dopo la decisione delle Sezioni Unite,  la Suprema Corte “accolse” tale principio all’interno della giurisdizione tributaria (Cass. n. 15958 del 13/06/2008; Cass. n. 246 del 09/01/2009; Cass. ord. 19636 del 16/09/2010).

Questo dimostra come la Suprema Corte in thema di nullità assoluta per difetto d’Jus Postulandi tenda a muoversi “cautamente”.

Il ricorso n. 20029/2011 fu il primo ricorso fatto (dalla novellazione del 2009) sull’art. 182 c.p.c. In particolare fu il primo a sollevare tale questione.

Quindi, visti i precedenti, apparirebbe “scontata” una iniziale “titubanza” da parte della Suprema Corte.

Cio non toglie che, come già accaduto nella giurisdizione tributaria, qualora la questione fosse sollevata dai giudici di merito ed accolta dalla Corte Costituzionale, si possa giungere ad una diversa interpretazione.

Ma nel Mondo Giuridico, nulla accade velocemente!

Tasse sulle Concessioni Governative & Utenze di Telefonia Mobile mai possedute – Un Caso

ABSTRACT
Ad alcuni capita di ricevere delle bollette per utenze telefoniche di cui non conoscevano neppure l’esistenza. Ad altri capita di ricevere degli avvivi di accertamento per omesso pagamento della tassa sulle concessioni governative per l’uso di cellulari. Quest’ultima situazione sarebbe “normale” se non fosse che: tale accertamento riguardi utenze mai esistite ed avute. Questi casi sono più comuni di quanto si pensi.

Spesso, dato che tali situazioni sono di modico valore (100,00 – 300,00 euro), non è possibile (di fatto) accedere alla tutela legale. Questo avviene per vari motivi (… che tratteremo in un altro articolo …). Exempli gratia, da una parte è difficile trovare un avvocato disponibile ad assumere cause “bagatellari”. Bagatellare è un processo di modico valore da un punto di vista meramente economico. Il termine non si riferisce all’importanza giuridica. Esso deriva dalla procedura bagatellare (Bagatellverfahren) prevista nel diritto austriaco (usata nella Venezia Giulia e Trentina fino al 1929) che prevedeva per le cause di modico valore forme semplificate. Da un’altra parte, quando si trova un legale e si viene a conoscenza dei costi, le persone preferiscono pagare l’indovuto poiché, alla fine, gli costa meno.

Questo, di fatto, crea una “zona franca d’illegalità” per tutte le questioni di modico valore, nella quale, l’impossibilità fattuale di tutelare il diritto stimola, incentiva ed accresce, i comportamenti illeciti (premiando quest’ultimi).

Non solo, alla fine un atto illegittimo, qualora non impugnato nei termini di decadenza, diventa definitivo.

Da questa situazione c’è solo un’uscita. Per le cause di modico valore, infatti, i cittadini dovrebbero riappropriarsi dell’esercizio della difesa personale. Cosa possibile nella giurisdizione tributaria. Infatti, il legislatore ha concesso l’Jus Postulandi (la possibilità di: sottoscrivere il ricorso; e, stare in giudizio personalmente) alle parti quando il valore della lite è inferiore ai 2.592,28 euro (ex art. 12, 5 comma, del D. L.vo n. 546/1992).

Dato che, molto spesso, i cittadini non sanno come esercitare tale diritto e quali eccezioni proporre, con questo Post si vuole illustrare un caso avvenuto. Esso può rappresentare, per quei volenterosi, un modello utile per affrontare da soli un ricorso in thema.

INTRODUZIONE

Non di rado capita che alcune Compagnie Telefoniche attribuiscano “utenze fantasma” a cittadini ingnari di ciò. Questo, non solo può comportare problemi civilistici, ma anche tributari.

Da un punto di vista civilistico, un soggetto può ricevere una bolletta / fattura per un’utenza inesistente. Il cittadino, così, si trova costretto a presentare un reclamo alla Compagnia Telefonica. Nell’inerzia della Compagnia Telefonica, spetta sempre al cittadino attivare: prima, la procedura di conciliazione difronte al CO.RE.COM. (conciliazione obbligatoria); e poi un processo civile d’innanzi al giudice naturale (che spesso, per valore, è il Giudice di Pace).

Da un punto di vista tributario, di contro, il soggetto può ricevere un avviso di accertamento fatto dall’Agenzia delle Entrate. Exempli gratia, questo accade quando l’utenza riguarda un telefono mobile. Al cittadino può essere “imputato” il non aver pagato la “tassa sulle concessioni governative” sui cellulari.

Quest’ultima evenienza accadde al contribuente di questo caso. Per riservatezza, chiameremo questo contribuente (fittiziamente) Tizio e lo indicheremo in sentenza con la lettera E.

Tizio stipulò un contratto per trasferire due utenze di telefonia mobile (che aveva con la TIM, mantenendo i relativi numeri telefonici) con la Vodafone. Il trasferimento delle utenze, però, NON ebbe mai luogo. Così, sia le bollette e sia le relative tasse governative furono regolarmente pagate da Tizio con  la TIM.

A distanza d’anni, Tizio riceve un avviso d’accertamento per l’omesso pagamento della tassa sulle concessioni governative per un presunto numero telefonico mai avuto. Secondo l’Agenzia delle Entrate, Tizio avrebbe posseduto un’utenza di telefonia mobile con la Vodafone che, di contro, non ebbe.

Infatti, Tizio non ebbe alcuna utenza con la Vodafone!

Falliti i tentativi per ottenere un annullamento dell’atto in autotutela, Tizio presentò Ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale. Durante la fase di Reclamo, l’Agenzia delle Entrate, non si rese disponibile a vagliare le ragioni del cittadino. Non solo, al cittadino non fu permesso neppure di conoscere quali fossero gli atti posti alla base dell’accertamento!!

Solo durante la fase di giudizio, il cittadino poté conoscere ciò che l’Agenzia delle Entrate pose a fondamento dell’accertamento. Ciò fu il contratto stipulato da Tizio con la Vodafone per trasferire le due utenze che aveva con la TIM (come detto supra). Un contratto, che però, non ebbe mai esecuzione e, soprattutto, NON riguardava l’utenza imputatagli.

La Commissione Tributaria, preso atto dell’inesistenza dell’utenza, annulla l’avviso di accertamento.

I MOTIVI DI DIRITTO ECCEPITI DAL RICORENTE

Il ricorrente, innanzi tutto, eccepì: l’assenza del presupposto di fatto per il tributo; la pregiudiziale civile.

L’assenza del presupposto di fatto consisteva nell’inesistenza dell’utenza per cui si chiedeva il tributo. La prova era data dall’inesistenza d’un contratto tra Tizio e la Vodafone per l’utenza in questione.

Una questione che la Commissione Tributaria poteva accertare all’interno d’una pregiudiziale civile.

Come secondo motivo di ricorso, il ricorrente, eccepì la nullità per assenza del contradittorio endo-procedimentale. Quest’ultimo, come ribadito dalla Cassazione (Sez. Unite, sentenza n. 19661/2014) e dalla giurisprudenza di merito (e.g.: Commissione Tributaria Provinciale di Genova, sez. 14, sent. 2019/14/2015) costituisce un principio generale del Nostro Ordinamento sempre applicabile anche in difetto di specifiche previsioni normative ad hoc per il singolo tributo.

Per finire, il ricorrente chiese un rimborso per le spese.

Fu fatto presente che il ricorso fu reso necessario da una assente “collaborazione” da parte dell’Agenzia delle Entrate (exempli gratia: non permise di conoscere gli atti posti a fondamento dell’accertamento; non considerò le istanze del contribuente in sede di autotutela e di reclamo). Tecnicamente, tali comportamenti furono eccepiti come delle violazioni al principio di correttezza (exempli gratia: art. 2 Cost.; art. 1175 c.c; Statuto del Contribuente).

La Commissione, come detto, annullò l’atto impugnato.

Qui è riportato il testo della sentenza.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Commissione Tributaria Provinciale di Genova, sezione 14, riunita con l’intervento dei Signori:

Dott. Di Napoli Raffaele (Presidente)

Dott. Vinciguerra Gabriele (Relatore)

Dott. Simonazzi Roberto (Giudice)

ha emesso la seguente

sentenza

- sul ricorso n. 1359/2015;

depositato il 26/06/2015

- avverso l’Avviso di accertamento n. 13000401 TRIB. ERARIALI 2013, TASSE CC.GG.CEL

contro:

Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Genova

proposto dal ricorrente:

E. L. N. ( … Omissis …)

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Per il ricorrente: annullamento dell’atto impugnato; con vittoria di spese.

Per l’ente resistente: respingere il ricorso; con vittoria di spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ritualmente notificato E. impugnava presso la Commissione Tributaria Provinciale di Genova l’avviso di accertamento n. 13000401 \ 13, anno 2013, relativo al mancato pagamento della tassa di concessione governativa per utilizzo di telefono cellulare.

Sosteneva il ricorrente di non aver mai posseduto un cellulare avente il numero riportato nell’atto di accertamento.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate chiedendo il rigetto della domanda.

La causa era decisa all’udienza del 19.01.16.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle Entrate pretende dal sig. E. il pagamento della somma di euro 127,39 a causa del mancato versamento “delle tasse sulle concessioni governative” per l’utilizzo di telefoni cellulari, e relativamente al n. Vodafone 3477587091.

Non c’è però corrispondenza tra i nn. di telefono indicati sul contratto stipulato in data 25/09/13 tra il ricorrente e la Vodafone, in atti, e quello per cui si richiede il versamento della tassa.

Appare perciò plausibile la tesi di parte ricorrente, che sostiene di non aver mai attivato il n. 3477587091, non avendo avuto seguito i rapporti intercorsi con la Vodafone.

Il ricorso deve essere accolto. Le spese seguono la soccombenza si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA COMMISSIONE

In accoglimento del ricorso, dichiara illegittimo e annulla l’atto impugnato. Condanna la convenuta al rimborso, in favore di controparte, delle spese di giudizio, che liquida in 200,00 oltre rimborso forfettario del 15%.

Genova, 19 / 01 /2016

Il Relatore

Gabriele Vinciguerra

Il Presidente

Raffaele di Napoli

Praticanti Avvocati & Jus Postulandi – La Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, numero 3917 del 20 Gennaio, depositata il 29 Febbraio 2016.

ABSTRACT
Col presente Articolo pubblichiamo la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, del 20 Gennaio 2016 (depositata in Cancelleria il 29 Febbraio 2016) numero 3917 con la quale, in virtù del Principio di Diritto affermato, sono stati chiariti tutti i dubbi interpretativi inerenti all’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati Abilitati al Patrocinio. Nel silenzio della legge, ed in assenza di specifici precedenti in thema nella Giurisprudenza di Legittimità, fino ad oggi, tale disciplina rimase controversa.

L’articolo, che precede al testo della sentenza (riportata per intero nell’appendice in fondo), è scritto da chi ha seguito, passo dopo passo, l’intera vicenda, in fatto ed in diritto, studiando la questione approfonditamente per anni.

Nell’articolo sono riportati ed indicati (in esclusiva per i lettori del sito) i motivi di diritto che hanno reso necessario proporre il ricorso in Cassazione. L’indicazione dei motivi di diritto eccepiti, sostenuti ed argomentati durante lo svolgimento del ricorso, è necessaria ed utile a qualsiasi giurista (Avvocato; Professore; Ricercatore; etc…) che, al di là della massima, voglia comprendere profondamente il Ragionamento Giuridico della Suprema Corte.

