Uno Studio sulla Medicina Omeopatica. Parte Terza: Un Progetto di Ricerca in Psico-Farmacologia Omeopatica

Take care to get what you like or you will be forced to like what you get. … Where there is no knowledge, ignorance calls itself science“.

Bernard Show, Man and Superman

3 L’Integrative Medicine e lo Studio EPI 3 con i suoi limiti.

3.1 “Questioni aperte” lasciate dallo Studio EPI 3

Questa terza parte illustra un Progetto di Ricerca in Psico-Farmacologia Omeopatica. L’obiettivo è quello di approfondire i data emersi dallo Studio EPI3 ed in particolare indagare la presenza, oppure no, della validità interna. Lo Studio EPI3, infatti, aveva fornito evidenze sulla validità esterna ed ecologica, lasciando aperta la domanda sulla prima.

Il progetto di ricerca, pertanto, si avvarrà d’un Design sperimentale. Quest’ultimo è il solo capace di acquisire informazioni sulla presenza d’una relazione causa-effetto e fornire data utili a chiarire se la Medicina Omeopatica possa avere un ruolo all’interno d’un trattamento integrato dei SADDs.

Volendo fondare la riflessione sull’Evidence Based Madicine, il Design sperimentale è quello d’un Randomized Controlled Trial (CTR).

A tal fine, i gruppi sperimentali saranno strutturati come fatto nello Studio EPI3. Nello specifico, essi saranno tre a cui si aggiungerà un gruppo di controllo. Ogni gruppo sperimentale verrà sottoposto ad un trattamento integrato, mentre al gruppo di controllo verrà somministrato il solo mono trattamento cognitivo-comportamentale (CBT) con l’ aggiunta dei placebo omeopatici e farmacologici convenzionali.

Di contro, nei gruppi sperimentali sarà usata una terapia integrata nella quale la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) sarà combinata con le terapie mediche allopatiche ed omeopatiche come riportato infra.

Il primo gruppo sperimentale (CBT-MC) combinerà la terapia CBT col trattamento farmacologico convenzionale (MC) e col placebo omeopatico. Il secondo gruppo sperimentale (CBT-MO) combinerà la terapia CBT col trattamento omeopatico (MO) e col placebo farmacologico. Il terzo gruppo sperimentale (CBT-MX) combinerà la terapia CBT col trattamento integrato convenzionale ed omeopatico (MX).

I risultati dei tre gruppi sperimentali saranno confrontati sia fra di loro che con quelli del gruppo di controllo.

Qualcuno potrebbe osservare la “complessità” del Design sperimentale proposto, rilevando l’esistenza di Design sperimentali più agili. Un esempio di quest’ultimi è dato da studi strutturati con un solo gruppo sperimentale (CBT e MO) ed un gruppo di controllo (CBT più placebo omeopatico).

A questa osservazione rispondo come segue. Premesso che nulla impedisce d’effettuare studi più “snelli”, capaci di soddisfare limitati budget, chi scrive ha voluto proporre un progetto di ricerca capace di attirare il maggior interesse possibile.

L’impiego di studi “snelli” circoscriverebbe l’interesse ai soli “appassionati” di Medicina Omeopatica. Di contro, il Design sperimentale scelto è strutturato per attirare l’interesse anche di coloro che non sono “appassionati” d’omeopatia. Questo maggiore interesse è attirato dalla capacità d’analizzare ulteriori themae rimasti “aperti” nella letteratura medica e psicologica. In particolare, quanto attiene all’annosa questione sui vantaggi che avrebbero i trattamenti integrati nella cura dei SADDs rispetto ai mono-trattamenti quali il CBT.

La capacità dello Studio di rispondere e/o approfondire anche questi aspetti, faciliterebbe le collaborazioni necessarie alla sua realizzazione e l’ottenimento di finanziamenti.

Infatti, la scelta d’usare il trattamento CBT non è casuale.

Da una parte, esso assolve agli aspetti etico-morali che attengono alla sperimentazione. L’utilizzo d’una terapia di nota idoneità garantisce a tutti i partecipanti un valido aiuto alla loro situazione di sofferenza. Dall’altra parte, permette di indagare la tematica sopra esposta e di superare i limiti degli studi che utilizzano come “gruppo di controllo” dei samples trattati con dei farmaci convenzionali già studiati.

Quest’ultima metodologia, come già detto in precedenza, mira ad ottenere una “sorta” di “convergent validity”. Un tipo di validità che, però, ha i suoi limiti. Lo studio assunto come “pietra di paragone”, infatti, potrebbe rivelarsi errato in un secondo tempo (t2). Ciò causerebbe l’inattendibilità di tutti gli studi successivi che lo avessero utilizzato nelle loro assunzioni. Un rischio concreto ed attuale, considerato quanto avvenuto nel caso del Prozac (fluoxetina).

L’efficacia della terapia CBT nel trattamento dei SADDs, di contro, sembra avere basi solide.

3.2 Un Progetto di Ricerca “in linea” con l’OMS al fine di creare una Integrative Medicine.

Lo studio vuole contribuire allo sviluppo dell’Integrative Medicine. Un approccio sostenuto dall’OMS a partire dal 1999 con la pubblicazione d’un articolo di B. Poitevin (President of the French Association for Homeopathy Research)[1].

Fino al 2020, l’Europa ha mostrato un atteggiamento aperto allo sviluppo dell’Integrative Medicine. Nel 2017, l’Europian Parlament (Directorate General for Internation Policies – Policy Department A: Economic and Scientific Policy) ha pubblicato un Workshop col titolo: Complementary and Alternative, Therapies for Patients Today and Tomorrow. La Pubblicazione[2] riassume le discussioni avvenute al Parlamento Europeo il 16.10.2017 sulla necessità di sviluppare una Politica d’integrazione fra le CAM (che includono l’Omeopatia) ed i Sistemi Sanitari Europei.

Sebbene l’OMS e l’Europa abbiano affermato di voler superare la dicotomia fra le Medicine Complementari e la Medicina Ufficiale, ciò non sembra aver trovato molti riscontri all’interno del Nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Questa integrazione sembrerebbe essere stata ostacolata da due fattori. Il primo è costituito dalla presenza di poche ricerche capaci di fornire data utili sul come realizzare ed ottimalizzare questa integrazione. Il secondo ricade in fattori economico-finanziari coi relativi conflitti di interesse. Infatti, le Case Farmaceutiche Convenzionali controllano il 99% del mercato sanitario. Ancora, sono loro a finanziare la ricerca farmacologica. L’affermarsi dell’Integrative Medicine diminuirebbe la loro quota di Mercato, pertanto, non bisogna scomodare Woolgar e la Social Costraction of Science per comprendere quest’ultimo fattore.

Quanto avvenuto nel 2020-2022, sull’obbligo vaccinale covid-sars-2, ha dato un esempio della Social Costraction of Science e dei Monopoli di Conoscenza (Innis). In altre parole, ha mostrato come l’interesse finanziario abbia “inquinato” il principio di demarcazione per definire cosa sia Scienza e cosa non lo sia. L’interesse ha scavalcato il principio di falsificazione (Popper) ed il test di validità (Positivismo Logico). Nessuno dei due, infatti, è stato applicato al caso.

In Italia, c’è stato un solo tentativo serio di studiare ed attuare l’Integrative Medicine ed è avvenuto presso l’Ospedale di Pitigliano (Toscana). Dalla loro esperienza sono emersi data incoraggianti sull’Integrative Medicine (Medicina Convenzionale; Medicina Omeopatica; Agopuntura). Dati che meritano ulteriori approfondimenti (Simonetta Bernardini et al, 2015; Raffaella Pomposelli et al., 2009[3]).

Essendo stata l’esperienza dell’ospedale di Pitigliano unica, chi scrive ritiene necessario promuovere ulteriori ricerche atte a fornire tutti i data necessari.

Questo progetto di ricerca cerca di supportare, nel suo piccolo, l’acquisitone di quei data utili per stabilire se la Medicina Omeopatica possa essere atta ad avere un ruolo nel trattamento integrato dei SADDs. Ancora, cerca di indagare se i trattamenti integrati (CBT & MC; CBT & MO; CBT & MX) siano capaci di riportare risultati migliori rispetto al mono-trattamento CBT. Saranno osservate le differenze statistiche fra i tre gruppi sperimentali e se quest’ultimi siano stati più efficaci del mono trattamento CBT.

4  Un Progetto di Ricerca in Psico-Farmacologia Omeopatica

4.1 Approccio Metodologico ed Ipotesi di ricerca

4.1.1 Approccio Metodologico

Conformemente a SPIRIT Statement 2013: checklist per il protocollo dei trial clinici, un trial clinico deve presentare un protocollo capace di fornire una descrizione dettagliata delle procedure. Una descrizione che deve “garantire la comprensione di: background, razionale, obiettivi, popolazione in studio, interventi, metodi, analisi statistiche, aspetti etici, azioni per la gestione e divulgazione del trial; riproducibilità degli aspetti metodologici rilevanti e di conduzione del trial; valutazione del rigore scientifico ed etico del trial[4]. Chi scrive, pertanto, cercherà di seguire il framework indicato sopra.

Questo framework, però, dovrà essere declinato – di volta in volta – in modo conforme ai modelli pre-determinati da alcuni Comitati Etici ed Autorità. Modelli quest’ultimi che variano per ordine di presentazione e struttura. Ancora, da nazione a nazione, da istituzione ad istituzione.

Avendo scritto molto sul background, sul rationale, sugli obiettivi, di seguito l’attenzione andrà sull’approccio metodologico, sul research design, sui criteria di inclusione ed esclusione dei partecipanti, sulla procedura, sul tipo di analisi statistiche che verranno effettuate, sugli aspetti normativi ed etici, sulle modalità di gestione e di divulgazione dei risultati.

Il Design è quello d’un Randomized Controlled Trial (CTR).

Come detto, esso utilizzerà tre gruppi sperimentali:

a) CBT e MC;

b) CBT e MO;

c) CBT e MX.

Il gruppo di controllo riceverà un mono-trattamento CBT combinato coi placebo omeopatici e farmacologici convenzionali.

L’obiettivo è molteplice come illustrato sopra.

Da una parte, rispondere alla domanda se l’Omeopatia possa avere un ruolo all’interno d’un trattamento integrato nella cura die SADDs. Dall’altra parte, chiarisce se i trattamenti integrati esaminati (CBT e MC; CBT e MO; CBT e MX) abbiano maggiore efficacia rispetto al mono-trattamento CBT. Ancora, mostra se esistano eventuali differenze statisticamente rilevanti nelle diverse combinazioni di trattamento.

Nel caso in cui il trattamento integrato CBT e MC non riporti maggiore efficacia rispetto al mono-trattamento CBT, lo Studio potrebbe dare indicazioni utili alla comprensione dei motivi. Quest’ultimi possono essere desunti dai risultati riportati dagli altri gruppi. Una delle ipotesi presentata sull’incapacità del trattamento integrato CBT – MC di riportare risultati migliori rispetto al mono trattamento CBT è basata sull’idea che gli psico-farmaci avrebbero una interazione “non virtuosa” con i processi cognitivi necessari alla riuscita del trattamento CBT. Un ipotesi vagliabile dall’esame degli outcomes ottenuti nei diversi gruppi.

Lo Studio, pertanto, ci permetterà di risponde alle seguenti domande:

a) i rimedia omeopatici hanno, oppure no, una maggiore efficacia terapeutica rispetto al placebo nel trattamento dei SADDs?

b) i rimedia omeopatici possono avere un “ruolo utile” all’interno d’un trattamento integrato nella cura dei SADDs?

c) hanno i trattamenti integrati (CBT & MC; CBT & MO; CBT & MX) maggiore efficacia rispetto alla mono-terapia CBT?

d) esistono differenze nell’efficacia dei tre trattamenti integrati oggetto dello studio?

Tutte le ipotesi alternative (HA) affermano la presenza d’una differenza statisticamente significativa fra i gruppi confrontati. Tutte le ipotesi nulle (HO) affermano l’assenza d’alcuna differenza statisticamente significativa.

Il disegno sperimentale è BETWEEN. Esso durerà due anni e mezzo: sei mesi di trattamento; due anni di follow up.

La maggiore efficacia del trattamento omeopatico (CBT e MO) vs il placebo può essere inferita solo qualora il trattamento CBT e MO riporti risultati migliori, statisticamente significati, al mono-trattamento CBT e placebo. In altre parole, si assume che il trattamento CBT abbia la stessa efficacia in tutti e quattro i gruppi. Pertanto, le differenze osservabili saranno imputate all’effetto della terapia e/o terapie combinate alla psicoterapia CBT (MO; MC; MX; placebo).

4.1.2 Sul mono trattamento CBT e sulla maggiore efficacia dei trattamenti integrati

Conformemente al Corso di Metodologia Clinica I: “I disturbi dello spettro Ansioso-Depressivo traggono maggiore beneficio da un intervento integrato” (Dispense, 2016). Una affermazione corroborata da alcuni studi (Jinal & Thase, 2003). Quest’ultimi supporterebbero l’ipotesi secondo la quale i trattamenti combinati siano capaci di riportare percentuali di guarigione più alte nei soggetti affetti da disturbi Depressavi[5]. Ancora, i trattamenti combinati darebbero ulteriori vantaggi quali: un maggior tempo dedicato al paziente; una maggiore compliance alla farmacoterapia; una migliore alleanza terapeutica e qualità di vita (Hirscheld et al. 2002; Jonghe et al. 2001; Gabbard & Kay, 2001; Blatt et al., 2000). Si sono osservate, anche, minori incidenze di ricaduta (Frank et. al., 1990).Tali effetti positivi sono stati riscontrati sia nella cura dei Disturbi dello spettro Depressivo che Ansioso.

In quest’ultimo caso, però, sono emersi alcuni “dubbi”. Exempli gratia, Hohagen et. al. (1998) hanno concluso che la terapia combinata sarebbe superiore alla sola CBT solo in presenza d’una comorbidità fra Disturbi Ossessivo-Compulsivi e Depressione.

Ancora, diverse meta-analisi non confermano la maggiore efficacia del trattamento integrato vs il mono-trattamento CBT[6]. E’ stato ipotizzato che gli psicofarmaci influiscano negativamente sul funzionamento del sistema neurologico e sui processi cognitivi necessari alla riuscita del trattamento CBT. I principi attivi degli psicofarmaci inibirebbero il corretto funzionamento dei processi cognitivo-neurologici alla base dell’apprendimento.

Ancora, vantaggi non algebrici sono legati al fatto che l’effetto placebo è unico nel trattamento integrato.

Per concludere il paragrafo, bisogna osservare come la letteratura affermi la maggior capacità dei trattamenti integrati, rispetto al mono trattamento CBT, nel caso della Depressione. Di contro, non lo sostiene nel caso dell’Ansia.

4.1.3 Un unico CRT oppure una ricerca composta da tre CRT?

I SADDs sono una categoria composta da tre condizioni diverse: ansia; depressione; disturbi del sonno. Pertanto, ci dobbiamo chiedere se il modo migliore di procedere sia: a) effettuare un unico CTR, nel quale valutare tutte queste tre condizioni morbose assieme; b) effettuare tre diversi CTR, ognuno dedicato ad ognuna d’esse. In quest’ultimo caso, i dati ottenuti verranno integrati in un secondo momento.

Nel primo caso, dovremmo disporre di maggiori risorse e d’un più ampio campione, rappresentativo d’ognuna di queste condizioni. Nel secondo caso possiamo disporre di minori risorse. Il campione, infatti, dovrà essere rappresentativo d’una sola di queste condizioni morbose.

Così, la scelta d’effettuare tre CTRs risulta essere prudenziale, riducendo i rischi legati alle difficoltà di risorse e/o di finanziamento.

Ancora, semplifica lo Studio, l’analisi dei data e la loro interpretazione. Un fatto già suggerito da René Descartes quando suggerì di: “dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare in tutte le parti in cui fosse possibile e di cui ci fosse bisogno per meglio risolverle” (Regulae Ad Directionem Ingenii).

Scelgo l’ansia come condizione morbosa per illustrarne un Design sperimentale applicabile a tutte e tre le condizioni, una volta declinato alle esigenze specifiche del caso. La scelta consegue al fatto che i dubbi sulla maggiore efficacia del trattamento integrato, rispetto alla mono terapia CBT, riguardino proprio lo spettro Ansioso. Pertanto, il CRT su quest’ultima condizione è quello che potrebbe attirare maggiore interesse.

Mutatis mutandis, il Design illustrato qui di seguito è quello d’un CRT per la condizione ansiosa. Gli altri due Design avranno la stessa struttura, declinata alle condizioni specifiche del caso. Exempli gratia, dovranno essere cambiate le Scale diagnostiche e di misurazione.

4.1.4 Scale di misurazione

Per valutare l’efficacia d’una terapia bisogna rendere quest’ultima misurabile. In altre parole, è necessario valutare quantitativamente i livelli di ansia sia prima che dopo il trattamento. A tal fine è necessario utilizzate delle Scale di misurazione. Quest’ultime saranno: l’Hamilton Anxiety Rating Scale (HAM-A); e, la Self-Rating Anxiety Scale (SAS).

La HAM-A (Hamilton, 1959) è una Scale ampiamente utilizzata nella Ricerca psicologica e psicofarmacologica. Essa è uno strumento particolarmente sensibile nel discriminare l’efficacia dei trattamenti nei soggetti ansiosi, sebbene abbia due limiti. Il primo ricade nella sua incapacità a discriminare fra i disturbi specifici dello spettro ansioso. Il secondo nell’essere uno strumento di etero-valutazione. Questo richiede che ogni assessment debba essere effettuato da specialisti con un adeguato training formativo.

Il primo limite è irrilevante ai fini di questa Ricerca. Il secondo è superato. L’HAM-A, infatti, sarà somministrata da uno psichiatra. Ancora, l’HAM-A sarà affiancata dalla SAS di Zung per le autovalutazioni[7].

La SAS di Zung è una Scala di autovalutazione. Essa può essere vista come l’equivalente della HAM-A per le auto-valutazioni. A tal fine, la SAS è composta da 20 items e la sua struttura è semplice in modo che un qualunque soggetto possa essere in grado di rispondere correttamente alle sue domande. I soggetti si devono auto-valutare su una scala ordinale che prevede quattro giudizi. Quest’ultimi sono: “raramente“; “qualche volta“; “spesso“; “quasi sempre“. I giudizi si riferiscono alla frequenza d’occorrenza dei sintomi elencati nelle items.

Per evitare bias connessi alla tendenza di rispondere in modo automatico, la Scala include 5 items (5, 9, 13, 17, 19) di controllo. Quest’ultime presentano un punteggio invertito, rispetto alle altre 15. Le cinque items, strutturate con l’inversione del punteggio, sono quelle che esplorano il benessere. Le altre, esplorano la sintomatologia ansiosa.

4.1.5 Doppio o triplo cieco.

La ricerca sarà effettuata in doppio cieco. Né i soggetti, né gli sperimentatori, saranno a conoscenza del gruppo di assegnazione. Nel caso in cui vi siano sufficienti risorse, si potrà effettuare un triplo cieco. In quest’ultimo caso, neppure i soggetti destinati all’elaborazione dei data statistici, né i farmacisti, dovranno conoscere i gruppi di assegnazione. Le maggiori risorse dette, dovrebbero includere la disponibilità di tecnologie hardware e software per realizzare in farmacia un sistema automatizzato per la consegna del verum e/o del placebo in base l’assegnazione ricevuta. La sostituzione del fattore umano col fattore tecnologico, infatti, non elimina i rischi di errore e/o di bias, ma “sposta” il livello in cui quest’ultimi possono occorrere. Pertanto, l’uso di queste tecnologie richiede d’affrontare i themae inerenti alla CyberSecuity, alle debolezze ed alle vulnerabilità, dei Sistemi Informatici e dei programmi utilizzati.

Per evitare “rotture” di protocollo, l’aspetto dei placebo e del verum dovrà essere uguale. Né il paziente, né il medico, dovranno essere in grado di distinguerli. Solo la Casa farmaceutica, il farmacista ed il responsabile del CTR, dovranno essere in grado di farlo. Questo potrà avvenire dando alle confezioni numeri di lotto e/o codici a barre diversi.

I partecipanti potranno ritirare le loro prescrizioni unicamente dalla farmacia e/o dalle farmacie del Centro/i che gestisce/ono il CRT. L’acquistare farmaci e/o rimedia omeopatici in altre farmacie, durante i sei mesi di trattamento, costituisce rottura di protocollo.

4.1.6 Modalità di prescrizione dei rimedia Omeopatici

Come è emerso nella Seconda Parte, le ricerche hanno riportato una diversa efficacia dei rimedia omeopatici. Quest’ultima cambierebbe in base alle modalità di prescrizione: Individualized Homeopathy; not-Individualized Homeopathy. Per evitare i bias conseguenti all’uso di modalità di prescrizione eterogenee, tutte le prescrizioni omeopatiche dovranno avvenire econdo Individualized Homeopathy. Le prescrizioni potranno essere sia uniciste che pluraliste, in base all’approccio epistemologico del medico omeopata, ma non comlpessiste.

L’individualità morbosa del paziente verrà comparata dall’individualità morbosa del rimedium utilizzando le Materie Mediche, i Repertori Omeopatici ed i proving pubblicati. I rimedia che non sono ancora presenti nelle Materie Mediche, nei Repertori e nei proving pubblicati, non potranno essere prescritti.

Per la repertorizzazione omeopatica e la gestione delle cartelle cliniche, sarà usato un software informatico quale RADAR. La collaborazione di questa Casa produttrice Italiana verrà richiesta.

4.1.7 Modalità di prescrizione dei farmaci convenzionali.

I farmaci convenzionali saranno prescritti unicamente in label. Ancora, essi verranno usati conformemente ai protocolli ed alle linee guida approvate. Ancora, le modalità e le posologie saranno stabilite come indicato nella scheda tecnica del prodotto.

Nessuna prescrizione off label sarà permessa.

4.1.8 Fondi e Risorse necessarie

Un CTR necessita di fondi e di risorse. Sono necessari PCs, softwares e hardwares, programmi di elaborazione statistica quali SPSS, software per la repertorizzazione omeopatica e la gestione delle cartelle cliniche (e.g. Radar; Complete Dynamics), luoghi e spazi sicuri per la conservazione dei data, la possibilità d’accedere alle Pubblicazioni Scientifiche nazionali ed internazionali, etc… .

Ancora, è necessaria la collaborazione di diversi professionisti (Psichiatri; Omeopati; Psicoterapeuti Cognitivi-Comportamentali; Ricercatori) ed istituzioni (almeno una delle: 16 Scuole di Medicina Omeopatica riconosciute dalla FIAMO in Italia; Università e Cliniche Universitarie; Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale riconosciute dal MIUR).

L’inserimento di questa ricerca in un PhD può fornire sia vantaggi che svantaggi. Da una parte, permetterebbe di accedere ai fondi ed alle risorse disponibili per esso. Ancora, faciliterebbe la collaborazione con altri Ricercatori. Dall’altra parte, richiederebbe una semplificazione del protocollo ed una riduzione dei tempi per restare all’interno dei tre anni di corso.

Alcuni fondi potrebbero essere acquisiti da Enti nazionali ed internazionali interessati alla Ricerca Omeopatica. Quest’ultimi bandiscono regolarmente concorsi per l’assegnazione di fondi destinati alla ricerca. In Italia, exempli gratia, la FIAMO mette a disposizione il 5 per mille ricevuto dallo Stato a tal fine. Diverse Aziende Farmaceutiche Omeopatiche, italiane e straniere, dedicano annualmente una parte dei loro profitti per supportare queste ricerche.

4.1.9  Research Questions ed i parametri sui quali saranno testate le ipotesi di ricerca

Le ipotesi e le domande di ricerca sono diverse. Quest’ultime sono già state illustrate sopra e, pertanto, ci si limita a richiamarle.

I parametri sui quali verranno testate sono i seguenti:

  • il numero e la gravità dei sintomi riportati dai pazienti, prima e dopo il trattamento. Questo parametro sarà misurato con l’Hamilton Anxiety Rating Scale (HAM-A);
  • la velocità nel migliorato e l’evoluzione del decorso. Parametro misurato con la Self-Rating Anxiety Scale (SAS) di Zung (1971);
  • gli effetti di medio e lungo termine. Altro parametro misurato con la SAS di Zung. Questa Scala permetterà una valutazione più agile da attuarsi nel follow up, riducendo i costi ed i rischi di mortalità. Ogni sei mesi, per due anni, i partecipati compileranno l’auto-valutazione. Nulla preclude di usare assieme alla SAS di Zung anche l’HAM-A. Quest’ultima, però, richiederà maggiori risorse e maggiore disponibilità di tempo sia da parte dei professionisti che dei partecipanti.

4.2.0 Research Design

Il CRT richiederà la partecipazione di almeno 200 pazienti. Questi saranno reclutati fra coloro che si rivolgeranno ai medici di base e/o psicologi e/o psichiatri per problematicità legate alle condizioni ansiose. La collaborazione degli Ordini professionali sarà richiesta per pubblicizzare la ricerca fra gli iscritti. I professionisti potranno proporre ai loro pazienti la partecipazione alla ricerca. Quest’ultimi, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie, potranno parteciparvi, rilasciando consenso libero ed informato.

Tutti i partecipanti usufruiranno d’una mono-terapia CBT per sei mesi, due volte a settimana, per un totale di 48 sedute. Attraverso una procedura randomizzata, alcuni di essi verranno assegnati ad uno dei tre gruppi sperimentali, altri al gruppo di controllo. I primi riceveranno assieme alla terapia CBT anche una delle terapie indicate (MC; MO; MX). I secondi riceveranno solo la terapia CBT.

L’assegnazione at random sarà effettuata da un PC e sarà gestita da un ricercatore indipendente. Con questa espressione funtoriale si intende uno sperimentatore che sarà coinvolto solo per questa sola attività di ricerca e nessuna delle altre.

4.2.1 Partecipanti

Come detto, saranno usati tre gruppi sperimentali ed un gruppo di controllo. Ognuno di essi sarà composto almeno da 50 soggetti. L’assegnazione sarà effettuata at random.

Per garantire gruppi il più possibile omogenei, l’età dei partecipanti dovrà rientrare all’interno d’un range. Quest’ultimo andrà dai 40 ai 65 anni. Ancora, i gruppi dovranno avere un uguale rapporto fra soggetti maschi e femmine. Sebbene nessuno standard riporti norme impositive che richiedano un uguale presenza di uomini e di donne, oppure un eguale rapporto fra i gruppi, è innegabile che una diversa rappresentanza nei samples sia un noto fattore di bias.

Come detto, la partecipazione avverrà sulla base d’un consenso libero ed informato. A tal fine sarà dedicato un briefing inziale nel quale saranno date tutte le informazioni del caso.

I partecipanti verranno informati, anche, del loro diritto di ritirarsi dallo studio in qualsiasi momento lo ritengano opportuno.

Un secondo briefing verrà fatto alla fine dei sei mesi di trattamento per acquisire feedback utili ed informare i partecipanti sul follow up.

4.2.2 Criteria di inclusione

Il CRT mira a misurare l’efficacia d’un trattamento all’interno d’un contesto “sperimentale ideale”. A tal fine, è necessario arruolare popolazioni il più possibile omogenee. Ancora, è necessario ridurre possibili variabili confondenti.

E’ conditio sine qua non per una buona riuscita del CTR la riduzione dei fattori di bias. Pertanto, oltre ai criteria sopra menzionati, dovranno essere esclusi anche i pazienti, così detti, “complessi”. In quest’ultimo gruppo sono inclusi anche quei soggetti che presentano comorbidità fra disturbi ansiosi e depressivi. Questo quando entrambe le dimensioni raggiungono una dimensione clinicamente rilevante.  La diagnosi sarà fatta usando il DSM-IV-TR.

Di contro, saranno inclusi quei soggetti che, seppur presentino alcune items appartenenti a più condizioni morbose rientranti nei SADDs, non abbiano sviluppato condizioni morbose clinicamente rilevati per più d’uno d’essi. Questo poiché diverse items sono co-presenti nelle scale diagnostiche dei SADDs.

 4.2.3 Procedura

I partecipanti verranno sottoposti ad due visite mediche iniziali. La prima sarà fatta da uno psichiatra. La seconda da un medico omeopata. Ognuno di essi procederà a formulare una diagnosi, rispettivamente psichiatrica ed omeopatica, sulla base della quale verrà rilasciata la relativa prescrizione.

Lo psichiatra dovrà anche valutare il livello d’ansia del soggetto utilizzando l’HAM-A Scale. Ancora, sarà lo psichiatra a verificare il rispetto dei criteria di inclusione ed esclusione. In particolare, controllerà che non siano presenti comorbidità clinicamente rilevanti e/o altre condizioni preclusive, escludendo i “soggetti complessi”.

Tutti i partecipanti inizieranno la psicoterapia cognitivo-comportamentale. A quest’ultima, in base all’assegnazione, seguirà il trattamento MO e/o MC e/o MX e/o placebo.

Tutti i partecipanti, indipendentemente dalla loro assegnazione, continueranno ad essere seguiti sia dallo psichiatra che dall’omeopata. Nei sei mesi di trattamento tutti effettueranno una visita di controllo al mese da entrambi i medici. Durante tale visita lo psichiatra monitorerà gli sviluppi del trattamento con l’HAM-A. Ancora, durante le visite periodiche, ogni medico potrà fare tutte le valutazioni che attengono alla propria disciplina, modificando anche le prescrizioni e le dosi qualora ritenuto opportuno. Ogni variazione dovrà essere annotata ed essere oggetto di valutazione nello Studio. Allo stesso modo, qualora lo psichiatra rilevi un peggioramento nelle condizioni dei soggetti e/o che quest’ultimi diventino incompatibili col procedere nello studio, inviterà il soggetto a ritirarsi per ricevere le cure più opportune. In questo caso, lo psichiatra darà tutta l’assistenza utile fino a quando il paziente sia preso in carico da un professionista di propria fiducia.  L’uscita del soggetto è valutata come esito negativo e/o rottura di protocollo. Le analisi, infatti, saranno fatte applicando l’intention to treat.

I partecipanti consegneranno, al farmacista del Centro/i che gestisce/ono il CRT, sia la prescrizione dello psichiatra che dell’omeopata. Il farmacista, verificata l’assegnazione del soggetto su un Pc posto nel retro, consegnerà al paziente, in base al gruppo d’assegnazione: a) il farmaco prescritto dallo Psichiatra col placebo del rimedio omeopatico; b) il rimedio prescritto dall’Omeopata col placebo del farmaco; c) sia il farmaco convenzionale che il rimedio omeopatico; d) entrambi i placebo.

Per evitare comunicazioni involontarie fra il farmacista ed i partecipanti (e.g., quelle del linguaggio del corpo), la consegna delle confezioni dei medicinali sarà fatta da assistenti del farmacista che non saranno a conoscenza di cosa stiano consegnando.

Nel caso in cui si proceda con un triplo cieco, la verifica dell’assegnazione e la consegna dei medicinali verrebbe gestita interamente da un sistema automatizzato.

Durante i sei mesi di terapia i partecipanti compileranno a cadenza settimanalmente la Scala di autovalutazione SAS di Zung. Queste schede saranno raccolte ed elaborate da un ricercatore indipendente che non avrà alcun altro coinvolgimento e/o ruolo nello Studio. L’auto-valutazione potrà essere inviata per email dai partecipanti direttamente al ricercatore indipendente che ha il compito di raccogliere e di elaborare i data che consegnerà ai responsabili dello studio solo alla fine dei sei mesi.

Alla fine di questo arco di tempo, sia lo psichiatra che l’omeopata faranno una visita conclusiva. Durante questa visita, lo psichiatra effettuerà una nuova valutazione sullo stato di ansia utilizzando HAM-A. L’omeopata potrà dare dei consigli per il follow-up.

4.2.4 Terapisti e Medici

Tutti i professionisti coinvolti (medici; psicoterapisti) saranno regolarmente iscritti agli Albi di appartenenza (Ordine dei Medici; Ordine degli Psicologi) ed avranno i requisiti di imparzialità e autonomia.

Gli omeopati, oltre ad essere medici iscritti all’Albo, dovranno avere concluso anche il corso triennale in medicina omeopatica, come disciplinato dalla legge italiana, in una delle 16 Scuole riconosciute dalla FIAMO. Ancora, dovranno avere maturato almeno 5 anni di esperienza in clinica omeopatica (unicista e/o pluralista).

Gli psicoterapeuti in CBT dovranno essere psicologi o medici iscritti nei rispetti Albi ed aver completato il percorso quadriennale di specializzazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale. Ancora, dovranno avere maturato almeno 5 anni di esperienza effettiva come psicoterapeuta CBT.

Tutti i ricercatori e sperimentatori dovranno sottoscrivere una dichiarazione d’assenza di conflitti di interessi. Il responsabile del CTR dovrà verificarne la veridicità.

Sulla base di quanto avvenuto in Australia – nella redazione dello “Statement on Homeopathy” (2015) da parte del National Health and Medical Research Council (NHMRC) – saranno esclusi dal team tutti gli sperimentatori e/o collaboratori che abbiano assunto posizioni contrarie verso una qualunque delle terapie utilizzate nel CTR, oppure siano stati iscritti ad associazioni e/o gruppi attivi verso la loro validità. Infatti, nelle more di questo Studio, il Commonwealth Ombudsman Australiano ha riconosciuto la presenza di forti bias, conflict of interest e scientific misconduct, nell’operato degli esperti incaricati dal NHMCR per la redazione del “Statement on Homeopathy” (2015). Un outcome che ha privato di validità l’intera pubblicazione di cui si è parlato nella Seconda Parte.

4.2.5 Misurazioni

I data saranno analizzati usando il software SPSS 14.0 (SPSS Inc). Saranno usate: la statistica inferenziale; il test di verifica delle ipotesi; il X2; la regressione. La statistica inferenziale ed il test di verifica delle ipotesi sarà utilizzata/o nella comparazione fra i gruppi sperimentali e di controllo per rispondere alle domande. Il X2 potrà permettere d’approfondire i risultati ottenuti sulle singole items di valutazione (HAM-A; SAS).

Le principali analisi verranno fatte dopo i sei mesi di trattamento e dopo i 2 anni di follow up.    

Il Test per la verifica dell’ipotesi sarà bidirezionale con un a = 0,05 per quanto riguarda la maggior efficacia dei trattamenti rispetto al placebo e/o fra di essi. Sebbene in psicologia, farmacologia e medicina, si usi di prassi – per questi CTR per i quali si suppone una certa direzione – il test monodirezionale, chi scrive accoglie le criticità sollevate su quest’ultimo da parte della letteratura.

In base alla potenza del test, le ipotesi nulle potranno risultare vere o false, accettate o respinte. La decisione assunta potrà ricadere in quattro occorrenze: due corrette; due errate.

La decisione sarà corretta se le ipotesi nulle accettate o rigettate saranno rispettivamente vere o false nella Realtà. La probabilità di accogliere una Ipotesi Nulla realmente vera è data da p = 1-a. La probabilità di rifiutate una Ipotesi Nulle realmente false è data da p = 1-b.

La decisione sarà errata qualora siano accettate o rifiutate ipotesi nulle che, di contro, sono rispettivamente false o vere nella Realtà. La probabilità di accettare una H0 falsa è data da p=b. La probabilità di rigettare una H0 vera è data da p=a. Il primo di questi errori si chiama errore del II tipo (b); il secondo errore del I tipo (a). Pertanto, la probabilità d’assumere una decisone corretta dipende interamente dalla potenza del test statistico. Quest’ultima è data da 1-b.

Un altro fattore che incide sulla capacità d’assumere decisioni corrette attiene alla variabilità della distribuzione della popolazione di riferimento. Quest’ultima è espressa dall’errore standard. Esso è stimato a partire dalla deviazione standard e dalla ampiezza del campione. Pertanto, saranno testati gli assunti di normalità, di omogeneità della variazione, di continuità ed uguaglianza degli intervalli di misurazione, come suggerito da Kerlinger F. N. (1973).

Tutte le misurazioni saranno effettuate secondo l’Intention to treat. In altre parole, saranno oggetto di misurazione tutti i soggetti assegnati ai gruppi, attribuendo esito negativo in caso di rottura di protocollo e/o ritiro. L’intention to treat si presenta come scelta migliore in quanto la rottura del protocollo e/o il ritiro implica sempre un certo grado di “malessere” e/o un certo grado di “fallimento” del trattamento e/o della ricerca.

4.2.6 Contributi e Diffusione dei Data

I contributi a cui mira questa ricerca sono stati più volte illustrati nelle sezioni precedenti. Pertanto, per essi, si rinvia a quanto già scritto.

I data saranno resi pubblici sia nel caso in cui vi sia il rigetto delle ipotesi nulle che il loro accoglimento. Essi saranno riportati, sia in Inglese che Italiano, su sito internet dell’Istituzione presso la quale il CTR sarà condotto. Ancora, verranno pubblicati almeno su una Rivista Scientifica del settore.

4.2.7 Aspetti Legislativi, Normativi ed Etici

La sperimentazione rispetterà tutte le norme dell’Ordinamento Italiano, incluse quelle deontologiche, le buone prassi, nazionali ed internazionali, oltreché la Dichiarazione di Helsinki.

La normativa europea che disciplina la sperimentazione dei medicinali è la Direttiva 2001/83/UE22. Essa è stata recepita in Italia dal D.Lgs. 219/2006. I principi etici fondamentali sono quelli della Dichiarazione di Helsinki. Ancora, i requisiti da rispettare sono ripresi dagli standard internazionali di Buona Pratica Clinica (GCP). Il Regolamento EU 1394/2007 reca una lex specialis con disposizioni aggiuntive rispetto a quelle stabilite dalla direttiva 2001/83/UE. Quest’ultime rendono obbligatorio il rispetto di standard d’elevata qualità e sicurezza, al fine di tutelare la salute pubblica.

Tutte le norme applicabili al CRT saranno rispettate. Nella parte in cui sarà possibile verranno rispettati anche gli standards più rigorosi e cogenti da applicarsi per la sperimentazione di nuovi farmaci.

La ricerca inizierà solo dopo il placet del Comitato Etico e delle Autorità Competenti.

Nel caso in cui vi siano emendamenti sostanziali del protocollo sperimentale verrà richiesta una nuova approvazione da parte del Comitato Etico.

Come detto, per partecipare sarà necessario un consenso libero ed informato. Questo verrà chiesto nelle modalità già descritte.

Essendo tutti i partecipanti maggiorenni e capaci, non ci sanno questioni inerenti al consenso genitoriale e/o di chi agisce in loco parentis.

La privacy dei partecipanti sarà garantita utilizzando sia la pseudonimizzazione che conservando i data in PCs protetti con passwords e criptografia. Sarà rispettata, per quanto ancora in vigore, la L. 196/2003 (Direttiva Europea nr. 2002/58/CE). Ancora, sarà pplkicato il GDPR (General Data Protection Regulation) dell’EU recepito in Italia con il D. Lgs. nr. 101/2018.

Essendo la privacy dei data intimamente connessa alla Sicurezza del Sistema Informatico che li contiene, saranno prese tutte quelle misure di CyberSecurity necessarie.

Tutti i data saranno conservati in un Sistema Informatico protetto da un Role Based Access Control System. Ogni membro del team di Ricerca potrà accedere alle sole informazioni strettamente necessarie allo svolgimento dei compiti a cui è preposto. Ancora, la privacy sarà tutelata garantendo le security properties della triade RID (CIA)[8]: Riservatezza (Confidenziality); Integrità (Integrity); Disponibilità (Availability). Vi sarà il rispetto e l’applicazione di tutte le buone prassi descritte nelle norme UNI 27.001 e UNI 27.002, applicabili al caso. L’obiettivo è quello di ridurre il più possibile ogni rischio attinente alle vulnerabilità e minacce connaturate ai Sistemi Informatici.

La sicurezza sarà realizzata seguendo i principii: della separazione dei compiti; dell’accesso alle sole informazioni strettamente necessarie per le attività da compiere; del minimo privilegio; della semplicità; della difesa a più livelli. Ancora, la sicurezza logica (Information Security) sarà attuata sia con strumenti di Asset & Data Protection (Segregazione fisica; back-up dei data; classificazione delle informazioni; sanification dei media device) che di cybersecurity (firewall; Antivirus; Access Controll System).   Un esperto di CyberSecurity si occuperà di questi aspetti.

Tutti i partecipanti saranno informati dei loro diritti come previsto dalla L. 196/2003 e dal GDPR. Il consenso al trattamento dei dati sarà rilasciato sull’apposito modulo approvato dal Comitato Etico. Quest’ultimo sarà in duplice copia. Una verrà consegnata al partecipante; l’altra sarà conservata nella documentazione dello studio.

Per finire, tutti i professionisti coinvolti si impegneranno a rispettare i principi etici, la Dichiarazione di Helsinki, i principi della Buona Pratica Clinica (DM n. 162 del 15/07/97) ed ad ogni altra disposizioni normativa applicabile.

4.2.8 Limiti dello Studio

Questo studio presenta alcuni limiti. Alcuni di essi sono connaturati ed intrinseci alla metodologia della ricerca utilizzata. Tra quest’ultimi vi sono quelli attinenti: alla potenza del Test statistico; alla rappresentatività del campione; ai processi di selezione; agli strumenti di misurazione utilizzati; alle variabili confondenti asistematiche; etc….. La consapevolezza d’essi permette di attuare possibili contro-misure quali l’utilizzo: della randomizzazione; del gruppo di controllo; delle scale di misurazione; delle visite di controllo a cadenza mensile.

Un altro limite attiene alla dimensione del campione. Un campione di 200 soggetti, suddivisi in quattro gruppi da 50, è un buon campione per uno studio iniziale. Nonostante ciò, i risultati dovrebbero essere corroborarti e confermati con campioni più numerosi e rappresentativi attraverso studi successivi.

Pertanto, si riterrà utile ed auspicabile una ripetizione dello studio con samples più numerosi.

5 Conclusioni

La follia è nei singoli qualcosa di raro – ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola“.

Friedrich Nietzsche, Al di là del Bene e del Male

In questi ultimi due anni di epidemia Covid-Sars-2, sono emerse nell’intersoggettività e nei processi collettivi alcune dinamiche anomale, caratterizzanti i processi del pensiero di gruppo. Una forma di pensiero che tende a pregiudicare il corretto funzionamento della Dialettica Sociale e Scientifica. La prima assolve ad una funzione di controllo generale su ogni aspetto multidimensionale dell’agire comune all’interno d’una Democrazia e/o Società Aperta a là Popper; la seconda garantisce alla Scientia d’assolvere correttamente alla sua funzione, limitando e/o contenendo i rischi legati all’errore, ai bias, ai conflitti di interesse.

Quando i meccanismi del pensiero di gruppo contaminano la Dialettica Sociale e Scientifica, quest’ultime falliscono d’assolvere alle loro funzioni.

Questo aspetto non è irrilevante per chi si vuole dedicare alla Scientia. E’ opinione di chi scrive che il valore epistemologico delle credenze e/o delle teorie e/o delle narrazioni non possa prescindere dalle dinamiche sociali e comunicative all’interno delle quali quest’ultime si vengono a formare.

L’essere umano, infatti, è un animale intrappolato in maglie di significati che lui stesso ha creato (Geertz, 1973). Le esperienze, trasmutate in eventi verbalizzati (Slobin, 2000), generano le visioni del mondo attraverso i processi di significazione. La Realtà non viene vista per quello che è, ma attraverso la mediazione degli artefatti narrativi, delle categorie, immessi/e nel flusso Discorsivo. Quest’ultimo può oggettivare qualunque narrazione sia posta in essere dagli attori sociali, attraverso ripetizioni ricorsive, creando IperRealtà. I Mass Media hanno facilitato ciò. Il narrato diventa il creduto; il creduto diventa la prospettiva situata dalla quale si re-interpreta il mondo. Un processo interpretativo auto-convalidante ed auto-rinforzante che porta ad evitare dissonanze cognitive. Un meccanismo che, nella Storia e Teoria della Scienza, è spiegato da Kuhn. Il Paradigma Scientifico, posto dinanzi alla propria negazione e/o contradizione, si attiva per interpretare quest’ultima come Sua affermazione attraverso la creazione di auxiliary assumptions.

Pertanto, per comprendere il valore epistemologico – per quanto umanamente possibile – bisogna uscire dal flusso Discorsivo ed analizzare i processi sociali che hanno operato in esso.

Vivere il tempo presente, infatti, significa trovarsi all’interno del flusso Discorsivo che in esso scorre. La propria agentività, cosi’, è condizionata da quest’ultimo. Giorno dopo giorno, il flusso discorsivo si ripete, come un’ipnosi collettiva, condizionando le credenze, quanto percepito, direzionando l’attenzione nella direzione in cui scorre. Le lotte per il potere, oggigiorno, sono lotte per il significato. Il vero Potere è definire quest’ultimo, determinando l’agire collettivo, attraverso un’azione di sencemaking a là Weik.

Potere è Conoscenza; Conoscenza è Potere (Foucault). Attraverso la creazione di visioni del mondo, simboli significativi, si ri-configura la Realtà[9].

Oggigiorno, Potere limita Potere, solo, e solo se, esistono diverse Visioni del Mondo capaci di limitrsi a vicenda.

Solo la pluralità delle Visioni del Mondo può garantire la Democrazia, il rispetto reciproco, il perseguimento d’un Bene Comune e/o Oggettivo. L’Oggettività, infatti, non è credere d’avere trovato la “teoria migliore” e/o la verità. Nessuno nella Storia dell’Umanità ha mai saputo quale essa sia! La stessa Scienza presuppone di non conoscerla. La sua essenza, infatti, non è affermare verità universali e stabili, ma fornire un metodo atto a correggere le false credenze che, fino a loro falsificazione, erano considerate vere e oggettive. La Storia della Scienza, infatti, è un eterno tentativo d’avvicinarsi alla verità, ad una conoscenza certa ed oggettiva, senza mai poterla raggiungere.

 L’oggettività, per quanto sia possibile, può emergere solo in un processo dialettico nel quale le diverse visioni del mondo, con tutte le loro imperfezioni ed incompletezze, nel rispetto reciproco, giungano a concordare narrazioni condivise, contestate e negoziate a là Benhabil (2002). Quest’ultime sono possibili solo all’interno d’una meta-visione fondata sulla coesistenza e libero confronto. E’ solo attraverso il loro continuo correggersi, limitarsi ed integrarsi, che l’umanità può evitare di cadere in quelle derive nelle quali spesso è finita nel corso della Storia.