Exempli Gratia, un giurista (avvocato) interessato a “ripresentare” la questione di legittimità costituzionale, potrebbe comprendere quali sono stati i motivi di diritto proposti e non cosiderati dalla Suprema Corte al fine di: non rifondare un ricorso sugli stessi motivi; e/o affiancare a quelli, altri motivi non precedentemente considerati. Per un ricercatore, di contro, ciò è fondamentale per comprendere le “direttrici evolutive” del Diritto e della Giurisprudenza.

Il testo della sentenza, infatti, non esplicita chiaramente i motivi che sono stati rigettati. Tale silenzio è “forte”, soprattutto, nel secondo e terzo motivo del Ricorso.

Non solo, i commenti, pubblicati fino ad oggi, hanno mostrato una certa superficialità nell’affrontare le istanze giuridiche alla base della decisione.

In sintesi: il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte risolve la questione giuridica inerente all’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio. In particolare, era dubbio se i Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio potessere, oppure no, proporre appello verso le decisioni del Giudice di Pace, quando la “res contesa” rientrava per valore, materia e territorio, nella loro “competenza”.

La Suprema Corte chiarisce che, nel silenzio della legge, la disposizione normativa debba essere INTERPRETATA RESTRITTIVAMENTE. Pertanto, al Praticante Avvocato con Abilitazione al Patrocinio non è riconoscita la possibilità di proporre appello contro le sentenze del Giudice di Pace (anche qualora la “res contesa” rientri nei limiti di valore, materia e territorio, attinenti al suo “Jus Postulandi“).

La pronuncia riguarda la disciplina del tirocinio forense, ratione temporis, disciplinata dall’art. 7 della L. n. 479 del 16/12/1999 che modificò l’art. 8 del R.D.L. n. 1587/1933.

Di contro, oggi, la disposizione legislativa “in forza” è quella dell’art. 41 della legge n. 247/2012 che ha introdotto la “nuova disciplina dell’ordinamento della Professione Forense”. Questo articolo esclude ai Praticanti Avvocati “… un proprio …” Jus Postulandi. Essi, di contro, possono “… esercitare attività professionale in sostituzione dell’avvocato” presso il quale svolgono “la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo, in ambito civile di fronte al tribunale e al giudice di pace, e in ambito penale nei procedimenti di competenza del giudice di pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, rientravano nella competenza del pretore”.

La sentenza della Suprema Corte può essere vista come una decisone che si pone “in linea” con gli attuali sviluppi legislativi e con le attuali politiche riformatrici che si sono affermate nella riforma dell’Ordinamento Forense del 2012.

INTRODUZIONE

La sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, del 20 Gennaio 2016 (depositata in Cancelleria il 29 Febbraio 2016) numero 3917 pone fine alle discussioni ed alle controversie che si erano venute a formare sull’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio. Da tempo, infatti, ci si chiedeva se i Praticanti Avvocati Abilitati al Patrocinio avessero, oppure no, la facoltà di proporre appello contro le sentenze emesse dal Giudice di Pace, quando la “res contesa” rientrava nei limiti (per: valore; materia; territorio) indicati dall’art. 7 della Legge n. 479/1999.

La questione giuridica affrontata e risolta dalla Suprema Corte ruota attorno alla INTERPRETAZIONE dell’art. 7 della L. n. 479/1999 (cd. Legge Carotti). Un articolo che elenca dettagliatamente e tassativamente i limiti dell’Jus Postulandi attribuito ai Praticanti Avvocati dopo il conseguimento dell’Abilitazione al Patrocinio. Quest’ultimi, infatti, possono esercitare la professione dinanzi al Giudice di Pace ed al Tribunale in composizione monocratica entro alcuni limiti.

La Cassazione ha affermato che l’art. 7 della Legge n. 479/1999 debba essere INTERPRETATO RESTRITTIVAMENTE in quanto eccezione alla regola generale espressa dall’articolo 82 del codice di procedura civile. Con tale affermazione, la Suprema Corte ha ribaltato la tesi dei Ricorrenti che sostenevano, sì, una INTERPRETAZIONE RESTRITTIVA: ma NON della disposizione legislativa (enunciato normativo) che attribuiva l’Jus Postulandi al Praticante Avvocato d’innanzi al Giudice di Pace ed al Tribunale in composizione Monocratica (regola generale); ma delle disposizioni legislative (enunciati normativi) che ponevano le eccezioni a tale Jus Postulandi ponendo dei limiti per valore, materia e territorio (eccezioni alla regola generale che attribuiva l’Jus Postulandi).

Tale disposizione legislativa che riguardava i Praticanti Avvocati nell’esercizio del loro tirocinio, infatti, è un enunciato normativo che, in quanto tale, non può essere interpretato per analogia (e/o esteso a casi simili) proprio perché riguarda i soli Praticanti Avvocati. Di contro, tale disposizione legislativa (nei soli confronti dei Praticanti Avvocati) si suddivide in: una regola generale, che concede a quest’ultimi l’Jus Postulandi dinanzi al Giudice di Pace ed al Tribunale in composizione monocratica; ed una regola speciale, composta da un elenco tassativo di eccezioni, che limita per valore, materia e territorio, l’Jus Postulandi dato. Questa, secondo i ricorrenti, era la struttura della norma esaminata analiticamente.

In questa prospettiva, sempre secondo i ricorrenti, si sarebbe dovuto INTERPRETARE RESTRITTIVAMENTE l’elenco tassativo di eccezioni e limiti.
Una diversità d’opinione, rispetto quella affermata dalla Suprema Corte, che è parte della normale dialettica giuridica necessaria all’evoluzione del Diritto.

Di sfondo, c’erano altre questioni:
• l’applicabilità dei termini e della sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c.;
• alcune eccezioni d’incostituzionalità dell’artt. 82 e 182 c.p.c. (ovvero: d’alcune loro interpretazioni);
• la nullità della sentenza per violazione del principio del contradittorio (che fu messa: sia in narrativa; e sia all’interno degli altri motivi presentati). Essa svolgeva un effetto rafforzativo, echeggiando: sia come un autonomo argomento di diritto; sia come un argomento a fortiori che ribadiva come tali violazioni comportavano la, e furono commesse in, violazione del principio del contradittorio, comportando la nullità prevista dall’art. 101 c.p.c. .

La scelta della Corte di non considerare l’eccezione di nullità detta supra (omettendo alcun riferimento ad essa nel testo della sentenza) sembra più una decisione di economia processuale fatta per evitare un nuovo processo di appello nel quale, il giudice di rinvio avrebbe dovuto decidere secondo il principio di diritto affermato dalla Corte.

In altre parole, la Suprema Corte ha volute evitare una dichiarazione di nullità per una sentenza con la quale si dichiarava nullo un appello, per evitare un nuovo processo di appello nel quale, il Giudice di Rinvio (applicando il principio detto), avrebbe dovuto dichiarare nuovamente la nullità dell’appello !?!? Tutto chiaro?

Tale scelta, non si spiega se non come una decisione di economia processuale. Infatti, solo pochi mesi prima, la Suprema Corte aveva affermato la nullità d’ogni decisione presa in violazione del principio del contradittorio, escludendo la così detta “terza via” e/o la possibilità del giudice d’eccepire d’ufficio qualsiasi questione senza concedere i termini per integrare il contradittorio.

ANTEFATTO

Come ricostruito dalla Suprema Corte, “E.L. ed Ep.Lo. convennero in giudizio il Comune di Rapallo, proponendo opposizione avverso il verbale loro notificato, relativo a contravvenzioni al codice della strada, e chiedendone l’annullamento”.

Infatti, la sanzione era del tutto infondata ed illegittima in base allo stesso verbale ed al rapporto sull’incidente redatto dall’agente di polizia municipale. Durante il procedimento di opposizione, per confermare la sanzione amministrativa emessa, l’agente di polizia municipale del Comune di Rapallo cambiò completamente versione. Per confermare la legittimità della sanzione, egli raccontò i fatti in modo completamente diverso rispetto al verbale ed al rapporto sull’incidente da lui stesso redatto!! Sulla base di tale testimonianza, paradossalmente, il Giudice di Pace di Rapallo rigettò l’opposizione e confermò la sanzione amministrativa compensando le spese di giudizio.

La sentenza fu impugnata per diversi vitia. Tra i più “grossolani” c’erano: la contraddittorietà fra quanto testimoniato dall’agente di polizia municipale e quanto dichiarato nel verbale e nel rapporto sull’incidente; la contraddittorietà della sentenza e del suo sillogismo. Infatti, era impossibile sussumere la conclusione assunta dal Giudice di Pace, una volta poste come premesse: la fattispecie fattuale emergente dal rapporto e/o dalla testimonianza; e la fattispecie giuridica indicata dalla sanzione amministrativa presente nel verbale notificato. Infatti, la sanzione amministrativa emessa dal Comune di Rapallo NON era “compatibile” in entrambe le “versioni” date. A tutto ciò, s’aggiungevano una pletora di altri vitia, in fatto ed in diritto, che rendevano necessario un appello. “Ciliegina sulla torta” era il fatto che, l’agente di polizia municipale, di fatto, dando due versioni completamente diverse: o, fece falsa testimonianza; o, dichiarò il falso in un atto pubblico.

L’appello fu presentato da un Praticante Avvocato con Abilitazione al Patrocinio (… che nel caso specifico fui Io …). Questo poiché fino all’ora, di fatto, ciò era “permesso” nel Foro di Chiavari. Nessuna eccezione, di solito, veniva sollevata sulla questione nel silenzio della legge. Nessuna indicazione diversa fu data dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Chiavari, quando chiesta.

Durante il procedimento d’Appello, infatti, l’avvocato Nicatore (che rappresentava il Comune di Rapallo), non sollevò alcuna eccezione circa l’assenza dell’Jus Postulandi del Praticante Avvocato con Abilitazione al Patrocinio. La questione, di contro, fu sollevata (in violazione: del principio del contradittorio; dell’art. 101 del Codice di Procedura Civile, come novellato dall’art. 45 della legge n. 69 del 18 Giugno 2009; degli artt. 24 e 111 della Costituzione) dal Giudice del Tribunale, Dott. Del Nevo, il quale la rilevò direttamente in sentenza, senza concedere alle parti i termini per integrare il contradittorio. Su tale eccezione rilevata d’ufficio, il Giudice dichiarò la nullità dell’appello per difetto d’Jus Postulandi, così evitò d’entrare nel merito dello stesso. La sentenza, infatti, non si pronuncia, neppure per obiter dictum e/o indirettamente, su alcuno dei motivi di diritto e di fatto oggetto dell’appello, né tanto meno sulla legittimità o meno della sanzione.

La sentenza fu notificata dal Comune di Rapallo a E. L. e Lo. Ep., subito dopo il suo deposito in cancelleria, così che iniziarono a decorrere i termini brevi per proporre Ricorso in Cassazione.

Fu grazie all’avv. Stefano Savi del Foro di Genova, all’ora Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Genova, che il Ricorso fu reso possibile.

Da qui, in poi, devo fare alcune precisazioni. Da una parte, ho da ringraziare diversi giuristi (Avvocati; Professori; Ricercatori; etc…) coi quali ho avuto, a vario titolo, scambi d’idee sul thema (… essi hanno reso possibile trasmutare questo ricorso in una dotta disquisizione giuridica, ove la riflessione sui principi di diritto prevaleva rispetto il fatto sottostante …). Dall’altra parte, ho da dire che ogni responsabilità sulle strategie processuali, sulle eccezioni e sulle argomentazioni giuridiche, usate per sostenere il ricorso (e per l’esito avuto) è solo Mia, nessun biasimo può essere imputato a loro.

Per finire, preciso che il merito del principio di diritto affermato (che piaccia oppure no) è del Giudice Dott. Del Nevo e degli Eccellenti Giudici della Suprema Corte di Cassazione, i quali hanno arricchito di molto i motivi di diritto posti alla sua base.