Quando questa pluralità viene meno, attraverso i meccanismi del pensiero di gruppo, emerge il pensiero unico. Quest’ultimo è ciò che ha condotto l’uomo a tutte le scelte più scellerate di cui è stato capace (Esser, 1998; Schafer & Clichlow, 1996;  Kameda & Sugimodi, 1993; Moorhaed, Ference & Nec, 1991; Esser & Lindoerfer, 1989; Moorhead & Montanari, 1986; Hensley & Griffin, 1986; McCauley, 1989; Peterson, Owens, Tetlock, Fan & Martolano, 1998).

Il rischio di cadere nell’IperRealtà, infatti, è molto elevato in presenza del pensiero di gruppo. Un pensiero che – per esistere – deve inibire il pensiero critico e/o divergente. Una inibizione che lo porta inevitabilmente nell’errore.

Come ci ricorda Paul Watzlawick (1976): la convinzione che la propria visione della realtà costituisca l’unica realtà è un illusione pericolosissima. Diventa ancora più pericolosa se accompagnata dallo zelo missionario di illuminare il resto del mondo, qualora il resto del mondo lo voglia, oppure no.

A seguito del covid-sars-2, la Dialettica Sociale e Scientifica sono state inquinate dal pensiero di gruppo. Quest’ultimo ha fatto perdere alla Scientia le quattro caratteristiche che la denotano e connotano:

  • il consenso;
  • il rispetto della Dialettica Scientifica. Quest’ultima deve essere trasparente, pubblica, libera da ogni condizionamento, aperta a chiunque voglia parteciparvi;
  • l’applicazione del Metodo Scientifico. Le evidenze empiriche devono essere acquisite secondo il Metodo Scientifico. Quest’ultime devono essere prive di errori e/o di bias. Compito della Dialettica Scientifica è vagliare criticamente gli Studi ed i research findings acquisiti, sottolineandone gli errori, i bias ed i limiti. Ancora, valutare i conflitti d’interesse, la provenienza dei finanziamenti, l’indipendenza dei ricercatori e/o degli Enti di Ricerca;
  • il rispetto del principio di demarcazione (test di validità; principio di falsificazione).

Questi quattro requisiti vengono meno con l’affiorare dei segni ed i sintomi del pensiero di gruppo. La presenza di conformismo e/o di pressione sociale, di censura in tutte le sue forme (formali ed informali), di limitazioni e/o ostacoli all’accesso delle informazioni, d”inibizione del pensiero critico ed indipendente, di climi minacciosi contro chi non si uniforma, rende impossibile parlare di Scientia. Allo stesso modo non si può parlare di Scientia in presenza: d’una legittimazione e/o tolleranza all’aggressione (fisica; verbale; sociale) verso chi non si uniforma; dell’uso della denigrazione e/o degli argomenta ad personam per screditare chi la pensa diversamente; d’un appello all’emotività per bypassare la ragione critica e spingere verso l’irrazionalità; del promuovere categorizzazioni fondate sulla scissione, sull’idealizzazione e sulla svalutazione primitiva.  Categorizzazioni quest’ultime con le quale la Realtà è suddivisa in due gruppi in lotta fra di loro. Uno che si uniforma: i buoni. Uno che non si omologa: i cattivi.

Negli ultimi due anni, la presenza del pensiero di gruppo ha sostituito il modello bio-psico-sociale col modello bio-finanziario. Quest’ultimo, parafrasando Trasimaco, ha ridotto la Scientia ad essere l’intesse del più Forte. La Dialettica scientifica è stata sostituita dagli ipse dixit e dalle radiazioni dagli Ordini! Una situazione riassumibile con le parole di Matteo Bassetti: “la Scienza non è Democrazia e pertanto deve essere imposta coercitivamente con la Forza!!

Il modello bio-finanziario ha sostituito quello bio-psico-sociale nel momento in cui i protocolli e le linee giuda sono stati/e trasmutati di natura e funzione.

Nel modello bio-psico-sociale (come nel modello bio-medico), i protocolli e le linee giuda avevano il solo fine di rappresentare “un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità̀ ad assurgere al livello di regole vincolanti(Sezioni Unite sentenza nr. 8770/2018). In altre parole, i protocolli e le linee guida erano creati ex post all’acquisizione d’una conoscenza che si era cristallizzata come best practice dopo anni ed anni di dati corroboranti. Ancora, nonostante l’esprimere una best practice ampiamente condivisa a livello internazionale, non poteva mai essere e/o assumere natura vincolante. La medicina, infatti, da una parte non dà risultati matematici e certi. Ancora, ogni oggetto ha peculiarità sue proprie. Così, la libertà di scelta è sempre restata il must fondamentale. Questi protocolli erano espressione d’una dimensione e d’un linguaggio descrittiva/o, ovvero di ciò che è nel precinto della Scienza.

Di contro, i protocolli nati col covid-sars-2 sono stati creati ex ante all’acquisizione di conoscenze. La loro creazione non è stata una collezione di conoscenze cristallizzate e/o di best practice corroborate negli anni. Essi sono stati mere scelte politiche, arbitrarie, basate sull’ideologia, sui fattori politico-economici, sulle ragioni di bilancio, sugli interessi del mercato finanziario, sui costi che potevano avere i posti letto! Infatti, è scelta politica ed arbitraria anche quella d’ascoltare gli ipse dixit, chiamati il pareri “tecnici”, d’un soggetto piuttosto che quelli d’un altro. E’ ancora scelta politica ed arbitraria imporre gli ipse dixit d’uno come “verità scientifica” con la costrizione!?.

Questi protocolli hanno presentato forti analogie coi programmi politici e/o coi piani industriali e/o col business plan che, infatti, sono pianificati sempre ex ante. Ciò ha causato un continuo susseguirsi di errori. La forte connessione con la finanza ed i suoi interessi è stata data da Mario Draghi quando, al Global Covid Summit 2021, ha parlato della necessità d’istituire un Board finanziario sanitario globale. Una proposta che esprime appieno il concetto di modello Bio-Finanziario.

Essendo scelta politica, arbitraria, essi hanno assunto natura e linguaggio normativa/o. Questo ha dimostrato la loro ascientificità per aver violato la Legge di Hume. I protocoli, infatti, sono diventati un qualcosa di più simile ad un ordine gerarchico e/o ad una circolari vincolante per un burocrate.

Ciò, ha portato a continue scelte errate e scellerate. Non si è fatto alcunché per la Salute Individuale e/o Sociale, ovvero per migliorare le strutture ospedaliere e la loro efficienza[10]. Nulla è stato fatto per potenziare le cure domiciliari e precoci[11], per affrontare con responsabilità, con calma e buon senso, la situazione. Anzi, c’è stato un continuo gettar benzina sul “panico”, alimentando uno Stato d’emergenza con tutti i processi irrazionali che lo seguono. Uno Stato d’emergenza dominato da una comunicazione paradossale, irrazionale, contradittoria, con la quale si ponevano in continua contrappostine le due esigenza fondamentali dell’essere umano, ovvero la Libertà vs la Sicurezza. Si chiedeva di rinunciare alla prima in cambio di false ed impossibili promesse della seconda[12].

Ma, come scrisse Baumann (2009): “la sicurezza senza la libertà equivale alla schiavitù“.

Questo modello bio-finanziario ha concretizzato quanto Illinch temeva nel suo libro Nemesi Medica (1974).

Il mio progetto era nato per inserirsi all’interno d’un modello bio-psico-sociale nel quale realizzare un’effettiva integrative medicine. Di contro, esso non è compatibile con un modello bio-finanziario.

Pertanto, al momento in attesa di Tempi migliori, concludo con le parole di Bernard Russell. Il vero scienziato è mosso dal desiderio di contribuire allo sviluppo della Conoscenza. Le sue credenze, pertanto, non possono essere dogmatiche, né possono ricadere nell’essere un’accettazione passiva del pensiero di gruppo. Il Vero Scienziato ha il dovere di accertare solo quanto abbia potuto osservare e verificare di persona, ovvero inferire attraverso il suo ragionamento. Egli deve rigettare ogni diversa narrazione, ancor più se imposta da una Autorità per ipse dixit (Bernard Russell, Education and Social Order, 1932).

“In questo mondo che stà diventando sempre più interconnesso, noi dobbiamo imparare a tolleraci a vicenda, noi dobbiamo apprendere ed accettare il fatto che qualcuno dirà cose che a noi non piacciono. Noi possiamo vivere insieme solo in questo modo. Se vogliamo vivere insieme e non morire insieme dobbiamo imparare qualche forma di carità e di tolleranza, che sono assolutamente vitali per la sopravvivenza della vita umana su questo pianeta”.

Bernard Russell dette alla BBC (1959)

[1] La pubblicazione è stata fatta nel Bollettino dell’OMS (Bulletin of the World Health Organization, 1999, 77, 2).

[2] Essa si suddivide in due parti. La prima offre una overview sulla pratica clinica, sulle ricerche e sullo “stato dell’arte” delle Medicine Complementari ed Alternative (CAM). La seconda affronta i themae politici e legislativi connessi ad esse. In questa seconda parte, si parla della necessità di sviluppare una Politica d’Integrazione fra le Medicine Complementari ed Alternative e gli EU Healthcare Systems.

[3]  Questa ricerca è uno studio osservazionale sui vantaggi d’un trattamento integrato in “type-2 diabetes mellitus patients with diabetic neuropathy“. Lo studio riporta benefici interessanti, sebbene suggeriscano la necessità di sviluppare ulteriori approfondimenti.

[4] Fondazione GIMBE. SPIRIT Statement 2013: checklist per il protocollo dei trial clinici. Disponibile al link: https://www.evidence.it/articolodettaglio/209/it/499/spirit-statement-2013-checklist-per-il-protocollo-dei-trial-cli [consultato il: 13/08/2019]

[5] Altri esempio sono dati da: Keller MB et al (2020); Pampallona S et al. (2004). Parere molto più timido è dato da Benedetto Vitiello et al.  (2009). Le conclusioni di questa meta-analisi sul trattamento della depressione negli adolescenti sono state: “It is concluded that, while there is no univocal support for the superiority of COMB (n.d.r., terapia combinata), two controlled trials indicate that COMB has a more favorable benefit/risk balance than monotherapy in adolescent depression. It remains to be determined for which patient subgroups and in which clinical settings COMB may be most advantageous“.

[6] Alcune meta-analisi hanno esaminato l’efficacia dei trattamenti combinati nei disturbi da panico. Quest’ultime hanno rilevato solo una lieve e/o modesta superiorità del trattamento integrato (CBT e MC) rispetto al mono-trattamento (CBT) E.g., Furukawa, Watanabe, & Churchill (2006), Watanabe, Churchill, & Furukawa (2009). Altre meta-analisi sono giunte alle stesse conclusioni per altri disturbi appartenetti allo spettro ansioso (Foa, Franklin, & Moser, 2002; Otto, Smits, & Reese, 2005).

Davidson et al (2004) hanno rilevato con un CTR come i trattamenti integrati (fluoxetina e CBT) riportino una risposta del 54.2% nell’ ansia sociale, mentre il mono-trattamento (CBT) una risposta del  51.7%. Ancora, ha rilevato come il mono-trattamento con la sola fluoxetina ha riportato performace del 50.8%.

Foa et al. (2005) hanno ottenuto risultati analoghi con i disturbi compulsivi-ossessivi. In quest’ultimo caso, la CBT è stata affiancata dalla clomipramina.

Secondo Michael W. Otto et al. (2010), l’utilizzo dei farmaci anti-depressivi e/o delle benzodiazepine, congiuntamente ad una terapia CBT, interferirebbero negativamente con quest’ultima. I farmaci avrebbero una azione controproducente sui processi cognitivi, quali quelli di apprendimento e di memoria, necessari alla riuscita della terapia CBT.

[7] L’HAM-A è composta da 14 categorie di sintomi (itemes). La valutazione è effettuata attraverso un colloquio semi-strutturato. Pertanto, non è necessario seguire l’ordine degli items, ma coprirli tutti 14. Quanto riporta il paziente dovrà essere integrato dalle osservazioni del professionista. Quest’ultime, comunque, dovranno essere ancillari e secondarie rispetto al riferito. Per finire, i sintomi rilevati sono quelli attuali che sono vissuti nella settimana che precede l’intervista.

[8] Come definite dal NIST (National Institute of Standard and Tecnology, USA) e riprese dalle norme UNI della famiglia 27.000.

[9] Un esempio di ciò è stato dato da Perelman. Quest’ultimo ha illustrato come il Regime Nazista, per adattare l’intero codice penale alle proprie finalità, non ha cambiato la legislazione, ma l’interpretazione da dare a quest’ultima. E’ bastato inserire una norma generale ed astratta che richiedeva di leggere tutto in modo conforme al “sano sentimento comune del Popolo Tedesco”.

[10] Exempli gratia, le Autorità Sanitarie hanno fornito ai medici ed agli Ospedali strumenti completamente inadeguati per operare, contribuendo ad ingigantire uno stato di emergenza che si sarebbe potuto ridimensionare di molto. Filippo Anelli, Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, ha scritto al British Medical Journal: “(…) e lecito supporre che questi eventi sarebbero stati in larga parte evitabili se gli operatori sanitari fossero stati correttamente informati e dotati di sufficienti dispositivi di protezione individuale adeguati: mascherine, guanti, camici monouso, visiere di protezione, che invece continuano a scarseggiare o ad essere centellinati in maniera inaccettabile nel bel mezzo di un’epidemia a cui pure l’Italia si era dichiarata pronta. Qualche giorno fa sono arrivate dalla Protezione civile agli Ordini dei medici 620 mila mascherine FFP2 che si sono rivelate ad una prima verifica non idonee all’utilizzo sanitario, tanto che abbiamo diffuso una nota a tutti i presidenti d’Ordine per invitarli a sospenderne immediatamente la distribuzione e l’utilizzo”. Phenomena che oscillano fra la grave negligenza, l’assenza di capacità ed il conflitto di interesse e/o corruzione.

[11] La Giustizia Amministrativa ha riconosciuto: “la irragionevolezza e l’illogicità del divieto imposto dall’AIFA” all’uso dell’idrossiclorochina (Cons. Di Stato, ordinanza dell’11-12-2020) ed al divieto imposto ai medici di visitare il loro pazienti (Cons. St., sez. III, 18 dicembre 2020, n. 8166). L’uso dell’eparina, degli anti-infiammatori e del cortisone, fatto dai pochissimi medici che credevano nelle cure domiciliari è stato più volte attaccato, deriso, bollato di “ciarlataneria”, dagli pseudo-esperti-unici su mass media. Alcuni di questi medici coscienziosi sono stati sospesi e radiati.

[12] Si pensi alla menzogna sull’immunità di gregge!?

Uno Studio sulla Medicina Omeopatica. Parte II: L’Omeopatia ed il Paradigma Scientifico. Ricercando una Validita’ Interna.

Non v’è altra tenebra che l’ignoranza

Shakespeare, Romeo e Giulietta

Il Paradigma Scientifico e l’Omeopatia

Questa parte indaga sulle ricerche condotte sul Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico e la loro Validità Interna. La Medicina Omeopatica, inoltre, è posta di fronte al Criterium di Demarcazione della Teoria della Scienza per definire se appartiene (oppure no) al Paradigma Scientifico.

L’indagine analizza la letteratura scientifica omeopatica attraverso gli “strumenti” della Teoria della Scienza e della Metodologia con flessibilità mentale, competenza trasversale utile per evitare phenomena di fissità funzionale (Epis, 2011 – 2015), riducendo i rischi di bias e pregiudizio.

Una disciplina per appartenere alla Scientia deve avere: (1) un insieme di teorie formulate secondo il principio di falsificazione a là Popper, capaci di condurre alla creazione di Nuova Conoscenza a là Lakantos; (2) un Corpus di studi sperimentali, conformi ai criteria del Metodo Scientifico, atti a fornire dei research findings idonei a corroborare, oppure confutare, le teorie e le ipotesi testate.

Dall’analisi emerge che la Medicina Omeopatica possiede: (1) un insieme di teorie e d’ipotesi formulate secondo il principio di falsificazione; (2) un Corpus di studi sperimentali atti a corroborare e/o confutare le teorie e le ipotesi testate.

Risulterà, inoltre, che:

  • le “teorie classiche” (basate sui tre principia visti nella Parte I) sono state corroborate dai data sperimentali, mentre non sono state corroborate le teorie “recenti” basate sul principio dell’analogia e/o su prescrizioni che si scostano dal principio del simile;
  • una capacità generale del Sistema Clinico Farmaceutico Omeopatico, prescritto su base “individualizzata”, ad ottenere risultati migliori rispetto al placebo e/o non inferiori (alias: equivalenti e/o superiori, caso per caso) a quelli dei famaci di riferimento. Quest’ultima “tecnica” di “controllo” fornisce una “sorta” di “convergent validity”. Inoltre, indirettamente, supporta una maggiore efficacia del rimedio omeopatico rispetto al placebo.

E’ assunto per assioma che il farmaco di riferimento abbia maggiore efficacia del placebo. Di contro, come vedremo nella sperimentazione relativa ai SADDs, quest’ultimo assioma non è sempre vero. Alcuni farmaci di riferimento sono risultati avere efficacia uguale al placebo;

  • l’incapacità dei rimedi omeopatici prescritti su base nosologica (not-individualized homeopathy) di riportare risultati migliori rispetto al placebo;
  • l’impossibilità oggettiva, per la Natura dell’Omeopatia, d’ottenere gradi di evidenza atti alla formulazione di raccomandazioni cliniche sui singoli rimedi omeopatici. Un punto sul quale concordo con la Review del 2015 dell’NHMRC.

Dalla ricerca, quindi, emerge la necessità di distinguere fraomeopatia individualizzataedomeopatia non individualizzata”. Quest’ultima, a sua volta, richiede di distinguere fra le prescrizioni “non-individualizzate” fatte per singoli rimedi ed Alte Potenze e le prescrizioni di complessi costituiti da un mix di Basse Potenze. Le prime non sono in grado di riportare risultati migliori rispetto al placebo e/o versus il farmaco convenzionale di riferimento; i secondi (da valutare caso per caso) possono esserne capaci, per i motivi illustrati in questa Parte.

Questi “distinguo e distinguendo” sono rilevanti per:

  • valutare le Reviews. Molte di queste, non distinguono fra individualized homeopathy e not-individualized homeopathy. Solo l’individualized homeopathy applica il principio del simile, mentre la not-individualized homeopathy non lo applica. Mischiare assieme, trials condotti con queste due diverse modalità, crea: da una parte, forti bias; dall’altra, l’incapacità di capire “cosa” funziona, o “cosa” non funziona, nell’odierno “contenitore” chiamato Omeopatia. L’esito delle Reviews, infatti, consegue alla proporzione che questi trials hanno fra di loro. Aumentando il numero dei primi, otteniamo risultati significativi vs placebo; incrementando il numero dei secondi, produciamo risultati negativi. Fare una generalizzazione dei risultati, come è avvenuto fino ad oggi, è un grave errore che alimenta la confusione e l’ambiguità alla base di tutte le polemiche sull’Omeopatia (oltre ad non essere un ragionamento contingente come inteso e definito infra);
  • trarre indicazioni utili per condurre ricerche attendibili, migliorando la qualità dei RCTs;
  • acquisire informazioni utili ed affidabili a fini clinici.

In altre parole, i research findings confermano la validità dell’Omeopatia (prescritta conformemente al principio del simile – Omeopatia “individualizzata”) e l’invalidità di tutte quelle “nuove forme” che si scostano dai tre principia visti nella Parte I.

Le difficoltà oggettive dei singoli rimedi ad ottenere gradi di evidenza per “raccomandazioni cliniche” deriva da ciò. Funzionando se prescritti su base individualizzata, non riportano risultati significativi se prescritti su base nosologica / “non individualizzate”. Questo, in se’ e per se’, limita la possibilità d’ottenere gradi di evidenza per raccomandazioni cliniche[1]. Gradi di evidenza che, di solito, sono testati con RCTs di not-individualized homeopathy.

Il Corpus di studi sperimentali omeopatico è composto da tre sub-corpora.

Il primo raggruppa tutti gli studi sperimentali atti a corroborare e/o confutare la validità dei principia e delle Teorie Fondamentali sulle quali è basato l’intero Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico. Questi studi includono tutta la ricerca di base ed i RCTs fatti con “prescrizioni individualizzate”.

Il secondo è costituito dai trials clinici atti a testare la validità terapeutica dei singoli rimedia su date noxae patogene. Questo sub-corpus a sua volta si divide in due sub-insiemi. Da una parte, abbiamo i trials fatti in modalità “non individualizzata”, come avviene per i farmaci convenzionali. Questi sono veri e propri esperimenti dove il rimedio è testato su base nosologica su samples della popolazione generale. Lo stesso rimedio (Belladonna) viene prescritto alla stessa diluizione/dinamizzazione (5 CH) a tutti i pazienti che soffrono della stessa noxa patogena (influenza). Dall’altra parte, abbiamo i trials fatti in modalità “individualizzata”. Quest’ultima rappresenta il vero modus operandi dell’Omeopatia. Il rimedio non è prescritto su base nosologica, ma sulla sovrapposizione dell’individualità morbosa del paziente con l’individualità medicamentosa del rimedio. La stessa noxa patogena (influenza) è trattata con rimedi diversi (Belladonna; Gelsenium; Euphorbium; Arsenicum; Bryonia; Ferrum Metallicum; Chamomilla; etc…) a diluizioni/dinamizzazioni diverse  (5 CH; 30 CH; 200K; 1000K; etc…) su pazienti diversi. Qui non si può parlare di esperimento, ma (al massimo) di quasi-esperimento. Ogni rimedio è efficace solo su una sub-popolazione che, condividendo determinate caratteristiche, risulta “sensibile” ad esso.

Questo sub-insieme è quello maggiormente problematico. In discipline quali la Criminologia, i quasi-esperimenti si basano su sub-popolazioni che condividono caratteristiche oggettivamente osservabili (furti; lesioni; risse; omicidi; etc…). Di contro, in Omeopatia, il riconoscimento delle caratteristiche dipende dai fattori soggettivi del Medico Omeopata che conduce la diagnosi omeopatica. Medici diversi, fanno diagnosi omeopatiche diverse (raggruppando gli stessi soggetti in sub-popolazioni differenti). Questo crea problemi di Realibility inter-soggettiva.

Quest’ultimo è un aspetto “serio” che dovrebbe essere dibattuto fra chi “critica” e chi “sostiene” l’Omeopatia. Di contro, passa in “sordina”, poiché “chi” critica l’Omeopatia non la conosce e non l’ha studiata. Le critiche mosse, così, ricadono in “luoghi comuni”, impoverendo lo stesso dibattito e rinforzando “posizioni ideologiche”.

Il terzo sub-insieme è costituito dai provings omeopatici (sperimentazione omeopatica “in senso stretto”) finalizzati ad individuare la patogenesi (alias la tossicologia) delle sostanze sui soggetti sani. La sperimentazione è finalizzata ad identificare l’individualità medicamentosa del rimedio. In passato, la tossicologia si identificava con la patogenesi. Oggigiorno, non è più così. Eccetto per alcuni rimedia quali Iodium (testati solo con TMs), tutte le sostanze sperimentate sono testate solo in Alte Potenze (e.g., 30 CH). Ancora, molte d’esse sono prive di effetti tossici se assunte in dosi ponderali. Exempli gratia, Licopersicum (il pomodoro) e tutti i Lactis (Caninum; Caprinum; Delphinum; Elephantinum; Felinum; Humanum; Leoninum; LupinumOvinum; etc …) sono sostanze prive di effetti tossici in dosi ponderali. Che tossicità ha il lac ovinum e/o caprinum assunto in dose ponderale sull’uomo?!?! Queste sperimentazioni, pertanto, aprono “nuove frontire” di “interrogativi” (sui quali, al momento, nessuno si è cimentato).

Escludendo a priori la Teoria dell’Anarchica della Conoscenza di Feyerbaund (1970), l’attuale Teoria della Scienza si basa su tre modelli principali: (1) il Posittivismo Logico col suo Test di Validità; (2) l’Evoluzionismo Epistemologico di Popper col suo Principio di Falsificazione; (3) il criterium di demarcazione proposto da Lakantos. Secondo quest’ultimo, una disciplina (per essere Scientia) deve avere la capacità di sviluppare un “programma di ricerca” capace di condurre progressivamente alla scoperta di fatti nuovi. Secondo Lakantos, non basta formulare teorie in modo falsificabile, ma bisogna avere anche la capacità di apportare Nuove Conoscenze.

Lakantos, exempli gratia, esclude la psicodinamica dal Paradigma scientifico, come avevano fatto i Teorici della Scienza al Simposio di New York (1958). Un argomento rilevante in quanto, alcuni aspetti “critici” dell’“Odierna Omeopatia” conseguono all’innesto in essa di pratiche “simil-psicodinamiche”.

Le teorie della psicodinamica non sono falsificabili, non passano il test di validità, non conducono alla scoperta di Nuova Conoscenza (salvo quella equiparabile ad una interpretazione letteraria). Di contro, sono mere Credenze che agiscono ex post sull’interpretazione che i soggetti danno ai fatti. Quest’ultimi, indipendentemente dal loro significato reale, vengono re-interpretati in modo conforme alle teorie psicodinamiche. Come la Religione e/o la Superstitione, la psicodinamica re-interpreta tutto conformemente alle proprie credenze, creando cicli viziosi, auto-referenziali ed auto-convalidanti, che imprigionano il pensiero in una sorta di “delirio cronico”.  Come in un disturbo cronico recidivante, le credenze psicodinamiche sono usate per interpretare i fatti, ed, ex post, le interpretazioni date ai fatti sono usate per confermare le credenze psicodinamiche (!!)[2].

La Medicina Omeopatica, oggigiorno, non si occupa solo del soma / corpus. Sempre di più pone attenzione alla psiche / anima. Un tentativo che mira a “semplificare” la ricerca del simillimum (rimedio) ipotizzando un animus comune in tutti i rimedia appartenenti alla stessa famiglia omeopatica.   Un animus che operativamente è descritti con alcuni themae fondamentali. Questi approcci hanno sviluppato una crescente attenzione per l’inconscio ed il mito. Questo ha innestato nell’Omeopatia gli stessi bias e meccanismi che avvengono in psicodinamica.

Exempli gratia, per comprendere come funzionano i themae e come derivino dall’analogia userò l’esempio della famiglia delle Liliacee. Questa famiglia omeopatica include anche: le Orchidaceae; le Zingiberales; le Bromeliales; le Nymphaeales; etc….  (conformemente a Merialdo Giacomo, 2018)[3].

Conformemente a Merialdo (2018), le Liliacee hanno come themae: l’Infantilismo. Esso non significa essere immaturi, ma avere un aspetto più giovane rispetto alla propria età anagrafica. Una gioventu’ rappresentata dalla bellezza dei gigli. Così, la Bellezza e l’Estetica sono altri themae della famiglia. Ancora, l’infanzia può essere vista come l‘Età dell’Oro, oppure, all’opposto, un “luogo irrisolto” al quale si è rimasti “legati” a causa d’un trauma. Un “legame” rappresentato dal mito di Giacinto (pianta appartenete alle liliaceae) che, nel “fiore” della sua giovinezza, cade colpito dal disco di Apollo (il trauma). Al trauma è connessa l’incapacità di elaborare la sofferenza e la perdita (che sono altri themae tipici della famiglia). Giacinto ebbe tre amanti: Tamiri; Borea o Zefiro; Apollo. Nessuno di questi voleva perdere il giovane per la sofferenza che ne sarebbe derivata. Apollo, così, fece privare l’avversario Tamiri della vista, della voce e della memoria, dalle Muse. Borea o Zefiro, di contro, non potendo far nulla contro il dio, animato da “profonda sofferenza” nel veder il giovane con esso mentre gli insegnava il lancio del disco, bloccò d’impeto il disco in aria che, ricadendo a terra, uccise il giovane. Ecco un altro thema per la nostra famiglia: il lutto (!) che consegue a ciò.  Ancora, non poteva mancare la Dicotomia fra Forze Opposte. L’animus del soggetto è un thetrum belli conteso da “forze opposte”, alias l’incapacità di Giacinto a scegliere fra “amanti” di “opposta natura”, divini o umani.

Come può essere osservato, questi themae sono legati all’analogia, alle metafore ed ai miti delle Liliacee. Essi non provengono dalla sperimentazione clinica (patogenesi), n’è tanto meno dai RCTs.  Sono credenze “estratte” per “assonanza” da un “qualcosa” … che, una volta assunte ad ipotesi, vengono sempre corroborate attraverso interpretazioni retrospettive (come in psicoanalisi). Ex post, tutto nella vita del paziente è “forzatamente” riletto e ricondotto a quei themae! In questo modo, però, si può corroborare tutto e l’opposto di tutto!

Questo crea un “un altro problema” (taciuto dai “critici” che non lo conoscono). Un Sistema che, nella sua “ortodossia”, rispetta il principio di falsificazione, si ritrova una “mina vagante” al suo interno. Una “mina” che fallisce ogni criteria di demarcazione. Una “mina” che contamina le voci repertoriali, la materia medica e la pratica clinica.

Chi afferma d’aver corroborato i themae nei casi clinici, “bara” col test di Validità. Questo poiché lo fa con interpretazioni retrospettive. Il test di Validità afferma che una Teoria è “vera” solo, e solo se, è in grado di predire un avvenimento futuro (conclusione) assunte determinate condizioni iniziali (premesse). La predizione deve essere ante facta, non post facta. Essa, inoltre, deve conseguire ad un Ragionamento Deduttivo. Attraverso l’interpretazione retrospettiva, non solo non è compiuto alcun ragionamento deduttivo, ma è “persa” la capacità predittiva del test di validità! Il test è fatto “tornare” (forzosamente) post facta, reinterpretando tutto per convalidare la credenza iniziale.

E’ stato detto, comunque, che qualunque Sistema Medico-Farmaceutico fallisce al Test di Validità, pertanto quest’ultimo non può essere usato a criterium di demarcazione. La Medicina, infatti, può formulare solo leggi probabilistiche che affermano una “maggiore probabilità” nel favorire la guarigione attraverso un determinato trattamento, piuttosto che d’un altro. Ciò rende applicabile un solo criterium di demarcazione: il principio di falsificazione. Falsificare è cosa ben diversa dal verificare (vedere Epis, 2018).

Il principio di falsificazione richiede che un farmaco per essere “efficace” deve dimostrare una maggiore capacità terapeutica rispetto al placebo. L’ipotesi è verificata attraverso trials sperimentali nei quali si applicano test statistici. I test pongono in esame un’Ipotesi Alternativa (Ha) contro un Ipotesi Nulla (Ho). La prima afferma l’esistenza d’una relazione causale fra due variabili (una indipendente; una dipendente), la seconda l’assenza di relazione.

L’esito del test è influenzato dal grado di sensibilità. Esso è rappresentato da a

Per convenzione a è uguale a 0.05. In altre parole, c’è: il 5% di probabilità di commettere l’errore di I tipo (a), rifiutare l’ipotesi nulla (Ho) quando è vera; ed, il 95% di probabilità di prendere la decisione corretta. Quest’ultima è data da 1-a.. Di contro, l’errore di II tipo (b) è  accettare l’ipotesi nulla quando è falsa. La capacità di respingerla correttamente è rappresentata da 1-b.

L’uso d’a con valori diversi (0.05; 0.01; 0.001; etc…) crea “problemi” pratici. Exempli gratia, all’interno della Scientia esiste un corpus di conoscenze con “valori epistemologici” eterogenei trattati per omogenei.

Alla fine del discorso, tenendo presente tutto quanto detto supra, il criterium di demarcazione sarà soddisfatto riscontrando la presenza di RCTs atti a convalidare le ipotesi testate secondo il principio di falsificazione.

Dalla Validità Ecologica alla Validità Interna

Le principali “prove” citate vs l’Omeopatia sono: (1) l’articolo di Shang et al. (2005) pubblicato sul The Lancet; (2) la Review pubblicata nel 2015 dal NHRMC (Commonwealth of Australia).

Analizzare queste Reviews è centrale per la comprensione del phenomenum.

Il corretto funzionamento del Sistema Scientifico, come di un ragionamento, richiede valori di verità contingenti. L’occorrere di tautologie e contradizioni segnalano possibili “errori di sistema”. La contradizione, infatti, porta a modelli “illogici / incoerenti” del tipo: P E NON-P. Modelli che conducono: da una parte, sempre a conclusioni false; dall’altra all’inconsistenza dell’intero Sistema Scientifico e/o del Ragionamento.

Conformemente alla legge dello pseudo-Scoto, l’Incoerenza implica l’Inconsistenza. Dalla contradizione, infatti, si può inferire “qualunque” cosa.

Assumendo che un Sistema Scientifico e/o un ragionamento deve essere Coerente, la validità ed invalidità è solo contingente.

Pertanto “posizioni assolute” pro e/o contra tendono a conseguire solo a “distorsioni ideologiche” che creano “prese di posizione” che restano tali anche se contraddette dai fatti e/o dalla logica come nel delirio.

Obiettivo di chi scrive è riportare contingenza all’interno di questo Dibattito nel quale, spesso e volentieri, è venuta meno.

Questo implica un valore di verità capace di cambiare in base al contesto, alla situazione ed ai valori assunti dalle variabili del modello (caso per caso). Un valore che (volta per volta) è solo uno (principio di determinatezza) fra i due possibili (principio di bivalenza) così che, all’interno della stessa occorrenza, sia valida solo l’affermazione o la negazione dell’ipotesi testata, mai entrambe (principio di non contradizione) e/o un “qualcos’altro” (principio del terzo escluso).  

Questi elementi logico-formali (tipici d’un ragionamento deduttivo) sono, da chi scrive, “adattati e/o declinati” consapevolemente ad un ragionamento induttivo. Quest’ultimo, sebbene per sua natura sia un ragionamento probabilistico che non permette alcuna capacità predittiva (alias: l’attribuzione d’un solo valore di verità [principio di determinazza] fra i due possibili [principio di bivalenza] ad un’occorenza futura[4]), al solo fine di rendere possibile delle “inferenze predittive” ed evitare posizioni / asserzioni del tipo P e NON P, è declinato su una “finzione logico-cognitiva”, attraverso  la quale viene assunto per “vero” il valore di verità risultante dai test statistici. La predizione futura è basata, pertanto, su RCTs.

Questa “finzione logico-cognitiva” è fatta da chi scrive consapevolmente (con piena coscienza di tutti i suoi limiti e difetti), in quanto, in ogni caso, è fatta (spesso e volentieri) da tutti coloro che si occupano (a vario titolo) di Scienze Probabilistiche[5]. Mentre quest’ultimi prendono tali teorie come dogmi al di sopra d’ogni controfattuale, chi scrive dà sempre più importanza ai fatti che alle teorie.

I dubbi sull’attendibilità della Review del 2015 dell’NHMRC (Commonwealth of Australia)

La Review del 2015 pubblicata dal NHRMC (Commonwealth of Australia) è stata contestata per bias, errori metodologici e manipolazioni. Essa è divenuta oggetto d’un complaint, tutt’ora pendente presso il Commonwealth Ombudsman. Il complaint fu presentato ad Agosto 2016 dall’Australian Homoeopathic Association, dal Complementary Medicines Australia e dall’Australian Traditional Medicine Society. Dopo una fase di sommaria cognizione, il Commonwealth Ombudsman ritenne le prove sufficienti per aviare una istruttoria completa. Così, l’NHMRC fu chiamato a rispondere per: bias; conflict of interest; e scientific misconduct.

Nel dettaglio, l’NHMRC deve rispondere ai seguenti punti:Use of an inappropriate scientific method; Failure to use standardised, accepted methods; Failure to obtain sufficiently accurate data to perform a meaningful review; Failure to conduct an effective preliminary and public consultation; Significant post-hoc changes to the research protocol; Impact of NHMRC’s unusual method on the review results; Further evidence of bias and misreporting; Poor reporting – lack of clarity, inconsistencies and errors; Evidence that this was a case of deliberate bias, not scientific error.

Purtroppo, essendo la procedura tutt’ora in corso, non è possibile avere pieno accesso: agli atti procedimentali; alle prove fornite dalle parti. Le stesse parti possono dare solo parziale divulgazione d’essi fino al completamento dell’inchiesta.

Exempli gratia, HRI nel suo sito internet dichiara che: “As the complaint is ongoing, our full analysis – some 60 pages – cannot be shared as yet“.

Pertanto, fino a quando non sarà fatta piena chiarezza, la Review dell’NHMRC e le sue conclusioni non possono essere considerate reliable ai fini di questa ricerca e per ogni altra considerazione in thema. Nonostante ciò, come detto, un suo “punto” è corretto: l’incapacità che hanno i singoli rimedi a raggiungere gradi di evidenza atti alla formulazione di raccomandazioni cliniche per le singole noxae patogene.

Non si comprende, inoltre, perché questa Review abbia avuto un impatto mediatico enorme, quando una Review fatta dall’Unione Europea nel 1997 (Homeopatic Medicine Reseach Group. Advisory Group 1) passò del tutto sotto silenzio. Quest’ultima, dopo aver raccolto 377 studi, averne selezionati 220 e recensiti 184, giunge alla conclusione che: “L’ipotesi che l’omeopatia non abbia alcun effetto può essere rifiutata con certezza”. Questo poiché i data avevano p < 0.001. Ricordiamo che l’European Union raccomanda l’uso dell’Omeopatia per curare gli animali di allevamento.

Per la cronaca, si riportano i termini della questione come emersi nel contradittorio delle parti:

Da una parte, abbiamo quanto affermato dal NHMRC:

(1) nella Review pubblicata e con i suoi allegati[6];

(2) nelle risposte date all’inchiesta in corso presso il Commonwealth Ombudsman;

(3) nelle risposte fornite al Parlamento Australiano il 30 Maggio 2018 alle Question on notice n. 261, 264, 268, 269, 270, 273, 274, 275, presentate dal Senator Stirling Griff[7]. In somma sintesi: l’NHRMC difende le conclusioni della Review e la corretezza del suo operato. Nonostante ciò, ammette alcuni fatti, sebbene li giustifichi e minimizzi.

Dall’altra parte, abbiamo le tesi sostenute dal Homeopathy Research Institute di Londra (HRI), dall’Australian Homeopathich Assocetion (AHA), dal Complementary Medicines Australia, dall’Australian Traditional Medicine Society. Un esempio delle loro tesi è reperibile nell’Executive Summary to Ombudsman Complaint vs NHMRC Homeopathy Review Final[8].

Abbiamo, inoltre, alcune osservazioni fatte da soggetti terzi ed imparziali quali:

  • l’Australasian Cochrane Centre che osservò come: “If the intent [n.d.r. della Review] is to provide general statements about the effectiveness of homeopathy, then ‘no reliable evidence’ may not adequately reflect the research. … … While we agree that this level of evidence is inadequate for supporting a clinical practice recommendation, ‘no reliable evidence’ does not seem an accurate reflection of the body of evidence“. Fatto confermato dall’NHRMC nella risposta data a Senator Stirling Griff (Question on notice no. 275, 2018);
  • Professor Alan Bensoussan che, dopo una expert review della bozza (draft version) rilevò la presenza di un “inter-rater reliability issue with the use of quality rating scales“. Fatto confermato dall’NHRMC durante la risposta data a Senator Stirling Griff (Question on notice no. 269, 2018). Professor Alan Bensoussan, pertanto, suggerì all’NHMRC di affrontare e chiarire questo thema in modo più esplicito.

Conformemente all’HRI, lo Studio pubblicato a Marzo 2015 dal NHMRC col titolo “Statement on Homeophaty” presentò forti “anomalie”.

L’Australian Homeopathich Assocetion (AHA), dopo la pubblicazione della Review, iniziò a fare alcune ricerche. Da queste emersero prove d’irregolarità. Quest’ultime furono così convincenti tanto da far aprire la procedura ut supra.

I fatti sono i seguenti:

  • L’NHMRC condusse due volte la Furono prodotti due diversi Rapporti: il primo, a Luglio 2012[9]; il secondo, a Marzo 2015. Il primo fu tenuto nascosto; il secondo fu pubblicato con ampia risonanza mediatica;
  • L’esistenza del primo Rapporto fu scoperta solo grazie al Freedom of Information Act (FOI), attraverso la FOI request;
  • Successivamente la scoperta: l’NHMRC affermò che il primo Report non fu pubblicato a causa della “poor quality” del lavoro! Tale dichiarazione, però, risulta contraddetta ex tabula dallo stesso NHMRC. Professor Fred Mendelsohn afferò che la Review fu d’ottima qualità;
  • Dopo aver deciso di non pubblicare la prima Review, NHMRC condusse una seconda Review. Essa fu affidata ad un diverso contractor: Optum. La nuova Review, contrariamente alla prima, giunse a conclusioni negative;
  • La seconda Review fu esaminata dall’HRI. HRI ravvisò diverse “anomalie” metodologiche. Exempli gratia, i criteria di valutazione dei trials furono (di fatto) modificati ex post e creati ad hoc. Per tali motivi, l’HRI ha affermato che NHRMC commise “serious procedural and scientific misconduct in producing this report“;
  • Conformemente all’NHMRC Statement: Statement on Homeopathy (2015), la Review è basata su un “overview of published systematic reviews by an independent contractor“. Queste systematic reviews furono 57 (non 58 come talvolta appare). Da esse, furono successivamente individuati 176 individual studies. Pertanto, l’intera Review si limita ad esaminare solo questi 176 studi. Quest’ultimi vengono classificati in due gruppi: (a) reliable; (b) not reliable / unreliable. Tutti gli studi unreliable sono stati esclusi da ulteriori considerazioni. La decisione finale si basa solo sugli studi classificati come reliable;
  • Di contro, fu creata “ambiguità”. Venne fatto credere dai media che l’analisi fu molto più estesa. NHMRC, infatti, disse che i risultati della Review pubblicata nel 2015 si basarono su una “rigorosa valutazione di oltre 1.800 lavori” (!?);
  • A priori, furono ritenuti unreliable (esclusi) tutti i trials che: (a) non erano stati pubblicati in Inglese; (b) non erano stati al momento replicati da altri studi; (c) e/o erano stati replicati da altri studi, ma condotti dallo stesso/i autore/i e/o team(s) e/o enti di ricerca; etc … (questo fatto è confermato, e.g., dal documento pubblicato a Settembre 2013: Effectiveness of Homeopathy for Clinical Conditions: Evaluation of the Evidence).

Inoltre, furono esclusi a priori: d) tutti i laboratory studies e tutta la ricerca di base; e) tutti gli studi condotti su animali; f) tutti gli gli studi che hanno investigato l’efficacia dell’omeopatia in contesti preventivi e non curativi; g) tutti gli studi che avevano ad oggetto “condizioni generali di salute” e non specifiche noxae patogene; h) etc … . (Questo è confermato dall’NHMRC Information Paper). L’obiettivo della Review, infatti, non era quello di valutare la validità del Sistema Clinco-Farmaceutico Omeopatico, ma solo quella di valutare se alcuni dei suoi rimedia potevano essere oggetto di raccomandazione clinica da parte del Sistema Sanitario per trattare alcune noxae patogene. In altre parole, si cercavano le stesse prove / evidenze necessarie ai “farmaci convenzionali” per essere approvati per indicazione terapeutiche “in label”;

  • Successivamente, dopo aver applicato le esclusioni ut supra, conformemente all’HRI, l’NHMRC applico’ due criteria di valutazione “atipici” (mai usati prima). NHMRC classificò come unreliable tutti i trials che ricadevano in una di queste due occorrenze: I) avere meno di 150 partecipanti; II) presentare un threshold di qualita’ inferiore (anche se di poco) al 100% quality rating e/o 5/5 della Jadad scale. Conformemente all’HRI, questo portò a considerare unreliable 171 dei 176 trials. Alla fine rimasero 5 trials e la conclusione fu basata solo su di essi;
  • L’NHRMC, di contro, sostiene di non aver mai creato ex post questi due Prova sarebbe l’assenza formale della loro esistenza. Di contro, NHMRC affermò che la valutazione dei 176 trials selezionati fu fatta dai Reviewers, caso per caso. Essa rispecchiò solo il loro giudizio profesionale. Un giudizio insindacabile. Pertanto, fu un “caso” che gli studi difettanti d’una di quelle due condizioni furono classibicati come unreliable;
  • Professor Peter Brooks, Chair of the NHMRC Committee incaricato della Review, firmò la dichiarazione d’assenza di conflitto di interesse nella quale affermò di non essere “affiliated or associated with any organisation whose interests are either aligned with or opposed to homeopathy”. Di contro, Peter Brooks è membro attivo d’un gruppo “anti-homeopathy“: Friends of Science in Medicine. Ex tabula è dimostrato il conflitto di interesse, la violazione delle NHMRC’s Guidelines;
  • Le NHMRC’s Guidelines richiedono la presenza di esperti della materia oggetto di revisione nei Committees. In altre parole, nel Committee doveva esseci la presenza d’alcuni medici e/o ricercatori che si occupano di omeopatia. Nessun medico e/o ricercatore che si occupa di omeopatia fu presente.

E’ da osservare inoltre la “confusione” che è stata fatta fra “lack of evidence of effect” ed “evidence of a lack of effect“.

La Review cercò di verificare se c’erano “sufficenti prove” per fare “clinical practice recommendations” per alcuni rimedia su alcune noxae patogene. La Review concluse solo che (sulla base di quelle 176 pubblicazioni esaminate) era presente un “lack of evidence of effect” per effettuare “clinical practice recommendations” sulle noxae patogene considerate.

E’ intellettualmente disonesto “trasmutare” questo in una “evidence of a lack of effect” dell’intero Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico! Chi scrive condivide pienamente il giudizio espresso dall’Australasian Cochrane Centre: “If the intent [n.d.r. della Review] is to provide general statements about the effectiveness of homeopathy, then ‘no reliable evidence’ may not adequately reflect the research. … … … … , ‘no reliable evidence’ does not seem an accurate reflection of the body of evidence“.

Come disse Carl Sagan: “l’assenza d’una prova, non è prova di una assenza”, ma stimolo per nuova ricerca.

I dubbi sull’articolo di Shang et al. (2005) pubblicato sul Lancet.