Tale decisione della Corte, ed il principio affermato, non è una “vittoria” dell’avv. Nicatore (e/o del Comune di Rapallo) che, di contro, non hanno eccepito la questione in Appello ed hanno rivestito un ruolo passivo in Cassazione, limitandosi a “ripetere” quanto affermato ex ufficio dal Giudice Dott. Del Nevo. Anche in Udienza Pubblica (il Comune di Rapallo) si è limitato a sostenere (in una battuta) l’inammissibilità del Ricorso (… una tesi non accolta dalla Suprema Corte di Cassazione).

RICORSO IN CASSAZIONE & LE QUESTIONI GIURIDICHE AFFRONTATE

Col primo motivo di ricorso si era fatta una succinta ricostruzione storica dello sviluppo legislativo inerente all’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati. In essa, furono indicati anche i precedenti della giurisprudenza di merito sui quali era basata la decisione del Giudice Dott. Del Nevo (exempli gratia, la prima sentenza in thema fu emessa dal Tribunale di Modena, sentenza n. 38/2006).

Tale introduzione, che fungeva da argomento storico per guidare il ragionamento giuridico verso le conclusioni prospettate dai ricorrenti, proseguiva nel sostenere che l’art. 7 della L. n. 479 del 16/12/1999 conferiva ai Praticanti Avvocati Abilitati al Patrocinio l’Jus Postulandi di proporre appello contro le sentenze del Giudice di Pace, in quanto, il legislatore non lo escluse.

La possibilità d’appellare le sentenze del Giudice di Pace, infatti, non compariva nell’elenco tassativo dei limiti all’Jus Postulandi concesso (come detto supra). Esso, infatti, non era indicato nei limiti di materia, valore e territorio.

Si era reputato che la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza n. 10102 del 29 aprile 2013) avesse “aperto” ad una interpretazione capace di distinguere fra limiti oggettivi (limiti per: valore; materia; territorio) e limiti funzionali (e.g., attinenti al tipo di: atto; rito processuale; grado di giudizio; etc …). Infatti, nella sentenza n. 10102/2013, la Corte rigettò il ricorso per la violazione dei limiti di valore, riconoscendo (di contro) al Praticante Abilitato l’Jus Postulandi per le cause di lavoro di competenza del Tribunale monocratico (in funzione di giudice del lavoro) quando rientravano nei limiti di valore e territorio previsti. Questo poiché la legge non le escludeva (non ponendo limiti funzionali, e.g. inerenti al tipo di: atti introduttivi; e/o riti processuali; … ma solo oggettivi). Infatti, la Suprema Corte sottolineò che il tenore letterale della norma che riconosceva l’Jus Postulandi negli “affari civili” (limitatamente “alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire 50 milioni”) comprendesse anche le materie del lavoro e della previdenza in quanto non escluse nei limiti successivamente posti.

Allo stesso modo, si ritenne che la legge, nell’attribuire tale Jus Postulandi negli “affari civili”, comprendesse anche la possibilità in capo ai Praticanti Avvocati di proporre appello contro le sentenze del Giudice di Pace quando la “res contesa” rientrava nei limiti di valore, materia e territorio, indicati dall’art. 7 della L. n. 479 del 16/12/1999.

Di tutt’altra opinione è stata, invece, la II Sezione della Corte di Cassazione, che escluse “categoricamente” tale possibilità. Una decisione che, da un punto di vista di politica del diritto, potrebbe inserissi “in linea” con gli attuali sviluppi normativi che hanno “ristretto” ulteriormente l'”indipendenza” e l’Jus Postulandi dei Praticanti Avvocati dopo l’introduzione della “nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” come indicata supra.

Col secondo motivo di ricorso si sosteneva la violazione e la falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. per i motivi, qui infra, illustrati. Questi motivi sono stati posti, anche, alla base delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 82 e 182 c.p.c. verso gli artt. 2, 3, 24, 111 della Costituzione (eccepite nel terzo motivo di ricorso). Le questioni di legittimità costituzione riguardavano alcune interpretazioni di questi articoli, ovvero alcune norme (proposizioni normative) estratte dalle disposizioni legislative (enunciati normativi) e non le disposizioni legislative in quanto tali.

I ricorrenti vollero superare la dottrina della “nullità assoluta ed insanabile” dell’atto introduttivo sottoscritto da soggetto privo d’Jus Postulandi (all’interno del processo civile) osservando come questa dottrina, di fatto, fosse già stata superata all’interno del Nostro Ordinamento nel 2000 (e/o almeno si erano create delle “brecce”).

La giurisdizione tributaria, infatti, sollevò tale questione alla Corte Costituzionale che, in tale occasione, affermò che l’atto introduttivo del giudizio (ricorso), depositato e sottoscritto da persona sprovvista d’Jus Postulandi, non comportasse l’inammissibilità (e/o una nullità assoluta ed insanabile) dell’atto introduttivo stesso, bensì il potere del Giudice di assegnare un termine perentorio per permettere alla parte di sanare tale irregolarità, nominando un difensore con Jus Postulandi (sentenza n. 186 del 13/06/2000).

Questo creò, all’interno del Nostro Ordinamento, una disparità di trattamento che si accordava poco con l’art. 3 della Costituzione, non essendoci motivi razionali atti a giustificare ciò.

Infatti, le discipline degli artt. 12 della L. 546/1992 (Jus Postulandi nel Processo Tributario) e 82 c.p.c. (Jus Postulandi nel Processo Civile) sono sostanzialmente simili. Esse non giustificano un diverso regime delle nullità.

Così la disparità che si è venuta a creare fra la giurisdizione ordinaria civile e la giurisdizione tributaria creava un problema con l’art. 3 della Costituzione. La prima rimase ancorata ad antiche tradizioni (per di più di creazione dottrinale), la seconda s’evolse fino a permettere la sanabilità del vitium.

Così, i ricorrenti, assumendo che l’agire del Legislatore è un agire razionale (mirante ad armonizzare la legge ai principii costituzionali), sostennero la tesi secondo la quale con la novellazione del 2009 il Legislatore, razionalmente, volle eliminare tale disparità di trattamento, portando ad una “uniformazione” della disciplina proprio con l’art. 182 cpc.

Fu sostenuto che, i motivi che spinsero il Legislatore a novellare il codice di procedura civile non potevano essere quelli di conservare lo “stato delle cose” immutato, ma introdurre in esso delle novità! Queste “novità” dovevano rispecchiare i principii costituzionali e portare “discipline uniformi” e razionali all’interno dell’Ordinamento.

Nel caso specifico, fu sottolineato come l’articolo 182 cpc, muovendosi in tale spirito, avrebbe uniformato le diverse discipline che si erano venute a creare sui difetti di procura e di rappresentanza tra la giurisdizione ordinaria civile e quella tributaria. In altre parole, avrebbe uniformato le conseguenze che avrebbero colpito l’atto introduttivo firmato da soggetto privo di Jus Postulandi.

Non a caso, l’art. 182 c.p.c. fu introdotto nel diritto processuale civile (dopo forti resistenze). Il suo tenore letterale sembrava proprio introdurre (nel processo civile) il principio affermatosi nel 2000 all’interno del processo tributario detto supra.

Per tali motivi, i ricorrenti sostennero che il Giudice mis-usò e disapplicò l’art. 182 cpc, poichè questo articolo, come novellato nel 2009, non si limitava ai difetti di rappresentanza e/o di procura degli avvocati.

Questo punto, espresso sintenticamente, fu uno degli argomenti presentati. Un argomento che può essere ampliato di molto, osservando come vi sia un forte parallelismo fra i due articoli. Entrambi, infatti, prevedono l’Jus Postulandi per i soli iscritti agli albi professionali, rilegando la difesa personale come eccezione alla regola per alcune cause di modico valore. L’art. 12 della L. 546/1992, in altre parole, fu modellato sulla base dell’art. 82 cpc anche se estendeva l’Jus Postulandi ad altri professionisti iscritti nei relativi albi (e.g. Commercialisti).

Infatti, la lettera della disposizione legislativa, autorizzava il Giudice, una volta rilevato un qualsiasi difetto di rappresentanza e/o di assistenza e/o di autorizzazione, ovvero un qualsiasi vizio che determini la nullità della procura al difensore, di assegnare alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa.

Quindi si ritenne che il tenore letterale era così ampio da inglobare qualsiasi difetto: di nullità; di procura; di rappresentanza. Infatti, non solo riguardava i soggetti che operavano come “sostituti processuali” (avvocati), ma anche i rappresentati di persone giuridiche. Escluderne l’applicazione ai soli Praticanti Avvocati avrebbe creato una disparità di trattamento ingiustificata nel nostro Ordinamento verso gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Per tali motivi, si ritiene che l’art. 182 c.p.c. fosse applicabile nel caso specifico. Ogni diversa interpretazione sul modus procedendi e sull’interpretazione degli artt 82 e 182 cpc avrebbe contrastato coi principii costituzionali (art. 2; l’art. 3; l’art. 24; l’art. 111) visti: sia come criteria esegetici delle fonti subordinate; e, sia come “linee guida” per il Legislatore.

Nonostante ciò, la Suprema Corte decise di ribadire (all’interno del processo civile) la pre-vigente dottrina della “nullità assoluta ed insanabile”, “tagliando corto” sui motivi dedotti e sostenuti.

CONCLUSIONI

Con questo articolo si sono illustrati tutti gli aspetti rilevanti e tutte le questioni giuridiche sottostanti, che sono state sostenute e sono state poste alla base della decisione presa dalla Suprema Corte, così che qualsia giurista (Avvocato; Professore; Ricercatore; etc…) possa acquisire una piena consapevolezza sul thema, su come sono avvenuti gli sviluppi giurisprudenziali e quali sono state le argomentazioni proposte e scartate dalla Suprema Corte.

In questo modo, qualora qualcun’altro voglia ripresentare, studiare e/o sviluppare, la questione può aver chiari tutti i punti e tutti gli aspetti che sono stati già: prospettati; studiati; eccepiti; argomentati; considerati; e … rigettati dalla Suprema Corte.

RINGRAZIAMENTI:

I ringraziamenti sono molteplici, mi scuso se nel farli possa omettere qualcuno. Innanzi tutto, ringrazio l’avv. Stefano Savi per aver reso possibile questo ricorso. Da grande penalista, lo ha arricchito sottolineando l’importanza d’un’esposizione chiara, sintetica e centrata sui punti chiave. Tutti insegnamenti importanti, che hanno “corretto” le “cattive abitudini” acquisite da alcuni civilisti, che di contro, “tendono” a dilungarsi in argomenti ridondanti per “tuziorismo” difensivo. Si ringrazia l’avvocato Michaela Calzetta (penalista) che ha contribuito alla redazione dell’atto introduttivo.

Ringrazio il Foro il Genova in generale (… da sempre, per tradizione, Scuola di Massima Eccelenza Giuridica …) per: averMi “adottato”; aver reso possibile trasformare questo ricorso in una costruttiva crescita giuridica, una occasione di riflessione atta a contribuire all’evoluzione del Diritto ed alla sua chiarificazione, … tutte cose che non furono possibili nel “fu” Foro di Chiavari.

Ringrazio anche tutti i Professori e Ricercatori con i quali, a vario titolo, ho avuto l’occasione di parlare e/o avere brevi, ma significativi scambi. Tra di essi, voglio ringraziare il Prof. Costanzo (costituzionalista dell’Università di Genova) ed il Prof. Costantino (processualista civile dell’Università degli Studi Roma Tre). Il primo ha arricchito la riflessione giuridica portandoMi a riflettere su alcuni themae, oltre a “spronarMi” con la sua chiarezza concettuale ad abbandonare gli stili “confusi e confondenti” che, di contro, s’affermano nella pratica, prendendo talvolta il sopravvento. Il secondo Mi ha indicato alcuni suoi articoli che lessi con molto piacere, articoli che ho trovato fondamentali per giungere ad una più profonda comprensione del processo civile. Entrambi, in ogni caso, hanno: trasmesso la “passione” per il Diritto; permesso di trasformare un procedimento giuridico (… diciamolo pure, di modesto valore …) in un’occasione di crescita giuridica ineguagliabile.

Grazie.

APPENDICE: La Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, n. 3917 del 20 Gennaio, depositata il 29 Febbraio 2016. Testo Integrale.

TESTO DELLA SENTENZA

Suprema Corte di Cassazione
Sezione II Civile
Sentenza 20 Gennaio – 29 Febbraio 2016, n. 3917

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente -

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere -

Dott. MATERA Lina – Consigliere -

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere -

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20029/2011 proposto da:

E.L.N. (OMISSIS), EP.LO. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli Avv.ti SAVI STEFANO, MINOTTI DANIELE, quest’ultimo per proc. not. del 2/10/2015 rep. n. 36958;
ricorrenti -

contro

COMUNE RAPALLO (OMISSIS), IN PERSONA DEL SINDACO P.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato PETRETTI ALESSIO, rappresentato e difeso dall’avvocato NICATORE ANDREA;
controricorrente -

avverso la sentenza n. 286/2011 del TRIBUNALE di CHIAVARI, depositata il 18/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato Minotti Daniele difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Petretti Alessio con delega depositata in udienza dell’Avv. Nicatore Andrea difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. E.L. ed Ep.Lo. convennero in giudizio il Comune di Rapallo, proponendo opposizione avverso il verbale loro notificato, relativo a contravvenzioni al codice della strada, e chiedendone l’annullamento.

Nella resistenza del convenuto, il Giudice di Pace di Rapallo rigettò l’opposizione.

2. Sul gravame proposto dagli attori, il Tribunale di Chiavari, in composizione monocratica, dichiarò la nullità dell’atto di appello, in quanto sottoscritto da praticante avvocato, ritenuto non abilitato alla sottoscrizione dell’atto di impugnazione.

3. Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione E.L. ed Ep.Lo., formulando tre motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Rapallo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 479 del 1999, art. 7, per avere il Tribunale ritenuto che il praticante avvocato non fosse abilitato a proporre appello innanzi al Tribunale in composizione monocratica avverso le sentenze del giudice di pace; a dire del ricorrente, dovrebbe invece ammettersi il patrocinio del praticante avvocato nel giudizio di appello innanzi al Tribunale in composizione monocratica avverso le sentenze del giudice di pace, poichè il detto art. 7 non distingue tra giudizio di primo grado e giudizio di appello.

La censura non è fondata.

Va premesso che il caso sottoposto al giudizio di questa Suprema Corte, essendo relativo ad una causa iniziata con ricorso depositato il 17.9.2009 e ad un atto di appello proposto l’11.5.2010, è soggetto ratione temporis alla disciplina del tirocinio forense di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 e successive modificazioni (e non alla nuova disciplina dello svolgimento del tirocinio di cui all’art. 41 della sopravvenuta L. 31 dicembre 2012, n. 247, che ha introdotto la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”).

Il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (convertito, con modificazioni, dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36 e successive modificazioni) prevede che il praticante avvocato, durante il periodo di pratica forense, possa esercitare un patrocinio limitato nell’attività professionale (solo dinanzi alle Preture del distretto della Corte di Appello nel quale è iscritto per la pratica) e nel tempo (dopo un anno di iscrizione nel registro e per non più di sei anni: R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 8; L. 27 giugno 1988, n. 242, art. 10, recante “Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale”), sottoposto ad una particolare vigilanza del Consiglio dell’ordine di appartenenza (R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 14, lett. c) e a speciali adempimenti attinenti alla frequenza di uno studio di avvocato e all’esercizio del patrocinio (R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 17, n. 5; R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, artt. 1 e segg. recante “Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore”; D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, artt. 1 e segg., recante “Regolamento relativo alla pratica forense per l’ammissione all’esame di procuratore legale”).

Viene, pertanto, riconosciuto ai praticanti avvocati uno speciale status abilitativo provvisorio, limitato e temporaneo, giustificato dalle esigenze di svolgimento del tirocinio e in vista degli esami da affrontare per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione forense e l’iscrizione nel relativo albo (in tali termini, Corte Cost.: Sentenza n. 5 del 1999; Sentenza n. 127 del 1985; Ordinanza n. 75 del 1999; Ordinanza n. 163 del 2002).

Tale speciale status abilitativo provvisorio costituisce eccezione alla regola generale per cui il patrocinio legale è consentito previo superamento dell’esame di stato ed iscrizione all’albo degli avvocati; pertanto, le norme che consentono l’esercizio del patrocinio a chi, come il praticante avvocato, non ha superato l’esame di stato e non è iscritto nel detto albo professionale introducono un’eccezione ad un principio generale e come tali sono di stretta interpretazione.

A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 che ha soppresso l’ufficio del pretore ed ha istituito il giudice unico di primo grado, l’ambito di esercizio di tale speciale abilitazione riconosciuta ai praticanti avvocati è stato rideterminato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 7, che stabilisce che i medesimi, dopo il conseguimento dell’abilitazione al patrocinio, possono esercitare l’attività professionale ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 nelle cause di competenza del giudice di pace e dinanzi al tribunale in composizione monocratica, limitatamente: a) negli affari civili: 1) alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni; 2) alle cause per le azioni possessorie, salvo il disposto dell’art. 704 c.p.c., e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’art. 688 c.p.c., comma 2; 3) alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie; b) negli affari penali, alle cause per i reati previsti dall’art. 550 c.p.p. (in tali termini, la lett. b, relativa agli affari penali, è stata modificata dal D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 2 terdecies, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2000, n. 144).

Orbene, come è dato constatare nell’esame del testo della disposizione appena richiamata, nell’elenco delle materie per le quali il praticante avvocato è abilitato al patrocinio dinanzi al Tribunale elenco che ha carattere tassativo non sono richiamate le cause di competenza del giudice di pace ai sensi dell’art. 7 c.p.c. (cause relative alle apposizione di termini e all’osservanza delle distanze per il piantamento di alberi e siepi; relative alla misura e alle modalità d’uso dei servizi condominiali; in materia di immissioni e in quelle relative ad interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali); nè è comunque prevista la possibilità in generale per il praticante avvocato di esercitare lo ius postulandi dinanzi al Tribunale in composizione monocratica quando tale organo eserciti ai sensi del combinato disposto degli artt. 341 e 350 cod. proc. civ. le funzioni di giudice di appello avverso le sentenze del giudice di pace.

Poichè la disposizione di cui alla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 7 introduce una eccezione alla regola generale per cui il patrocinio legale è subordinato al superamento dell’esame di stato e all’iscrizione nell’albo degli avvocati, se ne impone una stretta interpretazione e ai sensi dell’art. 14 preleggi non ne è consentita l’interpretazione estensiva, non potendo quanto essa prevede essere esteso oltre i casi da essa considerati.

E’ ben vero che le cause che l’art. 7 cod. proc. civ. individua per valore come di competenza del giudice di pace (cause relative a beni mobili di valore non superiore a 5000 Euro e quelle relative a risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti di valore non superiore a 20.000 Euro) potrebbero rientrare in astratto tra quelle per le quali la L. n. 479 del 1999, art. 7, lett. a), n. 1 (cause di valore non superiore a lire cinquanta milioni delle vecchie lire) ammette il patrocinio del praticante avvocato dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.

Tuttavia, nel silenzio della legge, deve escludersi che il legislatore abbia inteso concepire un sistema nel quale il patrocino del praticante avvocato nel giudizio in appello dinanzi al Tribunale in composizione monocratica sia consentito per alcuni segmenti della competenza del giudice di pace (quelli individuati per valore) e non per gli altri, con conseguente incoerenza del sistema.

In definitiva, nel silenzio della legge relativamente alla possibilità del praticante avvocato di esercitare il patrocinio in grado di appello e in considerazione del fatto che le norme che riconoscono lo ius postulandi al praticante avvocato sono di stretta interpretazione, va esclusa la possibilità di riconoscere al praticante avvocato l’esercizio dello ius postulandi in grado di appello dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.

Alla stregua di quanto sopra deve enunciarsi il seguente principio di diritto: “Il praticante avvocato non è legittimato ad esercitare il patrocinio nel giudizio di appello che si svolge dinanzi al Tribunale in composizione monocratica nelle cause civili di competenza del giudice di pace”.

2. Col secondo motivo di ricorso, proposto in subordine, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 182 cod. proc. civ., per avere il Tribunale una volta verificato che il difensore degli appellanti era privo di ius postulandi omesso di assegnare agli stessi un termine perentorio per il rilascio della procura alle liti, secondo quanto prevede l’art. 182 cod. proc. civ..

Anche questa doglianza è infondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, l’iscrizione nell’albo professionale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 24 e segg., ha natura costitutiva ai fini dell’esercizio della libera professione forense davanti ai Tribunali o alle Corti di appello, con la conseguenza che l’atto introduttivo del giudizio di impugnazione sottoscritto da un praticante procuratore, non ancora iscritto nell’albo professionale degli avvocati ed abilitato a svolgere soltanto l’attività indicata nell’art. 8 del R.D.L. cit., è affetto da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, data la stretta attinenza alla costituzione del rapporto processuale (Sez. 1, Ordinanza n. 20436 del 23/09/2009, Rv. 610035; Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 23/03/1988, Rv. 458282; Sez. 3, Sentenza n. 26898 del 19/12/2014, Rv. 633782).

Poichè il difetto di ius postulandi dà luogo ad una nullità assoluta e insanabile, è escluso che il giudice possa concedere, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2, un termine perentorio per la sanatoria di un vizio insuscettibile di essere sanato.

3. Col terzo motivo di ricorso, proposto in estremo subordine, si eccepisce infine l’illegittimità costituzionale degli artt. 82 e 182 cod. proc. civ., come interpretati dal giudice di appello, per violazione degli artt. 2, 3 e 24 Cost..

La questione di legittimità costituzionale, come prospettata dal ricorrente, è manifestamente infondata.

Questa Corte ha già affermato, e non può che ribadire, che la questione di legittimità costituzionale della disposizione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, denunciata, in relazione all’art. 24 Cost., in quanto affida alla discrezionalità del giudice istruttore l’assegnazione di un termine per la regolarizzazione del difetto di assistenza, rappresentanza o autorizzazione, è priva di rilevanza allorchè non si tratti di difetti attinenti alla capacità processuale, quali sono quelli cui si riferisce la disposizione denunciata, ma di nullità assoluta e quindi insuscettibile di produrre qualsiasi effetto o di essere sanata dell’atto di citazione, ai sensi del terzo comma, dell’art. 82 cod. proc. civ., per mancanza dello ius postulandi (Sez. 2, Sentenza n. 4357 del 26/07/1985, Rv. 441821).

Quanto agli altri profili della dedotta questione di legittimità costituzionale, essi non superano la soglia dell’assoluta genericità e, comunque, risultano manifestamente infondati, risultando gli artt. 82 e 182 cod. proc. civ., nella interpretazione datane da questa Corte, perfettamente compatibili con le norme costituzionali richiamate.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. In considerazione della questione giuridica sottoposta e dell’assenza di precedenti specifici nella giurisprudenza di questa Corte, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 20 Gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 Febbraio 2016

NIETZSCHE ON RULE OF LAW AND DEMOCRACY – PART I (Introduction; Nietzsche’s Nihilism & Empiricism)

BLOGGER’S COMUNICATION:

Nietzsche on Rule of Law and Democracy è stato pubblicato in forma integrale.  Il Saggio in PDF con l’Indice, la Bibliografia, le note a piè di pagina, etc …, lo potete trovare nella pagina DIRITTO & CRIMINOLOGIA.