Uno degli studi più citati per sostenere l’inefficacia dell’Omeopatia è Shang et al. (2005). Questo studio afferma di comparare 110 trials similari: 110 trials della medicina omeopatica con 110 trials della medicina convenzionale. Dalla loro analisi sarebbe emerso che la medicina omeopatica non ha effetti superiori al placebo. L’articolo fu accompagnato da: un editoriale col titolo The end of homeopathy (Lancet, 2005, 366 : 690); e da una rubrica col titolo Critics slam draft WTO report on homeopathy (Lancet, 2005, 366: 705-706). Questo articolo ha ricevuto un “eco mediatico” incredibile perdurato fino ad oggi. Fu, inoltre, diffuso ai media prima ancora d’essere pubblicato!

Nonostante ciò, le cose sono un po’ diverse. L’articolo basa le sue conclusioni comparando solo 14 trials (8 omeopatici; 6 convenzionali) che non sono similari !?

Per comprendere questo articolo e la sua “reale portata” bisogna contestualizzarlo e/o storicizzarlo (come insegna a fare la Psicologia di Comunità).

L’OMS / WHO stava per pubblicare un Dossier completo sull’Omeopatia. Dalle anticipazioni fatte, risultava essere pro Omeopatia sulla base della letteratura esistente. Il Lancet aveva già pubblicato diverse Meta-analisi e Reviews con data favorevoli all’Omeopatia. Esse diedero prova che i rimedi omeopatici hanno efficacia maggiore rispetto al placebo (Reilly D. T. et al., 1986; Reilly D. T. et al., 1994; Linde et al., 1997 ).

La letteratura scientifica, inoltre, ha sempre condotto regolari Reviews in thema. Fino al 2005 ricordo: Esklnaz D., 1987; Hill C & Doyon F., 1990; Keijlen et al., 1991; Barnes J. et al., 1997; Ludtke R & Wiesenauer M, 1997; Linde K & Melchart D, 1998; Bellavite P, 1998; Bellavite P et al, 1999; Moda F et al, 1999; Cucherat et al., 2000; Jonas et al., 2003; Sukul N. C. & Sukul A., 2003; Bellavite P., 2003; Reilly, 2005;  Caulfield T & Debow S A, 2005. La larga maggioranza di queste ha riportano effetti superiori al placebo.

In questo contesto, viene pubblicata la Review di Shang et al. (2005). Essa fu presentata come uno “studio definitivo” (!) atto a mettere la “parola fine” sull’Omeopatia! L’editoriale fu intitolato The end of homeopathy ed, inoltre, la rubrica del Lancet la collegava esplicitamente al Dossier “pro Omeopatia” che l’OMS stava per pubblicare. La rubrica riportava una forte preoccupazione per il Dossier. Tutte queste “coincidenze” fecero emergere “alcuni dubbi” sulla reale intenzione dell’articolo.

Leggendo la Review di Shang et al. (2005) emerge che:

  • furono esaminati 110 studi clinici convenzionali e 110 studi clinici omeopatici;
  • in entrambi i gruppi (convenzionale; omeopatico): (a) i medicinali (farmaci / rimedi) dimostravano effetti maggiori rispetto al placebo; (b) i trials più piccoli riportavano effetti maggiori rispetto a quelli con sample size più estesi;
  • fu fatta una analisi sulla qualità metodologica degli studi. Da essa emersero 30 trials definiti d’higher quality: 21 trials appartenevano ai 110 del gruppo omeopatico (il 19.1% di questo); 9 trials ai 110 del gruppo della Medicina Convenzionale (l’8.2 % di questo);
  • le conclusioni considerano solo 14 di questi 30 trials di higher quality, 8 omeopatici e 6 Esse affermano che gli effetti clinici dei rimedi omeopatici sono dati dall’effetto placebo.

Queste conclusioni conseguono ad una pluralità di bias e vitia metodologici. Essi sono stati descritti abbondantemente in letteratura: Bellavite (2005); Frass M, et al. (2005); Helmut K, et al. (2005); Bell I. R. (2005); Fisher P. (2006); Lüdtke R & Rutten A. L. B. (2008).

Hahn R. G. (2013) ha osservato come la Review di Shang et al. (2005) per giungere alle sue conclusioni dovette “scartare” il 90% dei clinical trials. Secondo l’autore, inoltre, l’articolo non è accetabile in termini metodologici in quanto: “the ultimate argument against homeopathy is the ‘funnel plot’ … . However, the funnel plot is flawed when applied to a mixture of diseases.

Il lavoro presenta una pluralità di vitia: (1) errori sul “disegno”; (2) bias d’interpretazione dei data; (3) contradizioni; (4) poca chiarezza degli elementi necessari a garantire la disamina, comprensione e ripetitibilità, dei risultati. Se si fossero considerati i 30 trials di higher quality individuati inizialmente, e.g., le conclusioni sarebbero state favorevoli per la Medicina Omeopatica. Di contro, dei 30 trials di higher quality furono considerati solo 14 trials, non ben precisati, che gli autori definirono essere genericamente “più ampi” e “di qualità più alta” (!). Quest’ultimo passaggio fu alquanto “oscuro”. Conformemente a Fisher (2006), la Review non forniva alcuna informazione per identificare i trials sui quali la conclusione finale fu basata; (5) la comparazione fu fatta fra studi eterogenei in: (a) numero di partecipanti (sample size) che andavano da 10 a 1.573; (b) condizioni cliniche trattate che andavano dalle “terapie allopatiche usate nella cura del raffreddore comune” alle “terapie omeopatiche applicate ai dolori legati alle problematiche oncologiche”; (6) furono violate le linee guida di QUORUM sul come condurre le relazioni delle revisioni sistematiche. Fisher (2006) osservò che il Database of Abstracts of Reviews of Effects (DARE) del Regno Unito non classifica Shang et al. (2005) fra le revisioni sistematiche.

Come detto, entrambi i gruppi dimostravano effetti maggiori rispetto al placebo. Effetti tanto maggiori quanto più piccola era la sample size in entrambe le categorie. Pertanto, comparare un maggior numero di studi omeopatici d’Alta Qualità (con size più ampie) con un minor numero di studi convenzionali significa creare ex tabula (in se e per se) le discrepanze rilevate.

Come detto, la Review alla fine si basò solo su: 8 trials omeopatici e 6 convenzionali. Nonostante tutti questi bias fu rilevata una: “debole prova di un effetto specifico dei rimedi omeopatici” …, ma gli autori la interpretarono come “compatibile con l’opinione che gli effetti clinici dell’omeopatia siano effetti placebo”. Di contro, fu rilevata la “marcata evidenza degli effetti specifici dell’intervento convenzionale” nonostante la minor qualità generale degli studi!

L’articolo di Shang et al. (2005), inoltre, è stato più volte confutato da molte altre Reviews: (a) antecedenti ad esso (Reilly D. T. et al., 1986; Esklnaz D., 1987; Hill C & Doyon F., 1990; Keijlen et al., 1991; Reilly D. T. et al., 1994; Linde et al., 1997; Homeopatic Medicine Research Group. Advisory Group 1 – Commissione istituita dalla Comunità Europea, 1997); Barnes J. et al., 1997; Ludtke R & Wiesenauer M, 1997; Linde K & Melchart D, 1998; Bellavite P, 1998; Ernst F & Hahn E G, 1998); Bellavite P et al, 1999; Moda F et al, 1999; Cucherat et al., 2000; Jonas et al., 2003; Sukul N. C. & Sukul A., 2003; Bellavite P., 2003; Weatherley-Jones E et al, 2004); (b) sincroniche ad esso (Reilly, 2005;  Caulfield T & Debow S A, 2005); (c) successive ad esso (e.g., Bornhoft A et al, 2006; Mathie R.T., et al., 2014).

Pertanto, questa Review non può ritenersi uno Studio attendibile per giustificare un “giudizio conclusivo” sull’Omeopatia come (di contro) è stata “usata” fino ad oggi.

Un Bias comune a tutte le Reviews.

Una critica fatta alle Reviews esaminate riguarda la selezione del materiale sottoposto a meta-analisi.

L’inclusione e/o l’esclusione d’alcuni trials, piuttosto che altri, influenza e/o determina i risultati. Ciò può dipendere più da elementi soggettivi che oggettivi. Exempli gratia, l’intenzionalità, la finalità, la prospettiva situata e/o le credenze del ricercatore, possono svolgere ruoli rilevanti. Frass et al. (2005) hanno sottolineato l’impatto che questi fattori soggettivi hanno sugli outcomes delle Reviews condotte in Omeopatia.

Queste forme di Bias sono difficili da rilevare. Esse possono essere accertate solo indirettamente, usando quattro criteria: (1) il rispetto delle procedure; (2) l’applicazione standardizzata dei criteria dei Research Methods e/o delle Guidelines; (3) l’assenza (anche minima) d’ogni possibile “conflitto di interesse”; (4) la fonte dei finanziamenti; …. Tutti aspetti fondamentali sui quali basare un “giudizio” sull’attendibilità dei risultati delle ricerche e/o ipotizzare la presenza dei Bias detti. Questi criteria sono stati ribaditi anche dalla Magistratura. Quest’ultima, infatti, trovandosi spesso di fronte a ricerche che sostengono outcomes completamenti divergenti ed opposti, ha più volte riscontrato come l’esito delle stesse (la presenza di manipolazioni metodologiche e di Bias) consegua e/o sia correlata agli interessi di chi le ha condotte e/o finanziate.

La grande attenzione data a questi aspetti, da chi ha criticato le due Reviews analizzate supra, trova la sua giustificazione in ciò.

Ri-esaminando la Review del 2015 dell’NHMRC e l’articolo di Shang et al. (2005).

Entrami gli studi rilevano “deboli prove” a favore dell’Omeopatia. Quest’ultime, però, sono state interpretate come insufficienti per rigettare Ho. Una decisione assunta sulla base della “potenza del test statistico” e dei data emersi dai samples posti a meta-analisi. Piccole modifiche nell’inclusione e/o esclusione degli articoli, avrebbe condotto a conclusioni opposte.

L’articolo di Shang et al. (2005) riconosce, come detto, che: (1) la stragrande  maggioranza dei trials omeopatici riporta effetti maggiori al placebo; (2) la maggior presenza di RCTs d’Higher Quality fra gli studi sperimentali condotti in Omeopatia (non in medicina Convenzionale); (3) una “debole prova” a favore dell’Omeopatia. Quest’ultima consegue al fatto che furono analizzati solo 8 dei 21 trials clinici definiti d’Higher Quality. Una diversa selezione fra gli stessi avrebbe condotto a prove “più forti”.

La Review del 2015 dell’NHMRC, conformemente all’HRI, condurrebbe a conclusioni opposte rispetto a quelle assunte, in particolare, se riferita al Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico in generale.

Riesaminando i 176 trials considerati nella Review stessa, qualora applicati gli stessi criteria usati dal NHMRC per le revisioni condotte sui farmaci convenzionali, si sarebbero ottenuti gradi di evidenza maggiori. Il grado per una “raccomandazione clinica” non sarebbe stato inferiore ad “unknown effectiveness“.

Un livello di evidenza che non giustifica la “parola fine” sull’intero Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico considerando che, conformemente all’HRI, lo stesso livello di evidenza è presente per il 50% dei trattamenti convenzionali usati all’interno dell’NHS!

Dall’analisi emerge che:

  • 88 dei 176 trilas (il 50%) riportano risultati positivi per l’omeopatia;
  • 9 dei 176 trilas (il 5,11%) riportano risultati negativi;
  • 79 dei 176 trilas (il 44,89%) riportano risultati “non conclusivi“. Quest’ultimi suggeriscono la necessità d’effettuare ulteriore ricerca.

Sulla base di questi data non si può concludere che l’intera efficacia del Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico sia attribuibile all’“effetto placebo”!

Le Prove Scientifiche sull’efficacia dei Rimedia Omeopatici

Le prove scientifiche possono essere suddivise in quattro gruppi: (1) le Global Systematic Reviews; (2) le Revisioni Sistematiche sulle singole condizioni morbose e/o per specialità medica; (3) i singoli trials clinici controllati versus placebo e/o farmaco convenzionale; (4) la ricerca di base.

Quest’ultima include tutti gli studi farmacologici in vitro, in vivo e intra vitam, che comprovano la capacità dei rimedi omeopatici nel causare attività biologica (exempli gratia, effetti protettivi, inibenti e/o stimolanti) sulle cellule. Capacità provata sia per le Basse che per le Alte Potenze.

Un sample di questi studi è rappresentato dai 142 lavori selezionati dal Comitato Scientifico, coordinato dal Prof. Leonello Milani, che ha redatto la sesta edizione del testo Omeopatia-Omotossicologia – Le Prove scientifiche (2012) pubblicato dalla GUNA[10]. Questi studi hanno buona Validità Interna. Un altro sample può essere dato dai lavori di Bellavite e della sua Scuola.

Questi studi comprovano che i rimedi omeopatici (sia in Basse che in Alte Potenze) hanno la capacità di causare effetti biologici negli organismi.

La validità interna delle ricerche fornisce prova del nesso causale esistente fra il rimedio (VI) e l’effetto biologico (VD).

Lo stesso Comitato Scientifico ha poi selezionato 235 trials clinici controllari fatti sull’uomo fra quelli pubblicati dal 1944 al 2011 nelle Riviste Internazionali e Nazionali (Tedesche; Francesi; Italiane) non Omeopatiche.

Tutti questi trials sono di buona qualità. Di questi: 159 sono stati controllati versus placebo; 76 sono stati controllati versus farmaco convenzionale di riferimento.

Dei 159 lavori controllati versus placebo, il 73,6% (117) ha dimostrato la superiorità del rimedio omeopatico. Dei 75 lavori controllati versus il farmaco convenzionale di riferimento, il 100% ha dimostrato la non inferiorità terapeutica che, caso per caso, può significare: o, l’ugualianza; o, la superiorità. Di questi 75 lavori: 9 trials sono stati selezionati fra le pubblicazioni avvenute dal 1981 al 1999; 66 trials sono stati selezionati fra le pubblicazioni avvenute dal 2000 al 2011.

Questi studi supportano la validità: (1) del Sistema Clinico-Farmaceuti Omeopatico; (2) dei suoi principia fondamentali (principio della diluizione / dinamizzazione; principio della similitudine); (3) dell’efficacia delle Basse ed Alte Potenze.

E’ emerso che l’azione biologica causata dagli stessi è di natura opposta e contraria all’azione biologica prodotta dall’intossicazione della sostanza assunta in dose ponderale. Da essi emerge, anche, una diversa efficacia fra le Potenze nel tipo d’effetto e nella “forza” d’esso.

Conformemente a Bellavite & Conforti (2002), i principia dei Sistema Clicico-Farmaceutico Omeopatico possono integrarsi pienamente con le Scienze Biomediche Ufficiali (Bellavite et al., 1997a; Bellavite et al. 1997b; Eskinazi, 1999).

Resta aperta, di contro, la questione sulla capacità dei singoli rimedi ed ottenere sufficienti evidenze per “raccomandazioni cliniche”.

L’efficacia generale del Sistema Omeopatico, oggigiorno, sembra essere comprovata dalle stesse Scienze Biomediche. Gli studi sugli effetti inversi e/o paradossali condotti  sui farmaci convenzinali ne sono un esempio. Questi effetti sono stati studiati nell’immunologia, in allergologia ed in farmacologia. Essi, come la medicina omeopatica, posso trovare una spiegazione letti alla luce della teoria della complessità (Bellavite, 2004 a; Bellavite, 2004 b). Sulla farmacologia paradossale vedere Bond (2001).

La buona validità interna di questi studi è dovuta all’attenzione “maniacale” che i ricercatori hanno dato agli aspetti metodologici. Una attenzione necessaria quando le ricerche contraddicono il Paradigma Ufficiale. I ricercatori, non volendo finire nel ridicolo e “giocarsi” la carriera, devono usare standard di riproducibilità superiori rispetto a quelli comunemente accettati (Bellavite & Conforti, 2002).

Un sample di studi sperimentali comprovanti la validità dell’Omopatia è dato da: Sukul et al. (2001); Sukul et al. (2000); Kundu et al. (2000); Heine & Schmolz (2000); Ruiz-Vega et al. (2000); Bertani et al. (1999); Lussignoli et al. (1999); Mitra et al. (1999); Datta et al. (1999a); Datta et al. (1999b); Sukul et al. (1999); Cristea et al. (1997); Palermo et al. (2000); Jonas et al. (2001); Fimiani et al. (2000); Belon et al. (1999); Chirumbolo et al (1997); Dittmann et al. (1998); Dittmann & Harish (1996); Brizzi et al. (2000); Betti et al. (1997).

Quest’ultimi due autori hanno condotto ricerche sui modelli di germinazione dei vegetali intossicati da arsenico, trattandoli con alte diluizioni / dinamizzazioni delle stesso minerale. Risultati positivi coi vegetali rendono difficile parlare d’effetto placebo.

Un sample sulla Ricerca di Base.

A proposito d’arsenico, già nel 1955 Wurmser dimostrò che dosi di Arsenicum album alla 7 CH aumentavano l’eliminazione dell’arsenico dall’organismo in modo significativo attraverso l’urina. Lo studio sull’Arsenicum è importante in quanto è stato replicato molte volte su uomini, animali e piante. Tutte le ricerche hanno prodotto sempre gli stessi risultati positivi. Exempli gratia, Boiron (1987) creò un gruppo di ricerca che sperimentò Arsenicum album in due diverse Potenze: alla 7 CH (diluizione al di sotto della costante di Avogadro-Loschmidt); alla 15 CH (diluizione al di sopra della costante di Avogadro-Loschmidt). Entrambe le Potenze ebbero la capacità di incrementare l’elminazione (urinaria e fecale) dell’arsenico, riducendo la sua presenza e concentrazione ematica (Cazin, Cazin et al. 1987).

Gli effetti biologici d’Arsenicum sono stati convalidati anche dagli studi citati nella Parte I (Banerjee, Bhattacharyya et al. 2009; Banerjee, Bhattacharyya et al. 2008; Banerjee, Biswas et al. 2007; Belon, Banerjee et al. 2007; Belon, Banerjee et al. 2006; Khuda-Bukhsh, Pathak et al. 2005; Khuda-Bukhsh, Roy-Karmakar et al. 2009).

I ricercatori hanno tentato di replicare il successo ottenuto con Arsenicum album anche con altri metalli. Di contro, non tutte le sostanze sperimentate hanno riportato gli stessi risultati. Exempli gratia, Plumbum metallicum non ha dimostrato la capacità di favorire l’eliminazione del piombo nei ratti intossicati con esso (Fisher R. et al., 1987).

Per questi motivi, molti sostengono che i data sono contrastanti e pertanto essi provano l’inefficacia dell’Omeopatia. A loro dire, l’intero Sistema è da rigettare. Questo è un esempio di come il dibattito sia “dominato” da ragionamenti non contingenti, di cui ho parlato supra, che chi scrive non ritiene condivisibili (per i motivi detti).

Un ragionamento contingente richiede di valutare i data caso per caso, rimedio per rimedio. Se è vero che Plumbum è incapace di favorire l’eliminazione del piombo in soggetti intossicati dallo stesso, non può essere ignorata la comprovata capacità d’Arsenicum nel favorire l’eliminazione dell’arsenico dagli organismi intossicati.

Un altro studio ha valutato l’efficacia di mercurius corrosivus (HgCl2) sui ratti, come rimedio omeopatico “preventivo” per intossicazioni causate dal cloruro di mercurio. E’ risultato che assumere per 7 giorni il rimedio, prima dell’intossicazione, riduce drasticamente la mortalità nei ratti. Il gruppi di controllo avevano una mortalità che andava dal 73% al 78,5%. Di contro, i gruppi sperimentali trattati con mercurius corrosivus alla 9 CH e/o mercurius corrosivus alla 15 CH hanno riportato mortalità assai minori come illustrate infra.

La mortalità dei ratti che ha assunto mercurius corrosivus alla 9 CH è stata intorno al 50%; quella dei ratti che hanno assunto mercurius corrosivus alla 15 CH è stata fra il 26,7% ed il 35,7%. Lo studio non ha dimostrato solo l’efficacia del rimedio omeopatico, ma anche che entrambe le Potenze hanno avuto effetti biologici. La “forza” maggiore, inoltre, è stata dimostrata dall’Alta Potenza (15 CH). Ciò comprova la teoria omeopatica che sostiene una correlazione diretta fra la Potenza e la “forza” del rimedio. La maggior efficacia delle Alte Potenze dimostra che “l’informazione” non è persa al di sopra della costante di Avogadro-Loschmidt. Vedere: Guilleman et al. (1984), Laure F. et al. (1985a) e Laure et al. (1985b).

Anche Phosforus ha dimostrato più volte d’avere una azione epato-protrettrice come tradizionalmente la materia medica gli attribuisce (Bildet J. et al., 1984).

Diversi studi sono stati condotti alla Facoltà di Farmacia di Bordeaux a partire dal 1975. Bildet e colleghi hanno provocato nei ratti delle epatiti usando CCl4  (tetracloruro di carbonio). Fu usato il CCl4 in quanto il tetracloruro di carbonio provoca epatiti simili a quelle provocate dal fosforo. L’obietto, infatti, era duplice: (1) da una parte, testare la validità del principio di similitudine; (2) dall’altra parte, testare l’efficacia di phosphorus (VI) nel promuovere miglioramenti terapeutici nei casi di epatite (VD).

La novità di questo studio, rispetto a quelli eseguiti sull’Arsenicum e Mercurious corrosivus, era proprio quella di testare il principio di similitudine. Arsenicum e Mercurius avevano dimostrato: da una parte, l’efficacia dei rimedia omeopatici; dall’altra parte, la validità del principio isoterapico[11]. Di contro, non avevano provato la validità del principio di similitudine.

Gli studi su Phosphorus provano, invece, quest’ultimo. Da essi emerge, inoltre, che il rimedio è capace di promuovere azione terapeutica nei soggetti malati, mentre non causa alcuna alterazione nei fegati dei soggetti sani. In altre parole, gli studi comprovano l’assenza di effetti collaterali nocivi.

Gli studi effettuati su Phosphorus comprovano la diversa azione fra le Potenze. Phosphorus 7 CH agisce meglio sulle transaminasi; Phosphorus 15 CH agisce meglio sul quadro anatomo-patologico.

Lo stesso team di ricerca decise, successivamente nel 1976, di condurre un esperimento sulla capacità preventiva di Phosphorus. Lo studio confermò la capacità preventiva di Phosphorus sui danni epatici causati da una intossicazione di CCl4.

La ricerca non ha studiato solo i rimedi “classici” della Materia Medica Omeopatica, ma ha testato anche sostanze studiate dalle Scienze Biomediche e Farmacologiche. Exempli gratia, alcuni studi hanno sperimentato l’attività cardio-tossica dell’aconitina e della veratrina (Aubin M., 1984; Pennec J. P., & Aubin M., 1984). Alte Potenze di aconitina e di veratrina hanno dimostrato di non avere effetti tossici sul un cuore sano. Di contro, hanno dato prova di diminuire i segni di cardio-tossicità (causati dalla somministrazione di dosi ponderali delle stesse sostanze e/o d’altre sostanze con azione similare) in cuori malati.

Un altro studio interessante è quello sull’istamina (Histaminum). L’antibiotico polimixina B provoca la gastrite. La gastrite consegue alla liberazione di istamina. Pertanto, l’istamina in dosi ponderali aumenta la secrezione acida dello stomaco. L’esperimento ha provato che histaminum alla 4 CH è in grado di ridurre la liberazione d’istamina causata dalla polimixina.

Questo risulta in un’azione protettiva sulle mucose gastro-duodenali. E’ interessante notare come l’effetto di Histaminum 4 CH è stato migliore rispetto a quello della cimetidina. Il gruppo trattato con Histaminum 4 CH è stato comparato con quello trattato con la cimetidina (50 mg/kg di peso). Gli effetti dei due medicinali sono stati equivalenti per quanto riguarda la parte ghiandolare dello stomaco, ma sono stati migliori per Histaminum 4 CH per quanto riguarda la gastrite a livello del Rumen.

Alcuni hanno spiegato l’azione di Histaminum 4 CH col modello biochimico essendo la Potenza sotto la costante di Avogadro-Loschmidt. Conformemente a Bourne (1971), una concentrazione di istamina di 10-6 M è capace di bloccare la liberazione di istamina tramite un meccanismo di feedback (e.g., da parte dei leucociti umani).

Histaminum 7, 15, 18 CH (assieme ad Apis mellifica 9 CH e 15 CH) ha dimostrato d’inibire anche la degranulazione dei basofili in soggetti allergici (Davenas E. et al., 1988).

Molti studi (preventivi e terapeutici) sono stati fatti anche con Apis mellifica 7 CH e Apium virus 5, 7, 9 CH, ottenendo una ellevata riproducibilità (Bildet J. et al. 1989; Bastide P. et al. 1976). Bastide P. condusse i primi studi nel 1975 e 1976 su Apis mellifica come trattamento per eritemi causati da raggi U.V. nei topi albini. Gli esprimenti testarono Apis versus alcuni farmaci convenzionali (aspirina; indometacina; phenilbutazizione). Risulto’ che la somministrazione di Apis, effettuata 1 ora prima e 4 ore dopo, provoca un miglioramento del 55% della flogosi in 24 ore. La somministrazione di Apis effettuata solo dopo 4 ore causa lo stesso tipo di miglioramento del 47%. Di contro, i farmaci convenzionali utilizzati diedero miglioramenti del 50%. Pertanto, si può concludere che gli effetti sono equiparabili.

Queste ricerche (pubblicate prima del 1986) fanno comprendere perchè The Lancet  pubblicò Reilly D. T. et al nel 1986, assumendo una linea editoriale “aperta” verso l’Omeopatia fino al 2005.

Un esempio su come sia sviluppata, oggigiorno, la ricerca di base d’Alta Qualità è dato da Bellavite. Exempli gtatia, Bellavite et al. (2009) hanno dimosrato che: “low and high dilutions of histamine inhibit CD203c up-regulation in anti-IgE stimulated bosophils”.

Tutte queste ricerche convalidano la validità del Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico, ma supportano anche le critiche presentate dal presente autore in questo lavoro.

Osservo da subito, in ogni caso, l’importanza della ricerca di base in Omeopatia. Essa: (a) essendo fatta su cellule, animali e/o piante; (b) usando i rimedia con modalità di not-individualized homeopathy (ovvero che non richiede il rispetto del principio del simile); (c) testando la stessa sostanza su tutti i campioni; … è l’unica modalità di ricerca che può: (1) da una parte, essere fatta con veri e propri esperimenti; (2) dall’altra parte, fornire sempre ottima Validity e Realibility (anche nella forma: inter-soggettiva) ogni volta.

Di contro, come detto supra e ribadito infra, la sperimetazione clinica umana può avvenire solo con quasi-esperimenti che, se da una parte possono avere ottima Validity (sia interna che esterna / ecologica), dall’altra “mai” possono ottenere buona Realibilitry “inter-soggettiva”. Medici omeopatici diversi, fanno diagnisi omeopatiche diverse (alias, classificano i soggetti in sub-popolazioni differenti). Ciò è stato osservato in samples nei quali le stesse visite omeopatiche sono viste da gruppi di medici omeopatici diversi (e.g., 20). Tutti questi giungono ad individuare rimedi diversi (fra i quali, però, solo uno ha avuto efficacia terapeutica, avendo gli altri fallito). Questo rende fondamentale il “come” sono selezionati i medici omeopatici che vengono coinvolti nei RCTs (per il loro esito).

Le Global Sistematic Reviews e le Revisioni Sistematiche per Specialità Medica

La maggior parte delle Reviews riporta data favorevoli all’Omeopatia: Reilly D. T. et al. (1986); Esklnaz D. (1987); Hill C & Doyon F.(1990); Keijlen et al. (1991); Reilly D. T. et al. (1994); Boissel et al (1996); Linde et al., (1997);  Homeopatic Medicine Research Group. Advisory Group 1 – Commissione istituita dalla Comunità Europea (1997); Barnes J. et al. (1997); Ludtke R & Wiesenauer M (1997); Linde K & Melchart D (1998); Bellavite P (1998); Ernst F & Hahn E G (1998); Linde et al (1999); Bellavite P et al (1999); Moda F et al (1999); Cucherat et al. (2000); Jonas et al. (2003); Sukul N. C. & Sukul A. (2003); Bellavite P. (2003); Weatherley-Jones E et al (2004); Reilly (2005); Caulfield T & Debow S A (2005); Bornhoft A et al (2006); Mathie R.T. et al. (2014).

Una minoranza, di contro, esclude la capacità dell’Omeopatia d’avere risultati superiori al placebo  (Vandenbrouche, 1997; Shang et al., 2005; Goldacre et al., 2007; Bewley et al, 2011; Mathie R.T. et al., 2017). Altri lavori quali quelli di Ernst (2004; 2007) sono contraddittori.

Fra le Systematic Reviews che hanno analizzato solo i RCTs (randomised controlled trials) bisogna distinguere fra quelle “globali” e quelle “settoriali”.

Le Gobal Systematic Reviews sono state 8 (Kleijnen J et al., 1991; Boissel et al, 1996; Linde K et al., 1997; Linde & Melchart, 1998; Cucherat M et al., 2000; Shang A et al., 2005;  Mathie R.T. et al., 2014; Mathie R.T. et al., 2017).

Cinque di queste riportano risultati maggiori rispetto al placebo (Kleijnen J et al., 1991; Boissel et al., 1996; Linde K et al., 1997; Linde & Melchart, 1998; Cucherat M et al., 2000; Mathie R.T. et al., 2014). Due di queste (Shang et al. 2005; Mathie R.T. et al., 2017) affermano l’incapacità di rigettare la Null Hypotesis (Ho), interpretando i data come compatibili all’effetto placebo. Entrambe, però, rilevano la presenza di small effect a favore del trattamento omeopatico.

Tutte (eccetto Shang et al, 2005) affermarono la necessità di sviluppare maggiore ricerca sull’argomento.

Cinque Global Reviews (Kleijnen J et al., 1991; Boissel et al., 1996; Linde K et al., 1997; Cucherat M et al., 2000) hanno analizzato assieme RCTs di “individualised homeopathy” e “not-individualised homeopathy”.  Quest’ultima include la complex homeopathy e l’isopathy.

Di contro, le ultime due Reviews (Mathie R.T. et al., 2014;  Mathie R.T. et al., 2017)[12] hanno esaminato separatamente gli studi di individualised homeopathy da quelli di not-individualised homeopathy. La prima Review (2014) sull’individualised homeopathy rileva: “a small, statistically significant, treatment effect … that was robust to sensitivity analysis based on ‘reliable evidence’” (Mathie R.T. et al., 2014). La seconda Review (2017) condotta sulla not-individualised homeopathy rileva la presenza di “small effect … not robust to sensitivity analysis” (Mathie R.T. et al., 2017). Pertanto, Mathie R.T. et al. (2017) conclude l’impossibilità di rigettare l’Ho a causa dell’assenza di “robustezza” per la not-individualised homeopathy.

L’individualized homeopathy applica pienamente i criteria ed i principia dell’Omeopatia. Essa individua il rimedio (unicismo) e/o i rimedia (pluralismo) capaci di cogliere l’intera l’individualità morbosa del paziente. L’approccio terapeutico richiede una “prima visita” che và da un minimo di 1ora e mezza a tre ore. Un tempo non più richiesto nelle visite successive, salvo che non occorra rifare la repertorizzazione ex novo.

Di contro, la not-individualised homeopathy prescrive i rimedia e/o i complessi su base nosologica. In altre parole, i rimedi sono prescritti allo stesso modo in cui è prescritto un farmaco convenzionale. La prescrizione non considera più l’individualità morbosa del paziente nella sua totalità, ma solo la “condizione clinica” da trattare.

Exempli gratia, Arnica compositum della Heel, indipendentemente dalle caratteristiche del paziente, è usato sempre: “for the temporary relief of chronic and acute inflammation due to injury, minor illness, infection or rheumatism and gout” (2005); e/o, “for the temporary relief of illness, injury, infection, and rheumatism” (2010)[13]. Allo stesso modo Zeel (un altro complesso della Heel) è indicato sempre: “for the temporary relief of symptoms of osteoarthritis including mild to moderate pain, articular stiffness and inflammation” (2005); “for the temporary relief of mild to moderate arthritic pain, osteoarthritis, and joint stiffness” (2010).

I complessi sono usati regolarmente in Omotossicologia. Quest’ultima è una Scuola terapeutica nata in Germania e fondata da Reckeweg (1981). I complessi sono più facili da utilizzare, non richiedendo: (a) una approfondita conoscenza del Repertorio e/o della Materia Medica; (b) lunghe visite per prescrivere rimedi capaci di cogliere la totalità del paziente (Swayne, 2005). Le case farmaceutiche, inoltre, preferiscono sviluppare i complessi in quanto sono “brevettabili”. Di contro, i “singoli rimedi” omeopatici, in tutte le loro diverse diluizioni / dinamizzazioni, non possono essere oggetto di brevetto.

In conclusione, da un esame complessivo delle Global Reviews emerge oggettivamente un quadro favorevole al Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico. L’omeopatia dà prova di funzionare come approccio terapeutico quando è prescritta su base individuale. Di contro, emergono problematicità quando le prescrizioni sono fatte su base nosologica. Quest’ultimo thema può essere approfondito ulteriormente analizzando le ricerche condotte sulle singole condizioni cliniche.

I Trials e le Reviews sulle singole condizioni cliniche

Le condizioni cliniche maggiormente studiate sono: a) le infezioni delle vie aeree; b) le malattie arto-reumatiche; c) i SADDs; d) e l’immuno-allergologia.

Le prime tre sono state incluse nello Studio EPI 3 che fornì validità esterna ed ecologica all’Omeopatia. L’ultima, di contro, non fu inclusa in esso. Nonostante ciò, essa è un campo importante per l’Omeopatia (Kuzeff R M, 1998). Molta Ricerca di Base è concentrata in esso. Exempli gratia, in Italia Bellavite (2005; 2006) e la sua Scuola (Benato G, 2006) sottolineano come questa specialità medica (l’immuno-allergologia) sia un “ponte” fra l’Omeopatia e la Medicina Ufficiale. Nessuna specialità medica più di questa, infatti, ha consapevolezza del ruolo rivestito dalla “sensibilità” individuale verso “minime concentrazioni” d’alcune sostanze.

In questo paragrafo esamineremo brevemente un sample della letteratura concernente: a) le infezioni delle vie aeree;  b) le malattie arto-reumatiche; c) le allergie. Di contro, la letteratura sui SADDs sarà trattata in una apposita sezione.

Il successo riportato dall’Omeopatia all’interno delle specialità mediche nelle quali è stata studiata da tempo, contribuisce alla creazione d’un rationale atto a giustificare un programma di ricerca sperimentale anche nel nostro campo.

Condizioni morbose delle vie aeree

Sulle vie respiratorie e le sindromi influenzali et similia abbiamo molti studi in doppio cieco. Exempli gratia, cito quelli sull’Oscillococcinum (il rimedio “di punta” della Boiron):  Casanova P & Gerald  R (1988); Ferley J P et al (1989);  Papp R et al (1998). Dai trials emerge oggettivamente l’efficacia del rimedio superiore al placebo. Nonostante ciò, è stata rilevata una differenza fra l’Oscillococcinum 200 K (il rimedio sviluppato, studiato e commercializzato, dalla Boiron che ha sempre dato risultati positivi in tutte le sperimentazioni) ed una sua variante prodotta da altro laboratorio specificatamente per un solo studio: anas barbariae 200 CH.

Fino a replica di quest’ultimo, resta difficile appurare se le differenze nei risultati conseguano alla diversa diluizione / dinamizzazione, oppure ad errori nella produzione del rimedio.

La 200 CH, infatti, richiede 200 diluizioni e dinamizzazioni che avvengono in 200 boccette diverse. Basta un singolo errore in un solo passaggio per compromette tutto. Per tali motivi, molti omeopati preferiscono usare per le diluizioni / dinamizzazioni superiori alle 30 CH le K (200 K; 1.000 K; 10.000 K ; 50.000 K; 100.000 K).

Un altra tipologia di control studies sono quelli fatti versus il trattamento convenzionale di riferimento. Alcuni di questi studi sono: Gassinger et al., 1981[14];  Friese et al., 1997[15]; Kruse, 1998[16]; Riley D et al, 2001[17]; Rabe et al, 2004[18]; Ammerschlager et al, 2005[19]; Trichard et al, 2005[20].

Molti trials condotti vs farmaci convenzionali di riferimento riportano risultati lievemente superiori a favore dell’Omeopatia. E’ difficile, però, effettuare una reale comparazione fra i due trattamenti. Alcune cure convenzionali, infatti, richiedono tempi di trattamento pre-determinati. Exempli gratia, un trattamento antibiotico richiede una durata minima di 5 giorni. Pertanto, l’influenza trattata con la somministrazione d’antibiotici richiede un decorso sovrapponibile al trattamento.

Sono stati studiati anche i “complessi omeopatici” versus i farmaci convenzionali. Exempli gratia, fra i complessi sviluppati dalla Heel abbiamo: Grippheel (Maiwald et al, 1988; Rabe et al, 2004); Euphorbium compositum (Ammerschlager et al, 2005); Traumeel (Oberbaum et al, 2001). I data propendono a sostenere l’efficacia.

Questi data sono importanti per fare alcune precisazioni e “distinguo” sui risultati ottenuti da Mathie R.T. et al. (2017) circa la not-individualised homeopathy. Chi scrive ravvede la necessità di condurre nuove Reviews sui RCTs di not-individualised homeopathy dividendo questo gruppo in tre sub-gruppi diversi: uno per i soli RCTs fatti usando complessi (costituiti da un mix di rimedi in Basse Potenze); uno per i soli RCTs che prescrivono singoli rimedi in Bassa Potenza; uno sui RCTs con prescrizioni di rimedi in Alta Potenza.

Come si vedrà infra, i data sperimentali pro tempore suggeriscono che alcuni complessi (da distinguere caso per caso, RCTs per RCTs) hanno risultati analoghi ai farmaci di riferimento e/o superiori al placebo (per alcune determinate condizioni morbose) anche con prescrizioni di not-individualised homeopathy. Di contro, i singoli rimedi, soprattutto se prescritti ad Alte Potenze, non riportano effetti terapeutici con prescrizioni di not-individualised homeopathy.

Exempli gratia, il primo studio dimostra l’equivalenza fra Grippheel e l’aspirina. Lo studio è stato randomizzato e fatto in singolo cieco su una popolazione di soldati dell’esercito affetti da raffreddore (Maiwald et al, 1988). Questa equivalenza è stata confermata da un secondo studio (Rabe et al, 2004).

Nella sesta edizione del testo Omeopatia-Omotossicologia – Le Prove scientifiche (Milani Leonello, Coordinatore) sono elencati per l’apparato respiratorio e le sindromi influenzali: 19 trials clinici versus placebo che riportano la superiorità del rimedio omeopatico; e 21 trials clinici versus farmaco allopatico corrispondente che riportano, 16 la non inferiorità e 5 la superiorità del rimedio omeopatico.

Malattie arto-reumatiche

I trials clinici mostrano risultati promettenti, nonostante alcuni RCTs minoritari riportino data  “contradittori” verso i primi.

Da una parte, infatti, abbiamo i trials clinici che rilevano una differenza statisticamente significativa fra l’azione del rimedio omeopatico ed il placebo (Gibson et al., 1978[21]; Gipson et al, 1980[22]; Fisher P et al., 1989[23]; Wiesenauer & Gaus, 1991[24]; Bell et al, 2004b[25]) e/o che rilevano l’uguaglianza del trattamento omeopatico col corrispettivo trattamento convenzionale (Nahler et al, 1996[26]; Shealy et al, 1998[27]; van Haselen & Fisher, 2000[28]; Bell et al, 2004a[29]).

Dall’altra parte, però, alcuni trials non rilevano una differenza statisticamente significativa fra il verum ed il gruppo placebo (Shipley et al, 1983[30]; Fisher P, 1986[31]; Andrade et al, 1991[32]; Schirmer et al., 2000[33]; Fisher & Scott, 2001[34]).

Da una analisi più attenta, però, emerge quanto accennato supra:

  • quando la terapia omeopatica è prescritta su base individualizzata (individualised homeopathy) i risultati sono tendenzialmente favorevoli per l’Omeopatia;
  • quando il rimedio omeopatico è prescritto su base “non individualizzata” (ma nosologica), viene meno la differenza statistica, salvo che (come detto supra) la prescrizione di not-individualised homeopathy riguardi alcuni complessi.

Quest’ultimi a causa dell’ampio spettrum dei componenti e dell’uso delle Basse Potenze decimali riescono a coprire una pluralità di individualità morbose. Le Basse Potenze (contrariamente alle Alte), inoltre, non richiedono una particolare “sensibilità” del soggetto al rimedio.

Concludendo, condivido i risultati di due meta-analisi (Jonas et al, 2000; Holdcraft et al, 2003) che suggeriscono come l’omeopatia sembri avere effetti terapeutici sulle malattie reumatiche, sebbene non possano essere assunte “affermazioni conclusive”.

Nella sesta edizione del testo Omeopatia-Omotossicologia – Le Prove scientifiche (Milani Leonello, Coordinatore) sono elencati per le patologie articolari: 15 trials clinici versus placebo che riportano la superiorità del rimedio omeopatico; e 21 trials clinici versus farmaco allopatico corrispondente che riportano, 13 la non inferiorità e 8 la superiorità del rimedio omeopatico.

Gli studi in Immuno-allergologia.

I trials in thema includono molte sperimentazioni fatte sulla base del principio isoterapico (HIT). Quest’ultimo, e.g., usa l’agente allergologico (e.g. il polline che causa l’asma allergico) per curare la stessa allergia somministrandolo in dosi omeopatiche.

Alcuni studi rilevano differenze statistiche fra il rimedio omeopatico ed il placebo (Wiesenauer & Ludtke, 1987, 1995; Matusiewicz, 1995, 1996, 1997;  Lara-Marquez et al, 1997;  Riveron-Garrote et al, 1998). Altri l’equivalenza fra il trattamento omeopatico e quello convenzionale (Weiser et al, 1999; Witt et al, 2005).

Di contro, tale differenza non è rilevata da una letteratura minoritaria (Aasbel, 2001; White et al, 2003; Dantas, 2003; Li et al, 2003). Uno studio rileva risultati peggiori nel verum rispetto al placebo (Aasbel, 2000).

Diversi studi retrospettivi rilevano data promettenti a favore dei trattamenti omeopatici (Mosquera Pardo, 1990; Castellsagu, 1992; Eizayaga & Eizayaga, 1996).

Sull’immunoterapia omeopatica (HIT) c’è il famoso studio in “doppio cieco” pubblicato sul The Lancet (Reilly et al, 1986)[35]. Lo studio uso’ Pollen alla 30 CH, costituito da una miscela di 12 pollini. L’efficacia terapeutica fu confermata da: Campbell et al (1990); Reilly et al (1994); Taylor et al (2000). Di contro, Lewith et al (2002) fallirono nel riprodurre l’esperimento ottenendo risultati negativi.

Alcuni studi testano “farmaci convenzionali” in dosi “omeopatiche”, ad esempio: l’istamina.

Boucinhas & DeMadeiros Boucinhas (1990) hanno condotto uno studio sull’efficacia profilattica di Poumon Hystamine 5 CH sulle crisi di asma. Lo studio riporta data favorevoli nella riduzione della frequenza delle crisi. Il disegno sperimentale utilizzato, però, fu criticato in letteratura (Poitevin, 1998). Esso fu ritenuto incapace di fornire prove sufficienti.

Nella sesta edizione del testo Omeopatia-Omotossicologia – Le Prove scientifiche (Milani Leonello, Coordinatore) sono elencati per le patologie allergiche: 11 trials clinici versus placebo che riportano la superiorità del rimedio omeopatico; e 6 trials clinici versus farmaco allopatico corrispondente che riportano tutti la non inferiorità del rimedio omeopatico.

Prime Osservazioni

Complessivamente possiamo rilevare come esista in letteratura una pluralità di RCTs, con buona validità interna e Qualità, atta a sostenere la validità del Sistema Clinico-Farmaceutico Omeopatico. L’assenza di effetti collaterali causati da questi rimedia rende razionale in una analisi costi-benefici una sperimentazione di questi all’interno d’un trattamento integrato degli stessi anche nel nostro campo.

Tale sperimentazione dovrebbe essere fatta con prescrizioni di Individualized Homeopathy. Esse dovrebbero conseguire a diagnosi omeopatiche fatte solo da medici omeopati (unicisti e/o pluralisti) capaci di cogliere l’individualità morbosa del paziente. Ancora, potrebbe essere utile condurre RCTs e Reviews diversi/e per i trattamenti unicisti e pluralisti (evitando di mischiare queste due forme).

Di contro, prescrizioni non-individualizzate (fatte su base nosologica) condurrebbe al fallimento della sperimentazione (salvo quanto detto per i complessi).

Personalmente, ritengo i complessi utili per un “primo sollievo” (come tutti i farmaci da banco) in attesa d’una visita medica omeopatica. Essi, infatti, non permettono di chiarire: (1) se l’azione biologica / terapeutica sia causata dall’intero complesso, come “unità” che trascende la somma delle sue singole parti, e/o dall’azione d’alcuni dei rimedi che lo compongono; (2) in quest’ultimo caso, non permette di comprendere quali siano i rimedi del complesso capaci di causare l’azione terapeutica; (3) inoltre, il complesso “funziona” su base nosologica solo con Basse Potenze. Questo preclude l’utilizzo delle Alte Potenze che hanno effetti maggiori, spesso più intensi e profondi. Nel mentale, inoltre, l’Omeopatia funziona con le Alte Potenze, non con le Basse.

L’Omeopatia ed i SADDs – Un Rationale un Programma di Ricerca

Nella sesta edizione del testo Omeopatia-Omotossicologia – Le Prove scientifiche (Prof. Leonello Milani, Coordinatore) sono elencati per le patologie neurologiche-psichiatriche: 14 trials clinici versus placebo che riportano la superiorità del rimedio omeopatico; e 8 trials clinici versus il farmaco allopatico di riferimento che riportano, 7 la non inferiorità del rimedio omeopatico sull’allopatico e 1 la superiorità del rimedio omeopatico. Quest’ultimo riguarda l’insonnia in età pediatrica. Le condizioni morbose considerate da questi studi sono: vertigini; ipercinesi; insonnia; depressione (da moderata a severa).

Conformemente a Guilleman J, Dorfman P & Tetau M (1989), la sperimentazione “psicofarmacologia omeopatica” sui ratti avvenne a partire dalla seconda metà del XX secolo. Alcuni dei primi rimedi testati furono: Ignazia; Gelsenium. Quest’ultimi, conformemente alla Materia Medica ed al Repertorio, sono tradizionalmente indicati per tropismi del, ed azioni sul, Sistema Neurologico, oltre che per stati ansiosi (Boericke W, 1998; Vermeulen F, 2015; Synthesis edizione 7.1). I rimedi sono stati testati a diverse diluizioni / dinamizazioni. L’obiettivo delle ricerche era quello d’osservare la capacità d’agire sui modelli d’ansia acuta e/o cronica. La sperimentazione sui topi ha prodotto risultati positivi. Ha confermato, inoltre, l’efficacia differente fra le diluizioni / dinamizzazioni.

Questi studi sono stati più volte replicati. Negli anni ”80, un gruppo di ricerca voluto da Boiron confermò l’azione di Gelsenium sulla captazione dei neurotrasmettitori (dopamina; noradrenalina; serotonina) da parte dei recettori. Dalle sperimentazioni in vitro, emerse il diverso effetto delle diluizioni. Exempli gratia, la 1, 2 e 3, CH hanno azione inibente. Di contro, diluizioni / dinamizzazioni maggiori aumentano la captazione da parte dei recettori.

Negli ultimi decenni, la crescente prescrizione di farmaci antidepressivi ed ansiolitici da parte dei GPs, i loro effetti collaterali ed i dubbi sulla loro reale efficacia, hanno stimolato la ripresa delle ricerche sui “trattamenti alternativi” per valutare un loro possibile impiego all’interno d’un trattamento integrato.

Nel 2005, l’Università di Wesmister condusse una serie di indagini sulle medicine alternative e sulla loro capacità di trattare i disturbi depressivi. Exempli gratia, fu condotta una ricerca sullo yoga (Pilkington K, Kirkwood G, Rampes H, Richardson J, 2005) ed un altra sull’Omeopatia (Pilkington K, Kirkwood G, Rampes H, Fisher P, Richardson J, 2005). Quest’ultima rilevò una limitata presenza di RCTs (ne individuò solo 2) sugli effetti terapeutici che l’Omeopatia ha sulla depressione. Concluse, pertanto, la necessità di sviluppare maggiore ricerca in thema. Una conclusione condivisa anche da uno studio australiano dell’Università del New England (Makich L, HussainR, Humphries JH, 2007). Quest’ultimo rilevò che la maggior parte dei medici omeopati prescrivono l’omeopatia nel trattamento della depressione assieme ad altri “trattamenti” quali: cambiamenti nello stile di vita e nella nutrizione; fitoterapia; aromoterapia; esercizio fisico; etc … . Tutti questi “trattamenti ausiliari”, agendo da variabili confondenti, resero impossibile comprendere se il miglioramento clinico fosse conseguito al rimedio omeopatico e/o ad altri fattori. Ricordo come un “semplice supplemento” di magnesio produce effetti positivi e benefici sulla depressione (Serefko A et al, 2013). L’incremento dell’attività fisica (studi già citati nel Cap I) fa lo stesso. Pertanto, la situazione del tempo precludeva data con buona validità interna.

Nel 2012 fu pubblicato uno studio della Boston University (School of Medicine; School of Public Health) che indicava come i trattamenti della Complementary and Alternative Medicine (CAM) possono avere una certa utilità all’interno d’un trattamento integrato sui disturbi psicopatologici dei rifugiati e dei soggetti sopravvisuti ad esperienze di tortura (Torture and Torture-Related Morbidities). Sebbene ulteriore ricerca sia necessaria, in quanto i risultati hanno forti limiti (Mckenna Longacre et al., 2012), essi sembrano promettenti. I disturbi esaminati sono stati: sequelae di trauma; dolore cronico – psicosomatico; depressione maggiore; PTSD; disturbi da conversione. Le forme di medicina complementare esaminate sono: l’Omeopatia; lo Yoga (tecniche di respirazione pranayama); l’Ayurveda; i Massaggi; la Danza ed il muovimento; le Tecniche di Meditazione; la Musicoterapia; la Medicina Tradizionale Cinese; l’Agopuntura; il Qi – Gong; il T’ai chi; la Chiropratica; l’Aromaterapia; il Reiki.

Nel 2006, l’Università di Verona accolse l’appello di migliorare la ricerca, incrementando la validità interna. Un gruppo di ricerca (Bellavite; Conforti; Magnani) iniziò a condurre nel Centro Interdipartimentale di Ricerca Sperimentale sugli Animali di Laboratorio diversi studi sui modelli comportamentali e di ansia nei topi. Questi studi, condotti col massimo rigore scientifico, hanno fornito research findings corroboranti la capacità dell’omeopatia d’agire sul Sistema Nervoso.

I ricercatori hanno dimostrato (ricerche sperimentali più volte replicate) che Gelsenium sempervirens alla 5, 7, 9, 30 CH, ha la capacità di ridurre la sintomatologia ansiosa (Bellavite P et al, 2009; Bellavite P et al, 2010; Bellavite P et al, 2011a; Bellavite P et al. 2011b; Bellavite P et al, 2012). Gli esperimenti hanno riportato risultati altamente significativi nel test Ligh-Dark (LD) e risultati significativi nel test Open Field (OF). I valori P emersi dall’ANOVA, caso per caso, hanno avuto livelli di significatività statistica differenti con: p < 0.05;  p < 0.01; p < 0.001.

Alcune diversità nei risultati conseguono alle diluizioni / dinamizzazioni. La 5, 7, 30 CH hanno avuto altissima significatività nel test OF, mentre la 9 e 30 CH nel test LD. Dall’esperimento emerge un’efficacia simile al Diazepam.

Altro farmaco di riferimento utilizzato fu il buspirone. Gelsenium, in quest’ultimo caso, ha riportato risultati migliori rispetto a quest’ultimo senza causare i suoi effetti collaterali. Il buspirone, infatti, mostrò azione ansiolitica quasi nulla, provocando solo inibizione del muovimento. Gelsenium, di contro, mostrò effetti ansiolitici nel test (OF) dove i farmaci convenzionali “fallirono” senza causare inibizione nel movimento.

I ricercatori, su questi data, ipotizzarono la possibile capacità dei rimedia omeopatici d’avere spettri d’azione maggiori rispetto ai farmaci convenzionali sui disturbi comportamentali. Un ipotesi interessante che, però, resta ancora da verificare con RCTs sull’uomo.

Come avviene ogni volta che il Paradigma Ufficiale è contraddetto, ci fu “polemica”. Due ricercatori dell’Istituto Mario Negri (Cervo L & Torri V, 2011) scrissero una lettera alla Rivista (Psychopharmacology) affermando la non riproducibilità delle ricerche. La Rivista, così’, richiese al gruppo di Bellavite una replica definita “cogent”. La replica fu immediatamente pubblicata dalla stessa Rivista e da altre (Bellavite P et al, 2011c; Bellavite et al, 2011d).

I research findings su Gelsenium si basano su 14 esperimenti condotti in doppio cieco, randomizzati, controllati e riproducibili. Questi esperimenti, hanno provato l’azione di Gelsenium sui modelli d’ansia provocati nei topi e l’efficacia delle Alte Potenze.

Altro rimedio testato fu Ignatia amara. Conformemente a Marzotto M et al (2012), Ignazia ha dimostrato la capacità di modulare l’ansia nei topi similmente al Diazepam.

I risultati ottenuti in questi esperimenti, però, non provano l’efficacia dei rimedi sull’uomo. La ricerca sugli animali è solo il “primo passo” per arrivare a quella sull’uomo, rendendo rationale quest’ultima.

Adler et al (2009) condussero un RCTs sull’uomo che dimostrò la non inferiorità terapeutica del medicinale omeopatico versus il farmaco di riferimento (Fluoxetina) nel trattamento delle depressioni che andava da forme moderate a severe. Le cure omeopatiche, gestite da medici omeopati specializzati, furono di “individualized homeopathaty”. Le diluizioni / dinamizzazioni furono le Q (LM).

Lo studio fu condotto in Brasile dove l’omeopatia è una Specialità Medica ufficialmente riconosciuta e dove la depressione è un problema cogente. Il 19,2% della popolazione è affetta dalla depressione. Il trial fu in doppio cieco, randomizzato, conformemente ai più rigidi criteria del Research Methods ed è uno di quelli citati dal Prof. Leonello Milani.

L’unica critica che può muoversi a questo RCT è quella che diversi SSRIs, inclusa la Fluoxetina, sono risultati incapaci di produrre effetti superiori a quelli del placebo (Kirsch et al, 2008). Se così fosse, la capacità di produrre gli stessi effetti della Fluoxetina significa produrre gli stessi effetti del placebo!

Uno studio messicano (Macías-Cortés, Emma del Carmen et al, 2016) cerca di approfondire questo thema. Lo studio è condotto sulla depressione (da moderata a severa) Peri-e-Post-menopausale delle donne (HOMDEP-MENOP Study). Lo studio compara l’omeopatia e la Fluoxetina versus placebo. I risultati sono stati che: l’Omeopatia (Individualized Homeopathic Treatment) è in grado di riportare risultati migliori rispetto al placebo; la Fluoxetina, di contro, non lo è.

Quanto detto, rende necessario sviluppare RCTs solo versus placebo, non versus farmaci convenzionali di riferimento. Quest’ultimi, come visto, non sono sempre “termini di paragone” affidabili. Un RCT versus placebo fu condotto nel 2014 dal Dipartimento di Psicologia dell’Islamic Azad University (Iran). Lo studio fu fatto con la collaborazione del Homeopathic Center dell’Iran. L’oggetto dello studio furono gli effetti terapeutici dei rimedi omeopatici sull’ansia e sulla depressione (Bagherian M, Mojembari AK and Hakami M, 2014).

I rimedi furono prescritti su base costituzionale (individualized homeopathy). Le conclusioni dell’RCT (condotto in doppio cieco, randomizzato, versus placebo) furono che: “homeopathic therapy can be used as an effective method to treat anxiety”.

A partire dal 2014, l’Università di Sheffield (UK) attivò un programma di ricerca per valutare se l’Omeopatia potesse avere impatti positivi all’interno d’un trattamento integrato nella depressione (Viksveen P. Relton C. Nicholl J., 2017a, 2017b; Viksveen P. & Relton C., 2017, 2014). Lo studio considera i Disturbi Depressivi in quanto (assieme ai Disturbi d’Ansia) rappresentano la condizione morbosa psicopatologica più diffusa per la quale ci si rivolge ai medici Omeopati (Relton C, Chatfield K, Partington H, Foulkes L. 2007; Mathie and Robinson, 2006; Becker-Witt C, Lüdtke R, Weishuhna TER, Willich SN, 2004).

La ricerca condotta all’Universita’ di Sheffield concluse che: “Limited evidence … suggests HMPs might be comparable to antidepressants and superior to placebo in depression, and patients treated by homeopaths report improvement in depression”, nonostante ciò gli autori riconoscono la necessità di aumentare la ricerca ed il numero degli studi d’alta qualità. Tutto sommato, le prove suggeriscono “a potentially promising risk benefit ratio” (Viksveena P, Fibertb P, Reltonb C, 2018). Quest’ultima rende razionale include, almeno in via sperimentale, all’interno dei trattamenti integrati nei Disturbi Depressivi anche la terapia omeopatica. Terapia prescritta e gestita da un medico omeopata specializzato.

La presenza di studi “apparentemente contradittori” nella letteratura scientifica non giustifica, in se e per se, il rigetto dell’approccio terapeutico omeopatico. Questo, a fortiori, considerando che la stessa “apparente contradittoria” emerge nei RCTs condotti sugli psicofarmaci convenzionali. Un altra forma di ragionamento non contingente. Che senso ha, infatti, prescrivere la Fluoxietina (con i suoi effetti collaterali) e non l’omeopatia (senza effetti collaterali) quando entrabe producono gli stessi risultati?!?!

Ho parlato di “apparente contraddittorietà”. Di contro, avrei dovuto dichiarare l’Inconsistenza del Sistema e del Metodo Scientifico! Una contraddittorietà apparente in quanto alcuni RCTs (in realtà) sono più attendibili di altri che sostengono risultati opposti. Esempio molti studi indipendenti sono risultati più “rigorosi” e meno permeabili alle varie forme di bias, rispetto agli studi condotti e/o finanziati da chi possa avere un interesse nel loro risultato. Fatto riconosciuto più volte, diventando un criterium di valutazione degli stessi, dalla Magistratura.

L’Università di Sheffield stà conducendo dei trials clinici anche sull’Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD) al fine di vagliare l’efficacia dei trattamenti omeopatici su questo disturbo comportamentale. La ricerca omeopatica è motivata dal fatto che l’utilizzo degli psicofarmaci (e.g. Ritalin) creano effetti negativi sulla salute dei minori. Un range che va dal 25% al 35% dei bambini con diagnosi ADHD, inoltre, non risponde ai trattamenti convenzionali. Questo avviene specialmente quando l’ADHD è presente in commorbidità con un disturbo dello spettro autistico. La ricerca condotta da alcuni studenti di PhD all’Università di Sheffield (cofinanziata dal HRI e dall’Università) suggerisce l’efficacia della terapia omeopatica per tale condizione morbosa. Lo studio coinvolse 20 bambini e fu oggetto della tesi di PhD di Philippa Fibert (Clare Relton e Elizabeth Milne, supervisors). Vedere: Fibert P et al. (2016); Fibert P. (2015).

Fino al DSM IV-TR, nello spettro dei disturbi ansiosi c’erano i disturbi compulsivo-ossessivi (OCD). Una categoria divenuta autonoma col DSM V. Conformemente alla letteratura maggioritaria (Veale D & Roberts A, 2014), l’omeopatia al pari della psicoanalisi e dell’ipnosi non ha efficacia terapeutica su questi disturbi. L’unico trattamento efficace è rappresentato dai farmaci (SSRIs) e dalla terapia Cognitivo-comportamentale. L’uso degli anti-psicotici, somministrati a basse dosi e per brevi periodi, può essere indicato solo per i pazienti refrattari agli SSRIs ed alla psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.

Di contro, alcuni studi sugli animali sembrerebbero “suggerire” una possibile efficacia dell’Omeopatia anche per gli OCD. All’Università di Istanbul, Facoltà di Medicina Veterinaria, è stato condotto uno studio che ha utilizzato un trattamento omeopatico per curare comportamenti stereotipati nei cavalli (Parkan Yaramis C et al, 2016). Lo studio rileva l’efficacia del trattamento omeopatico sul un sample di 17 cavalli.

Risultati come questi, potrebbero rendere razionale “provare” un loro impiego anche sull’uomo (vista l’assenza di effetti nocivi).

Un caso clinico di OCD è stato osservato in una donna che chiameremo D. D. . Chi scrive ha visto il video con le registrazioni delle visite mediche ed i follow ups.

La donna, da diversi mesi, presentava un numero elevato di compulsioni che rendevano impossibile una vita “normale” a lei ed alla sua famiglia. Così, si recò da uno psichiatra. Questo le diagnosticò un disturbo compulsivo-ossessivo. Dato che le compulsioni raggiunsero livelli tali, non più gestibili dalla paziente, lo psichiatra le consigliò di iniziare con una terapia farmacologica da affiancare, successivamente, con una terapia cognitivo-comportamentale.

La paziente non era entusiasta d’usare gli psicofarmaci. Cosi, prima di acconsentire a questo tipo di trattamento, volle provare come “ultima spiaggia” un trattamento omeopatico. Ella consultò un medico omeopata (nel caso di specie, per fortuna, uno dei più bravi). Quest’ultimo, dopo averle spiegato tutti i limiti dell’Omeopatia ed averle raccomandato di tenere presenti le indicazioni terapeutiche dello psichiatra, fece una visita omeopatica per prescrivere un rimedio omeopatico “individualizzato” che potesse aiutarla ad ottenere qualche beneficio.

Durante la visita emerse un quadro clinico che fece prescrivere Rhus Toxicodendron 10.000 K.

La paziente riportò subito forti miglioramenti nelle 24 ore successive, così marcati da essere inaspettati per lo stesso medico omeopata. La maggior parte delle compulsioni che resero la “vita impossibile” alla paziente ed alla sua famiglia si “dissolse” nel nulla. Rimasero solo quelle “piccole ritualità” (con le quali la paziente aveva convissuto tutta la vita) che riusciva a “gestire bene”.

I miglioramenti furono riferiti dalla paziente e dalla sua famiglia. Essi restarono costanti nel tempo.  Il venir meno delle compulsioni fu rilevato subito dai famigliari. La paziente riferisce di non essersene quasi accorta all’inizio.

Exempli gratia, una compulsione riguardava lo “stato di salute” della madre. Ogni volta che salutava la madre, quest’ultima doveva ripetere il saluto (per diverse volte e sempre in numero pari) fino a quando la paziente non riteneva che fosse “sufficiente” per scongiurare le sue “preoccupazioni / ossessioni”.

Quello che avveniva era il seguente rituale:

Ciao mamma

Ciao D.D.

Ciao mamma

Ciao D.D.

Ciao mamma

Ciao D.D.

n.      

La cosa poteva andare avanti per 10 /15 minuti.

Questa ritualità sparì il giorno stesso. Quando la paziente andò a trovare la madre, la salutò semplicemente con un “Ciao mamma”. La paziente riporta che non si rese neppure conto d’aver “omesso” la ritualità / compulsione. Fu la madre (che ancora non sapeva della visita omeopatica e dell’assunzione del rimedio) che osservò subito il cambiamento.

Un insieme di ritualità che rendevano alla paziente la “vita impossibile” avvenivano anche prima d’“uscire di casa”. Ogni volta che doveva uscire era “costretta” a fare una serie di “lunghe ritualità” (che comprendevano azioni da fare sempre in numero pari) che potevano durare anche mezz’ora o più. Nel caso in cui si dimenticava qualcosa e doveva rientrare in casa, doveva ripetere tutte le ritualità nuovamente prima di uscire.

Anche questa ritualità fu abbandonata subito. Fu il marito ad accorgersene vedendola uscire di casa senza fare alcun rituale. La paziente dice che neppure se ne accorse e/o ci pensò!

Il rimedio omeopatico, in altre parole, aveva riportato la vita della paziente alla fase anteriore all’acutizzarsi del disturbo compulsivo/ossessivo. Le rimasero, infatti, quelle “piccole ritualità” (definite scaramantiche) con le quali la paziente convisse tutta la vita ed era capace di “gestire bene”.

Questo caso clinico, che non vuole dimostrare: né, che l’Omeopatia può risolvere tutti gli OCD; né, tanto meno, che Rhus Toxicodendron può avere questo tipo di “raccomandazione clinica”; … tuttavia suggerisce (all’interno d’una analisi costi-benefici) che non è irrazionale effettuare un programma di ricerca per valutare se effettivamente l’omeopatia possa apportare dei benefici, all’interno d’un trattamento integrato, in queste forme morbose. Se può contribuire al benessere del paziente, perché no? Irrazionale è non tentare e non studiare il phenomenum.

Essendo una prescrizione individualizzata, il rimedio usato con la paziente D. D. non può funzionare su altri pazienti. Quest’ultimi, infatti, necessitano di rimedi individualizzati diversi.

Questo caso, inoltre, sottolinea come in Omeopatia l’incidenza degli elementi soggettivi del medico omeopata sia forte. Ad esempio, un sample di medici omeopati che, guardarono la registrazione delle visite mediche ed omeopatiche (senza che gli fosse detto il rimedio prescritto), non fu capace ad individuare il rimedio. Di contro, ci fu la tendenza generale a prescrivere rimedi diversi tratti fra quelli che, classicamente, hanno azione / tropismo prevalente sul sistema nervoso.

Questo sottolinea nuovamente la forte differenza fra il trattamento farmacologico convenzionale e quello omeopatico. Il primo è più semplice da gestire, attraverso protocolli standardizzati nei quali i fattori soggettivi dei medici tendenzialmente hanno minor incidenza. Nella stessa condizione morbosa, lo stesso farmaco viene individuato da tutti coloro che seguono il protocollo. Nel secondo caso, non è così. La bravura, l’intuito e la soggettività, hanno un ruolo determinante nella diagnosi omeopatica. Questo rende necessario coinvolgere nelle ricerche, non mi stancherò mai di dirlo, omeopati di “prim’ordine”. L’uno non vale l’altro.

Chi progetta e/o conduce ricerche in omeopatia (RCTs) deve: a) conoscere ed aver studiato l’Omeopatia; b) conoscere bene i medici omeopati e le loro abilità soggettive, i loro approcci e le loro posizioni epistemologiche; c) conoscere i rimedia della Materia Medica ed i Repertori; d) conoscere il Research Methods e la Teoria della Scienza.

  

[1]       Esistono alcune eccezioni. Alcuni rimedi possono avere particolari tropismi e/o azioni per determinate condizioni cliniche. Arnica montana ne è un esempio. Iannitti T et al. (2016) hanno condotto uno studio che prova la maggiore efficacia d’Arnica montana vs placebo nel trattare condizioni severe di “post-traumatic and postoperative pain, edema and echymosis”. I ricercatori dell’Università di Verona e dell’Università di Modena e Reggio Emilia hanno concluso che Arnica montana può essere una valida alternativa ai farmaci antifiammatori non-steroidei (FANS) almeno per alcune condizioni specifiche.

[2]       Perché talvolta funziona? Perché “parlare e parlare” stimola la mentalizzazione. Quest’ultima, però, non è un “istituto” proprio della Psicodinamica / Psicoanalisi. Altri approcci (più scientifici) possono svilupparla senza far cadere i soggetti in derive semiotiche. Ancora, la risoluzione del “problema” non consegue al “parlare e parlare” per anni, ma al mero fatto che, col passare degli anni (variabile confondente di forte impatto), cambiano tutti i presupposti e tutte le condizioni (fattori sociali, economici, etc…) che hanno originato il “problema”. Venendo meno, cessa il “disagio”.

[3]       L’inclusione fu fatta non essendo stati sviluppati themae specifici per quest’ultime. Di contro, Roberto Petrucci (2019 – opera ancora da pubblicare. Uscita prevista per Maggio 2019) la scompone. E.g., le Orchidaceae sono presentate come famiglia a se stante.

[4] essendo quest’ultima (fino alla sua occorrenza) nello stesso tempo sia vera che falsa (P e NON P). Solo quando accade, assume un valore di verità.

Essendo lo stato di verità basato solo sulle “probabilità”, esso è fortemente determinato da molteplici fattori, incluse le credenze che gli osservatori hanno e/o gli atteggiamenti dei soggetti coinvolti in quella situazione “a vario titolo”. In altre parole, esso è fortemente contingente, assumendo valori diversi al mutare anche d’un solo fattore. Conformemente alla teoria del Kaos, lo stato finale consegue alle condizioni iniziali del Sistema, ovvero ‘occorrendo anche un solo fattore diverso, la conclusione è differente. In Fisica è chiamato The Butterfly Effect; in Psicologia, avendo le credenze un ruolo determinante nei comportamenti, la Profezia che si Auto-Avvera.

Pertanto, in tutte le Scienze probabilistiche siamo sempre difronte al dilemma del “gatto di Schrodinger”: sia vivo che morto allo stesso tempo. Solo all’aprire la scatola si concretizza uno stato di verità, prima indeterminabile, causando il collasso della funzione d’onda quantistica (che contiene entrambe le probabilità) in una sola delle due contingenze possibili.

[5] Exempli gratia, per esperienza, molte volte ho rilevato come professionisti di queste discipline (e.g. Psicologi; Assistenti Sociali; etc…), assumendo fideisticamente per “certe” alcune credenze “statisticamente deboli” (sebbene: contradette da molti studi; difettanti della maggior parte dei fattori contestuali che ne sono indicatori; confutate dalla realtà fattuale che mostrava l’occorrere si situazioni opposte; etc …) hanno creato, profezie che si auto-avverano, portando ad “essere” le peggiori situazioni possibili.

Per istanza, “padri modello” che, su “false accuse” delle ex mogli (per motivi economici) hanno avuto negata la possibilità stessa di vedere, e di stare con, i propri figli. Questo, non solo gli ha precluso di creare un rapporto genitoriale con loro (si pensi ad un padre al quale è stato impedito di vedere il proprio figlio da quando aveva 5 anni fino all’adolescenza, 14 / 15), ma crea anche una “naturale” sfiducia nel Sistema e verso gli operatori (psicologi; assistenti sociali; etc…) che gli hanno precluso ogni contatto (mostrando: o, collusività con la ex moglie; e/o, l’essere facilmente manipolabili e poco professionali; e/o, l’avere pessime fantasie che arrivano a scambiare per realtà, nonostante i fatti mostravano l’opposto). Una sfiducia che, una volta manifestata, viene poi usata dagli stessi operatori che l’hanno creata per rafforzare le loro credenze negative verso il padre ed argomentare la necessità di tenerlo lontano dai figli in quanto “non collaborativo” con, e critico verso di, loro!!!!!

[6]       La Review (assieme agli allegati ed a due documenti del HRI (Response by the Homeopathy Research Institute to “the Australian report”; Homeopathy Research Institute (HRI) submission to public consultation for the NHMRC draft Information Paper on homeopathy) è disponibile sul sito internet del NHMRC.

Documenti reperibili: NHMRC Statement: Statement on Homeopathy (Marzo 2015); NHMRC Information Paper (Marzo 2015); Administrative Report (Marzo 2015); Frequently Asked Questions Arising From Public Consultation (Marzo 2015); Summary Of Key Issues: Draft Information Paper On Homeopathy — Expert Review Comments (Marzo 2015); List of considered evidence (Settembre 2013); Effectiveness of Homeopathy for Clinical Conditions: Evaluation of the Evidence (Settembre 2013); Effectiveness of Homeopathy for Clinical Conditions: Evaluation of the evidence (Ottobre 2013); Effectiveness of Homeopathy for Clinical Conditions: Evaluation of the Evidence (Novembre 2014).

Sul sito dell’HRI sono reperibili i seguenti documenti: Draft Australian Report; Overview Report, Overview Report Appendices; Review of Submitted Literature, List of Submitted EvidenceHRI response; HRI submission to public consultation.

La presenza dei documenti è stata verificata l’ultima volta nell’Agosto 2018.

[7]       Le domane e le risposte sono disponibili sul sito internet del Parlamento Australiano: hpps://www.aph.gov.au/Parliamentary_Business/Senate_Estimates/eqon).

[8]       Questo documento è reperibile al seguente indirizzo internet sul sito del HRI: https://www.hri-research.org.: “https://www.hri-research.org/wp-content/uploads/2017/04/Executive-Summary-to-Ombudsman-Complaint-re-NHMRC-Homeopathy-Review-FINAL.pdf”.

[9]       Chiamato: “A Systematic Review of the Evidence on the Effectiveness of Homeopathy.

[10]      Tutte le ricerche di base citate sono state pubblicate su Riviste Scientifiche Internazionali non omeopatiche quali (riporto in ordine alfabetico): Biomedical Pharmacology; British Journal of Clinical Pharmacology; Enviromental and Toxicologic Pharmacology; European Journal of Pharmacology; Experimentia; Human Toxicology; Immunopharmacology and Immunotoxicology; Inflammation Research; Integrated Cancer Therapy; International Journal of Neurosciences; International Journal of Oncology; International Journal of Immune Based Therapies and Vaccines; Journal of Molecolar Liquids; Journal of Pharmacology and Toxicology Methods; Microvascular Research; Nature; Neuroreport; Physica; Pulmonary Pharmacology & Therapeutics; Rheumatologia; Scientific World Journal.

Anche tutti i trials clinici condotti sull’Uomo (selezionati dallo stesso Comitato) sono pubblicati su 36 Riviste Mediche Internazionali non Omeopatiche e 9 Riviste Mediche Nazionali non Omeopatiche.

In ordine alfabetico, le Riviste Internazionali sono: Akta Rheumatologica; Allergologie; American Journal of Pain Management; American Revue of Respiratory Diseases; Annals of Internal Medicine; Archives of Facial and Plastic Surgery; Archives of Medical Emergency; Archives of Otolaringology / Head and Neck Surgery; Arzneimittel Forschung / Drug Research; BMC Clinical Pharmacology; British Journal of Clinical Pharmacology; British Medical Journal; Bullettin of Cancerology; Canadian Medical Assocetion Journal; Cancer; Dermatology; European Journal of Heart Failure; Explore; International Journal of Clinical Practice; Journal of Clinical Pharmacology; Journal of Head Trauma Rehabilitation; Journal of Musculoskeletal Research; Journal of Psycosomatic Research; Pediatrics; Pediatric Infectious Disease Journal; Pediatrics International; Pediatyric Nephrology; Pediatrie; Phlebology; Rheumatology; Sleep Medicine; The Lancet; Thorax; Thrombosis Research.

Le Riviste Nazionali: Deutsche Zeitschrift fur Sport Medizin; Erfahremgsheilk; Forschungmedizin; Hippocatres; Kinderarzt; La Riabilitazione; Orthopadische Praxis; Revue Francaise de Gynecologie et Obstetricie; Therapiewoche.

Sono state selezionate solo ricerche pubblicate sulle Riviste non Omeopatiche per garantire la loro: Validità Interna; Qualità (non inferiore a quella degli Studi Convenzionali ivi pubblicati); Imparzialità dei Pear Reviewers (che non erano pro omeopatia, ma meri scienziati che guardavano ai data).

[11]      Un interessante studio sull’isopatia applicata alle malattie causate da micro-organismi è il seguente. Nash T. et al. (1982) hanno condotto in Brasile (Stato che considera l’omeopatia una specialità medica) una ricerca isoterapica sui topi infettati dal Trypanosoma cruzi (malattia di Chagas). Il bioterapico preparato dal sangue infetto dei topi alla 10 DH ha determinato la diminuzione della parassitemia ed una soppressione della mortalità. Quest’ultima è del 100% nel gruppo di controllo. Un secondo bioterapico preparato da una base usata per produrre vaccinazioni per la Chagas alla 30 DH ha dato alcuni risultati positivi. L’osservazione istologica ha mostrato un numero statisticamente significativo più basso di parassiti rispetto a quello presente nei gruppi di controllo.

[12]      Una analisi dei soli RCTs sull’individualised homeopathy fu fatta anche da Linde & Melchart (1998). Gli autori però non condussero una complementare meta-analisi sui RCTs sulla not-ndividualised homeopathy.

[13]      Le indicazioni terapeutiche citate sono tratte dal prontuario pubblicato per i medici Americani (USA) dalla Casa Farmaceutica Heel: Routine Therapy – The Practitioner’s Handbook of Homotoxicology (2005); e Routine Therapy – The Practitioner’s Handbook of Homotoxicology (2010).

[14]      Compara l’Eupatorium perfoliatum 2 DH vs. Aspirina.

[15]      Compara i trattamenti omeopatici individualizzati vs i trattamenti convenzionali standard (inclusi gli antibiotici) nell’otite media dei bambini.

[16]      Compara i trattamenti omeopatici individualizzati vs i trattamenti convenzionali standard (antibiotici: amoxicillina; eritromicina; … // secretolitici: ambroxol; acetilcisteina; … // antifrebbrili: paracetamolo; …) nell’otite media dei bambini.

[17]      Compara i trattamenti omeopatici e convenzioni su patologie del tratto respiratorio superiore coinvolgendo 30 medici per un totale di 456 pazienti.

[18]      Compara un complesso omeopatico, Grippheel della Heel vs. NSAIDS.

[19]      Compara un complesso omeopatico a bassa diluizione, Euphorbium compositum della Heel, in versionespray nasale” vs. xylometazoline.

[20]      Compara i trattamenti omeopatici vs. antibiotici.

[21]      Eseguito presso l’Ospedale Omeopatico di Glasgow.  Condizione morbosa: artrite reumatoide. Tre gruppi: uno trattato con rimedi omeopatici; uno con salicilati in alte dosi; uno con placebo.  Debolezze: non fu randomizzato né in “doppio cieco”.

[22]      Lo studio fu in “doppio cieco” e valutò una terapia omeopatica individualizzata contro il placebo. Risultati statisticamente posivivi per il gruppo verum sugli indici clinici (dolore; rigidità articolare; etc…), ma nessuna differenza sulle variabili di laboratorio.

[23]      Lo studio compara Rhus toxicodendron versus placebo in uno studio in “doppio cieco” con cross-over. I risultati furono positivi per il trattamento omeopatico. Contrariamente a Fisher (1986) i pazienti inseriti nel gruppo Rhus toxicodendron erano pazienti con una “individualità morbosa” compatibile col rimedio. In altre parole fu usata una prescrizione individualizzata.

[24]      Rheumaselect (complesso) versus placebo in un trial randomizzato in doppio cieco. Efficacia superiore al placebo.

[25]      Studio condotto in Arizona sul trattamento della fibromialgia. Prescrizioni omeopatiche individualizzate alla 1 LM versus placebo. Risultati significativi a favore dell’omeopatia.

[26]      Zeel compositum N (complesso iniettabile) versu Hyalart (acido ialuronico). Equivalenza dei due trattamenti.

[27]      Trattamento omeopatico versus acetaminofene per trattare il dolore nella osteoartrite. Risultati uguali senza differenze statistiche, se non l’assenza di effetti collaterali nei rimedi omeopatici.

[28]      Gel omeopatico versus farmaco convenzionale  (NSAID in gel, piroxicam). Fu rilevata l’assenza di alcuna differenza statisticamente significativa.

[29]      Zeel compositum (complesso in tavolette) versus celecoxib inibitore di COX2 o rofecoxib. Nelle prime 4 settimane il miglioramento fu più marcato nella terapia convenzinale (celecoxib; rofecoxib) visto l’azione più veloce. Dopo 6 settimane i due trattamenti diedero risultati uguali.

[30]      Tre gruppi: Rhus toxicodendron; fenoprofene; placebo. Il rimedio omeopatico non fu prescritto su base individuale. Solo il gruppo trattato con fenoprofene ebbe risultati statisticamente significativi versus il placebo.

[31]      Trattamenti omeopatici (Arnica Montana; Rhus toxicodendron; Bryonia alba) versus placebo prescritti su base non individuale. Nessuna differenza statistica.

[32]      Miglioramento prevalente nel gruppo omeopatico, ma assenza di differenza statisticamente rilevante.

[33]      Lo studio non rivela alcuna differenza statistica fra il gruppo verum (formica rufa e isopatico: sangue del paziente) e placebo. Lo studio non usa l’omeopatia individualizzata e la mischia con l’isopatia (nella forma di: autoemoterapia).

[34]      L’omeopatia ed il placebo erano affiancati all’uso di FANS. Non fu rilevata alcuna differenza statistica nei due gruppi.

[35]      Esso fu pubblicato in forma di “preliminare” (Railly & Taylor, 1985) anche un anno prima.

 

 

 

Uno Studio sulla Medicina Omeopatica. Parte I: Omeopatia tra Scienza e Pratiche Discorsive. L’emergere d’una Validita’ Ecologica.

ANTICIPAZIONI

Questo Articolo è il primo d’una trilogia sullo “Stato dell’Arte” della Medicina Omeopatica. Assieme essi formano un unico Studio che, come avrà raggiunto la sua forma definitiva, sarà pubblicato su questo sito Internet in formato PDF. Nella versione PDF potrà essere reperire l’intera Bibliografia, l’Indice, etc ….

La struttura dello Studio è la seguente:

Titolo: Uno Studio sulla Medicina Omeopatica.

Parte I: Tra Scienza e Pratiche Discorsive. L’emergere d’una Validita’ Ecologica.

Parte II: L’Omeopatia ed il Paradigma Scientifico. Ricercando una Validita’ Interna.

Parte III: Ricerca Scienfica e Trattamento Integrato. Un Progetto di Ricerca in Psico-Farmacologia Omeopatica sui SADDs (Disturbi del Sonno, d’Ansia e Depressivi).

 

You have only to search an emancipate man’s mind long enough to come upon an abyss of supertition somewhere, nowadays generally scientific“.

Bernard Show, Letter

Rationale: Il Discorso Omeopatico fra Realtà ed Iperrealtà a là Baudrillard.

Negli ultimi anni i Mass Media si sono occupati spesso delle Medicine non Convenzionali (MNC), alimentando talvolta dibattiti con “coloriture” polemiche. La Medicina Omeopatica, la più diffusa fra le MNC[1], è stata quella maggiormente dibattuta ed oggetto di critica.

Il dibattito mediatico, non ha mai analizzato i research findings. E’ stato dominato dalla superficialità, dai “luoghi comuni”, da prese di posizione ideologiche. I media davano grande “risonanza” ai rapporti “scettici”; “tacevano” e/o “censuravano” quelli favorevoli[2].  In altre parole, è stato osservato un metaforico “dialogo fra sordi” basato sulla retorica, sui sofismi e sulle fallacia logiche, mirante a screditare e delegittimare a priori la Medicina Omeopatica ed i medici che la utilizzano. Non c’è stata alcuna volontà ad aprirsi ad un reale confronto ed ad un dialogo basato sulla logica e sulla ragione.

Chi scrive ha seguito il Dibattito in thema per anni con l’obiettivo di restare il più oggettivo e neutrale possibile. Un ruolo facilitato: dall’assenza d’ogni interesse, pro o contro, la Medicina Omeopatica e/o Ufficiale / Allopatica; dall’esperienza giuridica (che porta ad una profonda conoscenza delle dinamiche dialettiche intercorrenti fra le parti e dei meccanismi sottostanti); dalla forma mentis allenata ad essere terza ed imparziale.

In questa prospettiva, sono stati studiati “a fondo” gli argomenti delle parti, ponendo particolare attenzione alle prove oggettive poste a loro fondamento. Il dibattito mediatico con le pratiche discorsive che vi prendevano forma era letto “alla luce” della letteratura scientifica (oggetto della seconda Parte). Queste due dimensioni sono state poste in continua relazione dialogico-ricorsiva integrando l’un l’altra in un tutt’uno. Ciò ha reso possibile collocare nella “giusta” prospettiva tutti gli elementi che emergevano dalla dialettica.

Lo studio della materia “sgorgava” dalla “curiosità intellettuale”; la “forza” che porta scienziati, ricercatori ed esploratori, a porsi in modo interrogativo dinanzi a “questo grandissimo libro che continuamente ci sta’ aperto davanti agli occhi (io dico l’Universo)” (Galileo, Il Saggiatore, 1623). Un libro che “non si può intendere se prima non s’impara … la lingua, … i caratteri, ne’ quali è scritto“. A tal fine, ho seguito i Corsi di Medicina Omeopatica rivolti ai Medici ed agli Operatori Sanitari[3].

Per conservare una posizione terza ed imparziale, il presente autore ha discriminato costantemente fra: data empirici; errori cognitivi e/o bias (e.g., derivanti: dall’uso di euristiche; da “dimensioni” affettive e/o affigliative; da prospettive situate); strategie comunicative e/o sofismi (volontariamente usate/i) all’interno delle dinamiche descritte dal Postmodernismo.  Un’analisi costantemente attuata sul dibattito mediatico e gli influencers.

Per ridurre il rischio d’incorrere in “distorsioni interpretative”, exempli gratia, conseguenti ad una prospettiva situata a là Clifford e Marcus (1986) chi scrive ha cercato: da una parte, d’essere autoriflessivo[4]; dall’altra parte, d’analizzare i processi di ragionamento e di giudizio ed i meccanismi psico-sociali intercorrenti nel contesto osservazionale del phenomenum. Questo è stato fatto contestualizzando e storicizzando il phenomenum ed assumendo “chiavi” di lettura diverse[5].

Un analisi multi-dimensionale che ha utilizzato un approccio inter-disciplinare al fine di comprendere il phenomenum sia nella sua Natura Scientifica e sia nella Dimensione assunta all’interno della Società attraverso le sue Pratiche Discorsive e l’odierna influenza Postmodernista.

Da questa analisi integrata è emerso che: il Dibattito mediatico è stato “contaminato”: da “errori cognitivi, bias ed uso di euristiche; da “strategie comunicative” volte a screditare a priori (senza entrare nel merito della questione) ciò che la FNOMCeO nel 2002 ha definito atto medico; da alcune dinamiche, conosciute in Filosofia e Storia della Scienza, descritte da Kuhn (1962; 1970).

L’establishment si è arroccato in un blind commitment a favore del Paradigma dominante, assumendo posizioni ideologiche e difensive. La spiegazione offerta dal Postmodernismo è nella “forte relazione” intercorrente fra Conoscenza e Potere (Foucault, 1980). Un concetto ripreso da molti autori con declinazioni differenti.

Lyotard (1983), exempli gratia, sostiene come variazioni nel Corpus di Conoscenze d’una Comunità di Discorso comportino mutamenti nei rapporti di forza fra i membri della Comunità. Mininni (2008) sottolinea come, oggigiorno più che mai, la “competizione per il potere” si sviluppa nell’intersoggettività attraverso una lotta per il significato. Da quest’ultima emerge, non l’oggettivo, non la Veritas, ma l’oggettivato a là Berger e Luckmann (1996) attraverso il quale avviene la costruzione sociale della realtà. Una lotta nella quale si scontrano diverse versioni del Mondo, dalla quale una emerge dominante nel Mondo 3 a là Popper, le altre minoritarie. La prima (attraverso: le Istituzioni; le Tradizioni; i Riti collettivi; i Mass Media; etc…) diventa parte della forma mentis della maggioranza delle persone[6].

Agire sulle credenze significa controllare e determinare i comportamenti, i rapporti di forza e di potere fra gli agenti sociali, la diversa distribuzione di “diritti e doveri” e di “risorse economiche”. E’ mediante il processo di significazione (Megatti M., 2009) che la vita sociale è ordinata, regolata e controllata. Attraverso esso è definito ciò che è normale ed anormale, fisiologico e patologico, lecito ed illecito. Attraverso esso, exempli gratia: gli spin-doctors favoriscono il successo di alcuni politici e l’insuccesso d’altri; il marketing induce guadagni per alcune imprese e perdite per altre.

L’attuale società, infatti, ha realizzato la “profezia” di Nietzsche (1992; 1994): “Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l’avvento del nichilismo“. Quest’ultimo ha fatto ingresso con le influenze simbolico-interpretative che hanno smantellato la visione oggettivista del Modernismo. Tendenze riassumibili nella frase di Geertz (1973): “l’uomo è un animale intrappolato in maglie di significati che lui stesso ha creato“. Poi si è evoluto nel Postmodernismo. In esso è venuta meno l’idea stessa d’una realtà oggettivamente definibile. Tutto è soggettivo, tutto è mutevole. Lo stesso linguaggio non ha significato e diventa incapace di esprimere asserzioni significative sul Mondo e su Noi Stessi. Foucault (1969) scrisse: “non chiedermi chi sono e non chiedermi di rimanere uguale“. Una “relatività” entrata anche: (1) nella Fisica (Meccanica Quantistica), exempli gratia, con l’esperimento della “doppia fenditura”; (2) nella Teoria della Scienza con Feyeurbaund (1975;1978); (3) etc … . Il Nichilismo dopo aver “conquistato” l’Academia, dilagò nel tessuto sociale. Dal capitalismo societario e neo-liberismo siamo entrati nel capitalismo tecno-nichilista (Megatti M., 2009). Un capitalismo caratterizzato da due fattori: l’avanzamento iperbolico della tecnologia; e, la rinuncia alla ricerca della Verità. “Vero” è ciò che è affermato essere tale, non ciò che è Reale e/o Oggettivo. “Vero” non è il Territorio oggettivo ma la “credenza sul territorio”, la mappa, capace di guidare le azioni degli Uomini. Questo ha trasformato i mass media. Essi non cercano più di rappresentare il Mondo, ma definiscono “cosa” è il Mondo. I mass media veicolano immagini che sempre più si distaccano dalla Realtà. Immagini che vengono asservite sempre più agli interessi economici e politici fino a perdere ogni connessione con, e/o fondamento nella, “Realtà esterna”. Le immagini diventano simulacri. La Realtà è sostituita dall’Iperrealtà a là Baudrillard. Un iperrealtà creata dai mass media diventati arene, nelle quali non si scontrano più i gladiatori, ma pratiche discorsive, versioni del Mondo, frames. Arene nelle quali: gli interessi economici trionfano su quelli Pubblici; le discussioni aperte e razionali sono sostituite da subdole manipolazioni (Habermas, 1965)[7].

Il dibattito non ha più l’obiettivo di fare emergere la Veritas all’interno d’un contradittorio delle parti. La questione non è più chi ha ragione o chi ha torto. L’obiettivo è semplicemente “aver ragione a tutti i costi”, affermando e ri-affermando (nn) con determinazione la propria “verità e/o versione del Mondo“, a prescindere da qualunque connessione con la Realtà. Nella ripetizione (nn) la propria versione diventa frame capace d’imporsi nell’oggettivato e guidare i comportamenti e le scelte altrui. Queste dinamiche oggigiorno avvengono ovunque a tutti i livelli: nel mondo giuridico e nei processi; nei media; nella ricerca scientifica; etc … .

Dinamiche osservate anche nel campo della Medicina e dell’informazione scientifica data dalle Aziende Farmaceutiche. Gli interessi economici (che in questo ambiente sono enormi) vincono sull’oggettività dei research findings (spesso: taciuti; manipolati; nascosti). A prova di quanto affermato vi sono innumerevoli casi giudiziari che hanno coinvolto Aziende Farmaceutiche (soprattutto le multinazionali – BIG Pharma). Essi hanno dimostrato come volontariamente e consapevolmente: ricerche siano state manipolate; data siano stati tenuti nascosti; false rappresentazioni siano state veicolate per aumentare i profitti. Diversi crimini, inoltre, sono stati commessi “in nome” del “profitto”. Questo “massiccio inquinamento della letteratura medica … è avvenuto in tutti i campi della medicina contemporanea” e rappresenta uno degli “aspetti più inquietanti dello scenario attuale” (Tibaldi G., 2015). L’autore, essendo uno psichiatra, ha sottolineato alcuni bias e stratagemmi usati per manipolare la ricerca sugli psicofarmaci. Chi scrive porta l’esempio della quetiapina.