ENGLISH

Nietzsche on Rule of Law and Democracy have been published.

The Book in PDF with IndexBibliography, etc … is available in the page LAW & CRIMINOLOGY.

ABSTRACT

Although this study presents and elaborates the philosophy of Nietzsche about Rule of Law and Democracy, it is an analysis of the Simmonds’ Legal Theory. Simmonds was Reader of Jurisprudence at the University of Cambridge in 2005/2006. Right at that time, he developed and published an article, Law as a Moral Archetype, where he presented (for the first time) “his” Legal Theory. This study reports one the first criticisms, which were done, about “his” Legal Theory as it was published and lectured at that time.

It is argued that Simmonds’ Legal Theory is not original at all. Simmonds took previous ideas of other philosophers (such as: Plato; Saint Augustine; Ockham; and the Italian Ardigò) to elaborate a “different theory” from Finnis’ Legal Theory, which (on the contrary) took a lot from Saint Aquinas. But, Simmonds did not archive a good result, as he “corrupted” the former philosophical ideas to something that (at the end): sounded “weird” and “discriminatory”; leaded to totalitarian and intolerant views.

Furthermore, this study presents the Epis’ Legal Theory (as it was formulated at that time): Law as a Social Prototype.

 

INTRODUCTION

Truth, Nihilism and the “empiricism” of Nietzsche

According to Vattimo G. (1974; 1986; 1988; 1992), Nietzsche prepared the groundwork for the Post-Modernism. This is supported by the strong relationship between the Nietzsche’s Nihilism and the Post-Modernism’s view. Indeed, Nietzsche was “the prime theorist of nihilism in modernity … (and) … also one of the prime precursors of postmodern theory in the philosophical tradition. This means, then, that Nietzsche’s thought contains large elements of what—in retrospect—may be called “postmodern”. It also suggests that to a certain extent his theory of modernity may in fact be prophetic of postmodernity” (Woodward A. 2002).

Even if I disagree with Vattimo G. (1986; 1988; 1992) and Woodward A. (2002), this study starts analysing Nietzsche’s Nihilism.

Nietzsche’s Nihilism is the logical answer at any attempt (made by Humanity) to investigate the foundation of Truth, Values and Life’s meaning, inside metaphysical realms inhabited by Gods and Idols, instead of the physical and empirical one. Nietzsche explained this, using the paradigm of Christian Morality.

But, Nietzsche’s philosophy is not a Discourse pro or contra either metaphysics or physics in themselves. Nietzsche’s philosophy does not want analysing the different theories of knowledge for supporting one of them, instead of another one. Simply, Nietzsche wanted to put the individual at the centre of his philosophy. He wanted to suggest a change of prospective. According to Nietzsche, the singular individuals are the source of their own Truth, their own Values and their own Life-meaning.

Indeed, all the time human beings attempt to look for an answer outside them(selves), they fall into nihilism. There is NOT any empirical reality outside the individual experience. The empiricism of Nietzsche is not Materialism and/or Reductionism (against any metaphysical reality in itself). It is not also scientism. But, the empiricism of Nietzsche is an individual empiricism for the reasons that are clarified infra (below).

  

The only EMPIRICAL REALITY is the INDIVIDUAL EXPERIENCE

After Nihilism proved that: no absolute Truth exists; all the different points of view have the same epistemic value and dignity; no Certainty is real; etc …; … individuals found themselves in front of a choice. On one hand, they could choose to believe in, and to live for, their own Truth (that comes from their own living experiences). On the other hand, they can choose to “believe” in, and to serve, the point of view of someone else.

Knowledge and Power

Nietzsche would have agreed with Foucault that Power and Knowledge are the two faces of the same coin. The society, indeed, is nothing more than a relationship of power among people. People are divided in two main groups: Masters and Slaves. The form (which those two groups and their bond take) changes: from Time to Time; from Culture to Culture; from Legal System to Legal System. But, at the end, the substance is always the same. Few persons lead; the majority follows.

Knowledge, Ethics and Education, are functional means for this kind of hierarchical structure. As Power cannot employ brutal physical force to make people serve its own interests in the modern societies, the role of creeds, beliefs and propaganda, is dramatically increased.

Indeed, beliefs have become the new form of “slavery’s chains”. They are used by Power to make people serve its own interests. But, beliefs have nothing to do with Truth. Simply, to believe is to have faith in something like a dogma. Persons do not have any knowledge about their beliefs, but they are certain of something as someone else told it!!!! In other words, people accept as true, rely on, anything that is stated and supported by Authority, Social Pressure and Groupthink. These forces make people live and believe in a Hyper-Reality (which they build for their own aims), but Hyper-Reality is NOT Reality. Hyper-Realty is a Realm of illusions and lies. People have faith in those beliefs (and act in compliance of them) as a sheep follows the flock!!!!. But faith, … it does not matter in / for What (Religion; Science; State; etc…) is always been one of the worst mean to archive Knowledge. This is Nietzsche’s message.

Nowadays, the framework of Weick’s studies about sensemaking and enactment could be operatively used to explain as Power uses and misuses beliefs to pursue its own aims. They should not be limited for approaching only the working contexts inside the Companies. Actually, they are very useful for analyzing the general social dynamics.

From Knowledge to Nihilism

As knowledge has served and has been serving Power and its interests, any investigation on beliefs’ foundations turns to be untrue.

Gods and Idols are used to found most beliefs as they cannot be founded anywhere else. Moreover, God was (in a retrospective way) the first Global Panopticon!! As Power could not control people 24 hours per day, Power makes people believe that God can. So, people complied with Power’s Will, fearing the punishment of God. In other words, God was employed by Power like a Panopticon’s gaoler!!!! God’s job was: to watch everyone 24 hours per day; to punish those people who disobey or infringe Authority’s norms. But, a God reduced to be a Panopticon’s gaoler is not anymore God. Can you believe in an omnipotent Being, who created the entire universe to make all His Creation be a Panopticon? Can you believe in a God who reduced Himself to be a Panopticon’s Gaoler and/or a Prison Director?!?!?!?

No, it is not believable.

 “I conjure you, my brethren, remain true to the earth and believe not those who speak onto you of hopes beyond the compass of the earth! Poisoners are they, whether they know it or not”

Nietzsche, Thus Spake Zarathustra, Prologue, III.

Why are Gods and Idols used to found Truth and Values?

Surely has God been a good mean of Social Control.

Yet, God has been and is a way to exit from the Agrippa’s trilemma (also called: Munchhausen trilemma).

The Agrippa’s trilemma is an Epistemological Argument that goes back to Ancient Greek Skepticism. In the modern time, Hans Albert has re-formulated it. According to Albert, the Munchhausen trilemma is able to prove the impossibility to found and to justify any truth and/or value with any existing method (deductive; inductive; causal; transcendental; logical; etc …). The trilemma proves the impossibility to found any truth. Any attempt, indeed, falls into one of these three cases:

  1. regressive argument ad infinitum or progress ad infinitum. Each proof requires a further proof ad infinitum. This argumentum: both, is not practicable; and, does not provide any certain foundation;
  2. vicious circle and/or circular argument (known in scholasticism as diallelus). The belief is based on circularity (a logical circle in the deduction). At a certain stage of the chain of arguments, a proof needs for its own foundation a previous “proof”, which needs for its own foundation the subsequent proof!! In other words, the latter is based on the former; the former on the latter. Exempli gratia, A is based on B, B is based on C, C is based on D. But, D is based on A. This is a circle. It does not lead to: both, any certain foundation; and, any final proof;
  3.  break of searching. At a certain point, people get tired to look for proofs and evidences of their beliefs. So, they end their researches at some stages. They create an assumption. An assumption is nothing more than a hypothesis that is not proved. Yet, they pretend those assumptions to be self–evident (axiomatic argument)!! But, this is nothing more than cheating.  According to Albert, even if an axiomatic argument can appear “reasonable” to lay people, it is nothing more than a random suspension of the principle of sufficient reason. It does not lead to any certain proof. It leads only to: both, Dogmas; and, ipse dixit!

So, at the end, Truth and Values cannot be found with any method. Thus, God was employed like “break of searching”. God was able to link together: the axiomatic argument with the Authority argument.

But, God was not the source of the beliefs that were founded on Him!

As we told supra (above), those truths and values were “all too human things”.

Where you see ideal thing, I see – human, alas all too human things

Friedrich W. Nietzsche, Human All Too Human

Nietzsche used the Catholic religion like paradigm. Christian beliefs, indeed, have changed continually from Time to Time to serve the Power’s interests. Those changes were not a change of mind of God, but they were a change in the historical interests of the pro tempore Power.

According to Weick’s framework, Power uses beliefs to make people work in compliance with its aims. The beliefs have been used and have been in the progress of being used by Power like human software. To make a computer do something, you need software. In the same way, to make people do something, you need to make them believe something.

The paradigm of God works also for idols.

Science, Psychology, Technology, Economics, Finance, Political Ideologies, etc…, could be idols. They are idols each time they demand faith. They are idols each time people have faith in them. They are idols each time they ask for homologation.

There is no difference in having faith in them and/or in God. There is no difference for people to homologate themselves in God’s Will and/or in Psychological / economical / political / etc … / constructs. All of them are human creations.

The social mechanisms behind faith and homologation are the same. Both of them, soon or later, lead to intolerance, discrimination, fanaticism, violence, and all the worst actions that Humanity has done in the History.

As Dominican monks were able to commit the most ferocious atrocities “in the name of” God, due the same blind faith (nowadays) scientists, psychologists, statesmen, financiers, …, can commit any kind of atrocity “in the name of” their new Idols. Instead of a Theocratic Tyranny (with its Holly Inquisition), these idols will found a Technocratic Tyranny (with its Profane Inquisition[1]). But, both of them are the same. Both of them demand homologation, faith, submission to the Power’s will. Sciences, indeed, is just a Power’s matter. The same beliefs and truths, which are part of the Scientific Paradigm, are consequences of the relationships of power among the members of that Scientific Community (Lyotard). Changes in the relationships of power become changes in the beliefs and in what is assumed to be true in that Paradigm, …, and vice versa. Power and Knowledge are the same, as we told supra (above).

Into Nihilism. The Choice: are You a Master or a Slave?

As Truth cannot be reached by any Science, any Religion, any Discipline, and any Methodology; …

As Truth and Justice, at the end, are nothing more than the interest of the most Powerful a là Trasimacus; …

As Power is, in its very Nature, the force to impose one point of view onto any others; …

… People find themselves into Nihilism.

So, the question is: is it possible to survive into Nihilism?

According to Nietzsche, it is.

Nihilism states only that it is not possible to found any Truth and/or Value in the external World. Each person should become the source of his/her own Truth and Values. Some people are able; other people are not. The latter prefer to follow the truth and values of other people instead of theirs own.

In other words, Nihilism marks the boundary between Masters and Slaves. Masters are those people who are able to trust themselves and to determinate their own Truth and Values.

On the contrary, slaves need to “trust” and to “serve” the point of view of someone else.

So, Nihilism puts the human beings in front of a choice.

Nihilism asks: “Are you a Master or a Slave?”

The answer depends from the individual ability to stand alone into Nihilism or not.

A Master is able to: stand-alone into Nihilism; go against the flow; be different from the flock; be creator of his own universe, truth, values, and life-meaning.