L’AstraZeneca pagò una sanzione di 520 milioni di dollari per truffa per aver promosso illegalmente la quetiapina, un antipsicotico usato per il trattamento: della schizofrenia e stati psicotici affini; dei disturbi bipolari I (stato maniacale). La quetiapina fu promossa in USA per trattamenti off-label. E.g., fu venduta come farmaco utile per bambini ed anziani, reduci di guerra e detenuti, su una pluralità di condizioni mediche non autorizzate dalla FDA in quanto dannosa e/o inutile. Sugli anziani fu promossa come “panacea” per curare l’aggressività, l’Alzheimer e la demenza. Sui reduci di guerra per curare il disturbo post traumatico da stress. Sui bambini per curare l’ADHD (Khan H. & Thomas P., 2010). Il 29% delle prescrizioni, e.g., era rivolto alla cura dell’agitazione in anziani con l’Alzheimer e la demenza. Di contro, la quetiapina, oggettivamente, non reca alcun sollievo nei quadri clinici di agitazione, Alzheimer e/o demenza, nei pazienti anziani. Non solo, non ha riportato risultati migliori rispetto al placebo, ma in questi casi: “compared with placebo, quetiapine is associated with significantly greater cognitive decline”. (Ballard C., Margallo-Lana M., Juszczak E., et al., 2005). Inutile ribadire come l’uso di psicofarmaci sui bambini sia sconsigliabile (essendo i costi maggiori dei benefici). Exempli gratia, l’uso prolungato di psicofarmaci è correlato ad una riduzione dell’aspettativa di vita tra i 16 ed i 25 anni (Tiihonen J. et al., 2011), L’ADHD può essere affrontato e gestito tranquillamente senza uso di antipsicotici. Sul thema è nato anche un movimento: Giù le Mani dai Bambini.

Le Aziende Farmaceutiche, creando false rappresentazioni sui farmaci, portano alle “stelle” i loro guadagni. L’AstraZeneca guadagnò nel 2009 4,9 miliardi di dollari (Tanne J. H., 2010). Il Dipartimento della Giustizia – USA dichiarò: “… le dichiarazioni fraudolente … possono mettere a rischio la salute della collettività, corrompere i processi decisionali dei professionisti sanitari e rubare miliardi di dollari … dalle tasche dei contribuenti” (Khan H. & Thomas P., 2010).

Per avere un quadro di come gli interessi economici prevalgano sull’oggettività dei research findings anche nella Sanità, vedere: Gotzsche (2012a; 2012b; 2015); gli studi della Cochrane Collaboration[8]. Gotzsche (2012a; 2012b), exempli gratia, presenta 10 casi avvenuti dal 2007 al 2012 caratterizzati proprio da lotte di significato per far emergere nell’intersoggettività una Iperrealtà finalizzata ad aumentare i profitti delle Big Pharma coinvolte. Tali lotte di significato hanno assunto varie declinazioni: promozione illegale del farmaco (off-label) per condizioni cliniche per le quali la sua efficacia non è stata provata e/o è stata esclusa; manipolazione dei risultati delle ricerche ed occultamento dei data contrari all’efficacia del farmaco; omissione ed occultamento d’informazioni sugli effetti collaterali; truffa a carico del Servizio Sanitario.

Non mancano casi di corruzione e di conflitto di interesse che hanno coinvolto le Agenzie del Farmaco. Len Lutwalk affermò: “se gli Americani avessero saputo alcune delle cose accadute nella Food & Drug Amministration (FDA), avrebbero continuato a prendere solo l’aspirina” (Mundy A., 2001). Una realtà che fece dire a Angell (un ex direttore del New England Journal of Medicine): “trovo davvero difficile: immaginare che un sistema così corrotto possa essere considerato qualcosa di buono”. Anche l’Italia ha numerosi esempi. Cito i due più famosi: Duilio Poggiolini; Pasqualino Rossi.

Per ridurre il rischio d’assorbire nel proprio habitus e/o forma mentis, in modo acritico, ciò che i mass media vendono come iperrealtà e/o le contaminazioni, corruzioni e manipolazioni, che accadono nella letteratura scientifica, Epis (2011/2015) suggerì di sviluppare un approccio critico logico-epistemologico, utile anche per evitare la fissità funzionale prodotta dall’habitus[9]. Soltanto buone capacità critiche logico-epistemologiche possono permettere di riconoscere i sofismi[10] che spadroneggiano nei dibattiti e/o le distorsioni che “inquinano” la letteratura scientifica.

I dibattiti avvenuti sui mass media, letti nelle prospettive ut supra, hanno incuriosito intellettualmente chi scrive. Il presente autore così ha voluto esplorare l’Iperrealtà a là Baudrillard (1981) offerta dai mass media sulla Medicina Omeopatica per mettersi alla ricerca della Veritas.

Un “sample” tratto dal recente Dibattito Italiano: storicizzando la ricerca.

Molti influensers, capaci di crearsi uno “spazio mediatico”, hanno contribuito a diffondere frames scettici verso la Medicina Omeopatica. Nel farlo, non sono mai entrati in reale dialettica (come detto supra e come vedremo infra) con i medici ed i ricercatori che la studiano. Tutta la letteratura scientifica ed i research findings a favore della Medicina Omeopatica sono stati semplicemente ignorati.

Principalmente le critiche sono ricadute su “luoghi comuni” e su due pubblicazioni. La prima è una meta-analisi pubblicata su Lancet nel 2005 (Shang et at., 2005) che riporta conclusioni negative. Una meta-analisi che non è stata confermata da altre e che ha rivelato errori gravi di tipo metodologico[11]. Il secondo è il Rapporto dell’Australian Goverment – National Health and Medical Research Council (NHMRC) pubblicato a Marzo 2015 col titolo: “Statement on Homeopathy“. Lo Studio concluse che: “there are no health conditions for which there is reliable evidence that homeopathy is effective“.

La pubblicazione dell’Australian Goverment – National Health and Medical Research Council (NHMRC) fu seguita in Italia ad Ottobre 2015 da quella a cura di Silvio Garattini: “Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’Omeopatia” (Garattini, 2015). Un libro che ha avuto una forte risonanza mediatica (Istituto di Ricerche Farmaceutiche – Mario Negri, Rassegna Stampa 21/10/2015).

Successivamente, il dibattito fu dominato da un “botta e risposta” avvenuto sul “Il Sole 24 Ore” nel 2017 fra due professori: il filosofo e docente di bioetica Gilberto Corbellini (contro l’Omeopatia) ed il medico, professore di patologia generale, Paolo Bellavite (pro Omeopatia).

Gilberto Corbellini dopo aver descritto l’evoluzione storica dell’omeopatia criticò fortemente i medici che nel 2002 (FNOMCeO) la definirono “atto medico“. Senza dire quali fossero state le “falsità omeopatiche” affermò che poteva smascherarle usando il fattore di Bayes, invece del p value. Secondo Corbellini, la metodologia statistica (usata “in tutte” le ricerche mediche e psicologiche) non può essere usata per valutare l’efficacia dell’omeopatia (!) poiché le inferenze statistichehanno poco di scientifico” (!). Corbellini non si è reso conto che così facendo: da una parte, ammetteva che c’erano prove sulla validità della Medicina Omeopatica; dall’altra parte, screditava e delegittimava anche tutte le altre discipline che usavano la stessa metodologia (inclusa la ricerca farmacologica ufficiale!). Corbellini, in ogni caso, arriva tardi a “denunciare” la debolezza dell’inferenza statistica che è un problema comune a tutte le Scienze. Un thema già trattato, e.g., da Meehl (1973a; 1973b; 1978; 1990a; 1990b; 1991; 1997a; 1997b) all’interno della Psicologia e “caro” al presente autore dal 2003!

Bellavite, dopo aver rilevato molto sarcasmo ed aggressività, confuta punto per punto quanto sostenuto da Corbellini. In particolare, sottolinea come l’inferenza bayesiana sia usata anche nella ricerca omeopatica (se quello fosse stato il problema!).

A questo “botta & Risposta” sono seguite due trasmissioni televisive: Piazza Pulita su LA7, il 30/11/2017; e, Presa Diretta su RAI TRE, il 03/03/2018.

I media diedero alla Medicina Omeopatica un frame fortemente negativo. Questo accadde in particolare a Presa Diretta. Dopo la sua trasmissione le associazioni mediche omeopatiche operanti in Italia (FIAMO; AMIOT; SIMA; SIOMI; SMB Italia; LUIMO; OMEOMEFAR) furono costrette a prendere una dura posizione. Il 06/03/2018, exempli gratia, hanno scritto una lettera congiunta a Iacona di Presa Diretta (mandata per conoscenza: alla dirigenza RAI; ad alcune Commissioni Parlamentari; all’Ordine dei Medici; all’Ordine dei Giornalisti) per denunciare la disonestà intellettuale di come fu condotta l'”indagine giornalistica”.

La lettera riporta come Iacona contattò diversi esponenti di tali Associazioni per chiedergli di partecipare ad un dibattito sui pro e contro dell’Omeopatia. Sebbene inizialmente fosse stata garantita una conduzione “neutrale” dove tutte le voci sarebbero state ascoltate, di contro, fu “mandata in onda” una trasmissione “diversa” rispetto a quella strutturata nella fase preparatoria. Tutto ciò che fu raccolto e risultò pro Omeopatia fu “tagliato ed eliminato” dai servizi. Fu omesso qualsiasi riferimento alle “evidenze scientifiche” che il Prof. Leonello Milani consegnò a mani allo stesso Iacona durante una delle sue interviste[12]. L’intera trasmissione cercò (solo) di far passare i medici omeopati come cialtroni, truffatori e “praticanti” al pari degli “astrologi” (FIAOMO et al., Lettera del 06/03/2018).

Lo Studio EPI – 3: Validità Ecologica e due limiti.

Abbiamo notato come a partire dal 2015 i mass media hanno diffuso frames negativi verso l’Omeopatia. Fu creata una Iperrealtà che equiparava: (1) i medici omeopati a dei ciarlatani ed astrologi; (2) e, la Medicina Omeopatia all'”acqua fresca”.

Chi scrive si è chiesto: questi frames negativi introdotti nelle lotte di significato (combattute nelle arene dei mass media) potrebbero essere una retroazione ad un “qualcosa” avvenuto pro Omeopatia? Conformemente alle regole logiche, però, non si può inferire l’esistenza dell’antecedente affermando il conseguente nel condizionale materiale (se p allora q). Quest’ultimo è la struttura logica che può essere applicata al caso. Tale inferenza è possibile solo nel bicondizionale. Il conseguente osservato, infatti, sarebbe potuto susseguire a n fattori. Per tali motivi l’unico modo per rispondere a questo interrogativo è la ricerca storica.

L’interrogativo posto da chi scrive è il seguente: c’è stato un “antefatto” favorevole all’omeopatia che abbia potuto giustificare una simile retroazione (in termini di Teoria Generale dei Sistemi) per “controbilanciarlo” e mantenere lo status quo?

L’interrogativo ha trovato risposta nello Studio osservazionale EPI 3 – LASER condotto in Francia dal 2005 al 2012.

Lo studio usò la metodologia della Survey Research. La sua denominazione, EPI 3, derivò dall’abbreviazione del nome francese: Etude EPIdemiologique de l’Impact de Sante´ Public sur 3 Groupes de Pathologies. LASER, di contro, è il nome della società a cui fu affidata la progettazione della survey, la raccolta e l’analisi dei data (Grimaldi-Bensouda L. et al., 2011).

L’iniziativa ed i finanziamenti pervenne/ro dall’Azienda Farmaceutica i Laboratoires Boiron. Altri finanziamenti furono erogati da Enti Pubblici quali INSERM (French National Institute of Health and Medical Research) a singoli ricercatori (e.g., Lamiae Bensouda-Grimaldi).

Il fatto che la Boiron abbia finanziato parte della ricerca non rende questo studio meno attendibile d’una qualunque altra ricerca farmacologica. Tutta la ricerca farmacologica, infatti, è finaziata dalle stesse Aziende Farmaceutiche con tutti i pro e contra del caso.

Per evitare proprio i bias causati dagli interessi economici e/o conflitti d’interesse (Gotzsche P. C., 2015), i Laboratoires Boiron hanno affidato l’intera realizzazione del progetto ad autorevoli accademici e professionisti francesi. Per garantire l’assoluta indipendenza ed imparzialità dello studio, la Boiron si è impegnata a pubblicare i data anche qualora fossero stati “sfavorevoli” all’efficacia della Medicina Omeopatica. La direzione fu affidata al Prof. Lucien Abenhaïm (ex Direttore Generale del Dipartimento della Salute Francese); la presidenza del Comitato Scientifico al Prof. Bernard Bégaud (eminente farmacologo di fama internazionale).

La raccolta e l’analisi dei data fu gestita dalla società LASER con sede a Londra. La scelta fu fatta per l’expertise internazionale di questa società nella pianificazione, conduzione e realizzazione, di studi epidemiologici e farmacologici. La società LASER ricevette piena autonomia. Le procedure adottate furono quelle previste dalla ENCePP (European Network of Centres for Pharmacoepidemiology and Pharmacovigilance). L’intera attività fu vigilata dal un Comitato Scientifico composto da esperti (di rilievo internazionale) ed accademici privi di conflitto d’interesse.

Lo studio è stato effettuato coinvolgendo 825 ambulatori medici di base (GPs) ed un totale di 8.559 pazienti. Sono seguite 11 pubblicazioni “peer reviewed” indicizzate (Rossignol M. et al., 2011a;  Rossignol M. et al., 2011b; Rossignol M. et al. 2012; Grimaldi-Bensouda L. et al., 2011; Grimaldi-Bensouda L. 2012; Lert F. et al., 2014; Grimaldi-Bensouda L. et al., 2014; Danno K. et al., 2014; Grimaldi-Bensouda L. et al. 2015; Colas A. et al., 2015; Grimaldi-Bensouda L. et. al., 2016).

Questi articoli, in particolare, elaborano data concernenti: i disturbi muscoloscheletrici – MSDs (Rossignol M. et al., 2011a; Rossignol M. et al., 201b; Rossignol M. et al., 2012; Danno K. et al., 2014; Grimaldi-Bensouda L. et al., 2016); le infezioni del tratto respiratorio superiore - URTI (Grimaldi-Bensouda L. et al., 2014); i disturbi psicologici SADDs – sleep, anxiety and depressive disorders (Grimaldi-Bensouda L. et al., 2012; Grimaldi-Bensouda L. et al., 2015; Grimaldi-Bensouda L. et. al., 2016). Altri elaborano aspetti incidentali quali: l’impatto economico della medicina omeopatica (Colas A. et al., 2015); la relazione fra le caratteristiche dei pazienti e le scelte terapeutiche effettuate  (Lert F. et al., 2014).

Lo studio compara i data provenienti da tre gruppi di trattamento. Il primo gruppo è rappresentato dai pazienti che optarono per la sola terapia Omeopatica (MO). La terapia fu prescritta da medici omeopati qualificati e certificati. Il secondo gruppo è costituito dai pazienti che hanno seguito una “terapia integrata” ovvero mista (MX) che combinava le Medicine Complementari (MNC) con la Medicina Convenzionale (MC). Il terzo gruppo fu composto dai pazienti che scelsero la sola terapia Convenzionale (MC).

Dalla comparazione dei data, in breve, emerge che le terapie omeopatiche (MO) ed integrate (MX) presentano la stessa capacità terapeutica di quelle convenzionali (MC) nelle tre classi di disturbi analizzati.

In particolare, per quanto attiene alle infezioni del tratto respiratorio superiore (URTI) non emergono differenze statisticamente significative per quanto attiene al decorso della sintomatologia (Grimaldi-Bensouda L. et al., 2014) se non che: i pazienti che scelsero la terapia omeopatica e/o mista fecero minor uso di antibiotici, antipiretici ed antiinfiammatori.

Per quanto attiene ai data inerenti ai disturbi muscoloscheletrici – MSDs emerge una situazione simile alla precedente (Rossignol M. et al., 2011a; Rossignol M. et al., 201b; Grimaldi-Bensouda L. et al., 2011; ; Danno K. et al., 2014; ; Grimaldi-Bensouda L. et al., 2016). I pazienti curati da medici omepati mostrarono una progressione clinica simile ai pazienti curati con la medicina convenzionale. Di contro, avendo utilizzato meno FANS (NSAID), hanno riportato meno sintomi collaterali collegati ad essi, senza alcuna perdita d’opportunità terapeutica (Rossignol M. et al., 2012).

Anche i data sui disturbi psicologici SADDs (sleep, anxiety and depressive disorders) hanno riportato risultati analoghi. Un primo studio ha riportato che i pazienti che hanno seguito la terapia omeopatica (MO) e/o integrata (MX) hanno riportato gli stessi miglioramenti dei pazienti curati con la medicina convenzionale (MC) con minori effetti collaterali legati all’uso degli psicofarmaci (Grimaldi-Bensouda L. et al., 2015). Un secondo studio (Grimaldi-Bensouda L. et. al., 2016) ha rilevato risultati migliori per i pazienti che hanno seguito il trattamento omeopatico (MO) ed integrato (MX). Emerge che: “patients with ADDs choosing to consult GPs who prescribe homeopathy in addition to conventional medicine reported use of fewer psychotropic drugs and were marginally more likely to experience clinical improvement than patients managed with conventional care”.

Gli autori però sono stati cauti sul motivo: “These findings may result from the combined effect of inefficacy of conventional psychotropic drugs and statistical regression to the mean as well as from effective homeopathic management“.

Lo studio EPI 3 presenta due limiti principali: (1) fornisce validità ecologica ed esterna al trattamento omeopatico ma non validità interna. Quest’ultima deve essere cercata in altri studi con disign sperimetale; (2) i data sui SADDs che, sebbene a prima facie sembrerebbero essere incoraggianti, potrebbero non esserlo. Dire che il trattamento omeopatico ha performace uguali a quelle degli psicofarmaci nella cura dei SADDs (salva: l’assenza degli effetti collaterali degli psicofarmaci; ed una tendenza maggiore verso il miglioramento clinico, probabilmente dovuta alla prima) sembrerebbe un “buon risultato” se, e solo se, gli psicofarmaci avessero una “buona” capacità terapeutica nel trattamento dei SADDs.  Di contro, qualora la capacità terapeutica degli psicofarmaci nel trattare i SADDs è equiparabile a quella d’un placebo, per la proprietà transitiva, il risultato ottenuto non è definibile “positivo” per l’Omeopatica.

Un altro aspetto da considerare (in particolare sui data ottenuti per i SADDs) è l’eventuale presenza di variabili confondonti (quale: lo stile di vita; l’esercizio fisico; l’alimentazione) che possono aver influito sul miglioramento clinico e/o il decorso.

A proposito, infatti, è da rilevare come diversi studi dimostrano che l’esercizio fisico (in se e per se) ha gli stessi effetti terapeuti (se non maggiori) degli psicofarmaci (SSRI) nel trattamento della depressione maggiore. Conformemente a Babyak M. et al. (2000), l’esercizio fisico ha effetti uguali alla sertralina dopo 4 messi di trattamento. Dopo 6 mesi, gli effetti sono migliori rispetto allo psicofarmaco. Lo studio coinvolse 157 pazienti con diagnisi di depressione maggiore. Questi sono stati assegnati a tre gruppi di trattamento: (1) solo esercizio fisico; (2) solo sertrapina; (3) combinazione di esercizio fisico e sertrapina. Dopo 6 mesi di trattamento: solo il 30% dei soggetti inseriti nel gruppo “esercizio fisico” era ancora depresso. Di contro, il 52% dei soggetti inseriti nel gruppo “sertrapina” ed il 55% dei soggetti inseriti nel gruppo “sertralina ed attività fisica” era ancora depresso. Rimer J. et al. (2012) conferma la parità d’efficacia terapeutica fra l’esercizio fisico e gli SSRI. Questi studi, quindi, sottolineano la necessità di controllare l’azione di possibili variabili confondenti. I risultati degli studi citati (ma è solo un ipotesi) potrebbero suggerire che: l’esercizio fisico possa avere favorito il gruppo sottoposto al trattamento omeopatico (non avendo quest’ultimo gli effetti collaterali degli psicofarmaci). Di contro, potrebbe non aver apportato miglioramenti significativi nel gruppo sottoposto al trattamento misto e/o con i soli psicofarmaci. Gli effetti collaterali di quest’ultimi, infatti, potrebbero “interferire” con, e “vanificare” i, possibili contributi dell’esercizio fisico.

Tornando al secondo limite, se il trattamento omeopatico è equiparabile a quello con gli psicofarmaci, occorre analizzare la capacità terapeutica propria degli psicofarmaci prima di avanzare qualsiasi ipotesi su trattamenti equiparabili nei risultati a quest’ultimo. Un analisi che presenta profili di attualità. Da questa analisi è emersa: l’inefficacia degli psicofarmaci; e, la poca attendibilità delle ricerche delle Aziende Farmaceutiche. Exempli gratia, Marcia Angell (2011) affermò: “ho dedicato la … mia vita professionale a valutare la qualità della ricerca clinica e ho maturato la convinzione che essa sia particolarmente scadente in psichiatria. Gli studi clinici realizzati dalle aziende … sono progettati in termini tali da favorire il farmaco in valutazione“. Questo accadde particolarmente in Psichiatria poiché (come in Psicologia) la dimensione interpretativa gioca un ruolo maggiore rispetto alla dimensione “oggettivo-fattuale” rispetto alle altre discipline mediche. Rispetto a quest’ultime, infatti, la psichiatria si presta a “contaminazioni” di “natura postmodernista”.

Un esempio di Iperrealtà “psichiatrica” è stato fornito dall’esperimento di Rosenhan (1973, 1975). E’ stato sufficiente definire delle “persone sane di mente” come “malate” ed istituzionalizzarle per rendere “incapaci” gli psichiatri e gli infermieri d’accorgersi che quei soggetti erano invece “sani”. Tutto quello che queste “persone sane” facevano e/o dicevano veniva re-interpretato (aggiungerei: retrospettivamente a là Weick) in modo da confermare la falsa informazione iniziale. Questo non sarebbe accaduto, e.g., in un reparto di Ortopedia qualora ad un soggetto sano fosse stata diagnosticata una frattura ad un arto. Chiunque se ne sarebbe accorto! La psichiatria, quindi, è più vulnerabile rispetto all’altre specializzazioni / specialità mediche: alla disinformazione; alle false informazioni e credenze; alle distorsioni e deformazioni della realtà[13].

Questi giochi interpretativi possono ricadere anche sulla “validità” degli psicofarmaci ed i loro effetti collaterali. Exempli gratia, il prozac causa comportamenti anti-conservativi, ma il suicidio d’un paziente depresso trattato col Prozac può essere “facilmente” attribuito alla depressione stessa e non allo psicofarmaco usato. Così la “psichiatria è diventata la miniera d’oro delle Aziende Farmaceutiche” (Spencer D., 2011).

Il Prozac (fluoxetina) lo prendo ad esempio della “capacità terapeutica” degli psicofarmaci dato che parliamo dei SADDs.

La vicenda del Prozac (fluoxetina) ha dell’incredibile sebbene sia un esempio “classico” di ciò che avviene nel “mercato” farmaceutico governato dalle BIG Pharma. Messo sul mercato nel 1988, la Lilly pensò di ritirarlo per la sua “scarsità terapeutica”. Resasi conto che tale scelta avrebbe condotto l’Azienda al fallimento, non lo fece (Healy D., 2004, 2012; Brownlee S., 2007; Boseley S., 1999; Gotzsche, 2015). Nonostante l’Agenzia Tedesca del Farmaco lo ritenne improponibile per il trattamento della depressione (Healy D., 2004), il Prozac divenne un “campione d’incassi” proprio come antidepressivo (assieme ad altri usi anche “off-label“). La Lilly realizzò il successo del Prozac manipolando: studi; informazioni; ricerche. In altre parole, creò ciò che abbiamo chiamato Iperrealtà. In essa, il Prozac divenne la “pillola della felicità” (voluta da tutti!). La parola “Prozac” entrò nel linguaggio comune. La gente ne parlava al Bar. Le persone (di propria iniziativa) lo richiedevano ai GPs. Era sufficiente un “litigio d’amore” che lo si voleva! Chiunque proponeva frames critici (per quanto ben: argomentati; fondati e razionali) era liquidato con argumenta ad personam come un “sebastiancontrario” (per usare un eufemismo) a cui non dare retta e “nemico” del Progresso! Nel 2017, però, è stato pubblicato un “articolo-rapporto” scritto da psichiatri inglesi, canadesi e statunitensi, che riporta come vi sia poca differenza fra il placebo e diversi farmaci antidepressivi tra i quali la fluoxetina (prozac). Silvio Garattini (2017), nel dare la notizia, scrive: “Finalmente la “bomba” è scoppiata” chiedendosi chi avrebbe rimborsato il Sistema Sanitario.

Pertanto i data rilevati dalla survey EPI 3, in particolare quelli sui SADDs, devono essere valutati anche alla luce di quanto detto supra.

 Il presente autore (studiando Psicologia) quindi trova interessante declinare la curiosità intellettuale sulla Medicina Omeopatica all’interno dei SADDs (sleep, anxiety and depressive disorders) per quanto possibile. Sarà intellettualmente stimolante indagare se i rimedi omeopatici hanno (oppure no) efficacia terapeutica sui SADDs oppure se i risultati ottenuti dallo studio EPI 3 non siano significati per i motivi ut supra.

Dalla Validità Ecologica alla Validità Interna: esiste una letteratura di riferimento?

Il primo limite dello Studio EPI 3 è fornire alla Medicina Omeopatica la validità ecologica ed esterna ma non la validità interna. Tutte queste sono validità complementari necessarie per una buona teoria. Mentre le prime due possono essere dimostrate con delle survey, la seconda può essere avvalorata solo con design sperimentali in laboratorio.

Nonostante esistano procedure statistiche atte ad inferire “nessi causativi” dalle survey[14], esse (in mia opinione) non possono sostituire gli esperimenti. Solo nel design sperimentale fatto in laboratorio è possibile controllare tutti i fattori in gioco (Giani, 2012; Conte Stella, 2010; Chiorri, 2010; Pedon A. & Gnisci A, 2004; McBurney D. H., 2001; Camaioni L. & Simon F., a cura di, 1990; Zappalà S., 2007; Bosco A., 2009; Zammuner V. L., 1998). Non è possibile, di contro, controllare tutti i fattori agenti in un sample d’una survey. Exempli gratia, durante una degenza anche l’alimentazione, lo stile di vita e l’attività fisica, hanno la loro importanza. Essi agiscono, pertanto, come variabili confondenti. Questo non permette di inferire con sicurezza alcun tipo di relazione casuale (diretta; indiretta; condizionata; spuria; congiunta; reciproca).

Gli interrogativi mossi dal presente autore a questo punto sono: esiste una letteratura scientifica omeopatica? Esistono esperimenti atti a provare nessi causativi in Medicina Omeopatica? Possiamo indagare la validità interna?

Una prima risposta la si può cercare facendo una ricerca su PubMed (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). Conformemente ad una ricerca fatta dalla Scuola di Omeopatia di Genova (Tonelli, 2017), alla voce “homeopathy” a Febbraio 2017, comparivano 5.428 studi. All’interno di questo numero però c’era un po’ di “tutto”. Così si è cercato di rilevare la presenza di quegli studi che potevano essere rilevanti. Tra essi sono state trovate: 8 meta-analisi; 37 revisioni sistematiche (11 positive; 17 non conclusive; 10 negative); 117 Randomised Controlled Trials - RCTs pubblicati dal 2016 (17 con esisto fortemente positivo; 50 con esito moderatamente positivo; 53 con esito non concludente; 2 con esito negativo); 306 RCTs (pubblicati dal 1950 al 2015) di cui: 204 sono stati pubblicati su Riviste peer-reviewed; 104 di high quality (livelli I di evidenza) in 61 indicazioni cliniche. Il 43% di quest’ultimi ha riportato un esito positivo; il 56% un esito non conclusivo; il 5% un esito negativo.

Viene osservata la presenza di: 534 Studi Osservazionali; 95 Outcomes Studies (costi / benefici; Qualità di Vita); 324 Studi di Ricerca di Base; 116 Studi di Agro-Omeopatia.

Una revisione della letteratura scientifica sulla ricerca clinica in omeopatia veterinaria è stata fatta da D’Alterio (2013). La ricerca uso’ il Veterinary Clinical Research-Database in Homeopathy (VetCR) e PubMed.

VetCR riportò la citazione di 356 pubblicazioni e 208 autori. D’Alterio le raccolse in sei “categorie” omeopatiche: omeopatia classica (46/256); omeopatia clinica (113/356); complessi omeopatici (114/356); omotossicologia (46/356); isopatia (5/356); nosodi (16/356).

PubMed riportò 213 articoli. Il 40% in meno rispetto a VetCR.

Nella ricerca effettuata, il presente autore ha trovato di grande interesse le ricerche fatte nelle Università Italiane. In particolare, le ricerche di Paolo Bellavite (Università di Verona – Medico e Professore di Patologia Generale) che vanta 308 pubblicazioni. Parte dei suoi studi possono essere reperiti su www.paolobellavite.it. . Interessanti sono anche gli studi di Lucietta Betti (Università di Bologna; Dipartimento di Scienze Agrarie – Patologia Vegetale). Gli studi sulle cellule e sui vegetali sono interessanti in quanto minimizzano l’effetto placebo.

Per quanto possibile cercherò di confrontarmi il più possibile col loro lavoro. In particolare con le ricerche sperimentali di Bellavite.

Degno di nota è l'”orto omeopatico” allestito all’EXPO 2015. E’ stato un’occasione per vedere dal “vivo” l’azione dell’Omeopatia sui vegetali.

Pertanto: le riflessioni sul dibattito mediatico; lo studio EPI – 3; gli elementi di validità ecologica ed esterna visti; la possibilità d’indagare la validità interna sulla letteratura scientifica omeopatica presente; la presenza di ricerche fatte in ambito universitario Italiano; i research findings ottenuti; …, rendono opportuno un approfondimento sull’argomento.

L’attualità di questa ricerca è sottolineata dalla lettera che il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), Walter Ricciardi, ha scritto al presidente del FNOMCeO, Filippo Anelli, il 24/05/2018 (protocollo n. 371/18) nella quale accoglie la proposta di istituire presso ISS un “Tavolo di confronto per la revisione della letteratura scientifica e delle evidenze disponibili sull’omeopatia che preveda la partecipazione oltre che della FNOMCeO anche dei docenti universitari interessati e dei referenti nazionali delle società scientifiche di settore”.

La Medicina Omeopatica: l’Ortodossia e le “Contaminazioni”

L’Omeopatia: Storia; Ortodossia ed Eresia

La Medicina (dal latino ars medicinae) si occupa della prevenzione e guarigione delle malattie e/o degli stati morbosi in generale. Essa promuovere la salute intesa come benessere bio-psico-sociale (OMS / WHO). Tutte le Conoscenze Scientifiche provenienti dai diversi “rami del Sapere” vengono rielaborate ed utilizzate a tal fine.

Per Medicina Ufficiale e/o Convenzionale s’intende il Paradigma medico dominante insegnato nelle Università. Talvolta è chiamato Allopatia (dal greco: allo, contraio; e phatos, sofferenza) per contrapporlo all’Omeopatia (dal greco: homeos, simile; phatos, sofferenza)[15].

Per medicine complementari e/o alternative s’intende un corpus eterogeneo di paradigmi medici con “ruolo” minoritario rispetto al Paradigma dominante. Ognuno di questi è fondato su assiomi completamente diversi. Alcune medicine complementari si sono sviluppate all’interno d’un determinato Sistema Filosofico e/o Culturale. Queste medicine sono chiamate tradizionali. Exempli gratia, la medicina cinese e l’ayurveda. La malattia; la pratica terapeutica; la stessa patologia e fisiologia; … sono interpretate diversamente rispetto al Paradigma medico dominate[16].

Altre medicine complementari sono costituite da Scuole e/o Pratiche Terapeutiche nate, create e sviluppate, all’interno del Paradigma medico dominate da medici che vi appartengono. Alcune d’esse, exempli gratia, sono la fitoterapia, l’aromaterapia, la medicina omeopatica. Esse sono diventate medicine alternative e/o complementari rispetto al Paradigma ufficiale quando nel XX secolo la medicina sviluppò i vaccini, gli antibiotici e gli anti-infiammatori. Quest’ultimi hanno, così, “sostituito” le altre forme terapeutiche con prodotti farmaceutici, chimici e/o sintetici, che risultarono a prima facie più efficaci, veloci e sicuri, nel dare risultati. Questo fatto, assieme alle dinamiche illustrate da Kuhn (1962;1970) e dal Postmodernismo, ha permesso alla medicina ufficiale di “accantonare” tutte le altre pratiche terapeutiche. Quest’ultime, per “sopravvivere” e “combattere” per un proprio riconoscimento, si sono “unite” nella così detta medicina complementare e/o alternativa.

Un esempio di quanto detto è dato da ciò che avvenne in Francia dopo la II Guerra Mondiale. I medici omeopati si divisero in “due correnti”. La prima voleva che la Medicina Omeopatica fosse una Disciplina Medica Indipendente (Sindacato Nazionale dei Medici Omeopatici Francesi; Federazione Nazionale delle Società Mediche Omeopatiche di Francia; Scuola Francese di Omeopatia). La seconda voleva che la medicina omeopatica fosse integrarla con le altre “terapie non convenzionali” definendole tutte assieme Bioterapie (Société Médicale de Biothérapie; Confédération Nationale des Sociétés Medicales de Biothérapie; Syndact de la Médecine Homéopathique). Nel termine bioterapie, non ricadevano solo la Fitoterapia, l’Aromaterapia, l’Omeopatia, l’Omotossicologia, la Gemmoterapia, la Litoterapia, la Isopatia ed Organoterapia, ma anche i Fiori di Bach, la Pranoterapia, Agopuntura, etc … . …(Sarembaund A., 1993).

Il primo gruppo voleva rendere l’Omeopatia il più possibile scientifica, mantenendola autonoma rispetto alle altre medicine complementari, per “re-integrarla” nel Paradigma medico dominate il prima possibile. Di contro, questa scelta l’avrebbe resa “debole” ed “isolata” nel frattempo, ponendola a rischio d'”estinzione”. Il secondo gruppo, pertanto, più pragmatico, voleva “allearsi” con le altre medicine alternative per creare una “minoranza”, coesa ed unita, capace di combattere per i propri diritti e “sopravvivenza”.

Questo, però, se fu utile e strategico da un punto di vista politico, favorì una progressiva “contaminazione” del Paradigma omeopatico con aspetti ad esso estranei. In particolare, alcuni omeopati usarono il concetto d'”energia vitale” di Hahnemann per aprirsi ad alcune idee della New Age, delle Medicine Tradizionali (cinese; indiana) e dell'”esoterismo“. Al posto di ricercare una spiegazione scientifica e sperimentale del principio d’azione dei rimedi, s’abbandonarono a derive semiotiche. Il concetto d””energia vitale” usato da Hahnemann al tempo come principio esplicativo a là Bateson per spiegare il meccanismo d’azione del rimedio, fu associato al prana, al Qi ed all’aura. Questa non era l’idea di Hanhemann. Quest’ultimo, non potendo spiegare diversamente il principio d’azione del rimedio con le conoscenze che aveva al Tempo, usò l’energia vitale e la vis medicatrix naturae per spiegare la tendenza dell’organismo a guarire e mantenere una propria omeostasi.

Il paradigma omeopatico, così, fu progressivamente “contaminato” con: (1) i meditation proving, usati al posto della sperimentazione omeopatica “in senso stretto” (provings omeopatici sperimentali)[17]. Nei meditation proving i rimedi e/o le sostanze da sperimentare non sono più assunte dai provers (campione) in un esperimento “in doppio cieco”, ma “sperimentate” all’interno di “sedute di meditazione” (yoga e/o similia). La sostanza e/o il rimedio viene solo pensato (visualizzato) dallo “sperimentatore” mentre medita su di esso! Ciò che lo sperimentatore “prova e vive” in quel momento meditativo verrebbe considerato come sample dell’effetto primario della sostanza, ovvero il quadro sintomatologico per il quale il rimedio verrebbe indicato!!!! Un atteggiamento critico verso tali derive è stato assunto in Italia da Petrucci (2018); (2) l’uso dell’analogia per rimpiazzare il principio del simile. Il rimedio non è più scelto secondo il principio del simile ma secondo il principio dell’analogia ben diverso dal primo. L’analogia non guarda la similitudine fra il quadro sindromico del paziente e quello tossicologico (causato dagli effetti primari della sostanza) del rimedio. Di contro, cerca “analogie” fra il paziente e sostanza. Exempli gratia, se il paziente muove spesso la lingua come un serpente, il rimedio deve essere un veleno di serpente! La materia medica e le sperimentazioni cliniche sono accantonate!!!! Al loro posto è reintrodotta, con parole di “bella posa”, la legge delle segnature di Paracelso!

Questi due esempi danno un idea delle “contaminazioni” che il Paradigma omeopatico ha ricevuto nel tempo, portando alcuni suoi “praticanti” a finire nella pura eresia!  Esse sono il frutto di mere derive semiotiche, termine usato da chi scrive, che sebbene capaci di fornire “scenografie colorate e pittoresche” per creare proselitismo in alcuni ambienti, causano solo imbarazzo ai medici omeopati seri che cercano di fondare l’Omeopatia sull’evidenza scientifica ed empirica.

L’Omeopatia è un sistema clinico-farmaceutico che utilizza rimedi in low dose prodotti a partire da tinture madri (TM) e/o triturazioni di sostanze d’origine vegetale, minerale o animale. Il suo scopo è stimolare le capacità guaritrice dell’Organismo (vis medicatrix naturae: intesa come la tendenza filogenetica dell’organismo a mantenere uno stato di omeostasi). I rimedi vengono preparati secondo precise farmacopee (Tedesca: Homoopathisches Arzneibuch – H.A.B.; Francese: CODEX; Americana: United States Homeopathic Pharmacopoeia – HPUS approvata dalla FDA) attraverso un processo di diluizioni e dinamizzazioni.  La prescrizione del rimedio avviene seguendo la legge del simile (Coulter, 1976; Dujany, 1978; Reckeweg, 1981; Charette, 1982; Julian & Haffen, 1982; Meuris, 1982; Barros & Pasteur, 1984; Del Giudice & Del Giudice, 1984; Lodispotro, 1984; Bianchi, 1987; 1990; Brigo & Masciello, 1988; Tetau, 1989;  Mossinger, 1992; Bellavite & Signorini, 1992; De Angelis, 2017; Tonello, 2017).

Il rapporto fra l’omeopatia e la medicina ufficiale ha avuto alterchi storici caratterizzati da una “forte conflittualità”. Nonostante il principio omeopatico ed allopatico furono formulati, usati e conosciuti, fin dal tempo di Ippocrate, è solo con Hahnemann che l’omeopatia nasce come sistema clinico-farmaceutico strutturato con un proprio metodo sistematizzato di terapeutica medica e valutazione clinica (Lange, 2011). Hahnemann scoprì l’omeopatia dopo aver abbandonato la pratica medica ritenuta incapace di curare al tempo.

Traducendo nel 1789 la materia medica di William Cullen, Hahnemann si accorse che la china (usata per curare la malaria) provocava un quadro sindromico simile a quello malarico. Questo fatto lo portò ad intuire la legge del simile.

Conformemente ad Hahnemann: se una sostanza in dose ponderale è capace di causare un dato quadro sintomatologico (effetto primario), quella stessa sostanza sarebbe in grado di curare quadri sindromici simili se assunta in dosi millesimali (effetto secondario). Il principio della diluizione e dinamizzazione fu scoperto durante la sperimentazione. Hahnemann volle sperimentare tutte le sostanze usate al tempo per individuare i “quadri sintomatologici” che causavano (patogenesi). Dato che molte di esse erano tossiche, Hahnemann iniziò a diluirle. La diluizione rendeva necessario distribuire uniformemente la sostanza nel solvente. Ciò portò ad agitare i flaconi con forti succussioni. Così scoprì che le sostanze diluite e dinamizzate mantenevano ed aumentavano la loro capacità terapeutica (perdendo invece gli effetti tossici). Di contro, i rimedi che venivano diluiti ma non dinamizzati perdevano ogni effetto terapeutico. Il terzo principio (la sperimentazione omeopatica) non fu “una scoperta”, ma costituisce il modus operandi che Hahnemann usò per studiare la patogenesi delle singole sostanze. Quest’ultima veniva annotata nella Materia Medica Omeopatica e rappresentava l’individualità medicamentosa delle sostanze. Nella visita omeopatica Hahnemann cercava di individuare l’individualità morbosa del paziente (ovvero come il paziente viveva e manifestava in modo specifico quella malattia) per prescrivere il rimedio che aveva l’individualità medicamentosa più simile.

Lo sviluppo dell’Omeopatia e la sua diffusione nel XIX secolo fu rapido. Ciò fu avvantaggiato dalle pratiche terapeutiche inefficaci e dannose che la medicina ufficiale applicava al tempo. Nonostante ciò, fu fortemente criticata sin dai suoi albori. I medici ed i farmacisti la vedevano una minaccia ai loro profitti. In particolare i farmacisti erano contrari all’omeopatia poiché molti omeopati (come fece Hahnemann) preparavano i rimedia omeopatici personalmente (togliendogli lavoro e guadagni).

Un esempio dei grandi successi ottenuti dalla medicina omeopatica nel XIX secolo sono: (1) l’epidemia di colera di Cincinnati (USA) nel 1849. Due medici tedeschi immigrati curarono con l’omeopatia 1116 pazienti affetti da colera. Di questi solo 35 morirono; (2) l’epidemia di colera del 1854 a Londra. Il tasso di mortalità dei pazienti curati nell’ospedale omeopatico fu del 16,4%. Di contro, quello dei pazienti curati con la medicina ufficiale era del 53,2%; (3) l’epidemia di febbre gialla del 1878/1979 in America. La mortalità dei pazienti curati con omeopatia fu di 1/3 rispetto a quelli curati con la medicina ufficiale. (Coulter, 1977; Ullman, 1989; Gibson & Gibson 1987; Lange, 2011; Bellavite & Signorini, 1992).

Irrazionalmente, la medicina ufficiale non tentò d’integrare l’omeopatia nel suo paradigma (preferendo ad essa i salassi). Al posto di studiarla, quindi, decisero di combatterla. Nel 1846 nacque l’American Medical Assocetion che fra i suoi primi obiettivi aveva proprio la lotta contro l’Omeopatia.

In Italia l’omeopatia arrivò con le truppe austriache nel 1821. Essa fu sostenuta dai sovrani dei diversi Stati italiani visti i buoni risultati ottenuti. Nonostante ciò, non ottenne mai l’appoggio dell’establishment delle Facoltà di Medicina. Di contro, fu fortemente osteggiata da essa, venendo vista come una minaccia al suo prestigio ed alla sua posizione. In ogni caso, a Roma dove l’omeopatia fu sostenuta dai Pontefici, Gregorio VI nel 1848 nominò titolare della Cattedra di Filosofia della Natura dell’Università di Roma il medico omeopata Mengozzi. Il declino della medicina omeopatica avvenne nei primi decenni del XX secolo col progressivo sviluppo dei vaccini, degli antibiotici e degli antiinfiammatori. Le promesse della medicina ufficiale di poter “curare” ogni male, l’illusione legata al mito del progresso a là Hatch (2006) ed i successi iniziali ottenuti (come accadde per l’omeopatia), causarono il declino di quest’ultima.

L’Omeopatia “risorse” negli anni ”70/”80, quando l’evoluzione scientifica e tecnologica della medicina ufficiale, esaltata acriticamente sulla base del mito del progresso, iniziò a dimostrare che non era la panacea ad ogni male. La crescente consapevolezza degli effetti nocivi causati dai farmaci (alcuni dei quali visibili a distanza di tempo); il diffondersi crescente delle malattie iatrogene; la corruzione del mercato e della ricerca farmacologica; … iniziarono a far vacillare l’idea d’una medicina sicura, capace di curare ogni male ed interessata solo al benessere delle persone. Le Aziende Farmaceutiche, infatti, iniziarono a diventare sempre più avide, anteponendo i profitti ed i bilanci alla cura ed alla Salute delle persone. Questo le condusse ad usare ogni strategia postmodernista pur di “macinare” guadagni. Exempli gratia, le BIG Pharma hanno: falsificato ricerche; manipolato sperimentazioni; nascosto effetti collaterali molto gravi e nocivi; immesso sul mercato farmaci privi d’una reale efficacia terapeutica; corrotto funzionari delle Agenzie del Farmaco; influenzato “indebitamente” medici per fargli prescrivere i propri farmaci al posto di altri più efficaci ed utili ai pazienti (Gotzsche, 2015). Questo portò il Paradigma medico dominante ad essere “contaminato” con molti aspetti di Iperrealtà creati (non dai data sperimentali) ma da strategie comunicative e/o manipolative e/o corruttive. Ogni Iperrealtà, però, alla fine deve scontrarsi con i fatti. Alla fine, mutatis mutandis, “qualcuno” arriva ad accorgersi che “il Re è nudo“. Così, la popolazione s’accorse che il Paradigma dominante non era mosso dall’unico scopo di guarire, ma anteponeva i profitti a ciò. Questo ridestò interesse per le medicine alternative. Paradossalmente, l’enorme potere (economico e politico) conquistato dalle Big Pharma, in un iperbole d’avidità, arrivato ad essere fuori controllo (House of Commons Health Committee – UK, 2005; Ferner R. E., 2005), causò la loro crisi. Una dinamica comune a molte crisi attuali conseguite all’implosione delle iperrealtà sulle quali erano fondati i successi economici dei gruppi / settori coinvolti, e.g.: la crisi sui derivati; la crisi del settore bancario iniziata nel 2007/2008 e tutt’oggi non completamente risolta.

Oggigiorno, infatti, è riconosciuto che la maggior parte dei farmaci delle Aziende Farmaceutiche ufficiali in circolazione hanno ben poca efficacia terapeutica e/o utilità. Questo fatto è riconosciuto, e.g., da esponenti dell’establishment quali Garattini e dai managers delle stesse Aziende Farmaceutiche (e.g., Alan Roses, vice-presidente della Glaxo, affermò in un convegno a Londra che: “la maggior parte dei farmaci, più del 90%, funziona solo fra il 30% ed il 50% ” delle volte).  L’OMS (2013) rilevò che il 30% dei pazienti ospedalizzati è ricoverato per malattie iatrogene (ovvero causate dagli effetti indesiderati e/o collaterali degli stessi farmaci).  Di contro, i medicinali omeopatici ed omeo-tossicologici non hanno effetti collaterali, se non di scarsissima importanza (Dantas F. et al., 2000; OMS, 2009).