A Slave is not able. He/she prefers acting like a sheep and/or lemming. He/she needs: to follow uncritically the flock; to homologate and to uniform him/herself to the group to feel “normal”; to believe that who acts differently from the group is crazy. Psychopathology is the creed of the slaves. Psychopathology is a creation of the slaves’ thought. They demand norms and models. They need to homologate themselves to those norms and models. To be a flock of sheep, they need to be uniformed to those norms and models. Thus, they cannot tolerate anything that is different from their norms and models. Everything is different, indeed, must: either, be eliminated; or, be forced to conform to their norms and models. Everything is different from them, it is a threat and menace to: the flock; the Only-Allowed-Thought. As they think themselves normal, sane, right, …, everything is different must be abnormal, insane, crazy. As it/he/she is insane, they feel themselves to be justified, to force it/he/she to homologate to the flock. So, psychopathology has become the New Profane Inquisition. Psychopathology has become the justification and the instrument to make people: uniform to the flock; be uncritical servants of the Power and its Only-Allowed-Thought. Psychopathology has become a “mean” to create a new form of slavery. To be “normal” is to comply with, to believe in, the Only-Allowed-Thought.    

So, which will your answer be, when you find yourself in front of Nihilism?

 

From Nihilism to Individual Empiricism: the implosion of the dichotomy between Nietzsche’s Philosophy and Christian Religion!!   

Once human beings find themselves alone into Nihilism, they can only make one of the two above choices.

People, who are overwhelmed by fear, will look for a shelter into the point of view of someone else. They will not be able to live without absolute certainties; so, they will ask for someone, who is able to give them dogmas. They will look for an Only-Allowed-Thought at which uniform themselves. On the contrary, individuals, who are able to stand alone into Nihilism, will find a new beginning. Paradoxically, although Nietzsche’s speech seemed to be against the Christian God, they discover themselves “God’s sons”!!!!

According to the Bible, God made human beings look like Him. God was the Creator. He was the first being able to stand alone into Nihilism. Hence, his sons should be creators; his sons should be able to stand alone into Nihilism; … as He did at the beginning of the Time.

The superman of Nietzsche is this. According to Thus Spake Zarathustra, he is able to transmute himself into a Child (after having been a camel and a lion).  The Child is the final step of his evolution. The Child is a creator. The Child is able to stand alone into Nihilism without fearing it.

But, whereas God was the creator of the entire Universe, the child is the creator of his own universe.

God was not a lemming. Could His Sons be lemmings?

God was not a sheep. Could His sons be uncritically followers of the flock?!?!

Thus, I disagree:

  1. both, with Woodward A. (2002), who describes Nietzsche like a nihilist who simply attempts to destroy any value to lead to a complete nihilism;
  2. and, with Vattimo (1998), who thinks that it is not possible to go over Nihilism (exempli gratia, searching a new foundation for Truth and Values), but it is possible only to change our attitude to it. In other words, Vattimo suggests accepting to live in a meaningless World.

Nietzsche does not abandon the idea of Truth. He suggests to change prospective.

The sense of truth. – I approve of any form of scepticism to which I can replay, “Let’s try it!” But I want to hear nothing more about all the things and questions that don’t admit of experiment. This is the limit of my “sense of truth”; for there, courage has lost its right” (Gay Science, 51).

 

From Man to Super-Man

The individuals, who are able to pass through the three stages (camel; lion; Child), arrive to transmute themselves from men to super-men.

This means two things. On one hand, people discover themselves sons of God. On the other hand, society cannot long to be a flock of sheep.

Society has also to transmute itself from a flock of sheep to group of free Individuals, who are able to co-exist and to collaborate in their own (very strong) differences.

Only this kind of society will be a true Democracy.

Indeed, no democracy (at all) can exist among flocks of sheep as homologation is the worst kind of Tyranny.

It does not matter the form and/or the name that has been taken by tyranny. It does not matter the reason “in the name of” which, Homologation is demanded.

Without a doubt, flocks of sheep are always dominated by a Totalitarian Regime as they demand homologation. The only difference among these Regimes is about: the degree of how tyranny is overt or covert; and, the concrete historical / cultural form that has been taken by the Regime itself.

As we are going to explain in Part III, Democracy can exist only, and only if, there are free Individuals, who are not homologated among them.  

 

[1] Psychopathology is: a new Malleolus Maleficarum (Epis, 2011/2015); the form that has been taken and has been in the progress of being taken by the Profane Inquisition. Indeed, it is used to “attack” whoever acts and/or believes differently from the flock. It is used to commit and to justify any modern atrocity “in the name of”: Homologation; and, Only-Allowed-Thought. Most of the times, it is used to (even) create the behaviours and situations that are used to justify (later) its use / intervention. It is an instrument able to trick the Legal System (with all its Rights and Liberties).

NIETZSCHE ON RULE OF LAW AND DEMOCRACY – PART II (Simmonds’ Legal Theory & Epis’ Legal Theory)

NIETZSCHE ON RULE OF LAW

Simmonds’ Legal Theory

At the University of Cambridge …,

… that “marvellous University” where the “Right Very Most” finest minds are (!!!!) …,

… there was a Reader in Jurisprudence who thought to have discovered the “hot water” in 2005!!

He was a very lovely and enjoyable person. Indeed, rarely have I found (in the entirely World) so pleasant lectures. Each time I demonstrated the inconsistency and wrongfulness of one of his theories and/or teachings, he was used to reply that those theories/teachings were thought by one of the Finest Cambridge Mind!! For most people, a sufficient reason to prove the rightness of those theories / teachings!! Of course, populaces agreed with him, clapping at those “self-evident” words.

On the contrary, I was used to laugh a lot. I found so hilarious his sense of humour that I laughed so much that I wept for Happiness!! His lectures were so entertaining and mirthful that they were a blessing break from the usual pedant, doctrinaire and hollow, vain Cambridge speech.

Simmonds (2005a; 2005b) claimed to have archived a Legal Theory able to support “an understanding of law as a substantive moral idea” versus “an understanding of the law as a morally neutral instrument, serviceable for wicked purposes as well as good”. But, his theory is: both, wrong; and, NOT original at all. It was copied from Plato and the Italian Ardigò. Actually, the theories of Plato and Ardigò were far, … far… , far better than Simmonds’ theory. The latter was a bad copy, which “corrupted” the good ideas of the formers.

Simmonds believed to have overcome the conflict between Rule of Law and the “mundane view of law” with his Legal Theory: Law as a Moral Archetype. According to Simmonds, Law is an “approximation to an intellectual archetype”. His theory is based on two assumptions:

  1. the first postulate is: Law is “structured by archetype”;
  2. the second postulate is: the “archetype is an intrinsically moral idea”.

But, both his postulates / assumptions are wrong!!

Moreover, although Simmonds attempts to deny that his archetype lives in a metaphysical realm, he fails to prove this.

At a first look, Simmonds’ theory seems to be a mere reformulation of the two platonic worlds.  The strong affinity between Simmonds and Plato is supported by the example of archetype, he used: the concept of triangle.

Simmonds rejected the empirical definition (which had been made by Euclid[1]) as he preferred an understanding of triangle in term of: degrees of approximation between a geometrical form and an ideal archetype of triangle. Does it sound like Plato (!!), does it not?

Indeed, he wrote: “So triangles do not constitute triangles by satisfying a set of criteria” (!) “but by approximating to an ideal archetype; and not all triangles are equally triangles: they are triangles to the degree to which they approach the ideal” (Simmonds, 2005a)[2].

There is only one difference between Plato and Simmonds. For the former, there is not prejudice and discrimination among triangles. Triangles are equally triangles, even if they can have different forms and characteristics. Equilateral triangles, isosceles triangles, scalene triangles, right triangles, obtuse triangles, acute triangles are all equally triangles for a Platonic idea of triangle. But, for Simmonds, they are not equal, since they reflect a different degree of approximation to the ideal archetype of triangle!!

But, are we sure that exist only an ideal archetype of triangle?!?!

Why is the existence of six different ideal archetypes of triangle not possible?!?!

Is it possible that those six different archetypes of triangle come from a common meta-archetype of triangle?!?!

And, if so it is …, are we sure that the function / role / nature of this meta-archetype of triangle is to discriminate among triangles?!?!

No, we are not. Simmonds was hugely wrong.

Law of Hume versus Simmonds’ Moral Archetype 

According to the Law of Hume, this meta-archetype belongs to a Descriptive Realm. It does not belong to any Normative Realm. So, it cannot be used to discriminate among triangles. It can only say if A is: either, a triangle; or, not a triangle. In other words, it defines the entities that belong to the set of triangles. If we apply it to Law, it will be the same. The Archetype will only say if something belongs, or not, to Law.

That is all, Folks.

But Simmonds makes his archetype say something of very different.

According to Simmonds, not all triangles are equally triangles but “they are triangles to the degree to which they approach the ideal”.

In other words, Simmonds violated the Law of Hume. He passed from an entity, which belongs to the Descriptive Realm, to an entity, which belongs to a Normative Realm. He confused between these two dimensions.

Simmonds’ archetype is not an archetype. It is a normative choice that has been masked behind a descriptive form.

For this reason, he arrived to state that: “not all triangle are equally triangles: they are triangles to the degree to which they approach the ideal”.

All the Legal Theory of Simmonds is based on this huge mistake. He confound between the Descriptive Realm and the Normative Realm.

An entity can only belong to one of these two Realms. An entity cannot pass from one of them to another one. So, Simmonds’ Legal Theory implodes in itself. On one hand, it was the result of a very wrong reasoning (which was done by one of the “finest Cambridge mind”). Simmonds misused philosophical ideas without: having awareness of them and their implications; knowing what he was doing!! On the other hand, if he knew what he was doing, he was willingly cheating. He used one of the most antique logical fallacies.

As a result (it does not matter how or why), he created a wrong and dangerous theory able to “prostituting” itself to support any intolerant and totalitarian Regime, which wants to impose its own ideal onto any other one else!!

Ideals, indeed, change: from Culture to Culture; from Time to Time; from Person to Person; etc… .

The Holy Inquisition, on the contrary, would have found very interesting the Legal Theory of Simmonds!!

Simmonds Background

Where does Simmonds’ Legal Theory come from?

The University of Oxford and the University of Cambridge have a long tradition of rivalry. Thus, when Oxford says A, Cambridge says Z.

It makes quite easy their job!!

As Finnis (Oxford) had taken a lot from Saint Aquinas (Aristotelism), Simmonds (Cambridge) was forced to take a lot from: Saint Augustine (Platonism); and Ockham, who opposed his teaching to those of Aquinas.

So, Finnis and Simmonds played this historical endless recursive game between these two Universities and these two opposite philosophical points of view.

But, Simmonds “corrupted” the ideal of Plato with Ockham’s philosophy.

From Saint Augustine, Simmonds took: the strong dualism; and, the idea of Law as a Moral Archetype. The imperfect human beings tend endless to, without reaching it, a Moral Archetype.

From Plato, Simmonds took: both, the Theory of Form (Phaedo); and, the Doctrine of Love. From the former, Simmonds took his first postulate[3]. As nothing in the World is more than a shadow (Plato, Cavern’s Myth), Law comes from an immaterial ideal that is neither physical nor mental. According to Plato, this ideal comes from nowhere in the space-time, as it lives in a Metaphysical World (the World of Ideas). From the Doctrine of Love, Simmonds took the dynamical relationship between Law and its Ideal.

But, neither Plato nor Augustine stated what Simmonds affirmed later: “not all triangles are equally triangles” as “they are triangles to the degree to which they approach the ideal” (Simmonds, 2005a).

Simmonds took this idea from Ockham’s thought. Ockham fought Aquinas’ teachings. As Simmonds wanted to fight Finnis’ theory, he: either, had to pick up from Ockham; or, had to create something new.

Simmonds picked up from Ockham (… it was far easier…).