Un esempio di come il mercato fu “gonfiato” da farmaci di “scarsa utilità” solo per creare profitti aziendali, piuttosto che apportare reali miglioramenti terapeutici con una riduzione degli effetti collaterali nocivi, è dato dai FANS (antiinfiammatori non steroidei). I primi FANS possono essere considerati il paracetamolo e l‘acido acetilsalicilico. Entrambi hanno basso costo, buoni risultati ed una buona tollerabilità. Nonostante ciò, il mercato dei FANS si è sviluppato enormemente. Molti FANS però non hanno capacità terapeutiche realmente maggiori rispetto ai primi due. Di contro, hanno effetti collaterali molto più pesanti e nocivi. E.g., l’Astra-Syntex aveva il suo destino fondato sulle vendite del naproxene (FANS consigliato per l’artrite). Per creare profitti (non perché era migliore di altri) lo raccomandò per il trattamento delle lesioni sportive. Ricerche dimostrano che (salvo maggiori effetti collaterali) il naproxene non riporta alcun risultato migliore rispetto un trattamento fatto con bassi dosaggi di aspirina / acido acetilsalicilico (Gotzsche P. C., 2015). Non solo, la riduzione dell’edema ed un decorso più rapido e favorevole, non è legato al naproxene, ma nell’essere rimessi in movimento il prima possibile (Jorgensen F. R. et al., 1986). Nonostante ciò, ogni libro di testo usato nelle Facoltà di Medicina “elogia” il naproxene. Non solo, conformemente a Gotzsche (1987), per aumentare i profitti, l’Azienda consigliava ai medici di prescrivere 1 grammo di naproxene (al posto dei 500 mg consigliati) sulla base di rapporti e di studi realizzati dalla stessa Azienza con metodologie talmente viziate che l’autore al tempo le definì “timidamente”, usando un eufemismo, “piuttosto atipiche”.

I “peccati” e le “contaminazioni” d’entrambi i Paradigmi, Ufficiale ed Omeopatico, hanno reso impossibile la loro integrazione. Di contro, hanno alimentato uno “scontro” combattuto su tre theatra belli: (1) la “rivalità” economica, che si creò fin dagli inizi, dividendosi lo stesso “mercato”; (2) la dimensione epistemologico-metodologica con i problemi legati ad essa: la difficoltà nello spiegare il principio d’azione del rimedio omeopatico; la disinformazione sull’assenza di prove e di ricerche scientifiche sull’efficacia terapeutica dell’Omeopatia; l’equiparazione della Medicina Omeopatia alle Medicine Tradizionali; etc…; (3) l'”incomprensione di fondo” dovuta all’uso di Pratiche Discorsive eterogenee che si sono sviluppate nelle due Comunità di Discorso a là Lyotard. Mentre il medico omeopata comprende la partica discorsiva del Paradigma ufficiale, essendo quest’ultimo pre-requisito della sua professione, non avviene il contrario.

A tutt’oggi, infatti, l’omeopatia non è: né completamente accolta, né completamente rifiutata, dal Paradigma ufficiale. Essa resta rilegata in una sorta di limbo. Una situazione dimostrata dallo status quo ambivalente dell’attuale legislazione.

La divisione interna fra le Scuole di Omeopatia (alcune delle quali perse in derive semiotiche su “lidi d’eresia”) non hanno facilitato il riconoscimento dell’Omeopatia come pratica medica seria. Se per Bauman (2001), infatti, i poteri forti (e.g., le Big Pharma in campo medico) possono governare la “complessità” (d’una molteplicità di comunità di discorso a là Lyotard co-agenti) attraverso il vecchio e comprovato principio del divide et impera, essi non hanno dovuto fare “nulla” per creare divisioni all’interno della Comunità di Discorso della Medicina Omeopatica. I “disaccordi interni”, infatti, si crearono spontaneamente!

Tutte le dinamiche ed i fattori ut supra sono da tenere conto per comprendere perché l’Omeopatia non è stata accettata nel Paradigma ufficiale. Le critiche ufficiali che analizzeremo alla fine di questa sezione, infatti, non giustificano razionalmente ciò. Esse assolvono più il ruolo di argumenta usati ex post (a là logica dei valori) per giustificare scelte assunte a priori per altri motivi. Exempli gratia, l’incapacità di spiegare pienamente il principio d’azione d’alcuni rimedi (e.g., quelli con diluizione/dinamizzazione superiore alla costante di Avogadro-Loschmidt), infatti, non giustifica in se e per se il rigetto della validità d’un intero sistema clinico-farmaceutico[18]. Sono molti, infatti, i farmaci delle “Aziende Farmaceutiche ufficiali”, venduti e commercializzati, dei quali (non si conosceva e/o ancora non si conosce) il principio d’azione! Pertanto, la non conoscenza del “principio d’azione” non legittimata il rigetto d’un intero “sistema farmaceutico”, a meno che non legittimi il rigetto d’ogni altro sistema farmaceutico che incorre nella stessa occorrenza.

I Principi ed i Fondamenti della Pratica Omeopatica Ortodossa

Come accennato supra, il sistema clinico-farmaceutico della medicina omeopatica è riassumibile in tre principia e due strumenti: la materia medica; ed i repertori.

I tre principia sono: la “legge del simile”; il “principio della diluizione e della dinamizzazione”; il principio della sperimentazione omeopatica “in senso stretto” (proving omeopatico).

Il principio della similitudine, espresso da Hahnemann nell’Organon (§ 56 e segg.) afferma: similia similibus curentur. Questo principio esisteva già, col suo opposto (contraria contrariis curentur), ai tempi di Ippocrate. Ippocrate usava i due principia in base alla conoscenza (o meno) della causa della patologia. Quando la causa della malattia era nota applicava il principio dei contrari; quando la causa era ignota applicava quello dei simili.

Il principio afferma la che: (1) ogni sostanza biologicamente attiva produce (se assunta in dose ponderale) un insieme di sintomi caratteristici (effetto primario) che rappresentano la tossicologia propria di quella sostanza. Questo quadro, raccolto nella materia medica, rappresenta l’individualità medicamentosa dei rimedi (omeopaticamente prodotti attraverso le diluizioni e dinamizzati in dosi infinitesimali) preparati a partire da quella sostanza (effetto secondario); (2) allo stesso modo, ogni persona affetta da una noxa patogena vive e manifesta la propria condizione morbosa con un insieme di sintomi propri e peculiari (diversi da quelli altrui). Questo insieme di sintomi è chiamato individualità morbosa del soggetto; (3) la capacità innata a, filogeticamente presente nell’organismo di, guarire (vis medicatrix naturae) può essere stimolata e favorita dall’assunzione d’un rimedio che presenti l’individualità medicamentosa più simile a quella dell’individualità morbosa manifestata dal paziente (simillimum).

Non conoscendo il principio d’azione attraverso il quale il rimedio omeopatico è in grado di stimolare la vis medicatrix naturae del paziente, Hahnemann usò un principio esplicativo a là Bateson, chiamandolo energia / forza vitale. La spiegazione dell’efficacia della cura, mediante l’applicazione della legge dei simili, è descritta nei § 63 – 68 dell’Organon.

Oggigiorno possiamo spiegare questo effetto usando la teoria generale dei sistemi e la tendenza del sistema a mantenere e/o recuperare uno stato di equilibrio / omeostasi. Il rimedio rappresenta una informazione capace di produrre nel sistema una retroazione positiva verso un nuovo equilibrio.

In altre parole, ogni malato sviluppa e vive una malattia con una propria individualità morbosa legata sia a fattori innati (genetici) e sia a fattori acquisiti interagendo con l’ambiente. Ogni sostanza della Materia Medica presenta una propria tossicologia che rappresenta gli effetti che questa sostanza ha sull’organismo sano qualora assunta in dose ponderale (effetto primario). Questo quadro tossicologico (descritto dalla materia medica) rappresenta l’individualità medicamentosa della sostanza qualora assunta in dose infinitesimale e/o low dose (effetto secondario).

La legge del simile, quindi è criterium di prescrizione e d’individuazione del rimedio omeopatico corretto. La correttezza della scelta non è data dalla noxa patogena in se e per se, ma dall’insieme dei sintomi nella loro totalità attraverso i quali quel singolo soggetto vive e manifesta quella data noxa patogena. Pertanto la stessa malattia può essere curata con rimedi diversi da persona a persona. Questo è l’aspetto più difficile dell’omeopatia, non potendo avere protocolli standardizzati per le malattie.

Per questi motivi, la medicina omeopatica richiede che, prima d’effettuare la diagnosi omeopatica per individuare il rimedio, sia fatta una corretta diagnosi medica. Da quest’ultima, deriva la conoscenza della noxa patogena, della sintomatologia “classica” e del decorso “tipico”. Solo dopo una approfondita conoscenza di ciò, il medico omeopata può valutare quale sia la sintomatologia (rara; peculiare; tipica del soggetto) che differenzia quel paziente dagli altri (individualità morbosa) al fine d’individuare il più correttamente possibile il rimedium. Infatti, i sintomi riportati non hanno la stessa valenza. Quelli comuni e tipici d’una data noxa patogena sono meno “significativi”. Quelli rari, insoliti e peculiari, che caratterizzano il modo specifico attraverso il quale quel paziente vive e manifesta quella noxa patogena rispetto agli altri sono più significativi per l’individuazione del rimedio.

Exempli gratia, l’influenza causata dallo stesso virus è vissuta diversamente da soggetto a soggetto. Nonostante esistano alcuni rimedi più indicati di altri per tale noxa patogena, il paziente troverà beneficio solo se gli verrà prescritto il rimedio che più assomiglia al suo quadro sindromico. Una prima distinzione può essere fatta sulle modalità d’insorgenza dello stato febbrile. Conformemente a Mangini (2017), i rimedi indicati per uno stato febbrile a rapida insorgenza sono: aconitum; apis; arsenicum album; belladonna. Di contro, i rimedi indicati per uno stato febbrile ad insorgenza lenta sono: Bryonia dioica; Ferrum Phosphoricum; Gelsenium; Rhus toxicodendrum; Euphatorium. In entrambe le modalità di insorgenza: Chamomilla. Aconitum è indicato per febbri elevate conseguenti a colpi di freddo e variazioni repentine di temperatura. L’esordio è improvviso ed acuto. Il soggetto può avere una ipertermia senza sudorazione ed intensa sete d’acqua fresca. Apis è indicato per un esordio brusco e violento, torpore celebrale ed emicrania, possibili convulsioni e spasmi muscolari nel viso. La sete è tendenzialmente assente, la sudorazione è intensa, acre e di cattivo odore. Arsenicum album è indicato per febbri medie in soggetti molto agitati. I soggetti hanno freddo e devono stare interamente coperti, ad eccezione della testa. Il peggioramento è solitamente fra l’una e le tre di notte. La sindrome influenzale coinvolge il sistema gastro-intestinale (e.g., vomito, diarrea, etc…). Il soggetto beve piccole quantità d’acqua e/o d’altre bevande (sia calde che fredde). Belladonna è caratterizzata da una febbre alta, gola molto arrosata (quasi scarlatta) e dolorante, forte dolore alla deglutizione. C’è assenza di sete e secchezza delle mucose. Se il soggetto beve, desidera bevande bollenti. Il paziente non desidera scoprirsi e si copre completamente. Ci può essere midriasi, iperestesia e spasmi. Bryonia ha un esordio lento e progressivo. Il soggetto presenta cefalea frontale, dolori muscolari ed articolari. Ci possono essere anche dolori toracici e tosse secca e stizzosa. Il soggetto ha sete intensa. L’aggravamento avviene col movimento. Il miglioramento col riposo e la pressione (e.g. per i dolori). Ferrum phosphoricum è indicato in soggetti anemici, con cefalea congestizia, epistassi, tosse secca. Gli stati febbrili sono caratterizzati da febbri basse. Il soggetto può avere fotofobia e lacrimazione intensa. E’ presente anche un abbattimento generale ed un affaticamento intellettivo. Lo stato influenzale può essere accompagnato da otiti, sensazioni di caldo urente alle estremità e ricerca di angoli freschi, emorragie localizzate. La tracheite può diventare bronchite.  Gelsenium (un rimedio che vedremo essere importante anche per l’ansia) è indicato per influenze con cefalea occipitale, dolori oculari, profondo stato di prostrazione. Gli stati febbrili non elevati (possono lasciare strascichi e postumi post guarigione). Il soggetto preferisce restare solo. Lo stato influenzale può essere accompagnato da ansia, tremori agli arti. Le mani ed i piedi sono freddi. Può esserci obnubilamento e/o torpore.  Rhus toxicodendrum è indicato nei quadri influenzali che sono accompagnati da dolori reumatici, indolimento muscolare, rigidità articolare dolorosa, infiammazioni degli occhi. Possono esserci anche deglutizione difficile, coliche e diarrea. A livello dermico possono comparire bolle confluenti simili all’erisipela. Il paziente è agitato, cambia continuamente posizione, suda molto. Euphatorium è indicato nei casi in cui sia predominante la componente dei dolori ossei, oculari e muscolari. Chamomilla è particolarmente indicata per sindromi influenzali che colpiscono bambini molto capricciosi, facilmente irritabili, agitati ed inqueti. Una disposizione mite, calma e gentile, controindica l’uso di questo rimedio (Boericke, 1998). Il soggetto è iper-sensibile al dolore, agli odori ed alle critiche. Può presentare una guancia rossa e calda mentre l’altra è pallida. Il soggetto è assetato, caldo ed intorpidito. Vuole essere tenuto in braccio, ciò lo migliora e tranquillizza. Le condizioni morbose possono seguire e/o essere aggravate da rabbia e vessazione. Il mal di testa è pulsante; la corizza abbondante. Ci possono essere rantoli di muco nel torace, una tosse secca.

In altre parole in omeopatia si cerca di prescrive il simillimum che è il rimedio che più è “simile” al paziente nei termini ut supra. Un rimedio omeopatico che non presenta somiglianza con l’individualità morbosa del paziente: o, non procurerà alcun effetto; oppure, darà solo effetti parziali.

Il principio del simile può essere visto come una declinazione dalla legge di Arndt-Schultz. Conformemente ad essa, il diazepan (Valium) assunto in dose farmacologica ha effetti miorilassanti. Di contro, se assunto in low dose ha effetti eccitanti. Lo stesso vale in Omeopatia. Coffea Cruda (il rimedio preparato dalla TM prodotta dal chicco di caffè verde non tostato della coffea arabica) assunta in dose ponderale (e.g., come tazzina da caffè espresso con 30 – 35 mg di caffeina) ha come effetto primario la stimolazione del sistema nervoso centrale. Ciò può provocare insonnia se presa la sera. Di contro, in dose infinitesimale, coffea cruda è un rimedio per i quadri sindromici caratterizzati da iperattività mentale, pensieri vaganti e veloci, irrequietezza, insonnia causata da un’incessante lavorio mentale.

 Il secondo principio è quello della diluizione e dinamizzazione (low dose). Questo principio nasce come conseguenza del precedente. Se il rimedio che cura è capace di provocare in dose ponderale un quadro tossicologico caratterizzato da una sintomatologia simile a quella vissuta dal paziente (effetto primario), il rimedio dovrà essere utilizzato solo in low dose per due motivi: (1) il primo è evitare un aggravamento causato dagli effetti tossicologici della sostanza; (2) il secondo è produrre gli effetti medicamentosi, ovvero provocare l’effetto secondario della sostanza, spiegabili con la legge di Arndt-Schultz.

La diluizione riduce ed elimina la tossicità della sostanza di partenza; la dinamizzazione permette alla sostanza diluita di mantenere la capacità curativa attraverso le diluizioni. In assenza di dinamizzazione, la sostanza perde ogni effetto. L’azione esercitata dalla dinamizzazione; il principio d’azione dei rimedi omeopatici superata la costante di Avogadro-Loschmidt; … non sono chiari a tutt’oggi. Di fatto, questo aspetto rappresenta una delle critiche più forti verso l’Omeopatia.

La risposta comune a queste due “questioni aperte” ricade nella “traccia elettromagnetica” che si ipotizza essere lasciata dalla sostanza nel solvente (Del Giudice N. e Del Giudice E. 1999).  Una spiegazione che richiama diverse teorie che vanno dalla memoria dell’acqua alla meccanica quantistica.

Il terzo principio è quello della sperimentazione omeopatica detta anche proving. La sperimentazione omeopatica oggetto di questo paragrafo è la sperimentazione omeopatica in senso stretto. Essa non mira a verificare in doppio cieco l’efficacia terapeutica d’un rimedio omeopatico contro un placebo. Il suo scopo è quello d’individuare la tossicologia della sostanza usata per produrre il rimedio. In altre parole, la sperimentazione omeopatica “in senso stretto” cerca d’individuare la patogenesi della sostanza, alias l’individualità medicamentosa del rimedio, ovvero i suoi effetti primari.

Come vedremo nella terza Parte, questo è uno degli aspetti più problematici dell’attuale Medicina Omeopatica. Il problema non è tanto quello di trovare la patogenesi delle sostanze (tossicologia), ma l’aver usato una pluralità di metodologie eterogenee diverse.

La Patogenesi della sostanza si ricercava usando: (1) o, le conoscenze proprie della tossicologia; (2) o, la sperimentazione “antica” della sostanza fatta usando: o, in dosi ponderali; e/o low dose (basse diluizioni/dinamizzazioni) che lo sperimentatore progressivamente avvicinava alla Tintura Madre (non diluita/dinamizzata) fino alla prima comparsa dei primi sintomi (che causavano una lesione lievissima). Exempli gratia, il metodo usato da Hahnemann per ricercare l’effetto primario; (3) o, l’osservazione clinica.

L’effetto primario quindi è descritto dalla: (1) tossicologia, formatasi dalle conoscenze proprie sviluppatosi da intossicazioni accidentali; (2) sperimentazione omeopatica “antica” (e.g. quella detta supra). Una sperimentazione che provocava in tutti i provers una “lievissima” intossicazione, la quale (pur nelle differenze individuali) li portava a manifestare “quadri” sindromici simili. Ancora, l’effetto primario, indirettamente, era ricercato nell’osservazione clinica fatta dai medici omeopati nel trattare i singoli casi. Esso veniva ipotizzato quando si osservava che il rimedio “aveva risolto” sintomi presenti nel quadro sindromico del paziente trattato, ma che non erano riportati nella materia medica e/o repertori.

La sperimentazione moderna, oggigiorno, per evitare qualsiasi effetto tossicologico e/o lesivo nei provers, usa solo alte dinamizzazioni (7 CH; 9 CH; 15 CH; 30 CH; 200 CH). In Italia la sperimentazione usa la 30 CH di prassi. Durante queste sperimentazioni, però, non tutti i soggetti (provers) manifestano dei sintomi. Exempli gratia, una 30 CH ha effetti solo su alcuni soggetti e non su altri. Per spiegare questo phenomenum è nato il concetto di tipo sensibile (un altro principio esplicativo a là Bateson). Pertanto, le persone che non riportano alcun sintomo sperimentando una sostanza alla 30 CH, non hanno alcuna sensibilità a quella sostanza. Di contro, le persone che manifestano dei sintomi hanno un sensibilità specifica per essa. Questa sensibilità in Omeopatia è chiamata idiosincrasia (Comito R., 2000)[19]. Dato che: il numero dei sintomi è diverso da soggetto a soggetto; diversi soggetti riportano sintomi differenti; … sono stati introdotti i gradi dei sintomi nei repertori. Sono considerati sintomi di: I grado, quelli manifestati da un solo soggetto; II grado, quelli riportati da una minoranza; III grado, quelli riportati dalla maggioranza dei partecipati. Esiste anche un IV grado. Esso non è attribuito dalla sperimentazione, ma solo dai medici omeopati. Quest’ultimi, quando riscontrato nell’esperienza clinica che alcuni sintomi di II o III grado ripetutamente sono stati utili per individuare il rimedio e/o erano presenti nel quadro clinico curato, lo elevano al IV grado.

Se l’intenzione di questo tipo di sperimentazione è ottima (non procurare alcuna lesione neppure “lievissima”) essa crea dei problemi. Exempli gratia, i sintomi di I grado inseriti nella materia medica e nei repertori possono essere molto più probabilmente frutto di variabili confondenti e/o auto suggestione del soggetto, il quale partecipando ad una sperimentazione si aspetta che “qualcosa” accada. Il fatto che quel sintomo è riportato solo da un soggetto, non lo rende molto attendibile. Ancora, noi sappiamo che le diverse diluizioni e dinamizzazioni possono avere effetti differenti. Pertanto, non è opportuno mischiare all’interno della stessa tossicologia e/o materia medica e/o repertorio sintomatologie emerse da “sperimentazioni eterogenee”: alcune con dosi ponderali; altre con diluizioni alla 5CH, 7 CH, 9 CH, 15 CH, 30 CH, 200 CH.

Ancora, anche nell’ipotesi in cui esistano realmente dei tipi sensibili e che le reazioni di questi siano attribuibili solo ed unicamente al rimedio assunto alla 30 CH, restano forti i dubbi che i sintomi riportati siano un’espressione soft degli effetti primari della sostanza. Il rimedio alla 30 CH dovrebbe produrre effetti secondari per la legge di Arndt-Schultz (e/o in ogni caso effetti opposti rispetto a quelli primari). Pertanto, ciò che è percepito potrebbe essere: o, la sua azione terapeutica che smuove “qualcosa” in un sistema che era già in squilibrio per riportarlo in equilibrio; o, effetti opposti rispetto a quelli primari (una sorta di “negativo”); o, autosuggestione; o, effetti causati da variabili confondenti.

Come possiamo affermare che un sintomo, riportato dopo aver assunto una 30 e/o 200 CH, corrisponda all’effetto primario della sostanza !?

In altre parole, la sperimentazione omeopatica in senso stretto è una sperimentazione patogenetica nella quale si cerca di capire il complesso sintomatologico (psico-fisico) causato da una sostanza in un soggetto sano usando dosi ponderali e/o basse dosi atte a creare uno stato lesionale lievissimo. Questo stato lesionale lievissimo, sebbene con le differenze individuali, compare in tutti i soggetti sani in modo simile. Di contro, possono essere usate le conoscenze proprie della tossicologia, formatesi su intossicazioni involontarie ed accidentali. Exempli gratia, conoscere l’effetto del veleno del cobra (naja) per i sintomi manifestati da chi ne è stato morso.

Diversamente, oggigiorno, per evitare ogni possibile lesione (anche lievissima) si usano dinamizzazioni diverse e sempre più alte. Una sperimentazione fatta ad alte diluizioni/dinamizzazioni non produce effetti in tutti i provers, ma solo su alcuni soggetti che vengono definiti: sensibili. Inoltre fra quest’ultimi, non tutti riportano gli stessi sintomi. Ciò crea alcune domande: (1) esiste realmente una particolare sensibilità in quei soggetti e/o la reazione è dovuta alla suggestione e/o altre variabili confondenti? Una domanda più che legittima nel caso dei sintomi di I grado; (2) l’uso di diluizioni diverse (anche molto alte 12 CH, 15 CH, 30 CH, 200 CH) permette d’affermare che ciò che viene sperimentato appartenga agli effetti primari della sostanza? Etc … . Questi sono punti oggettivamente critici che, non colpiscono i fondamenti ed i principii della medicina omeopatica in sé e per sé, ma gli strumenti sviluppati nel Tempo da essa: la materia medica e dei repertori.

Il punto è delicatissimo. Infatti il rimedio per funzionare deve avere come effetto primario la capacità di creare un quadro sindromico simile a quello sofferto dal paziente. Questa corrispondenza viene cercata usando i repertori e la materia medica. Se quest’ultimi non sono attendibili, la prescrizione del rimedio può essere errata.

Questa eterogeneità delle fonti e delle metodologie usate crea criticità nel poter affermare che la materia medica riporta realmente un insieme degli effetti primari delle sostanze, ovvero sia utile per individuare le indicazioni terapeutiche di queste.

Questi tre principia universalmente riconosciuti sono declinati diversamente da autore ad autore. Exempli gratia: Sarembaud A (1993) aggiunge il principium della totalità. Comito R (2000) parla del principium della corrispondenza fra l’individualità medicamentosa del rimedio e l’individualità morbosa del paziente. In realtà, come si può capire dal discorso ut supra, questi autori aumentano il numero dei principii rendendo “autonomi” alcuni elementi propri degli altri tre. Exempli gratia, nei due esempi citati, hanno reso autonomi alcuni aspetti del principio del simile.

I Rimedi Omeopatici

Il rimedio omeopatico è una preparazione diluita e dinamizzata secondo le metodologie descritte dalla farmacopeia tedesca (Homoopathisches Arzneibuch – H.A.B.) e/o francese (CODEX). La farmacopeia americana oggi non è più usata. Conformemente ad esse, la sostanza dovrà essere dinamizzata ad ogni passaggio di deconcentrazione liquida e/o triturazione (nome dato alla deconcentrazione della sostanza non solubile).

In questa ricerca non considereremo i rimedi omeopatici complessi. Il rimedi complessi impediscono di identificare una relazione causativa chiara. In essi, infatti, non è possibile definire chiaramente: se l’azione dipenda dalla cooperazione di tutti i componenti; se dipenda solo da alcuni di essi; se dipenda solo da uno d’essi. Allo stesso modo non è possibile individuare se l’effetto del complesso sia dato dalla somma degli effetti delle singole sostanze agenti in modo sinergico, oppure se il complesso sia un “qualcosa” di diverso dalla somma delle parti a là Gelstaldt, ovvero acquisisca una indicazione terapeutica propria non sovrapponibile alla somma di quelle dei suoi costituenti.  Per tale motivo, chi scrive non si occuperà dei complessi in questa tesi.

Conformemente alla dichiarazione fatta dal presidente della Boiron alla trasmissione Piazza Pulita di LA7 del 30/11/2017, non esisterebbe alcuna “medicina omeopatica”, ma solo “rimedi omeopatici”. Pertanto, è importante definire quest’ultimi.

Conformemente all’art. 1 del D.Lgs n. 219/2006, il “medicinale omeopatico” è “ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla Farmacopea Europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità Europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze”.

I “materiali di partenza” possono essere vegetali, animali, minerali, bioterapici, isoterapici.

Se il materiale di partenza è vegetale e/o animale (e/o solubile in acqua e/o alcool) si procede preparando una tintura madre (TM). La TM è una preparazione ottenuta dalla macerazione delle sostanze di partenza in soluzioni idro-alcoliche nelle quali il titolo alcolico può variare in base alla sostanza di partenza.

Se il materiale di partenza è minerale e/o un materiale non solubile in acqua e/o alcool bisogna passare inizialmente attraverso una fase iniziale chiamata triturazione. Exempli gratia, si prende una parte di minerale e lo si mette in un mortaio con 99 parti di puro lattosio, triturando il tutto per venti minuti. Alla fine si ottiene la prima triturazione centesimale 1T (1:100). Successivamente, si prende una parte della 1T e la si mette in un mortaio con altre 99 parti di puro lattosio. Il tutto viene triturando nuovamente per 20 minuti. Si ottiene così la seconda triturazione centesimale 2T. Dopo la terza triturazione centesimale 3T e/o la sesta triturazione decimale (qualora il rapporto fra il minerale di partenza ed il lattosio sia 1:10) la maggior parte dei minerali diventa “solubile”. Pertanto, a quel punto si procede a diluirli e dinamizzarli con le metodologie usate per i rimedi vegetali ed animali.

I processi di diluizione e dinamizzazione possono avvenire con diverse modalità. I più usati sono le diluizioni centesimali hahnemaiane (CH) che hanno un rapporto 1:100 e le diluizioni decimali di Hering (DH) che hanno un rapporto 1:10.

Ogni passaggio è caratterizzato nel mettere in un flacone pulito (ovvero: tecnica dei flaconi separati) una parte della diluizione di partenza con 99 parti di solvente (per le diluizioni centesimali) e/o 9 parti di solvente (per le diluizioni decimali). Il solvente, di solito, è una soluzione idroalcolica a 70 gradi.

Diversamente, le diluizioni korsakoviane (K) sono caratterizzate dall’utilizzo d’un unico flacone che viene riempito e svuotato ad ogni passaggio. Oggigiorno questo metodo è usato in quanto è una tecnica economica, veloce e comoda, per ottenere alte dinamizzazioni (200 K; 1.000 K; 10.000K). Infatti, mentre per fare una 200 CH occorrono 200 flaconi diversi, per fare una 200K ne basta uno. Questa tecnica nacque in Russia per “necessità”. Korsakov, un generale medico russo, si trovò nella necessità di curare dei soldati in un ospedale da campo ritrovandosi senza mezzi. Egli non aveva, né medicine, né sufficienti flaconi per fare delle diluizioni / dinamizzazioni d’alcuni rimedi omeopatici con la tecnica delle CH e/o DH. Così, decise d’usare lo stesso flacone, riempendolo e svuotandolo, ad ogni dinamizzazione. Korsakov ipotizzò che la quantità di liquido che restava aderente alle pareti del flacone (dopo lo svuotamento) potesse corrispondere ad una parte su cento. In realtà non esiste alcuna corrispondenza fra le CH e le K. Alcuni autori (e.g., Maschi, 2003) riportano alcune “corrispondenze” approssimative che cercano di comparare la diluizione della sostanza: 5 CH = 30 K; 7 CH = 200 K; 9 CH = 1000 K. Ciò però è poco attendibile. Inoltre, anche se un 200K ha la stessa diluizione d’una 7 CH, è stata dinamizzata 200 volte contro le 7 della CH. Questo le attribuisce effetti diversi. In ogni caso, le K necessitano di più passaggi per “diluire” la sostanza di partenza e non assicurano una costanza del prodotto. Quest’ultima non è assicurata perché la quantità di principio residuo nel flacone varia ogni volta ad ogni dinamizzazione. Pertanto, sono usate preferibilmente solo le alte dinamizzazioni: 30 K; 200 K; 1000 K; 10.000 K. E’ da notare che in Omeopatia, per convenzione, il placebo è venduto col nome del rimedio alla 35 K.

Una tecnica presentata nell’ultima versione dell’Organon, pubblicato postumo dalla moglie di Hahnemann, è quella delle cinquanta-millesimali LM. La diluizione in questo caso avviene in un rapporto 1: 50.000. Il suo obiettivo sarebbe stato quello di ridurre al minimo il rischio d’un qualsiasi “aggravio omeopatico” (NOTA) che una possibile ripetizione della stessa diluizione CH / DH potrebbe comportare. Tale rischio, però, può essere evitato con le CH /DH potenziando il rimedio ad ogni somministrazione. Exempli gratia, si può mette in una bottiglietta da mezzo litro (riempita a metà o poco meno) 5 granuli d’un rimedio. Una volta sciolti, si agita la bottiglia con 100 succussioni. Ogni volta che si assume il rimedio (e.g. un cucchiaio), vengono date altre 100 succussioni alla bottiglietta. In questo modo, la diluizione/dinamizzazione del preparato è ogni volta lievemente diversa. Hahnemann consigliava, infatti, che è “conveniente … evitare di ripetere … la somministrazione del rimedio ad un grado di dinamizzazione identico” (§. 27 dell’Organon).

Le critiche mosse alla Medicina Omeopatica

All’interno del dibattito mediatico, molti influencers che si sono “schierati” contro l’Omeopatia non avevano conoscenza di quest’ultima. Non sapendo “cosa” criticare e/o “dove mettere le mani”, le rivolsero attacchi aggressivi e feroci al solo scopo di deriderla. Un comportamento oscillante fra ignoranza e disonestà intellettuale. Quest’ultima presente quando gli argumenta (palesemente fallaci ed oltraggiosi) venivano usati in “scienza e coscienza” come vere e proprie strategie comunicative per “gettare” discredito.

Exempli gratia, una di queste strategie comunicative è rappresentata da quella usata da un giornalista/medico durante la trasmissione Piazza Pulita di LA 7 (già citata). Egli argomentò che la medicina omeopatica non ha effetti terapeutici poiché: qualora ingerita “in diretta” un’intera confezione d’un rimedio omeopatico, egli non avrebbe subito effetti collaterali e/o stati lesionali! Questo avrebbe dimostrato inconfutabilmente che i rimedia omeopatici non curano!! Infatti, ingerendo un’intera confezione d’un qualunque farmaco ufficiale, egli avrebbe riportato una grave o gravissima intossicazione e/o stato lesionale. Le fallacia era evidente! L’assioma di fondo del suo ragionamento è errato. Nessuna legge scientifica lega l’efficacia terapeutica d’un medicinale ai suoi effetti collaterali in modo direttamente proporzionale! Come medico l’avrebbe dovuto sapere. Nessun farmaco produce “guarigioni maggiori” e/o “stati di benessere superiori”, quanti più effetti collaterali gravi è in grado di procurare al paziente[20]!?!?! Anzi, … questo crea un problema delle malattie iatrogene!?!?

L’esempio riportato supra indica il livello delle critiche. Aristotele, nell’ultimo capitolo dei Topici, suggeriva di stare attenti con chi si disputa per evitare “problemi”. Il filosofo sconsiglia “vivamente” di disputare col “primo arrivato”. Un confronto dialettico è possibile solo con coloro che hanno sufficiente intelletto ed onestà per: (1) non affermare “cose” tanto assurde da rendersi ridicoli ed umiliarsi (così da essere mossi successivamente da rancore); (2) disputare “con ragione”, ascoltare e valutare le argomentazioni altrui, controbattere un’eccezione con una contro-eccezione sull’argomento (senza cadere nell’uso d’argumenta ad personam); (3) cercare la verità con onestà intellettuale. Di contro, disputare con soggetti privi di sufficiente intelletto ed onestà espone solo ad: umiliazioni; provocazioni; diffamazioni; insulti; derisioni; attacchi personali; oltraggi; etc… . L’avversario (sapendo di avere torto nel merito della questione e/o non avendo gli strumenti per sostenere una conversazione su di essa) per vincere sposta il theatrum belli dall’oggetto della disputa alla reputazione dell’interlocutore (argumentum ad personam). In questo modo, distruggendo la credibilità dell’interlocutore, elimina l’attendibilità di tutto ciò che afferma (Schopenhauer, 1998)[21].

Il presente autore ha trovato un degno interlocutore in Garattini e nei ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche – Mario Negri. L’indubbia onestà intellettuale di Garattini è provata dal fatto che egli ha criticato l’omeopatia allo stesso modo di come ha criticato molti farmaci ufficiali, senza mai assumere visioni dogmatiche e/o “partigiane”.

Le critiche esaminate (con le possibili risposte) sono le seguenti: (1) il problema del principio d’azione; (2) l’effetto placebo; (3) l’assente indicazione terapeutica dei rimedi omeopatici.

L’omeopatia è “acqua fresca”: il problema del principio d’azione dei rimedi omeopatici.

Una critica razionale contro l’Omeopatia riguarda l’assente conoscenza del principio d’azione dei rimedia con diluizioni/dinamizzazioni superiori alla costante di Avogadro-Loschmidt. Questi rimedia sono le Alte Potenze e si distinguono dalle Basse Potenze che operano al di sotto della costante di Avogadro-Loschmidt. La categoria delle Alte Potenze include tutti i rimedia che sono uguali e/o superiori alla 12 CH e/o la 24 DH. In essi è altamente improbabile la presenza delle molecole della sostanza attiva di partenza.

Conformemente al Paradigma ufficiale, il meccanismo d’azione dei farmaci è spiegato dal modello biochimico. L’effetto terapeutico è prodotto solo ed unicamente dalle molecole della “sostanza attiva”. Se quest’ultime sono assenti, il medicinale non può avere effetti terapeutici salvo l’azione data dall’effetto placebo. Essendo il solvente dei rimedi omeopatici composto d’acqua, alcool e/o lattosio, Garattini equiparò l’assunzione dei rimedi omeopatici all'”acqua fresca”.

Il ragionamento deduttivo fatto da Garattini è valido e coerente nei limiti in cui: a) si possa usare il ragionamento deduttivo nella Scienza al posto del ragionamento induttivo per falsificare una ipotesi e/o teoria; b) l’assioma messo a premessa sia vero. Garattini equipara in tutto e per tutto i rimedia omeopatici ai farmaci ufficiali. Egli non considera la diversa preparazione e gli effetti fisici della dinamizzazione. Così applica ai rimedi omeopatici il modello biochimico, rigettando a priori altri modelli quali quello biofisico.

Chi scrive osserva che, a proprio giudizio, Garattini incorre in quattro errori cognitivi per i motivi infra elencanti:

(1) estende questo argumentum (valido solo per le Alte Potenze) a tutti i rimedi dell’omeopatia, anche a quelli che hanno diluizioni/dinamizzazioni al di sotto della costante di Avogadro-Loschmidt (la cui azione, come detto supra et infra, è spiegabile col modello biochimico). Quest’ultimi sono la maggioranza di quelli usati. Garattini non discrimina fra queste due categorie di rimedia che usano meccanismi d’azione diversi;

(2) esclude a priori che possa esistere un altro modello rispetto a quello biochimico atto a spiegare i meccanismi d’azione delle Alte Potenze. Exempli gratia, il modello biofisico. Un modello che tiene conto della peculiare e diversa preparazione del rimedio tramite la dinamizzazione;

(3) applica il ragionamento deduttivo al posto del ragionamento induttivo per inferire e/o dimostrare un qualcosa di scientifico (ovvero per falsificare una teoria). Come vedremo i due ragionamenti sono l’uno l’opposto dell’altro. Nella Scienza può essere usato solo il ragionamento induttivo per falsificare una teoria e/o una ipotesi scientifica. Non può essere usato il ragionamento deduttivo per i motivi infra descritti, necessitando quest’ultimo la creazione d’un Sistema Formale di tipo Dogmatico basato su assiomi e non sull’osservazione empirico-sperimentale;

(4) si lascia influenzare dalla fissità funzionale (Epis, 2011-2015) che conduce ad escludere a priori tutto quello che contraddice e/o mostra dissonanza cognitiva verso il Paradigma ufficiale (Kuhn 1962; 1970).

Nell’affrontare questi punti, esaminiamo in ordine: il numero 3 ed i numeri 1, 2 e 4, assieme.

Il ragionamento usato da Garattini è un ragionamento deduttivo. Il ragionamento deduttivo non si basa sui fatti, né sull’osservazione della realtà (samples), non essendo un ragionamento empirico. Il ragionamento deduttivo si basa su assiomi e/o premesse e/o postulati. In altre parole, richiede la costruzione d’un Sistema Formale basato su assiomi accettati in modo dogmatico. Assunti per veri quest’ultimi, è il Sistema Formale a definire tutto ciò che è vero o falso nella Realtà. Di contro, il ragionamento scientifico è esattamente l’opposto: empirico-induttivo. La Scienza parte dall’osservazione della Realtà, alias dai fatti (samples), per inferire teorie e/o leggi scientifiche che sono sempre probabilistiche, mai “certe”. Queste leggi non possono essere mai considerate assiomi d’un Sistema Formale Scientifico in quanto in ogni momento possono essere confutate e/o falsificate dai fatti, venendo sostituite da nuove leggi. Qualora la Scienza diventasse un Sistema Formale non sarebbe più Scienza ma Dogmatica. La validità o l’invalidità d’una teoria scientifica; la verità o falsità d’un fatto empirico; … consegue solo all’osservazione della Realtà (samples), mai alla corrispondenza ad un Sistema Formale.

Garattini pertanto usa un ragionamento deduttivo basato su un Sistema Formale di tipo assiomatico per falsificare una teoria scientifica, mentre poteva farlo solo attraverso il metodo scientifico ed il ragionamento induttivo basato sulla osservazione sperimentale 

Inoltre, non discrimina fra le due categorie diverse di rimedi omeopatici: le Alte e le Basse Potenze (cadendo nel bias dell’effetto alone di Thorndike). Garattini non considera neppure che: in tutta la Storia della Scienza e dell’Umanità, la scoperta di qualcosa ha sempre preceduto la scoperta del suo principio d’azione[22]. In somma sintesi, è’ solo a partire dal XX secolo che l’uomo ha iniziato a conoscere i meccanismi d’azione di “tutto ciò″ che ha usato per millenni! Lo stesso avviene nella medicina ufficiale. Molti farmaci sono stati approvati e/o sono ancora approvati senza che sia conosciuto il loro meccanismo d’azione. Exempli gratia, nel 1993 la penicillamina (FARAL) era consigliata per l’artrite reumatoide anche nell’infanzia e per l’artropatia psoriasica non responsiva ad altra terapia. Ebbene, il meccanismo d’azione che la rendeva utile per tali indicazioni terapeutiche era sconosciuto. Sempre nel 1993, non era conosciuto il meccanismo d’azione, e.g., della: griseofulvina (antimicotico); carbamazepina (antiepilettico); clonazepam (usato: nella sindrome di West e di Lennox-Gastaut; nell’epilessia); etc … etc … (Menarini, Classi & Farmaci, 1993).

Sebbene, come visto supra, la non conoscenza del principio d’azione non giustifica il rigettare “qualcosa” che sembri funzionare, cercheremo d’affrontare l’argomento. Innanzitutto, il principio d’azione è diverso per le due categorie dette supra:

(1) da una parte abbiamo i rimedia che non superano la costante di Avogadro-Loschmidt (Basse Potenze). Questi rimedi hanno meccanismi d’azione spiegabili dal modello biochimico[23] (sebbene l’azione biochimica possa interagire con l’azione biofisica). Su questa categoria di rimedia come visto, la critica ut supra non ha effetto. Il solo modello biochimico coadiuvato dalla legge di Arnt-Schults può spiegare i meccanismi d’azione di questi rimedi. L’informazione è trasmessa a livello molecole;

(2) dall’altra parte abbiamo i rimedia che superano la costante di Avogadro-Loschmidt (Alte Potenze). Il meccanismo d’azione di questi rimedi non può trovare risposta nel modello biochimico. Questo poiché l’informazione è trasmessa con tracce elettromagnetiche a livello “meta-molecolare”. Affermare questo non significa cadere in derive semiotiche ed evocare concetti esoterici e/o magici quali: l’aura; il prana; il Qi. Affermare ciò significa effettuare uno switch (usando la funzione esecutiva dello shift, tipica del pensiero flessibile che è una life-skills) passando: dal modello biochimico al modello biofisico. Questo comporta un mutamento nella configurazione mentale (forma mentis) che può essere reso difficile dalla fissità funzionale. Qui non si parla più d‘informazioni veicolate dalle molecole ma di informazioni “memorizzate” nel solvente (acqua; idro-alcoolico) durante la dinamizzazione.

Il modello biofisico spiega: (1) la formazione delle tracce elettromagnetiche e/o la “memorizzazione” dell’informazione nel solvente (acqua); (2) la conservazione delle informazioni nella soluzione; (3) l’interazione delle informazioni con l’organismo.

Qualunque sia il meccanismo d’azione dei rimedi omeopatici (biochimico, biofisico) esso comunque opera all’interno d’un modello di complessità (Bellavite & Signorini, 1992, 2002; Bellavite, 1998, 2001, 2003, 2004a; 2004b; 2004c; 2004d; Bellavite P, Andrighetto GC, Zatti M, 1995; Del Giudice & Del Giudice, 1999).

La malattia è vista nella sua essenza come un disordine / disequilibrio del Sistema. Questo disequilibrio può riguardare l’intero sistema e/o alcune sue parti (strutture e/o funzioni). Il Sistema può essere aiutato a recuperare uno stato di equilibrio / omeostasi introducendovi informazioni per stimolare retroazioni positive. Chi scrive “ama” applicare a questo modello la Teoria Generale dei Sistemi. Altri autori preferiscono focalizzare la loro attenzione su ciò che chiamano biforcazioni (Bellavite & Signorini, 1992, 2002; Bellavite, 1998, 2001, 2003, 2004a; 2004b; 2004c; 2004d; Bellavite P, Andrighetto GC, Zatti M, 1995). Quest’ultime sono fasi nelle quali l’organismo si trova in uno stato d’instabilità, oscillando fra equilibrio e disequilibrio, salute e malattia, retroazione positiva e negativa. In queste fasi, anche la minima informazione (per quanto piccola sia) può avere un ruolo determinate nello spostare “l’ago della bilancia” da una direzione all’altra[24].

Il Modello Biofisico si basa (oltre che sulla Teoria Generale dei Sistemi) sulle teorie: della “memoria” e/o della struttura fisica dell’acqua; dei clusters; dei domini di coerenza; della super-radianza; dell’emissione biofotonica (e.g., studi di: Popp, 2003); della meccanica quantistica; dei cambiamenti fisici (rilevabili: agli infrarossi; con la risonanza magnetica; con altre metodologie) prodotti dalle dinamizzazioni e non dalle diluizioni non dinamizzate; etc…[25] .

Questo modello è un modello appartenente alla fisica teorica che, sebbene fondato su alcuni studi e ricerche, non è stato completamente comprovato. Nonostante ciò, chi scrive non può rigettare a priori la sua plausibilità per due motivi: a) esso non è stato falsificato col metodo scientifico che, di contro, lo reputa plausibile in termini di attualità e concretezza; b) buona parte delle teorie che consideriamo essere scientifiche non sono ancora provate del tutto[26]!

Chi scrive ritiene che: l’onestà intellettuale imponga d’usare “stessi pesi e misure” e/o le stesse regole per tutti in modo equanime. Diversamente, è come “barare”. Allora perché nella ricerca scientifica sono usati “pesi e misure” diverse? La risposta ricade nel legame fra Potere e Conoscenza a là Foucault. Exempli gratia, mentre le teorie sulla materia oscura non ledono gli interessi economici d’alcuna Lobby, quelle sul modello biofisico influenzano negativamente i profitti delle BIG Pharma. Quando questo avviene, come ha affermato Montagnier (2011), si producono situazioni di “terrorismo intellettuale“. Questo avviene con le diffamazioni viste supra e/o con “proposte allettanti”. Exempli gratia, a Bellavite fu offerto l’incarico di primario, qualora avesse abbandonato gli studi sull’omeopatia! Nel caso specifico, non accettò[27].

Nel libro a cura di Garattini (2015), Emilio Benfenati parla del principio d’azione. In somma sintesi, egli lo lega alla teoria della “memoria dell’acqua” avanzata da Luc Montagnier (premio Nobel per la medicina). La teoria sarebbe rifiutata in quanto non replicata al momento. Ebbene, la fondatezza del modello biofisico non dipende, in sé e per sé, dagli studi di Montagnier (che possono solo eventualmente convalidarlo). Il fatto che la ricerca non sia stata replicata, non giustifica il suo rigetto. Da una parte, non ci sono stati finanziamenti per replicarla; dall’altra parte, più della metà delle ricerche fatte in farmacologia ufficiale non sono mai state replicate e/o se si è tentato di farlo non hanno fornito gli stessi risultati significati. Nessuno ha inferito l’invalidità dell’intero Sistema Farmaceutico ufficiale[28]!

Nel celebre studio fatto da Montagnier (2009) l’autore ha osservato come il DNA si organizza intorno all’acqua. Un “principio … evidente, ma … altrettanto trascurato, come trascurate sono state le … interazioni tra la medicina e la fisica“. Lo scienziato mise: “… due distinte provette in un contenitore di lega metallica che” impediva “l’irradiazione verso l’esterno“. L’osservazione mostrò che “tra le due provette, …, c’era uno scambio di informazioni e di connotazioni a livello molecolare“. L’autore concluse che “questo … ha dimostrato che le molecole hanno un loro background elettromagnetico … in grado di trasferirsi da una molecola all’altra, da una provetta all’altra” (Montagnier et al., 2009). Secondo l’autore, tale esperimento sosterrebbe il modello biofisico secondo il quale: “quando si diluisce una sostanza fino a far rimanere “solo acqua”, essa mantiene comunque un suo background elettromagnetico … … un fenomeno che afferisce alla fisica quantistica, alla struttura fisica dell’acqua“.

Il modello biofisico parte proprio dalla struttura dell’acqua. E’ nell’acqua che vengono memorizzate le informazioni non nell’etanolo (che aiuta, di contro, la sola conservazione). L’acqua è un liquido nel quale ogni molecola è capace di creare legami idrogeno con le altre molecole vicine. Questi legami possono essere modificati. Conformemente a Sukul & Suckul (2003), ci sono ampie prove sperimentali che sostengono la possibilità delle molecole dell’acqua di: creare “connessioni” di reti dinamiche capaci di codificare informazioni dai principi attivi disciolti in essa; attivare processi biologici. Altre prove sono date da (Mastrangelo, 2007; Rao, Roy et al., 2007; Roy, Tillerr et al., 2005). Secondo quest’ultimi, ci sono molti studi che indicano come l’acqua non sarebbe un liquido omogeneo ma avrebbe in se delle strutture dinamiche. Quest’ultime sono in grado di “memorizzare” le (essendo influenzate dalle) sostanze disciolte in essa secondo, e.g., il fenomeno dell'”epitassi / epitassia”.

Altri autori sostengono come, conformemente alla meccanica quantistica, nell’acqua possano co-esistere due fasi separate: una di regime di coerenza; una di “regime di caoticità” nella quale le molecole si muovono a caso (Del Giudice et al., 1988a, 1998b; Del Giudice, 1990; Arani, Bono etc al., 1995; Del Giudice & Preparata, 1998; Preparata 1997).

La fase di coerenza può mantenersi stabilmente in regime di super-radianza per effetto del campo elettromagnetico prodotto. Questa fase conserva le informazioni. Esse posso esserle trasmesse al solvente durante un regime di turbolenza nel quale i legami idrogeno dei regimi di coerenza vengono “allentati”. Queste turbolenze non richiedono forze particolari. Pertanto, nella pratica omeopatica, esse sono realizzate con la dinamizzazione. Durante questa fase il materiale disciolto (principio attivo) interagisce con l’acqua, modificandone la struttura. Terminata la dinamizzazione, i legami idrogeno si “rinsaldano” proteggendo il nuovo assetto dai disturbi esterni.

Altre teorie usano i modelli dei clatrati et similia (Miyazaki, Fujii et al., 2004; Sukul & Sukul, 2003; Anagnostatos, 1994; Wei, Shi et al., 1991; Anagnostatos et al. 1991; Smith, 1988). Secondo questi autori la “memoria dell’acqua” sarebbe legata alla formazione di aggregati di molecole in forma di clatrati, ovvero formazioni cave che assumono una disposizione a rete ripiegata su una nicchia interna. Le molecole della sostanza originale vengono circondate dalle molecole dell’acqua che si strutturano in modo da “conservarne” l’influenza. La struttura che assumono le molecole dell’acqua (clatrati) si mantiene anche qualora la molecola originale fosse espulsa da essi. Durante la dinamizzazione, i clatrati che si formano attorno alle molecole delle sostanze disciolte, divengono a loro volta “nuclei” sui quali si strutturerebbero nuovi clatrati con lo stesso schema originale (Chaplin, 2007) a là frattali. Conformemente a questo modello, l’acqua non emette radiazioni energetiche, ovvero non è una fonte attiva di coerenza per altri sistemi. Essa si comporta da “specchio di coerenza” dove le patterns di coerenza della soluzione possono entrare in risonanza con le patterns di coerenza dell’organismo vivente. In altre parole, per usare una analogia, l’informazione non è emessa come avviene con l’uso della voce, ma è trasmessa come avviene con la scrittura.

La Risonanza Magnetica Nucleare (Wolf, Wolf et al., 2009; Demangeat, 2009; Demangeat, Gries et al., 2004; Weingartner, 1990; Smith & Boericke, 1968) ha mostrato che la struttura del solvente (acqua; acqua ed etanolo) si modifica durante le succussioni (dinamizzazioni) seriali. La diversità è provata dalla comparazione con lo spettro dei solventi nei quali avvengono solo diluizioni senza dinamizzazioni. I cambiamenti fisici avvengono solo se il solvente è dinamizzato. Essi sono rilevati anche all’infrarosso (Barros & Pasteur, 1984).

All’Università di Napoli, nell’ultimo decennio, si sono fatte ricerche sui solventi dinamizzati. Le analisi chimiche sulle soluzioni omeopatiche sono avvenute con diverse tecniche (calorimetria isoterma; pHmetria; conducibilità elettrica; misura della forza elettromotrice delle celle galvaniche per la determinazione del coefficiente di attività di NaCl aggiunto). Conformemente a Alia, Baiano et al. (2004) ed Elia, Napoli et al. (2007), da questi studi emerge che esiste una differenza misurabile fra i parametri chimico-fisici del solvente acqua non dinamizzato ed i parametri chimico-fisici del solvente acqua dinamizzato col metodo omeopatico.

Mutatis mutandis, il modello biofisico allo stato attuale non può essere né rigettato né accolto (come modello certo capace di spiegare ogni aspetto)[29]. Di contro, esso è un modello degno d’essere approfondito con maggiori investimenti e studi. Fino a quando non sarà falsificato, conformemente al criterio di demarcazione di Popper, nulla preclude che venga utilizzato (con i dovuti accorgimenti del caso) come un possibile modello di riferimento. Esso, infatti, è formulato in modo falsificabile (cosa che lo rende degno di considerazione scienfica). Chi scrive non può rigettare questo modello come a-scientifico: a) in primo luogo, poiché violerebbe i principi attuali della Teoria della Scienza; b) in secondo luogo, poiché dovrebbe rigettare come a-scientifico metà del corpus teorico della Psicologia basato su teorie formulate in violazione del principio di falsificazione. Exempli gratia, tutte le teorie psicodinamiche sono formulate in modo da non essere falsificabili (Epis, 2011-2015). Alcui costrutti della psicopatologia hanno raggiunto formulazioni contradittorie, violando il principio di falsificazione, e portando a situazioni nelle quali non possono essere confutati: ex falso quodlibet (Epis, 2006; 2016).

L’effetto del rimedio omeopatico è dato solo dall’effetto placebo

Luigi Cervo afferma che: “i rimedi omeopatici siano una forma di placebo“. Questa critica in parte consegue alla precedente. Se nei rimedi omeopatici non ci sono molecole del principio attivo, in essi c’è solo il solvente (acqua; etanolo; lattosio). Pertanto, secondo il modello biochimico, l’effetto terapeutico è dato solo dall’effetto placebo. Alla base del ragionamento di Cervo c’è nuovamente il ragionamento deduttivo.

All’eccezione di Cervo si può contro-eccepire (oltre che l’argomento detto supra sul ragionamento deduttivo) che: a) non tiene conto di molti studi empirici e sperimentali che dimostrano come l’effetto dei rimedi omeopatici non sia dato dall’effetto placebo (Bellavite, 2005, 2011, 2017); b) la maggior parte delle ricerche omeopatiche moderne utilizza e valuta i risultati comparandoli proprio con il gruppo placebo; c) l’insieme degli studi sugli animali, sulle piante e sulle cellule, nei quali l’effetto placebo è minimo e/o inesistente.

Exempli gratia, riportiamo alcuni studi sperimentali fatti sui topi. Questi studi hanno dimostrato che:

(1) l’uso di dosi omeopatiche di arsenico facilita l’eliminazione dello stesso tramite le urine e le feci (Cazin, Cazin et al. 1987);

(2) l’uso di Silicea 6 CH e 10 CH stimola il rilascio del fattore attivante delle piastrine (PAF) dai macrofagi peritoneali (Davenas, Poitevin et al. 1987);

 (3) dosi omeopatiche di ormoni timici hanno attività immunomodulatrice su cellule B e cellule T (Bastide, Daurat et al. 1987);

(4) dosi omeopatiche di zincum alla 12 DH modulano il rilascio di istamina (Harisch and Kretschmer 1990);

(5) l’uso di nux vomica 30 CH riduce significativamente il tempo di sonno indotto dall’etanolo nel topo albino (Sukul, Ghosh et al. 2001). L’esperimento fu fatto usando nux vomica poiché questo è un rimedio tradizionalmente usato per curare gli effetti dell’alcoolismo;

(6) la somministrazione di Arsenicum album in diluizioni omeopatiche ha dimostrato attività epatoprotettrici per le intossicazioni d’arsenico (Banerjee, Bhattacharyya et al. 2009; Banerjee, Bhattacharyya et al. 2008; Banerjee, Biswas et al. 2007). I topi sono stati intossicati mediante somministrazione d’alte dosi di arsenico (As2O3);

(7) anche i rimedi diluiti/dinamizzati ad Altissime Potenze quali arsenicum 200 CH hanno mostrato effetti biologici. Nel caso specifico, questo rimedio ha prodotto: la riduzione delle transaminasi; l’aumento degli enzimi antiossidanti; … rispetto al gruppo di controllo. Gli stessi autori hanno sperimentato l’efficacia terapeutica d’arsenicum album in dosi omeopatiche anche sulle popolazioni umane intossicate accidentalmente dall’arsenico (e.g., a causa d’un forte inquinamento ambientale) in alcune zone dell’India. I risultati sono stati positivi (Belon, Banerjee et al. 2007; Belon, Banerjee et al. 2006; Khuda-Bukhsh, Pathak et al. 2005; Khuda-Bukhsh, Roy-Karmakar et al. 2009).

L’effetto placebo è verificato anche durante le terapie. Per sapere se l’effetto terapeutico nella cura di malattie croniche è dovuto al rimedio dato e/o all’effetto placebo si prescrive, e.g., per una decina di giorni un placebo. Quest’ultimo, per convenzione, in Omeopatia è il nome del rimedio dato alla 35 K. Se durante questo periodo c’è un peggioramento, e/o il miglioramento ottenuto decresce, si inferisce che l’effetto terapeutico derivi dal rimedio (non all’effetto placebo).

Ancora, l’effetto placebo opera allo stesso modo sia nella Medicina Ufficiale che in quella Omeopatica. Esso deriva dall’alleanza terapeutica e dalla credenza che il medicinale assunto possa curare. Pertanto, è presente sia nel farmaco che nel rimedio. Chi scrive ipotizza che il differenziale ottenuto nel miglioramento delle condizioni di salute del paziente, che passa dalla terapia farmacologica ufficiale (con la quale non ebbe alcun miglioramento) alla terapia omeopatica, attribuibile al rimedio e non all’effetto placebo. Quest’ultimo, infatti, c’è anche nella terapia farmacologia ufficiale in aggiunta all’effetto del principio attivo. Exempli gratia, al padiglione omeopatico dell’Ospedale di Glasgow sono ricoverati pazienti sui quali la medicina ufficiale non ha potuto far “nulla”. Questi pazienti hanno provato tutti i farmaci ufficiali possibili, ma sono stati inefficaci. Nel momento in cui questi pazienti, dopo l’assunzione dei rimedi omeopatici, sperimentano un miglioramento (non sperimentato prima), quest’ultimo non può essere attribuiti all’effetto placebo! L’effetto placebo, come detto, avrebbe dovuto operare anche prima con i farmaci ufficiali (aggiungendosi all’effetto del principio attivo).

I rimedi omeopatici sono prodotti “non autorizzati” e “non hanno indicazione terapeutica”

Garattini ha dichiarato che rimedi omeopatici sono prodotti “non autorizzati” e “non hanno indicazione terapeutica”. Questa frase è vera, ma può condurre ad inferenze false. Dipende da come la si interpreta. E’ vero che i rimedi omeopatici non sono farmaci che ricevono un’autorizzazione per specifiche malattie (uso “in-label“) e non altre (uso off-label), ma questo non significa quello che significa per i farmaci. Mentre l’uso off-label per un farmaco ufficiale significa che questo non ha dimostrato effetti terapeutici per quella noxa patogena, ciò non avviene per i rimedi omeopatici che non possono (per il tipo di modalità prescrittiva: legge del simile) presentare alcuna condizione: in-label ed off-label. La prescrizione non avviene per noxa patogena, ma per individualità morbosa (alias: come è vissuta quella noxa patogena dal paziente).

Andiamo con ordine. Innanzi tutto, i rimedi omeopatici sono approvati come medicinali (e.g. in Italia) dal D. Lgs. n. 219/2006 (direttiva n. 92/73/CEE; D. Lvo n. 185/95; L. n. 347/97). L’assenza d’indicazioni terapeutiche (sulla confezione) consegue, come detto supra, alla modalità di funzionamento propria della medicina omeopatica. Come visto, i rimedi sono prescritti sulla base del principio del simile. Ciò non permette di dire, e.g., che Belladonna è un rimedio indicato per l’influenza, ma non per la scarlattina (e/o altre condizioni)! Belladonna è indicato per tutti i casi in cui un soggetto manifesta una individualità morbosa (indipendentemente dalla noxa patogena) compatibile con l‘individualità medicamentosa del rimedio belladonna. Questo non permette di fare una lista di casi: in-label ed off-label.

Ciò che dice Garattini (quindi) è formalmente vero ed impeccabile. Questo però non manifesta una contradizione dell’Ordinamento Giuridico e/o una prova di inefficacia dei rimedi omeopatici. Ciò è necessario e funzionale a come funziona l’omeopatia.

L’errore, forse, è dovuto alla fissità funzionale che ha portato Garattini ad applicare all’omeopatia gli stessi criteria usati per valutare i farmaci ufficiali (di cui è Maestro) senza considerare che la stessa funziona in modo completamente diverso.

[1] La medicina omeopatica è scelta dal 70,6% dei cittadini che usano le MNC. Di questi: il 71% riferisce d’essere soddisfatto ed aver ricevuto benefici; il 22% dichiara di aver ricevuto benefici parziali; il 7% di non aver ricevuto alcun beneficio.

La popolazione che usa le MNC è il 14,5%% (Rapporto Eurispes, 2012).

[2] Un esempio fu dato dalla trasmissione Presa Diretta – RAI Tre.

[3] Un ringraziamento va alla Scuola di Medicina Omeopatica di Genova Kaos – Dulcamara (l’unica in Italia ad essere accreditata con la Faculty of Homeopaty – UK) ed i suoi docenti per aver “rispettato” l’approccio critico alla materia proprio di chi scrive. Studiare Medicina Omeopatica assieme a medici ed a farmacisti ha permesso al presente autore di: confrontarsi con chi si occupa professionalmente d’essa; analizzare casi clinici (nel loro sviluppo longitudinale); osservare il modus operandi dei medici e dei farmacisti omeopati nel loro setting ed i processi di ragionamento, giudizio e problem solving, usati.

[4] Ovvero, capace di osservare: Se stesso; i Suoi processi di ragionamento e di giudizio; l’applicazione che faceva della metodologia al fine di ridurre bias ed errori sistematici nella ricerca in oggetto.

[5] Exempli gratia, sono state considerate le variabili soft (gli elementi: antropologici; psicologici; storici; culturali; etc…) ed hard (gli elementi e le dinamiche: giuridiche; economiche; politiche; istituzionali; etc…).

[6] Exempli gratia, due autori hanno approfondito il ruolo dell’educazione nella trasmissione del Paradigma dominante ed Ordine Sociale ad esso connesso: Illich (1971); Bourdieu (1964; 1970; 1978; 1979; 1990; 1992; 1994).

Secondo Illich l’educazione promuove consumi passivi atti a promuovere l’accettazione acritica dell’Ordine Sociale esistente e del Paradigma dominante ad esso funzionale. L’educazione creerebbe condizionamento mentale (attraverso ciò che Illich chiama: programma occulto). Dietro all’insegnamento delle materie ufficiali ed abilità tecniche, le persone verrebbero “indottrinate” sul “loro posto” nel Mondo / Società e starsene tranquille in esso.

Bourdieu approfondisce il thema parlando: (1) dell’importanza della dimensione simbolica (atta a guidare i processi interpretativi); (2) della formazione dell’habitus (che permette alla realtà socialmente costruita / Paradigma dominante esterna/o al Se d’essere interiorizzata/o come parte del Se. Ciò porta il soggetto a percepire lo status quo come “ordine naturale delle cose”, riproducendolo in modo per-riflessivo).

L’habitus è definito come: principio non scelto di tutte le scelte; struttura strutturante (ovvero: atta ad organizzare dall’interno tutte le esperienze, vissuti e interazioni, che il soggetto ha col Mondo esterno) ed al contempo struttura strutturata (ovvero: proveniente e generata dall’azione del campo relazionale esercitato dal Mondo esterno sul soggetto. Nella ripetizione, i modelli interpretativi e simbolici vengono introiettati nella forma mentis delle persone). Secondo l’autore: il “reale” è relazionale (non razionale; non oggettivo; non empirico). Esso è creato dalle relazioni, dai legami inter-soggettivi, che si vengono a formare nel tessuto sociale e nel fluire storico, indipendentemente dalla coscienza e volontà degli individui. Le relazioni si strutturano a livello pre-riflessivo, un livello dominato dalla dimensione simbolica ed interpretativa. Per questo motivo, Bourdieu sottolinea il ruolo della violenza simbolica e del mis-conoscimento (prodotto dalla prima). Questa agendo (subdolamente) nella dimensione simbolica porta all’accettazione acritica e pre-riflessiva delle: strutture cognitive e culturali appartenenti al Paradigma; delle strutture istituzionali, sociali e relazionali, che esprimono le relazioni di forza e di potere cristallizzate nell’Ordine Sociale. Gli agenti sociali, così, sono spinti alla riproduzione acritica del Paradigma dominante e dell’Ordine Sociale connesso, percependo come legittime le disuguaglianze e il diverso accesso al Capitale (economico; culturale; sociale; e simbolico). Vedere anche: Boschetti A. (2003); Ravaglioli P. (2002); Swartz D. (1997); Wacquant L. (1992).

[7] Marcello Foa (candidato alla presidenza RAI nell’Agosto 2018 dal Governo Italiano) più volte ha “denunciato” come i mass media manipolino le informazioni e le masse (opinione pubblica) attraverso la creazione di frames. L’autore ne spiega le dinamiche, riportando anche puntuali esempi.

[8] Quest’ultima è una organizzazione senza scopo di luco nata ad Oxford nel 1993, quando Ian Chalmers ad altri ricercatori si accorsero della scarsa qualità e delle distorsioni metodologiche che caratterizzavano una buona parte della letteratura scientifica nel campo medico-farmacologico. L’attività della Cochrane Collaboration è quella di effettuare revisioni della letteratura scientifica.

[9] Una riflessione nata in Psicologia nell’osservare i mis-usi e le derive semiotiche in cui “cadevano” i professionisti del settore. Epis si interrogò: sullo Status epistemologico della Psicologia e delle sue branche (Epis, 2011-2015); sui motivi alla base dei mis-usi del costrutto della personalità antisociale (Epis, 2006; 2016); dei bias presenti nella ricerca e come alcune di queste potevano essere migliorate (Epis, 2006).

[10] Il sofismo è un argomento che mira ad ottenere ragione con qualunque mezzo lecito ed illecito (per fas et nefas). Il suo obiettivo, non è raggiungere alcuna Veritas (verità oggettiva), ma semplicemente: ottenere ragione; conquistare consenso; usare interpretazioni retrospettive a là Weick (1995; 2001; 2009), verosimili ma non vere, attraverso le quali attuare una azione di enactment mirante ad immettere nell’Iperrealtà alcuni frames favorevole ai propri interessi.

Il sofismo ha una forma logica falsa, capace d’ingannare poiché a prima facie appare corretta. Un esempio è dato dal sillogismo condizionale – modus tollens nel quale affermando il conseguente s’induce ad affermare l’antecedente. Un esempio di come questa fallacia operi all’interno della Psicologia è dato da Epis (2018). Altri stratagemmi sono: le euristiche (intese a là Aristotele come sillogismi con forma corretta, ma con premesse false); i topoi dialettici (atti a far passare per vero un concetto a prescindere dalla sua verità o falsità). Un esempio moderno di quest’ultimi è dato dalla Nuova Retorica di Perelman (1959; 1973; 1979) e/o Logica dei Valori. La logica dei valori prescinde dall’accertare lo stato di verità di quanto affermato, non essendo possibile. Infatti, solo gli enunciati descrittivi possono essere veri o falsi (essendo il loro stato di verità accertabile, e.g., con la logica atomica di Wittgenstein). Di contro, gli enunciati normativi, espressivi e performativi, non sono mai né veri né falsi.

La legge di Hume impedisce di passare dalla dimensione descrittiva a quella normativa e vice versa. Essa è un importante criterium di demarcazione tra: ciò che è empirico e ciò che non lo è; ciò che appartiene alla logica formale e ciò che appartiene alla logica dei valori; ciò che può essere valutato in termini di stato di verità e ciò che “trascende” tale possibilità. Violarla significa attraversare un confine “dimensionale” tra il “regno” della Logica Formale e quello della Logica dei Valori. Nel primo, le asserzioni possono essere valutate in termini di vero o falso ed il ragionamento in termini di valido o invalido; nel secondo, non è possibile. La dimensione normativa assume aspetti d’opportunità ed arbitrarietà. Epis (2011/2015) è stato il primo ad applicare la legge di Hume all’interno della Psicologia. Egli sostiene come la psicopatologia viola la legge di Hume “oscillando” continuamente dal descrittivo (e.g. una normale distribuzione) al normativo (e.g. definire cosa è: normale ed anormale). Secondo l’autore la psicopatologia presenta diversi aspetti comuni ad altre discipline normative quali: il diritto e l’etica.

[11] Chi cita questa meta-analisi si dimentica che sul Lancet sono state pubblicate altre ricerche e meta-analisi che sostengono esattamente l’opposto. E.g., Reilly D. T. et al. (1986) e Reilly D. T. et al. (1994) hanno dimostrato con metodo rigorosamente scientifico che l’effetto dei rimedi omeopatici non è dato dall’effetto placebo. Linde & Jonas (1997) hanno condotto un ampia meta-analisi che concluse come gli effetti terapeutici dei rimedi omeopatici non sono dovuti e/o spiegati dall’effetto placebo.

Alcuni (considerando: i gravi errori metodologici della meta-analisi del 2005; l’incredibile “eco” che gli è stato dato) hanno ipotizzato che sia stata parte d’una “campagna di marketing” delle Aziende Farmaceutiche. Quest’ultime sempre più spesso negli ultimi decenni hanno usato le Riviste Mediche a tal fine (Lexchin J. & Light D. W., 2006; Kassiler J., 2011; Eaton L., 2005; Boseley S., 2002; Smith R., 2006; Gotzsche P., 2015). Richard Smith (2005), direttore del BMJ, ha dichiarato che: “le Riviste mediche sono un’appendice delle strategie di marketing delle Aziende farmaceutiche”. Questo avviene grazie al conflitto di interesse delle Riviste. Quest’ultime sono disposte a pubblicare gli “articoli aziendali” (anche di scarsa qualità) per profitto. Operativamente quest’ultimo gli è dato dell’acquisto d’un gran numero di ristampe da parte delle stesse Aziende farmaceutiche. Exempli gratia, il Lancet deve a ciò il 41% dei suoi profitti. Lo stesso direttore del Lancet, Richard Horton, ha affermato che le riviste mediche diventano un “centro di riciclaggio e ripulitura” delle informazioni provenienti dalle aziende farmaceutiche. Non solo, le Aziende “minacciano” le Riviste di fargli venire meno i profitti, nel caso in cui siano pubblicati articoli “troppo critici” verso i loro.

[12] Riporto il passo della lettera (ricevuta per conoscenza): “è stato intellettualmente disonesto non dare atto delle evidenze scientifiche che … il Prof. Leonello Milani … ha consegnato a vostre mani durante una delle interviste realizzate per il servizio … … non commentabile è stata anche la voce di chi ha tentato di classificare come cialtroni, truffatori o “praticanti” al pari di “astrologi” … medici iscritti all’Albo che questo paradigma medico lo praticano quotidianamente“.

[13] Ad avviso di chi scrive, molte critiche rivolte alla Psichiatria (Goffman E., 1961; Foucault, 1972, 1976, 1978, 1980, 2001, 2005, 2006; Masson J., 1984; Szasz 1960, 1963, 1970, 1971a, 1972, 1974, 1990, 1992, 2003, 2004; Watts G., 2012; etc … ) hanno trovato terreno fertile per questo suo aspetto discorsivo – interpretativo.

Allo stesso modo il Paradigma della psicologia ha le sue debolezze in esso. Un paradigma criticato: di fallire ad essere una scienza coerente (Koch, 1969); di produce molta pseudo-conoscenza e d’oscillare fra l’essere “common sence” ed “nonsence” (Evans, 1958; Wright, 1985; Brown & Curtis, 1987; Pepinsky & Jesilow, 1992; Kappeler, Blumberg, and Potter, 2000; Walker, 2005). Un insieme di critiche fondate su molti controfattuali. Chi scrive preferisce quelli tratti dalla psicologia forense in quanto, contrariamente alle altre branche, si presta ad un esame controfattuale nel contradittorio delle parti. Un esame dal quale emerge spesso come molti professionisti tendano a ripetere gli stessi errori basandosi: sul senso comune (Wright, 1985; Brown & Curtis, 1987; Pepinsky & Jesilow, 1992; Kappeler, Blumberg, and Potter, 2000; Walker, 2005); e/o il common sense nonsence (Evans, 1958). Chi scrive, nel suo ruolo di Consigliere Onorario di Corte di Appello per la sessione dei Minorenni ha potuto riscontrare questo. Lo stesso è stato riscontrato da Angelo Zappalà (col quale il presente autore ebbe uno scambio d’opinioni in thema durante un corso in Criminalistica) quando fu Giudice Onorario del Tribunale dei Minori ed Esperto del Tribunale di Sorveglianza.

[14] E.g, venendo usate in Criminologia (Hagan F. E., 2006).

[15] L’autore preferisce il termine Medicina Convenzionale e/o Ufficiale al termine Allopatia. Sebbene la medicina ufficiale utilizzi prevalentemente il principio allopatico (contraia contrariis curantus) e la medicina omeopatica quello omeopatico (similia similbus curantur) entrambe presentano “casi” all’interno dei quali sono applicati entrambi i principia ut supra. Principia integrati da quello isopatico (aequalia aequalibus curentur).  Un esempio di quest’ultimo sono: nella medicina ufficiale i vaccini (isopatici non diluiti/dinamizzati); nella medicina omeopatia gli isopatici diluiti e dinamizzati col metodo omeopatico. L’isopatia omeopatica usa rimedi prodotti da agenti eziologici delle stesse malattie. Exempli gratia, l’uso dei pollini per curare l’asma allergico causato dagli stessi; l’uso dei veleni e/o tossine per curare le intossicazioni create dagli stessi. Gli isopatici hanno radici molto antiche che si perdono nella storia (Julian, 1983), ma è solo con Costantine Hering, Wilhelm Lux ed il Rev. Paul Collet, che l’isopatia arriva ad una formulazione sistematica, assumendo (nella sua forma diluita e dinamizzata) la veste d’una “branca” e/o d’una “variazione” dell’Omeopatia (Bellavite e Signorini, 1992). Molti considerano i nosodi come isopatici, ma chi scrive non condivide tale tesi. Infatti, sebbene essi siano prodotti a partire da materiali patologici, sono prescritti sulla base della legge del simile e non sulla base della legge dell’uguale. Un esempio è tubercolinum. Esso non ha mostrato alcuna efficacia terapeutica nella cura della tubercolosi (che sembra, di contro, aggravare) ma solo di “quadri sindromici” che, secondo la classificazione omeopatica dei miasmi e/o diatesi, corrispondono al tubercolinismo (Comito, 2000). Sebbene la sostanza di partenza veniva adeguatamente preparata in forma sterile, oggigiorno si preferisce non usare i nosodi, molti dei quali non sono più preparati e commercializzati.

[16] Exempli gratia, la medicina tradizionale cinese si fonda sul concetto di Qi (soffio-energia) ed il suo fluire nell’organismo umano attraverso i Mai (vasi) e Jing (canali). Essa presuppone: una diversa fisiologia che, oltre ai Mai e Jing include i Dan Tian e Xue; ed una diversa visione della realtà. Quest’ultima è ritenuta costituita, non dalle particelle subatomiche e/o atomi, ma dai Wu Xing (cinque elementi). La malattia è causata da uno squilibrio nei Wu Xing e/o dall’interruzione del flusso energetico (Qi). (Carlo Moraghi, 2004; Huangdi Neijing Suwen, a cura di,1994; Esposito M., 1994; Larre C., a cura di, 1993; Sue Koei Li, 1993; Pregadio E., 1993; Martucci C. e Rotolo G., 1991; Kohn L., 1989; Jou Tsung Hwa, 1986; Robinet I. 1984, 1993; Porket M., 1983; Schipper K. M., 1983; Were J., 1981; Welch H. & Seidei A., 1979; Despeux C. & Zhao Bichen, 1977; Maspero H., 1971; Lu K’uan Yu, 1964,1970; Needham J., 1956, 1982; Matignon J. J., 1936).

L’ayurveda condivide alcuni aspetti della medicina tradizionale cinese. Tutti gli esseri viventi (jivan) e “non viventi” (ajivan) sono composti dai cinque elementi (panchamahabhuta) che hanno origine dai tridosha. I tridosha (ovvero: le tre energie principali) sono: vata (l’energia alla base del muovimento e dell’instabilità); pitta (l’energia alla base della trasformazione e del metabolismo); kapha (l’energia alla base della struttura e del mantenimento). Conformemente all’ayurveda, la malattia è causata dal loro squilibrio. (Iannaccone, 2002, 2006; Massignan, 2005; Comba, 1991; Galli, 1997; Gerson, 1996; Lad, 2013, 2008, 2006, 2003, 2001, 1987; Gupta, 1919; Ganesan, 2010, “Medicine and Modernity: The Ayurvedic Revival Movement in India, 1885-1947” in Studies on Asia – an interdisciplinary Journal of Asian Studies, ritrovato il 27/08/2018 all’indirizzo internet: https://castle.eiu.edu/studiesonasia/documents/seriesIV/Uma_Ganeshan.pdf)

L’aspetto energetico cinese, Qi, è presente anche nella filosofia indiana come Prana. I “canali energetici” (mai e jing) sono presenti come nadhi. Gli xue (pozzi – punti energetici) come marma o varma.  I Dan Tian come Chakra.  La loro interpretazione, però, è diversa.

[17] E.g., Scholten usò i meditation provings nello studio dei Lantanidi. Nel suo libro scrive: “the information in this book comes from a mixture of sources. The first source is provings. Most provings in this book are meditation provings instead of classical full provings” (Ian Scholten, Secret Lanthanides). Il libro è venduto dal Ian Scholten sul proprio sito internet: http://janscholten.com/product/secret-lanthanides/. Altro autore famoso che utilizzo i meditation provings è Madeline Evans. Ella scrisse un libro Meditative Provings (2 volumi) nel quale riporta 52 nuovi rimedi che, a suo dire, sono utili per affrontare l’Era dell’Acquario. L’influenza New Age è chiara e forte. Un esempio d’“eresia” omeopatica e/o “strategia economica” per conquistare nicchie di mercato?

[18] Il meccanismo d’azione dei rimedi sotto la costante di Avogadro-Loschmidt è spiegato con la legge di Arnt-Schults. Se l‘effetto primario d’una sostanza presa in dose ponderale è causare una determinata sintomatologia, quella stessa sostanza in low dose (diluita e dinamizzata) ha come effetto secondario quello di curare un quadro sintomatico corrispondente. Questo conseguirebbe alla legge di inversione dell’effetto d’una sostanza secondo la dose. Exempli gratia, l’infiammazione causata dalla puntura d’un ape, può essere curata con Apis in low dose.

[19] Il termine idiosincrasia usato in questo contesto non è da confondere con l’uso fatto in psicologia, dove il termine indica una assenza di causa (e/o conoscenza della causa) fisiologica e pertanto un’origine psicologica.

[20] L’Omeopatia non ha effetti collaterali. Un fatto dimostrato da: molti studi e ricerche; pubblicazioni dell’OMS (materiale già citato). L’assenza di effetti collaterali è, inoltre, il motivo per il quale l’Omeopatia è preferita alla Medicina Ufficiale da chi la usa. Arrivare a dire che essa non cura poiché non ha effetti collaterali, non è un argomentum intellettualmente onesto. Exempli gratia, ci sono “infinite” res che hanno effetti terapeutici (preventivi; curativi) senza avere effetti collaterali negativi (salvo usi realmente anormali). L’acqua, e.g., ha effetti terapeutici: restituisce sali minerali; facilita la diuresi; idrata; etc… . Il cibo (e/o alcuni alimenti) ha effetti terapeuti grazie alle vitamine, ai sali minerali, alle proteine, etc … . La Vitamina C, e.g., contenuta negli agrumi e/o kiwi, ha indicazioni terapeutiche: come antiossidante; per lo scorbuto; per l’influenza; nel caso d’infezioni; per rinforzare l’azione del sistema immunitario; nel caso di shock da ustioni o traumatico; etc … . Il complesso B (contenuto nei cereali integrali; latte; etc …) è necessario per la formazione e/o attivazione dei complessi enzimatici vitali. La vitamina B1 è indicata per trattare: la beri-beri; il malassorbimento intestinale; etc… . Etc … .

[21] Exempli gratia, Tsong, quando avanzò ricerche innovative in thema di elettromagnetismo, fu accusato di essere “malato di mente” (Bellavite e Signorini, 1992). I suoi avversari non criticarono le sue ricerche, non riuscendo a falsificarle. Così, spostarono gli attacchi sulla reputazione, dicendo che Tsong era “insano mentalmente”! Infatti, mentre i fatti potevano essere confutati (portando ulteriore attenzione su di essi); … le diffamazioni mosse su “dimensioni interpretative” (sfuggono a qualsiasi contradittorio). Esse inoltre: distolgono l’attenzione dai fatti in oggetto; privano di credibilità la persona e la isolano socialmente. In questo modo, di riflesso, tolgono attendibilità a tutto ciò che sostiene. Un esempio famoso è il caso di Edward Snowden (Greenwald, 2014). Le sue rivelazioni, ben provate e documentate, non potevano essere confutate dal Governo Americano. Quest’ultimo ricorse alla solita strategia: ridicolizzare e togliere credibilità alla persona facendola passare per malata di mente. L’uso abbondante di questa strategia ha alimentato molte critiche che sono state fatte alla psichiatria da movimenti quali quello anti-psychiatry.

[22] Exempli gratia, l’uomo ha imparato a distinguere fra piante commestibili (e.g., frutta; verdura; piante officinali; etc …) e velenose (e.g. i funghi velenosi; cicuta; etc…) prima di conoscere il loro principio d’azione. Exempli gratia, nulla sapeva sulle vitamine e/o sulle tossine e come queste interagiscono con l’organismo. Nonostante ciò, ha imparato ad usarle appropriatamente. Se l’uomo si fosse rifiutato ad usare tutto ciò di cui non conosceva il principio d’azione, si sarebbe estinto subito! Pensate al fuoco. Solo di “recente”, l’umanità ha scoperto i principii d’azione alla base della combustione, della trasmissione di calore e della trasmissione della luce.

[23] Basato sul paradigma “classico” ligando recettore. Un paradigma che può spiegare la sensibilità a piccole tracce in virtù d’un processo di sensibilizzazione causato dallo stesso processo patologico in corso. Anche in psichiatria e nelle neuroscienze sono conosciuti diversi phenomena di “sensibilizzazione”: (1) sensibilizzazione / abituazione; iperestesia / ipoestesia; etc … .

[24] Conformemente a Bellavite & Signorini (1992), ci sarebbero almeno tre fasi di biforcazione: (1) la prima fase è pre-patologica. In essa l’organismo non è ammalato, ma è predisposto ad ammalarsi. Si trova in un momento d'”equilibrio precario” (oscillante fra il normale ed il patologico). L’evoluzione del suo stato, i meccanismi di resilienza e resistenza, possono essere favoriti anche da piccole, piccolissime, informazioni; (2) la seconda fase è reattiva. Tutte le funzioni organiche hanno una doppia valenza. Esse possono favorire la guarigione (retroazione positiva) come creare danni (retroazione negativa). La restitutio ad integrum dello stato di Salute dipende dal tipo di reazione agita dal Sistema. Exempli gratia, una lesione ad un vaso sanguigno spinge il Sistema ad attuare una riparazione attraverso l’aggregazione piastrinica. Questo meccanismo può portare ad una completa guarigione e/o ad una condizione patologica. Exempli gratia, qualora blocchi interamente la circolazione del vaso sanguigno (trombosi; aterosclerosi). In psichiatria è lo stesso. Un evento drammatico (lutto; perdita di lavoro; fine d’un amore; etc…) può causare un profondo stato di tristezza. Questo stato può avere, e.g., un duplice outcome. Da una parte, può favorire un momento riflessivo sulla propria vita (anche) attraverso un ritiro sociale momentaneo funzionale a ritrovare un contatto con se stessi perso nella frenesia del mondo (retroazione positiva; ritorno resiliente). Dall’altra parte, può condurre ad uno stato di distimia, depressione maggiore, ansia, etc … (retroazione negativa; ritorno con perdita e/o patologico);  (3) la terza fase è quella di andamento (malattia cronica). In essa, i sistemi reattivi non riescono a riportare rapidamente lo stato d’equilibrio originario. Di contro, l’organismo attuata un insieme di meccanismi che, sebbene sul momento sono capaci a ridurre la sintomatologia, nel lungo termine portano a condizioni patologiche peggiori. Exempli gratia, l’organismo può: al posto di eliminare le tossine, depositarle ed immagazzinarle; creare iperplasie; spostare le soglie di recettività sensoriali; etc…; etc… . In psichiatria, invece, può creare quadri sindromici al fine di produrre benefici secondari. Questi sintomi, sebbene nel breve termine possano avere valenza adattiva per il soggetto e per il contesto, nel lungo termine (diventando schemi rigidi di comportamento) assumono carattere disadattivo. Tutte queste soluzioni rimandano il problema dal breve al lungo termine.  L’informazione omeopatica, in questo caso, potrebbe spingere l’organismo verso processi di guarigione (evitando l’attivazione di questi cicli viziosi) e/o cercare di sbloccare i cicli viziosi alla base della malattia cronica qualora formatasi.

[25] Conformemente a Bellavite (2002), molti omeopati non si sono interessati al meccanismo d’azione dei rimedi. Essi avevano un approccio pragmatico che guardava solo ai risultati. Altri, invece, a partire da Boyd (1936) hanno cercato di fondare un approccio scientifico che, grazie al progresso scientifico, si è sviluppato dopo la II Guerra Mondiale. Da esso è nata, e.g., l’Omotossicologia in Germania. E’ solo negli anni ‘90 che iniziano le ricerche sul modello biofisico. Esse seguono la pubblicazione d’un articolo “molto controverso” pubblicato da Poitevin, Davenas & Benviste (1988) nel quale, dopo aver riscontrato la capacità delle diluizioni/dinamizzazioni che sono oltre la costante di Avogadro-Loschmidt di causare effetti biologici, affermarono che l’informazione doveva avvenire a livello meta-molecolare. Secondo gli autori, l’acqua avrebbe potuto agire come uno “stampo” per le molecole.

[26] Chi scrive può affermare, in modo provocatorio, che a tutt’oggi l’Homo Sapiens Sapiens non conosce neppure il principio d’azione dell’Universo in cui vive!! Nonostante ciò, l’Homo Sapiens Sapiens non conclude che l’universo in cui vive non può esistere e/o funzionare!! Exempli gratia, il paradigma ufficiale non sa spiegare cosa tiene assieme le galassie. Conformemente alle teorie conosciute, le galassie si dovrebbero disgregare a causa della forza centrifuga. La fisica teorica ha risolto il problema ipotizzando l’esistenza della materia oscura. Questa teoria, accolta scientificamente, non ha “prove” maggiori (anzi assai minori) rispetto a quelle del modello biofisico usato per spiegare l’omeopatia!

[27] Altri esempi storici, quello che avvenne: col fumo; con l’amianto; ed oggigiorno con l’inquinamento elettromagnetico.

[28] Di contro, la riproducibilità di diversi esperimenti fatti con rimedia omeopatici è dimostrata da: Bellavite, Conforti et al. (2006); Fisher (2006); Majewsky, Arlt et al. (2009); Sainte-Laud and Belon (2009); Witt, Bluth et al. (2007).

[29] La “sospensione del giudizio” in questo caso è in parte dovuta alla prassi che richiede livelli di evidenza, prova e riproducibilità, assai maggiori rispetto agli standard scientifici richiesti per tutto ciò che entra in contradizione e/o dissonanza cognitiva col Paradigma dominante, mentre permette a tutto ciò che è conforme e/o verosimile ad esso di fondarsi su standard inferiori. Questi standard maggiori sono necessari per passare le resistenze date dai frames colturali. Di contro, Bellavite (2002) afferma che dalla letteratura emerge già chiaramente che: (1) i rimedi omeopatici (Basse ed Alte Potenze) hanno effetti biologici; (2) c’è coerenza fra i research findings e il corpus teorico dell’Omeopatia (il presente autore ridurrebbe tale affermazione solo ai tre principia); (3) gli effetti delle Alte potenze sono spesso opposti a quelli delle dosi ponderali e/o delle basse diluizioni. Bellavite (2002) sostiene che il phenomenum della “memoria dell’acqua” sia reale sebbene di difficile studio a causa dei limiti degli strumenti tecnologici attuali e dei pochi fondi..Bellavite (2002), inoltre, sottolinea come anche la farmacologia ufficiale oggigiorno riconosce che lo stesso farmaco può avere effetti opposti secondo la dose e/o il tempo di somministrazione (Bond, 2001).

Gli studi usati da Bellavite (2002) per sostenere tali affermazioni sono: Lussignoli et al (1999); Bertani et al. (1999); Ruiz-Vega et al. (2000); Mitra et al.(1999); Datta et al. (1999a; 1999b); Sukul et al. (1999, 2000, 2001); Kundu et al. (2000); Heine & Schmolz (2000); Betti et al. (1997); Brizzi et al. (2000); Cristea et al. (1997); Palermo et al. (2000); Jonas et al. (2001); Chirumbolo et al. (1997); Belon et al. (1999); Fimiani et al. (2000); Dittmann & Harish (1996); Dittmann et al. (1998).

La Capacita’ Umana di Riconoscere le Menzogne. I Lie-detectors et Similia. L’Ordinamento Giuridico Italiano.

And after all, what is a lie? Tis but

The truth in masquerade; and I defy

Historians, heroes, lawyers, priests to put

A fact without some leaven of a lie.

The very shadow of true truth would shut

Up annals, revelations, poesy,

And prophecy …

Praised be all liars and all lies!

Lord Byron, Don Juan

L’articolo in PDF può essere ottenuto a questo link: La Capacita’ Umana di Riconoscere le Menzogne – Articolo

Introduzione: la capacità umana di saper riconoscere le menzogne

Nonostante molti ritengano che l’Homo Sapiens Sapiens abbia sviluppato la capacità di riconoscere le menzogne, come parte del suo adattamento filogenetico[1] (Swanson C. R., Chamelin N. C. et Territo L., 1996); di contro, prove empiriche e sperimentali (research findings) suggeriscono altro. La “specie umana” non è stata in grado di sviluppare questa abilità come adattamento filogenetico[2], neppure come apprendimento attraverso l’esperienza. Alcuni studi indicano che non c’è differenza statisticamente significativa fra “il tirare a caso” ed il provare a riconoscere le menzogne (Ekman et O’Sullivan, 1991). Altre ricerche riportano “come” la capacità di riconoscere le menzogne sia inferiore al caso (Porter S., Woodworth M. et Birt A. R., 2000).

Sebbene molte persone si credano capaci di riconoscere le menzogne, pochissime[3] sono capaci di ottenere risultati migliori del “tirare a caso” (Bartol C. R. et Bartol A. M., 2004; De Paulo et Pfeifer, 1986; Kraut et Poe, 1980). Soltanto gli Agenti della CIA (Central Intelligence Agency) sono riusciti a riportare risultati migliori. Alcuni studi riportato performance del 64% (Ekman et O’Sullivan, 1991). Il che, sigifica fallire 1/3 delle volte.

La metodologia usata è l'”analisi” della comunicazione verbale e non verbale. E’ creduto che, chi mente, sia nervoso per un “innato” senso di colpa. La tensione, il disagio emotivo conseguente, si riflette sui comportamenti osservabili.  Exempli gratia: guardare in basso; evitare di guardare l’interlocutore negli occhi; muovere il pollice in “circolo”; sperimentare secchezza in bocca (Swanson C. R.; Chamelin N. C. et Territo L., 1996; Segrave K., 2004). Gli antichi cinesi, su tali premesse, inventarono il primo lie-detector: masticare un “pugno di riso”. Sputato si inferiva se la persona aveva mentito dal grado di secchezza e/o di umidità che aveva.

Conformemente a Segrave K. (2004), alcune di queste metodologie sono riportate anche negli antichi Veda: i testi sacri della religione Induista (e delle sue precedenti forme: Vedismo e Bramanesimo).