According to Ockham, Moral and Legal norms cannot be found with reason (and/or introspection a là Finnis and Saint Aquinas). Behaviours are good only if they are conformed to God’s commands. There is no intrinsic reason in them. Good and Bad are only the outcome of arbitrary norms / commands of God. So, even the wickedest things can be the absolute Good if God commands them.  Bad is only to disobey to (to not comply with) God’s norms and/or commands.

Now, Simmonds does not speak about God, as God has never ever commanded anything. Moreover, nowadays, God is an unfashionable argument among Scholars. On the contrary, the Moral Archetype is based on Power’s Will. As there is not any intrinsic reason of what Good is (Ockham), Simmonds’ Moral Archetype becomes an arbitrary normative entity used by Power to make triangles homologate to its Will. So, Simmonds’ Moral Archetype discriminates among triangles. This is the reason why not all triangles are equally triangles. They are “triangle” due the degree to which they comply with Power’s Will.

At the end, the Legal Theory of Simmonds has opened the doors to any Totalitarian Regime behind vacuum, in appearance agreeable, void words.

Nietzsche versus Simmonds

Where you see ideal thing, I see – human, alas all too human things

Friedrich W. Nietzsche, Human All Too Human

Both Nietzsche and I agree that different triangles have different forms and characteristics[4] as different Human Beings have different: Culture; Race; Ethnicity; Nationality; Ideas; Beliefs; Experiences; etc… . BUT, neither Nietzsche nor I agree with Simmonds when he says that “not all triangles are equally triangles” as “they are triangles to the degree to which they approach the ideal” of  triangle.

This is for the reasons I have explained supra (above) et infra (below).

Prototype versus Archetype

When Simmonds speaks about Moral Archetypes, he creates:

  1. a surreal hybrid: between Plato’s Epistemology and Ockham’s Ethics;
  2. and, a monster (chimera) which continuously swing between a Descriptive Realm / Dimension and a Normative Realm / Dimension.

Simmonds does not have any clear idea about the difference: between Epistemology and Ethics; between Descriptive Realm and Normative Realm. Simmonds’ Legal Theory confounds the Nature of Law with the Political Domain of a Legal System.

On the contrary, when I speak about Law as a Social Prototype, I speak about empirical things. I speak about a Descriptive Theory that explains the Nature of Law without: both/either, entering inside the normative contents; and/or, judging among triangles. I keep a distinction: from Epistemology to Ethics; from the Descriptive Realm to the Normative Realm.

What is a Social Prototype?

A Social Prototype is exactly the opposite of the Simmonds’ Moral Archetype. To understand the prototype, you have to change the perspective. You cannot start from any metaphysical Realm, but you have to start from the empirical and physical Realm.

Simmonds, indeed, made the same mistake of Raz (Epis L., 2015). As he could not found “his” theory in the empirical facts, he founded it entirely onto ontology and metaphysics. It was a way to deny the reality of facts. But, Law does not come from any metaphysical Realm!! On the contrary, Law comes from the historical living experience of a society.

As this writing is to say, Law as a Social Prototype is the final evolution of the Ardigò’s Social Ideal. On the contrary, Simmonds Law as a Moral Archetype is the last regression of the Ardigò’s theory from a Positive Stage to a Metaphysical Stage.

According to Ardigò (1901), every society creates its own Social Ideal (Idealità Sociale). The Social Ideal does not come from any metaphysical Realm. It is the natural outcome that is caused by the inborn and innate Law of the Nature. They are “written” inside: both, the Social Organism; and, the Human Beings.

The Social Ideal is also called Justice. It is: the Specific Force of the Social Organism; the set of the implicit norms (Natural Law) that are naturally created by the Society and its members. Those norms are innate and necessary. The Social Organism, indeed, cannot exist without them.

So, Ardigò created an empirical theory that was able to sketch out a framework for understanding the two dimensions of the Legal System: the implicit dimension (Social Ideal); and, the explicit dimension (Positive Law). But, Ardigò gave merely a sketch. He was not able to find and to indicate those innate and inborn mechanisms.

Epis’ Social Prototype ends “what” Ardigò started. Epis’ Social Prototype applies the framework of the Social Psychology, Cognitive Psychology and Social Cognition, to Ardigò’s Social Ideal.

Indeed, in all its dimensions, Law is nothing more and nothing less than a particular kind of social norm. So, Law as a Social Prototype is a very empirical and positive theory able to explain:

  1. the Nature of Law;
  2. the Legal Interpretation;
  3. the relationship and dynamics between the implicit and explicit Legal Dimensions;
  4. the innate psychosocial mechanisms that rule the Legal System;
  5. the whole Legal Domain / Realm in its every levels and aspects.

Law as a Social Prototype is also able to explain the relationship among Morality, Justice and Law. All of them are sub-sets of the main set of the social norms.

Whereas several scholars have linked the moral norms to the legal norms, none of them was able to explain their relationship. They refused to proceed with an interdisciplinary approach. They refused to apply the Social Psychology, Cognitive Psychology and Social Cognition, to their disciplines. So, their theories are weak, … very weak.

Simmonds’ Moral Archetype is an example of this in Jurisprudence. Wikstrom’s Situational Action Theory of Crime Causation is another example of this in Criminology. Indeed, Epis has always advised Wikstrom to improve his theory and studies, using the Social Psychology, Cognitive Psychology and Social Cognition, since 2006. For instance, you can give a look to Epis’ writing: Morality and Crime.

Finally, Law as Social Prototype resolves several legal and philosophical problems such as: the violation of the Law of Hume; the conflict between Natural Law and Positive Law.

Epis’ Prototype and Simmonds’Archetype: the Final Conflict

Simmonds’ Moral Archetype and Epis’ Social Prototype represent the final opposite views that are possible to have about the Nature of Law.

They evolve and synthesis all the previous Legal Thought.  Simmonds re-elaborated the antique theological and metaphysical perspectives into a modern lay one.  Epis re-elaborated the empirical and positive legal theories (which have been developed inside the Legal and Philosophical Thought) into an Integrated and Interdisciplinary Theory. Exempli gratia, Epis enriched and advanced the Ardigò’s Legal Thought with the framework of the Social Psychology, Cognitive Psychology and Social Cognition. At the end, Epis’ Legal Theory is able to:

  1. understand the Legal Phenomenum in its Whole Unity;
  2. illustrate the different layers, strata and levels, which constitute the Legal Reality;
  3. describe “how” those levels work and interact together.

In other words, Epis’ theory is a Model, which is able to consider all the different factors and variables of the function: f (Law). Of course, the Model has some limits!! It considers only the factors that belong to the Social and Psychological Sciences. In other words, it cannot tell you “how” the fly of a butterfly in Amazon Forest can affect a legal proceeding in Italy. But, actually, … it can … in somehow.

According to the Chaos’ Theory, the movement of atoms, which has been caused by a Brazilian butterfly, can influence the outcome of a rain and/or a storm in Italy. For instance, at least, it can make some drops of rain and/or hail fall more somewhere instead of somewhere else. A little difference of few millimetres and/or centimetres can cause an unpredicted slip to a Lawyer, who is going to notify a Legal Act. Well, if the Lawyer has waited for the last legal day (as most of the time, they do), this little unpredicted bother (… which was caused by an innocent Brazilian butterfly…) is a sufficient factor[5] that, alone, is able to affect deeply the entire legal proceeding[6].

Exempli gratia, there is no time for notifying the summons before the end of the legal term. This will cause: the invalidity of the notification of the summons; and, the loss of the rights.

This is “why”, I strongly advice Lawyers (… and more generally any reasonable person …) to not wait for the last moment. Fate is a capricious Child, with an extraordinary sense of humour. So, you cannot ever know when He decides to play a joke on you.

According to Nietzsche, the Simmonds’ archetype is an idol as: it comes from metaphysics; and, it demands faith.

On the contrary, the Epis’ Social Prototype is not an idol. It does not demand faith. It is a descriptive theory that is able to indicate those clear psychosocial mechanisms that rule entirely the Law’s Realm.

Law and Responsibility

Law itself is neutral. Legal Systems themselves are neutral.

Law is not: either moral or amoral; either good or bad.

As Bernard Show said: “everything has its abuse as well its use”.

Law’s moral qualification depends mainly on “how” people use Law.

Indeed, every Legal System can be misused and abused. For instance, different weights and measures can be applied from case to case. Although the norms, rights and liberties, are formally the same for every person (Paper Rights), they can be applied substantially in a very different way from person to person (Real Rights).  Exempli gratia, the norms and facts can be interpreted in different ways[7]. Moreover, Economical and Psychological factors can deny people to access their Rights and Liberties.  Different economic conditions make people have different degrees in the access to their Rights and Liberties. Social Pressure, Groupthink, Propaganda, Authority’s Compliance, Psychopathological Constructs and Standard Deviations do not allow any free determination. If there is not any real free determination, no responsibility exists at all. Responsibility asks for a real and substantial individual freedom. So, no responsibility can exist in a flock of sheep. People, at the end, discover themselves to be nothing more than slaves “in chains”, who pay for responsibilities of other persons.

So …, the question is: who is the responsible one for the actions that are done by the flock of sheep?

Well…, the answer is obvious. The shepherd, who leads the flock, is responsible with all his guard dogs[8].

Responsibility and Democracy cannot exist in a flock of sheep. They need a different kind of social group. The flock of sheep must to be transmuted in a group of Free Individuals. This will be possible if, and only if, the Human Being transmutes himself from man to superman.

Epis’ Legal Theory: Law as Social Prototype. A new Legal Theory able to overcome: both, the Law of Hume; and, the conflict between Natural Law and Positive Law.

Law as a Social Prototype is a Legal Theory able to overcome: both, the Law of Hume; and, the conflict between Natural Law and Positive Law.

Law as a Social Prototype overcomes the Law of Hume as it belongs only to the Descriptive Realm. This theory clarifies: the Nature of Law; and, “how” the Legal Domain works in all its different aspects and levels. In other words, it tells us everything about “triangles” (a là Simmonds) without judging among “triangles”.

Law as a Social Prototype overcomes the conflict between Natural Law and Positive Law. It explains clearly the relationship and dynamic forces between these two Legal Dimensions of a Legal System: the implicit dimension (Social Ideal / Natural Law); and, the explicit dimension (Positive Law). It evolves the Ardigò’s framework with the inborn psychosocial mechanisms, which govern those intrinsic natural processes. Without them, Law and Society cannot exist.

As both the implicit norms and the explicit norms are social norms, it is possible to understand clearly the underlying forces behind their endless recursive interaction.

But, … wait a moment, I have already heard Simmonds’ legal theory with a better formulation!! Simmonds “thieves” the Italian Ardigò of his ideas!!

Whereas I recognize the Ardigò’s Thought, Simmonds took a lot from Ardigò without: both, recognizing it; and, evolving his’ framework.

Actually, Simmonds regressed and retreated the empirical ideas of Ardigò from a Positive Stage to a Metaphysical Stage. Moreover, he “transmuted” the Ardigò’s theory from a good descriptive theory to a huge philosophical nonsense: something that was tremendously in violation of the Law of Hume.

Simmonds took a lot from Ardigò; it is self-evident. Ardigò was one of first philosopher, who clearly described the Legal Domain and Dynamics like a recursive endless interaction between an implicit dimension (Social Ideal / Justice) and an explicit dimension (Positive Law)[9].

Simmonds has simply translated the Ardigò’s theory in English. Instead of using the Italian terms, Social Ideal and Justice, he used Moral Ideal and Moral Archetype.

But, the structure, the dynamics and the connexions between the implicit and explicit Domains, are those that Ardigò used.

There is only one difference. Whereas Ardigò evolved the previous Thought from a Metaphysical Stage to a Positive Stage, Simmonds regressed it from a Positive Stage to a Metaphysical Stage!!

On the contrary, Epis wanted to advance the Ardigò’s Positive Thought. Actually, he did it as it was explained supra (above).

Justice and Morality

The philosophy of Nietzsche criticizes any attempt to found the Rule of the Law “outside the compass of the earth”. But, Nietzsche is not amoral. Nietzsche does not renounce values. On the contrary, Nietzsche advanced a Positive Idea of Morality. The Positivism of Nietzsche was an Individual Positivism. As I explained supra (above), he overturned the perspective.

So, Nietzsche’s Morality and Ardigò’s Justice can be integrated.

Whereas Morality comes from the Living Experience of each Individual, Justice comes from the Living Experience of each Social Organism (Society).

In other words, something is either just or unjust in terms of Social Life and Existence; something is either good or bad in terms of Individual Life and Existence. Both of them are the best values’ adaptations, which both an Individual and a Social Organism can do, living in those particular historical environments, they experienced.

So, the Social Dimension and the Individual Dimension coexist in harmony.

Between Justice and Morality, the same dialogical recursive interaction, which exists between the implicit and explicit Legal Domains, happens. Justice is the outcome of the Social Dialectic among the different Individual Moralities. But, Justice leads the Social Organism, leaving as freer as it is possible the Individuals.

When Morality moves from Society to Individuals, Morality and Justice (Social Ideal) overlap. This is not good. It means that all the Individual Dimensions are uniformed and homologated to the Social One. As a result, Justice cannot be the outcome of the Social Dialectic among the different moralities and values of the Individuals. As Individuals have to conform themselves to the Social Ideal, they cannot have and develop any their own different Real Morality and Values. In fact, a homologated individual is nothing more than a lemming and/or a sheep of the flock. Homologation becomes part of his/her habitus, forma mentis. As the Social Ideal does not come from the Social Dialectic among the ununiformed individual moralities and values, the Social Ideal comes from somewhere else.

So the question is: Where does Social Ideal come from?

If it does not come from the Social Dialectic among the different moralities of the Individuals that are at the bottom of the Social Pyramid, then it can only come from the top of the Social Pyramid. It means that the Social Ideal is a creation of the Power. It is an arbitrary construct that has been created by Power to advantage its own interests. As Power does not want to reveal the Real Nature of the Social Ideal to its servants, Power presents its Social Ideal like an Idol. But, Social Norms (it does not matter if they are: Law; Morality; Values; etc…) do not come from any Metaphysical Realm. Social Norms are the most concrete and empirical thing that can exist. As I have widely explained and demonstrated, Social Norms come from the Social Conflict and Social Dynamic Forces that govern and underlie the Social Organism.

So, the Individual Morality cannot be homologated to the Social Ideal. If it happens, Justice is reduced to be “the interest of the most powerful” a là Trasimacus.

This is why Nietzsche does not want believers, but people who trust themselves.

“… Verily, I advise you: depart from me, and guard yourselves against Zarathustra! … Ye say, ye believe in Zarathustra? But of what account is Zarathustra! Ye are my believers: but what account are all believers! Ye had not yet sought yourselves: then did ye find me. So do all believers; therefore all believers is of so little account. Now do I bid you lose me and find yourself; and only when ye have all denied me, will I return unto you.” (Thus Spake Zarathustra, I, XXII).

On the contrary, if each individual is free to create his own Morality, then Justice is the outcome of the Social Dialectic among all these different views. So, Justice comes from the bottom of the Pyramid, instead of the top. In this case, a Real Democracy can exist.

Only Individuals, who are really free and self-determined, are equal forces that are able to equilibrate and to balance the forces of the other individuals, who are members of that Social Organism. So, each Individual can be an Independent Power that is able to limit the Power of the other persons. This equilibrium of forces is the best insurance for the Democracy.

Moreover, Individuals can only live and testify their own values and truths. The only things, they can know and understand, are their unique living experience. Each time they acts, attests and say, something that come from outside their own individual experience, they make themselves be ridiculous. Indeed, they do something without having any idea of what they are doing. They are just marionettes in the hands of someone else, who uses them like stupid pawn.  This is as: “Ultimately, no one can extract from things, books included, more than he already knows. What one has no access to through experience one has no ear for” (Ecce Homo, Why I write good book, I).

Each person is the Best Adaptation to his/her particular kind of Historical Experience.

Each person brings to the Social Dialectic his/her particular Experience, Morality, Truth.

This is essential for the survival of the Social Organism. The ability of the Society to adapt itself to the new circumstances depends entirely on the ability of its individual members to adapt themselves to the new circumstances. If they are (or have to be) uniformed to an Ideal, then they cannot adapt themselves to the new circumstances (as they come). As a result, Society will be unable to adapt itself to the new situations. So, the Social Organism will be dying.

Homologation is Death: Social and Individual Death.

Who preaches for homologation is a “priest” of death. Nowadays, psychologists are them. They preach for: homologation; standard deviations and their constructs. The latters are, at the end, nothing more and nothing less than moral ideals (that are expressed with a misleading form). They are instruments that are used to control people. They are instrument that are used to homologate people to the Power’s Will. But, they lead to one of the most dangerous outcome, as I explained supra (above).

At the end, Nietzsche recognizes the importance of the Rule of the Law inside the actual level of Conciseness of the Humanity. But, the Rule of the Law does not come from Metaphysics. The Rule of the Law comes from: the Individual and Social Empirical Live; and, the Rational and Logical Thinking that is made on these Experiences. Nietzsche would have agreed with Ardigò.

Rule of Law like Supremacy of Law above Power

Rule of Law could be understood like the Legal Principle: pacta sunt servanda.

It is a Latin brocard[10] that means: the agreements have to be respected.

Pacta sunt servanda is the first and essential principle for any Legal System and any Social Organism. Any Legal System and any Social Organism to exist needs this principle. Indeed, no Legal System, no Social Organism can exist without it. If the agreements are not respected, then an endless conflict and war will exist among the members of the Social Organism. So, the Social Organism will be weak and divided. Therefore, it will be defeated by another Social Group that it is able to:

  1. both, have more free and ununiformed individuals;
  2. and, have a stronger cohesion among its members.

The former makes the Social Organism be stronger. The absence of homologation (among the Social Members) allows the Social Group: to deal with wider different situations and environments; to adapt itself better to the new circumstances.

The latter makes a good balance between the Individual Freedom and the Social Needs.

If everyone respects the other different views …;

if everyone complies with the principle Pacta sunt servanda …;

solidarity and empathy are the natural outcome.

As a result, the Society will have cohesion.

But, the principle pacta sunt servanda does not apply with the same intensity to every agreement.  Indeed, the Social Contract is the highest Pactum. The Social Contract is both an implicit and an explicit agreement among individuals, who decide to form a Society and/or Nation. It contains the main values (Social Ideal) of the Society. The Social Contract is the hard core of the Ardigò’s Social Ideal.

As the Government receives its powers from the Social Contract[11], Government has only those powers that the Social Contract gives to it. So, Government must comply with: both, the regulations that limit its power and its exercise; and, the values and legal principles that come from the Social Ideal.

In other words, this means that Rule of the Law is the Supremacy of the Law above the Power. Power is submitted to the Social Ideal that comes from the Historical Social Dialectic among free Individuals with different Moralities and Values.

Only in these terms, an impersonal Power a là Ardigò can lead the Society.

On the contrary, we have a Power that betrays the Social Ideal to impose its own tyranny. Therefore, the Social Ideal will be reduced to be a Horse of Troy as I wrote in Rule of Law and English Legal System.

According to Nietzsche, individuals learn from their Living Experiences the Prudence. Prudence advices people to use the Rule of the Law as a mean.

Rule of law as a mean. – Law, reposing on compacts between equals continues to exist for so long as the power of those who have concluded these compacts remains equal or similar; prudence created law to put an end to feuding and to useless squandering between forces of similar strength. But just as definitive an end is put to them if one party has become decisively weaker than the other: then subjection enters in and law ceases, but the consequence is the same as that previously attained through the rule of law. For now it is the prudence of the dominant party which advises that strength of the subjected should be economized and not uselessly squandered: and often the subjected find themselves in more favourable circumstances than they did when they were equals. – The rule of law is thus a temporary means advised by prudence, not an end” (Human, All too Human, II, 26).

Accounting to Nietzsche, the Rule of the Law has two origins.

The former is originated inside a Utopian Society where everyone is formally and substantially equal to any other person. In this case, Rule of Law comes from a Social Contract that is done by Equal Forces. Rule of Law is the outcome of the Social Experience that has been done by those equal forces/persons. They have learned that it is useless an endless conflict among them for the reasons I explained supra (above).

The latter is originated inside a society where there is not a substantial equality among its members. Nevertheless, the dominant persons have learned that it is sager to economize their forces than to waste them with useless conflicts.

In both the cases, the Rule of the Law does not come from Metaphysics. Rule of Law comes from the Individual and Social Living Experience. It is a conscious, empirical and rational, choice.

In other words, the Rule of the Law is a mean to avoid the Hobbesian bellum omnium contra omnes (Hobbes, 1909). But, Nietzsche does not advice to create a Leviathan a là Hobbes (1909). Nietzsche recommends, on the contrary, overturning the perspective. This leads, as I explained, to Ardigò’s Social Ideal. So, at the end, the Rule of the Law is not compatible with the Simmonds’ Moral Ideal.

The Simmonds’ Moral Ideal is a Horse of Troy for the tyranny of the Leviathan. In fact, Popper (1995) declared Plato an enemy of the Open Society. But, Simmonds did not consider Popper. Maybe, he neglected him: … Popper was not a member of his College!! Maybe, Simmonds did it: … he was also an enemy of the Open Society!!

On the contrary, the Rule of the Law is compatible with the Ardigò’s Social Ideal.  The Ardigò’s Social Ideal and Epis’ Social Prototype are the mean for the creation of a real Democracy. They are friend of an Open Society!!

[1] According to Euclid, a triangle is a two dimensional geometrical form with: both, three angles, whose sum (α + β + γ) is equal to 180°; and, three sides, which are composed by a straight line segment, whose the length of one of them is never: both, the same; and, longer; … the sum of the others two.

[2] Simmonds (2005b) repeated this concept: “Actual instances of triangles constitute triangles in virtue of the degree to which they approximate to the ideal “triangle” of mathematical definition. So the triangles that one comes across do not constitute triangles by fully satisfying a set of criteria, but by approximating to an ideal archetype. Indeed, not all triangles are equally triangles: they are triangles to the degree to which they approach the ideal”.

[3] The first postulate is: Law is “structured by archetype”.

[4] Some of them are equilateral triangles; some of them are isosceles triangles; some of them are scalene triangles; some of them are right triangles; some of them are obtuse triangles; some of them are acute triangles.

[5] Which is not considered by my model.

[6] Actually, this example is taken by real cases. It happened that lawyers, who waited for the last useful day for notifying a summons, slipped and broke one of their legs. So, their clients lost all their rights.

[7] So, even if the Paper Rights tells that an identical Legal System exists for everyone, the Reality is different. The Legal System changes from person to person.

[8] Nowadays, we live in a very strange time. The responsible one is always the poorest sheep. The shepherd is never responsible with his guard dogs!!

[9] Ardigò was one Italian scholar. He belongs to the Italian Positivism.

[10] Brocards are Legal Principles that have been created during the Medieval Age. They have been taken by the Roman Law (which was considered an expression of Natural Law). The name “brocard” came from the name of the bishop of Worms, Burchard, who died in 1025. The bishop Burchard wrote 20 volumes: Regulae Ecclesisticae. These books are a collection of maxims and sayings. Some of those Legal Principles were collected in those tomes.

[11] The Government does not receive those powers from God.