La ricerca psicologica, fisiologica ed etologica, ha suggerito che l’essere umano “tende” a modificare la comunicazione verbale e non verbale quando mente. Secondo Ekman, O’ Sullivan, Friesen et Scherer (1991), la combinazione delle clues verbali e non verbali porta a risultati del 86%. Il loro studio, però, non è stato confermato da altra letteratura.

Secondo Vrij A. (2000), le persone non sono in grado d’usare le “clues” verbali e non verbale per riconoscere le menzogne poiché: “observers do not want to detect a lie“.

Di contro, è opinione di chi scrive che l’incapacità sia una impossibilità. Essa è immanente all’ambivalenza del comportamento umano. Ogni manifestazione comportamentale, fisiologica e/o neuronale, può conseguire ad una pluralità di fattori.

Da ciò deriva l’impossibilità della Scientia a porre legami bicondizionali fra i data comportamentali, fisiologici e/o neurologici, e l’intenzione e/o l’attività del mentire. Nella migliore delle ipotesi, esiste solo un condizionale materiale del tipo: (1) per ogni x; (2) se p (x) allora q (x). Tradotto: (1) valido per tutti gli esseri umani; (2) se un essere umano mente, allora mostra una reazione fisiologica. Di contro, altre volte abbiamo teorie che poggiano solo su un condizionale materiale del tipo: (1) per alcuni x; (2) se p (x), allora q (x). Non mancano quelle semplicemente sbagliate.

Come spiegherò infra, nessuna teoria basata su un condizionale materiale permette d’inferire “qualcosa” partendo dal conseguente q (le clues comportamentali e/o fisiologiche e/o neurologiche). Ciò è provato dal fatto che: non esiste un relazione reciproca (che lega bi-univocamente ed esclusivamente) le due variabili considerate p e q. Non c’è neppure una relazione diretta fra p e q[4].

Di contro, la relazione è:

(1) indiretta. Il conseguente q non è causato da p (il mentire) ma da una terza variabile (mediatore) che funge da ponte: l’arousal. Questa variabile viene attivata da una pluralità indefinita ed indefinibile d’altri fattori n.  Pertanto i data osservati indicano solo presenza di arousal;

(2) duplicemente condizionata. E’ condizionato sia il nesso causativo fra il “mentire” e l’arousal, sia il nesso causativo fra l’arousal ed i “cambiamenti fisiologici”. Esistono quindi altre variabili chiamate moderatori che influiscono sulla “forza della relazione”. Esse possono modulare e/o eliminare l’influenza che la variabile indipendente ha sulla variabile dipendente.

Exempli gratia, tutte le verbal and not verbal clues citate dalla letteratura (variabili dipendenti) sono “indicatori” d’uno stato di arousal (mediatore) che può essere cagionato da qualunque emozione (variabili indipendenti). Il conseguente q, pertanto può avere come antecedente sia p (il mentire) e/o sia non-p (non mentire).

L’arousal, infatti, consegue all’attivazione del sistema autonomo simpatico ed all’asse ipotalamo-ipofisi-surrenali. Pertanto, oltre a conseguire a “qualsiasi” altra emozione, consegue anche a cause fisiologiche.

Alcuni esempi.

L’eye blinkings è considerato come un indicatore comportamentale di menzogna (Karpardis, 2005; Bartol C. R. et Bartol A. M. 2004). Di contro, molte ricerche non confermano tale relazione (Mehrabin, 1971).

L’ampliamento dell’apertura degli occhi (open wider the eyes) che è considerato come un indicatore di menzogna da Swanson C. R., Chamelin N. C. et Territo L. (1996), di contro significa solo sorpresa e/o il desiderio di “vedere meglio” (Eibel-Eibelfeldt, 1993).

Un più alto “pitch of voice” considerato da Kapardis (2005) come indicatore di menzogna presenta forte correlazione con la comunicazione intima (Eibel-Eibelfeldt, 1993).

Etc … etc … .

Tutte le clues possono far inferire solo uno stato di arousal. Qualunque altra deduzione (verità; menzogna; … n) è pura interpretazione retrospettiva a là Weick (1995). Significati verosimili non legati alla Veritas, ma ad obiettivi e/o fini ricercati dal sencemaker. Anche qualora vi fosse un sencemaker “neutrale” (privo d’un particolare obiettivo), essi sarebbero sempre espressione d’una “prospettiva situataa là Marcus et Clifford (1986) e /o d’un frame.

Solo il soggetto interessato, mutatis mutandi, può conosce: se mente, oppure no; se mente sul mentire, oppure no. Tutto il resto è “gioco di prestigio”. Mercanzia venduta dagli scienziati alle fiere che, come osti col vino, dicono essere la migliore!

Dal “per tutti gli x” al “per alcuni x”.

Ogni persona reagisce in maniera differente da ogni altra. Questo risulta in un condizionale materiale valido solo per alcuni x.

Tutti i giocatori di Poker lo conoscono.

Non esistono behavioural patterns universali applicabili in modo standardizzato a tutti i soggetti (per ogni x).

La letteratura lo conferma. Akehurst et al. (1996) e Kapardis (2005) affermano che le persone riconoscono meglio le proprie patterns comportamentali piuttosto che quelle degli altri. In altre parole, affermano l’esistenza di patterns comportamentali differenti da persona a persona.

L’effetto “guardia e ladro” fa’ il resto. Pensate alla dialettica esistente nell’informatica fra gli hakers e gli esperti di cyber-security. I secondi cercano tecnologie sempre più complesse per impedire ai primi d’accedere da un sistema informatico; gli altri fanno l’opposto, in un “gioco infinito”. Il limite della nuova tecnologia è valido solo: per alcuni x.

Coi lie-detectors et similia è lo stesso. Alcuni sviluppano sistemi sempre più sofisticati per scoprire la menzogna. Altri imparano a mentire sempre in modo più sofisticato. Quest’ultimi riducono i lie-detectors a proprio favore. Dal judicium Dei al judicium Scientiae, è sempre l’innocente a perde.

Nessuno può vincere all’interno di questa relazione dialogico ricorsiva che alimenta se stessa.  Per vince, bisogna uscire da essa e tornare a guardare i fatti!

Chi si ricorda di Luca?

“… ogni albero si riconosce dai suoi frutti …” (6, 43-45)[5].

E’ inutile usare radars con “aerei invisibili”. Di contro, una “vedetta” li vede!

Gli esperti di lie-detectors non pensano così. Come affetti da un disturbo cronico recidivante, ritengono i limiti essere “propri” di quella tecnologia. Così chiedono altri fondi per sviluppare nuove tecnologie in un infinito ciclo vizioso. Ma il limite è ontologico e resta immanente ad ogni tecnologia. Semplicemente, assume, di volta in volta, forme diverse e/o finisce per ricadere su piani differenti.

Gli scienziati non l’anno capito; i teologi morali e gli escatologi: sì. L’idea d’un Giudizio Divino (nel quale un Giudice onnisciente è capace di riconoscere il vero dal falso) è stata abbandonata. Si è passati all’“auto-giudizio”. E’ la stessa anima a giudicare se stessa in virtù della sua Coscienza. In altre parole, si riconosce l’ovvio. Solo il soggetto può sapere cosa sia vero o falso nella Sua Vita.

Pertanto, per quanto “some behaviours are more likely to occur when people are lying” (Vrij, 2000) non è possibile uscire dal condizionale materiale. Il conseguente q può derivare (e.g.): sia, da un arousal causato da un “senso di colpa” per aver mentito; sia, da una arousal causato dalla situazione spiacevole in cui l’innocente si trova (Swanson C. R., Chamelin N. C. et Territo L., 1996).

L’errore logico sottostante ad ogni lie detectors et similia.

Esiste un comun minimo denominatore alla base d’ogni bias ed errore dei lie-detectors.

Le teorie scientifiche, fondate sull‘induzione e sulla probabilità statistica, legano phenomena solo con condizionali materiali.

Nel nostro caso, fra il conseguente (elemento oggettivo: cambiamenti comportamentali, fisiologici e neuronali) e l’antecedente (elemento soggettivo: l’intenzione di mentire) c’è un condizionale materiale non un bicondizionale. Di contro, le persone (giudici; scienziati; criminologi; periti; comuni cittadini) lo dimenticano. Esse sostituiscono al condizionale materiale il bicondizionale nel fare le inferenze sui casi singoli!?!?

I lie-detectors rilevano la presenza e/o l’assenza del conseguente (variazione fisiologica). Il conseguente è posto come premessa minore d’un sillogismo condizionale del tipo modus tollens.

Come dimostrato dalla psicologia cognitiva, la stragrande maggioranza delle persone cade in fallacia se poste dinanzi ad un sillogismo condizionale. Nel modus tollens, affermato il conseguente, affermano erroneamente l‘antecedente. Nel modus ponens, negato l’antecedente, negano erroneamente il conseguente. Di contro, in entrambi i casi nulla può essere inferito.

Esplicitiamo il sillogismo condizionale - modus tollens:

  • la premessa maggiore è l’ipotesi scientifica che lega una variabile ad un’altra (la menzogna ad un cambiamento fisiologico): Se p allora q.
  • la premessa minore è data dai data rilevati dai lie-detectors (la presenza dei cambiamenti fisiologici): allora q;
  • la conclusione erronea sta’ nell’affermare l’antecedente p. Dato che c’è variazione fisiologica, Tizio mente.

La struttura logica è:

(1) se p allora q;

(2) affermo q;

(3) concludo p !?!?.

Perché avviene? Le persone (inclusi gli esperti) sostituiscono al condizionale materiale un bicondizionale (se, e solo se, p allora q[6]. Le inferenze erronee commesse, infatti, sarebbero corrette in quest’ultimo caso.

Come si arriva a sostituire il condizionale materiale con un bicondizionale? Faigman D. (2010) ci ha dato un indizio. Scienziati e Giuristi non riflettono sul rapporto intercorrente fra: Scienza e Diritto. Esse sono discipline ontologicamente diverse: ragionano in modo diverso; usano logiche diverse; si occupano di questioni diametralmente opposte.

La Scienza usa il metodo induttivo. Osservando una pluralità di casi (samples), inferisce un legame statistico e probabilistico fra due phenomena alias: un antecedente p; e, un conseguente q. Le leggi scientifiche sono leggi probabilistiche. Alla scienza non interessa sapere se Tizio ricade nell’occorrenza O (oppure no). Alla Scienza intessa sapere la frequenza che hanno i membri x d’una popolazione infinita M a ricadere nell’occorrenza O. Le sue leggi sono basate sul condizionale materiale.

La molteplicità delle teorie atte a spiegare gli stessi phenomena sono conseguenza di ciò. Ognuna d’esse lega uno stesso conseguente q ad n antecedenti p diversi.

La Scienza e lo scienziato nulla può dire sul caso singolo, salvo che l’osservi direttamente. Ma, in tale evenienza, però, non serve né la Scienza, né lo scienziato, ma il testimone!

Di contro, il Diritto usa la deduzione. Partendo da “fatti certi” (assunti attraverso l’istruttoria nel contradittorio delle parti e posti come assiomi e/o premesse del suo ragionamento), ha l’obiettivo d’affermare se un caso singolo e specifico cade (oppure no) nell’occorrenza O. Al diritto non interessa sapere la frequenza che i membri x d’una popolazione infinita M hanno di ricadere nell’occorrenza O. Al Diritto interessa stabilire ed accertare solo se Tizio (alias: quell’unico soggetto fra tutti quelli possibili) sia uno dei casi che ri-entrano (oppure no) nell’occorrenza O.

Il ragionamento giuridico non è un ragionamento probabilistico, ma deduttivo governato dal principio di determinatezza e bivalenza. Nel giudizio c’è un solo stato di verità che può assumere solo due valori: vero e/o valido; falso e/o invalido[7]. Il principio del terzo escluso non ammette altre vie. Il giudice, quindi, ha un compito ben diverso rispetto a quello dello scienziato. Questo si riflette nell’uso di logiche e ragionamenti diametralmente opposti.

Non ha senso per il diritto dire che Tizio potrebbe rientrare all’80% in O. Se si condanna su tale base, tanto vale condannare “a caso” l’80% d’una intera popolazione M perché lo dice una teoria! Questo è scientismo; nulla di diverso dal fideismo. Pertanto su tale sola base: o, si assolve sempre (poiché mai c’è la certezza); o, si condanna sempre (poiché c’è per tutti una maggior probabilità). Di contro, la decisione deve essere basata su altri fattori.

Pertanto, le teorie scientifiche non trovano alcuna applicabilità nel Diritto (alias: in un ragionamento sul caso singolo nel quale è da inferire l’antecedente p, provato ed affermato il conseguente q). Per inferire qualcosa occorre un bicondizionale. Così, l’Homo Sapiens Sapiens risolve il problema: ragiona come se ci fosse il bicondizionale!

E’ pertanto evidente che la conoscenza probabilistica della scienza (col suo condizionale materiale) non ha alcuna utilità nel giudizio in quanto, anche se è capace di provare il conseguente q, non permette d’inferire alcun “ignoto” antecedente p. Quest’ultimo potrebbe essere dedotto solo da altri fattori. Quest’ultimi: (1) se esistenti, rendono inutile il ricorso al condizionale materiale della Scienza; (2) se assenti, non rendono possibile inferire nulla dal condizionale materiale della Scienza (usato come illustrato ut supra). Diversamente si ricade in nuove superstizioni, nuovi fideismi, nuovi feticismi, … mascherati da scientismo. Tutti frutti d’ideologie pericolose conseguenti al mito del progresso a là Hatch (2006).

Passare dalla prova sul conseguente all’affermazione dell’antecedente nel condizionale materiale è nulla di più d’un inganno sofista.

Quanto detto supra vale per un condizionale materiale del tipo: (1) per tutti gli x; (2) Se p (x), allora q (x). Esso ci permette almeno d’affermare il conseguente q, accertato l‘antecedente p.

Di contro, la Scienza fornisce alcune leggi basate su un condizionale materiale diverso: (1) per alcuni x; (2) se p (x) allora q (x).  In questo caso, assolutamente nulla può essere dedotto! Non solo non è possibile inferire l’antecedente (una volta affermato il conseguente), ma neppure inferire il conseguente (una volta affermato l’antecedente). La regola vale solo per alcuni x, noi non sappiamo se il nostro x è fra questi oppure no.

Questo ci porta ad affermare che la Scienza si presta a moderni sofismi atta a “prostituirla” al servizio degli interessi economici e/o fini d’una parte.  Sofismi capaci di gabellare anche gli esperti privi d’una adeguata capacità critica logico-epistemologica.

Nonostante l’evidenza dell’errore denunciato, esso avviene quotidianamente a tutti i livelli.

Nelle Scienze Criminologiche, Psicologiche e Sociali domina incontrastato.

E’ necessario ai Giudici acquisire competenze interdisciplinari ed una capacità critica logico-epistemologica[8] al fine d’assolvere pienamente al proprio compito. Una capacità necessaria anche per essere in modo efficace un reale peritus peritorum competente a declinare la Scienza all’interno del processo attribuendole il giusto “peso” e “significato”.

Oggigiorno, l’essere peritus peritorum non è più limitato a decidere fra opposte consulenze, ma richiede la capacità di valutare ed attribuire il “giusto valore e significato” al dato scientifico senza cadere nello scientismo e/o nel feticismo tecnologico.

Questo non si realizza con Collegi Misti (composti da Giudici Togati ed Esperti non laureati in Diritto). L’Esperto (Giudice Onorario) deve sempre essere, prima di tutto, un laureato in Diritto con forma mentis giuridica. La conoscenza d’altre discipline deve conseguire a questo, legittimando l’ingresso onorario nella magistratura in veste di Esperto. Solo un esperto, così formato grazie alla forma mentis acquisita, può garantire:

  • una reale integrazione fra Diritto e Saperi diversi;
  • una reale comprensione del caso giuridico e di “come” declinare la Scienza in esso;
  • un effettiva capacità di dialogare, comprendere e comunicare, col Collegio e tutte le Parti processuali (parlandone la stessa Lingua).

Solo i Giuristi garantiscono una corretta amministrazione della Giustizia, la salvaguardia dell’Ordinamento Giuridico e dei suoi principii. Persone non laureate in Diritto, senza una forma mentis giuridica, non possono essere la Vox Legis e/o dei Giudici. Dovrebbero limitarsi al ruolo d’ “expert witness” all’occorrenza.

Da cosa scaturisce la perseveranza della letteratura nel sostenere la validità di tali strumenti? Perché qualcuno ci crede e li usa?

Nuovamente è la psicologia cognitiva che ci spiega la fallacia sottostate a tale perseverazione.

Tutte le teorie, ipotesi e/o informazioni, dovrebbero essere falsificate al fine di ritenerle valide od invalide. Di contro, le persone hanno la tendenza a verificare. Verificare “qualcosa” non è falsificare. Il verificare, infatti, il più delle volte porta a confermare teorie e/o informazioni false. Ciò è frequente nelle scienze sociali ed in psicologia. Si cercano ed “ingigantiscono” gli elementi corroboranti; si trascurano e “minimizzano” quelli confutanti. Non solo, si arriva pure a creare eventi, comportamenti e situazioni, che non sarebbero mai esistiti se non ci fossero state quelle credenze (che per quanto false), condizionando gli atteggiamenti ed i comportamenti delle persone e degli Agenti Sociali, creano ex post confermation bias. Creato quest’ultimo, poi si passa a convalidare la falsa credenza iniziale: post hoc, ergo propter hoc (Epis, 2012-2015)[9]!

Questo tipo d’errore prospera in psicologia. La prova è studio di Rosenhan (1973).

Nell’esperimento fu data una informazione errata a psichiatri, psicologi ed infermieri. Essa fu che alcune persone erano “malate di mente”, quando ciò era falso. Tutti gli psichiatri, psicologi ed infermieri, della Struttura furono incapaci a riconoscere l’errore. Questo avvenne poiché nessuno cercò di falsificare l’informazione data. Di contro, tutti la posero a verificazione. La verifica fu data re-interpretando tutto il comportamento normale come sintomo della “inesistente malattia mentale”!

Questo è un esempio di come funziona la verificazione. Questo è un esempio del perché è necessaria la falsificazione che, in pratica, mai avviene in Psicologia!

Wason (1966) ha dimostrato la tendenza a verificare le ipotesi (non a falsificarle) con l’esperimento delle 4 carte.

Abbiamo su un tavolo 4 carte. Esse hanno dei numeri da un lato e delle lettere dall’altro. Le carte sono le seguenti:

  • la prima ha una “A”;
  • la seconda ha una “C”;
  • la terza un “2”;
  • la quarta un “3”.

La regola da “accertare” è: se le carte hanno una vocale su un lato allora esse hanno un numero dispari sull’altro. La forma logica è: (1) per tutti gli x; (2) se p (x) allora q (x).

La maggioranza delle persone, ovvero il 90%, sceglie di girare la carta con la vocale “C” e quella col numero pari “3”. Questi due “valori” corrispondono alle variabili logiche: “non-p“; e, “q“. Questi due valori sono irrilevanti al fine di valutare la correttezza della regola di questo condizionale materiale. Infatti, conformemente alla tavola di validità del condizionale materiale:

  • all’accadimento dell’antecedete non-p, può conseguire sia q e sia non-q;
  • all’accadimento al conseguente q, può antecedere sia p che non-p.

Il condizionale materiale, infatti, resta valido in entrambi i casi detti supra. In questo modo, ponendo a verifica la regola posiamo ritenerla vera anche se falsa. Solo falsificandola, possiamo accertare se la regola è vera. Per farlo dobbiamo girare “A” e “2”. “A” equivale a p; “3” a non q. Il condizionale materiale richiede che: (1) affermando p “A” debba conseguire q (un numero dispari sul retro) per essere valido; (2) affermando il conseguente non q “2”, l’antecedente non può essere p (una vocale).

Pertanto:

(1) la tendenza a verificare (non a falsificare);

(2) l’esistenza del crud factor[10];

(3) l’esistenza della profezia che si auto-avvera (Merton, 1967)[11];

(4) l’esistenza del meccanismo del post hoc, ergo propter hoc[12];

(5) n

… giocheranno sempre a favore del convalidare “qualcosa” anche se errato.

Anche nella Scienza, infatti, salvo rari casi dove tutto è chiaramente bianco o nero, il resto è grigio. Nel grigio, si può corroborare “tutto quello che si vuole” per i motivi indicati supra. Cosa corroborare è solo una scelta politica e/o d’interesse. Tale corroborazione non prova che il fatto sia vero.

Dalla Logica alla Retorica

Mentre la struttura formale della sentenza assume la forma logica del sillogismo (dando l’illusione della correttezza di quanto affermato da essa), le premesse assunte come argomenti ricadono nel libero arbitro. Tutto quanto attiene all’interpretazione della fattispecie giuridica e fattuale spesso presenta doppie valenze e/o si presta a n letture diverse. Exempli gratia, ciò è possibile agendo sul contesto e/o sulle prospettive situate.

Pertanto la logica formale non è applicabile a ciò che diventa premessa del sillogismo. A questo livello agisce solo la logica dei valori a là Perelman. Quest’ultima serve solo a rendere razionale (e promuovere consenso su) una scelta presa e fatta a priori rispetto all’argomentazione adottata.

La scelta consegue ad un interesse; l’argomentazione alla scelta. Quest’ultima ha l’obiettivo di rendere razionale e condivisibile la scelta, nascondendo l’interesse per il quale è stata fatta!

L’argomentazione non è il motivo della scelta, ma la conseguenza di essa.

Non solo. Le premesse possono conseguire a fallacia logiche quali quelle esaminate supra nel caso del sillogismo condizionale.

Altre derivano da costrutti contradittori dai quali è possibile affermare tutto e l’opposto di tutto: ex falso quodlibet. Questo accade spesso nelle Scienze Psicologiche e Sociali. Epis (2006; 2015) dà un esempio di ciò applicato al costrutto della personalità antisociale.

Gli strumenti tecnologici per il riconoscimenti delle menzogne: i lie-detectors

Voice lair detectors e/o Psychological Stress Evaluetor PSE

Conformemente a Kapardis (2005) e Bartol C. R. e Bartol A. M. (2004), il PSE si basa sui seguenti assunti: 1) quando una persona mente avvengono dei cambiamenti nella sua voce; 2) questi cambiamenti sono causati da una serie di mutamenti fisiologici nel soggetto; 3) questi mutamenti fisiologici sono determinati dalla condizione di stress (arousal) prodotta dal mentire.

Pertanto il PSE cerca di identificare nella voce tutti quei “low frequency changes” (difficili da rilevare attraverso l’orecchio umano) al fine di poter riconoscere un incremento di arousal. Quest’ultimo produrrebbe dei micro-tremori nelle corde vocali e nella muscolatura coinvolta. Nonostante l’entusiasmo iniziale e la sua ampia utilizzabilità (Karpadis, 2005; Segrave K., 2004), diversi studi hanno riportato come il PSE non riporti performance migliori rispetto al “tirare a caso” (Karpadis, 2005; Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004).

L’errore, come detto supra, è nei presupposti. Lo strumento rileva mutamenti fisiologici legati all’arousal non alla menzogna.

Che il legame fra i mutamenti fisiologici in questione e la menzogna sia un condizionale materiale è dimostrato da Lykken D. T. (1988) e Eibl-Eibelsfeldt (1993). Micro variazioni nella voce possono conseguire anche quando il soggetto dice il vero. Exempli gratia, qualora si senta a disagio (si pensi al contesto dell’interrogatorio) e/o qualsiasi altro fattore che attiene alla dimensione affettivo-emotiva che si è generata con l’interlocutore.

Poligraph (Rilevant-Irrilevant technique R-I; Control Question Test CQT; Guilty Knowledge Test of information test GKT)

I poligragh sono strumenti tecnologici che, rispetto al PSE, hanno una maggiore “sensibilità” nel rilevare stati di arousal. Questo “vantaggio”, però, è controbilanciato dall’avere una minore versatibilità. Lo strumento misura una pluralità di cambiamenti fisiologici. Da questo deriva il nome: poly (molte); graph (misure). L’assunto alla base del suo funzionamento è il seguente: i cambiamenti fisiologici sono legati alla comparsa d’uno stato di arousal. Esso sarebbe causato dalla “paura” d’essere identificato come mentitore (Howitt D., 2002).

Pertanto, in via preliminare, possiamo notare lo stesso errore logico descritto supra. Non è possibile porre il connettivo logico, bicondizionale, fra il conseguente “mutamenti fisiologici” (arousal) e l’antecedente “paura d’essere scoperti come mentitori”.

Conformemente a Bartol C.R. e Bartol A. M. (2004), Kapardis (2005), Raskin D. C. (1989) e Vrij A. (2000), esistono diverse tecniche utilizzabili per rilevare le risposte fisiologiche attraverso il poligraph. Queste sono: R-I (relevant – irrelevant technique); CQT (control question technique); GKT (guilty knowledge test or Information test). Queste sono le tre metodologie maggiormente utilizzate.

Oltre ad esse, esistono altre tecniche meno usate quali: relevant – relevant procedure (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004); direct lie control test (Raskin D. C., 1989). La prima è stata una tecnica sviluppata per risolvere alcune debolezze metodologiche del R-I method. La seconda, di contro, è stata un tentativo di risolvere alcune criticità emerse col CQT.

Rilevant-Irrilevant technique R-I

La tecnica R-I si basa sull’assunto che: la paura di essere identificati come bugiardi produce differenti risposte fisiologiche nel soggetto “to rilevant question over the irrilevant ones” (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004). Questo assunto, per le ragioni viste supra, non è sempre vero. L’arousal misurata è legata solo ad uno stato di attivazione emotivo. Pertanto, l’attività fisiologica può accadere anche quando uno dice il vero (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Gale A., 1988). L’ansia sperimentata da un innocente è sufficente a causare risposte positive alle rilevat question (Kapardis, 2000). Questa metodologia non ha raggiunto neppure accettabili livelli di validità interna ed esterna (Raskin D. C., 1989).

Control Question Test CQT

Il metodo CQT si avvale di tre tipi di domande: le domande neutrali; le domande rilevanti; le domane di controllo (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Vrij A., 2000; Raskin D. C., 1989). La sua peculiarità è nelle domande di controllo. Attraverso le domande di controllo si cerca di rilevare il tipo di risposta fisiologica data dall’organismo quando cerca di negare un comportamento supposto comune a tutti. La reattività fisiologica emersa viene poi confrontata con la reattività fisiologica mostrata nelle relevant questions (Vrij A., 2000; Raskin D. C., 1989). C’è solo una pecca. Negare un comportamento fatto da tutti, indica imbarazzo nell’affermarlo. Quindi l’arousal misurata è quella dell’imbarazzo. Non è quella del “senso di colpa per aver mentito” e/o per la “paura d’essere scoperti mentitori”!

Altri problemi di questa metodologia rilevati dalla letteratura sono: (1) la difficoltà intrinseca nel costruzione le domande di controllo “that will elicit stronger physiological responses in innocent than relevant question about crime” (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Vrij A., 2000; Raskin D. C., 1989); (2) la rilevazione di arousal emotivo in soggetti innocenti causato da ragioni che nulla hanno a che vedere col senso di colpa per l’aver mentito (Vrij, 2000); (3) la debolezza dei fondamenti teorici su cui è basato (Ben-Shakher G., 2002); (4) una inadeguata standardizzazione (Ben-Shakher G., 2002); “lack of objective quantification of the physiological responces” (Ben-Shakher G., 2002); (5) il problema della “contaminazione” dalle risposte non-fisiologiche (Ben-Shakher G., 2002); (6) la credenza che i soggetti esaminati hanno sull’infallibilità del test (Vrij, 2000). Exempli gratia, qualora i soggetti esaminati non credono all’infallibilità del test, essi non emetteranno risposte fisiologiche utili ai fini della validità del test.

Guilty knowledge test o information test GKT

Il GKT è considerata la metodologia migliore per rilevare le menzogne (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004; Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002). Nonostante ciò, poco lavoro è stato fatto per la sua implementazione (Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002).  Conformemente a Raskin D. C. (1989), Vrij A. (2000), Kapardis A. (2005), questo metodo utilizza domande costruite con “materiale non conosciuto” della scena del crimine. Le informazioni utilizzate possono essere conosciute solo dalle persone che sono intervenute sulla scena del crimine (operatori) e dal reo (che lo ha commesso).

Il test assume la forma di domande a scelta multipla. Il suo scopo non è quello di rilevare la menzogna, ma la presenza di “guilty knowledge“. Quest’ultima è rilevata osservando l’eventuale presenza d’una forte risposta fisiologica in correlazione con le alternative che sono legate alla scena del crimine. Il miglior discriminatore fisiologico, per valutare la presenza o l’assenza di guilty knowledge, è dato dalle electro-dermal responces (Kapardis A., 2000; Raskin D. C.,1989).

Secondo Ben-Shakher G. e Elaad E. (2002), il CQT può risolvere molti problemi legati alle precedenti metodologie. Esso usa una procedura standard. Questo fa sì che tutti i soggetti sottoposti al test sono esposti alla stessa esperienza. Esso risulta capace di diminuire il rischio di bias indotto dalle risposte non-fisiologiche. Esso presenta un grado di accuratezza che può essere stimato da studi di laboratorio. E’ ipotizzata una riduzione dei falsi positivi.

Di contro, la validità interna (misurata in laboratorio) poco ci dice sulla validità ecologica. Questo metodo, ancora, dipende interamente sulla quantità di elementi non conosciuti al pubblico utili per creare un numero sufficiente di domande (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004).

Altri limiti sono dati dalla percezione ed attenzione del reo stesso. Il reo, infatti, potrebbe non aver percepito alcuni aspetti della scena del crimine notati da chi costruisce le domande (Vrij A., 2000). Ancora più banalmente, il reo potrebbe aver scordato molti elementi della scena del crimine (Vrij A., 2000).

Altri limiti sono dati da alcuni aspetti pratici: il numero esiguo di operatori capaci ad utilizzare questa metodologia (Bartol C. R. e Bartol A. M., 2004) in quanto non inclusa in molti programmi di formazione; il numero esiguo di casi criminali reali nei quali può essere usata (kapèardis A., 2005; Vrij A., 2000).

E’ stato rilevato anche che la guilty knowledge può essere presente anche in soggetti diversi dal reo (Vrij A., 2000). Un semplice testimone che, per non essere coinvolto neghi il fatto, può essere erroneamente qualificato come reo.

Per tali motivi, chi scrive considera errato concludere che il GKT protegge gli innocenti dall’essere sospettati e/o accusati erroneamente per un crimine non commesso come, di contro, è affermato da alcuni (Kapardis A., 2005; Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002).

Errori e Bias comuni nei poligraphes

Indipendentemente alla struttura logica posta a fondamento delle inferenze assunte, la letteratura presenta una pluralità di bias comuni a tutte le metodologie utilizzate nel poligraph.

L’esperienza degli operatori (Kapardis A., 2005); l’utilizzo di “contromisure” da parte degli esaminati atte a “contaminare” i data rilevati (Vrij A., 2000; Gudjonsson G. H., 1988; Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002; Honts C. R. & Amato S. L., 2002); l’azione del confermation bias quando l’operatore ritiene l’esaminato il possibile reo (Howitt D., 2002); … ne sono un esempio.

Le contromisure non sono solo quelle apprese da soggetti con appositi training[13], ma anche tecniche comuni che chiunque può improvvisare al momento.

Nonostante alcuni autori dubitino dell’efficacia di quest’ultime (mordersi la lingua; tendere i piedi; contare le pecore; contare all’indietro; visualizzazioni; etc…), esistono una pluralità di studi che confermano come l’uso delle contromisure possa nullificare la capacità discriminativa del poligraph (Vrij A., 2005). Honts C. R. & Amato S. L. (2002) riportano diverse contromisure impiegate efficacemente con le differenti metodologie (R-I; CQT; GKT).

Le critiche più forti, in aggiunta, sono fatte contro i fondamenti teorici e metodologici sui quali i poligraph sono basati (Ney T., 1988; Lykken D. T., 1988).

Ney T. (1988) ha identificato quattro assunti posti alla base dei poligraph: (1) l’essere umano non può controllare le sue risposte fisiologiche ed i suoi comportamenti; (2) specifiche emozioni possono essere predette da specifici stimoli; (3) esistono specifiche relazioni fra alcuni parametri fisiologici ed alcuni comportamenti; (4) non esistono differenze nelle risposte fisiologiche delle persone. Lo stesso autore, dopo avere esaminato tali assiomi, conclude che sono tutti quattro errati. Le persone possono imparare a controllare le loro risposte fisiologiche; non esistono reazioni fisiologiche specifiche legate univocamente a specifiche emozioni (l’arousal è unica per tutte); le relazioni fra i diversi parametri delle emozioni sono deboli; l’attivazione fisiologica legata alle emozioni degli individui può variare.

Lykken D. T. (1988) sostiene come l’essere umano non abbia risposte fisiologiche specifiche e proprie del mentire. Sulla stessa linea è Bull R. M. (1988). In altre parole, questi autori provano empiricamente l’inesistenza d’un bicondizionale.

Un altro problema, poco considerato in letteratura, è l’incapacità dei lie-detectors di distinguere fra menzogne e false memorie. Un soggetto può risultare veritiero anche se dice il falso qualora riporti una falsa memoria e/o sia convinto di dire il vero.

Allo stesso modo, un soggetto che dice la verità può passare per mentitore se è stato portato a dubitare d’essa (e.g.: condizionamento sociale; pressione sociale; interrogatori di polizia “poco ortodossi”; etc…).

Tutte queste critiche sono fondate dall’elevata percentuale di errori commessi dai poligraphes. In particolare, per i motivi logici descritti supra, il livello dei falsi positivi è maggiore rispetto ai falsi negativi (Carroll D., 1988).

Anche la reliability emersa dagli studi di laboratorio (Ben-Shakher G. e Elaad E., 2002) è stata criticata (Howitt, 2002). Quest’ultimo autore afferma che la validità interna ottenuta negli studi di laboratorio non possa dare alcuna validità ecologica. Il contesto emotivo dei due settings è fortemente diverso. Una cosa è fallire il test in una simulazione di laboratorio; altra cosa è fallire il test durante una indagine criminale. Non a caso, persone con alibi deboli (seppur innocenti) preferiscano confessare falsi crimini per ottenere conseguenze penali assai più tenui, piuttosto che dichiararsi innocenti contro un lie-detector, rischiando sanzioni penali molto più pesanti.

Per tali motivi, non sono d’accordo con chi sostiene che: la confessione d’un falso crimine (dopo un polygraph positivo) consegue al dubbio creato da questo sulla memoria (Vrij A., 2000). Di contro, è assai più probabile che sia la scelta razionale di chi si trova d’innanzi un sistema giuridico basato sulle fallacie logiche dette supra che portano l’innocente a confessare “falsi crimini” per ottenere conseguenze giuridiche miti.

Ciò è provato in Italia nella giurisdizione tributaria. Lo spesometro e gli studi di settore possono essere visti “come” lie-detectors sulla verità o falsità della dichiarazione del contribuente. Ricevuto un accertamento basato sullo spesometro e/o sugli studi di settore, nessuno dubita sulla propria memoria e/o innocenza. Il contribuente fa solo una valutazione razionale fra i costi per resistere in giudizio (con il relativo rischio sull’esito) ed i costi conseguenti la definizione agevolata della controversia (ammettendo l’illecito non commesso). Di contro, la definizione agevolata fatta dall’innocente (come scelta razionale[14]) viene usata dall’Agenzia delle Entrate come una confessione dell’illecito “commesso” e della sua colpevolezza e, pertanto venir usto ex post per fondare la validità dello strumento stesso come mezzo idoneo per scovare i bugiardi!! Ex post, ergo propter hoc. Ciò contribuisce pure a gonfiare le statistiche sugli illeciti e sull’evasione.

Metodologie con fMRI

La risonanza funzionale elettromagnetica fMRI è stata proposta come possibile soluzione alle debolezze del PSE e del Poligraph.

Come il GKT, la fMRI cerca di rilevare guilty knowledge.

Ciò è fatto osservando le neuro-immagini delle aree dell’encefalo attivate.

Secondo Kapardis A. (2005), questa metodologia è più affidabile del GKT, poiché sarebbe in grado di escludere l’uso di contromisure. Di contro, chi scrive è meno ottimista. Gli errori logici ed i bias rilevati supra restano anche il questo caso. Essi sono trasferiti da un sistema ad un altro. Prima era errato un bicondizionale fra le risposte fisiologiche ed il mentire. Adesso è errato un bicondizionale fra l’attivazione di certe aree celebrali ed il mentire. Anche nelle neuroscienze, almeno in questo caso, abbiamo un condizionale materiale.

Le neuroscienze sono un campo periglioso. Ogni area può essere attivata da una pluralità di processi e funzioni diverse (e.g. Benso F., 2013). E’ la conoscenza a priori dei processi mentali attivati a dare significato alle neuro-immagini e non vice versa. Non esiste un modulo della menzogna incapsulato, corrispondente univocamente ad un area celebrale specifica.

Un bicondizionale, d’altronde, implicherebbe un rigoroso determinismo atto ad escludere sempre la colpevolezza e la responsabilità del soggetto. A quel punto non avrebbe più senso parlare di responsabilità penale (criminale e/o amministrativa).

Non solo. Ogni immagine è mediata da un computer e da un software. Entrambi hanno tutti i limiti: della tecnologia pro tempore; delle conoscenze del programmatore; degli errori di misurazione; etc …[15].

Ancora, l’immagine è nulla di più d’una mappa che non corrisponde al territorio.

Woodruff W. A. (2014) ha rilevato forti limiti nell’impiegare la fMRI come lie-detector. Essi sono: l’assenza di una validità esterna ed ecologica. Tutti gli studi sono stati fatti in laboratorio con soggetti pagati per mentire.

La fMRI è incapace di distinguere fra credenze soggettive (incluse false memorie) e verità oggettive.

Nonostante ciò, l’Ordinamento Italiano ha mostrato una certa apertura alle neuroscienze (Gusmai A., 2017). L’autore riporta come dal 2009 ad oggi, le neuroscienze hanno fatto ingresso in alcune vicende giudiziarie. Questo sarebbe avvenuto sulla base dell’assioma per il quale: “tutte le attività umane – non solo i muoventi corporei, ma anche quelle più complesse come la formazione di giudizi morali e la percezione di emozioni – dipendono da connessioni neurali” (Gusmai A., 2017).

La tecnica neuro-scientifica che sembra aver conquistato la “simpatia” del Tribunale di Cremona è l’a-IAT: “deve subito essere sottolineato, al fine di evitare ogni equivoco, che tali metodologie nulla hanno a che vedere con antiquati tentativi di verificare la <<sincerità>> di un soggetto tramite lie detectors o poligrafi, strumenti che pretenderebbero rifondare la valutazione su grossolani sintomi psico-fisici del periziando … … l’analisi delle risposte non si basa su interpretazioni soggettive … …, ma su analisi algoritmiche computerizzate” (Trib. Cremona, G.U.P, 19/07/2011).

Quindi, passiamo ad analizzare l’a-IAT.

Autobiographical Implicit Assocetion Test a-IAT

Il test a-IAT deriva dall’Implicit Assocetion Test (IAT). Ha la finalità di rilevare la presenza d’una traccia mnestica (di tipo autobiografica) nella memoria di lungo termine (MLT). Il metodo misura ed utilizza i tempi di latenza nel rispondere alle domande. Quest’ultime includono: domande neutre; e, domande relative alla traccia mnestica da verificare.

La presenza della traccia mnestica nella MLT è inferita da un minor tempo di latenza. Di contro, l’assenza è inferita da un maggior tempo di latenza.

Lo strumento può essere impiegato come lie-detector. In quest’ultimo caso, il mentire causerebbe un maggior tempo di latenza a causa del conflitto intrapsichico che si genererebbe nel soggetto e dello sforzo cognitivo che è necessario per superarlo (Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A., 2014). Questa spiegazione, però, è influenzata dal paradigma psicodinamico. Un paradigma non scientifico, ricco di costrutti vuoti e caratterizzato da derive semiotiche (Epis, 2011/2015). Questo rende impossibile comprendere la natura dei tempi di latenza e porre a falsificazione la teoria alla base dell’a-IAT[16].

Di contro, i tempi di latenza hanno spiegazione nella struttura del funzionamento mentale e nelle neuroscienze.

Il funzionamento del sistema attentivo-esecutico descritto dalle neuroscienze ci fornisce una chiara esposizione della struttura mentale e della natura dei tempi di latenza.

Maggiori tempi di latenza sono dati: (1) dalla richiesta di maggiori risorse attentive; (2) dall’intervento del Sistema Attentivo Supervisore a là Shallice (1988) e l’uso di funzioni esecutive.

Passare dalla modalità automatica alla modalità cosciente richiede l’uso di maggiori risorse attentive e l’intervento del Sistema Attentivo Supervisore (SAS). La capacità limitata delle risorse attentive causa i tempi di latenza maggiori.

Exempli gratia, un pianista suona un pezzo musicale appreso da tempo (Per Elisa di Beethoven) conversando amabilmente con un amico. Il pezzo musicale è suonato in modo automatico e non richiede: (1) l’impiego di risorse attentive (maggiori rispetto a quelle presenti nel modulo dedicato); (2) l’intervento del SAS. Questo permette di dedicare risorse attentive ad altre attività: parlare con l’amico.

Questa attività è parte d’un modulo appreso di terzo tipo che ha un suo processore “dedicatoa là Moscovitch e Umiltà (1990) chiamato condensatore (Benso, 2007). Le risorse attentive necessarie sono fornite da quest’ultimi. Pertanto, non è necessario l’intervento del SAS che può occuparsi di compiti diversi.

Riferire “qualcosa” d’appreso (alias: codificato nella MLT) è equiparabile ad un comportamento automatico: suonare un “pezzo musicale” appreso da tempo.

Di contro, mentire richiede d’uscire dall’automatismo. Bisogna creare una “versione diversa ed alternativa” della Storia. Ciò richiede l’intervento del SAS, delle funzioni esecutive e di maggiori risorse attentive[17].

Quindi, minori tempi di latenza derivano da comportamenti automatici et similia per i quali non occorre l’intervento del SAS. Maggiori tempi di latenza indicano comportamenti coscienti che richiedono maggiori risorse attentive, l’intervento del SAS e delle funzioni esecutive.

Quando un soggetto mente deve costruire una versione alternativa. Questo richiede l’intervento del SAS, di maggiori risorse attentive e diverse funzioni esecutive, quali:

(1) la funzione esecutiva dell’inibizione. Il soggetto deve inibire l’automatismo che lo porta a dare la risposta appresa (alias: conforme alla traccia mnestica). Quest’ultima agisce come un distrattore e/o interferenza, entrando in “competizione” con le “diverse risposte” che il soggetto desidera dare.

(2) Successivamente, il SAS deve attivare la funzione esecutiva dello switch, passando dalla versione storica codificata nella MLT alla versione alternativa;

(3) Poi, bisogna mantenere la versione alternativa nella memoria di lavoro (MBT). Ciò richiede la funzione esecutiva dell’update e controllare, di volta in volta, ogni interferenza.

(4) Ancora, può essere necessaria la funzione esecutiva della pianificazione, auto-monitoraggio ed auto-controllo.

Questo causa maggiori tempi di latenza nel mentire.

Comunque, salvo la diversa spiegazione data ai tempi di latenza, concordo con due conclusioni presentate da Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A. (2014). Quest’ultimi hanno ragione nel: mettere in dubbio la validità del test a-IAT; e, sollevare perplessità verso l’art. 188 c.p.p. (principio della libertà morale).

Una prova sulla poca affidabilità dell’a-IAT è data dall’esperimento di Vershure, Prati, De Houwer, (2009). Lo studio riporta i data sulle prestazioni ottenute da un gruppo di studenti ai quali fu insegnato a mentire all’a-IAT. Essi hanno riportato performance, nel far passare delle menzogne per memorie autentiche, fino al 78%.

L’a-IAT, infatti, non discrimina fra ricordi reali e falsi ricordi (ricordi apparenti; falsi riconoscimenti).

L’a-IAT, pertanto, è privo della struttura logica del bicondizionale e conserva molti dei limiti comuni a tutti i lie-detectors. Per non essere ripetitivo, presenterò solo alcune osservazioni neuro-scientifiche.

Il conseguente q del condizionale materiale alla base dell’a-IAT può essere causato da un qualsiasi fattore di disturbo (interferenza e/o distrattore) atto a far uscire il soggetto da una modalità esecutiva automatica, richiedendo l’intervento del SAS.

Esso può essere semplicemente un fattore di disturbo ambientale. A ciò si aggiunge che le variazioni nei tempi di latenza sono legate in modo dialogico ricorsivo: alla motivazione; alle emozioni; alle condizioni fisiche.

Pertanto, nulla cambia rispetto a quello che abbiamo detto per gli altri lie-detectors.

Di contro, mentire all’a-IAT è semplice. Basta passare da una modalità cosciente (governata dal SAS) ad una modalità esecutiva automatica, routitudinaria. Qualunque “cosa” può essere appresa e resa automatica con la ripetizione e l’allenamento. L’allenamento serve anche a ricaricare il processore dedicato e le risorse attentive autonome “stanziate” per l’esecuzione del comportamento automatico appreso.

Dato che il SAS e le risorse attentive intervengono solo nel caso in cui le azioni, comportamenti o apprendimenti, automatici o routitudinari, siano insufficienti e/o non disponibili a garantire una prestazione efficiente (Lewis e Todd, 2007; 2007), nessun maggior tempo di latenza è rilevato qualora il soggetto renda la “versione alternativa” una risposta automatica.

Ancora, le funzioni esecutive, le risorse attentive, possono essere allenate ed aumentate, e.g., con i “doppi compiti non automatizzati”.

Se un soggetto fosse “pigro”, invece, può ricorrere all’auto-suggestione, l’auto-ipnosi, l’etero-ipnosi.

Come detto, l’a-IAT (ed ogni altro lie-detector) è incapace di distinguere fra verità oggettiva e soggettiva, fra memorie reali e false , etc… .

Principio di libertà morale (art. 188 c.p.p.) e lie-detectors nella casistica Italiana.

I lie-detectors hanno fatto ingresso nel processo Italiano dalla “porta di servizio”.

Conformemente a Gusmai A. (2017) e Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A. (2014), l’ingresso è avvenuto attraverso le CTU. Le neuroscienze e neuro-immagini, e.g, sono state usate nelle CTU per vagliare la capacità di intendere e volere.  Exempli gratia, la Corte d’Assise d’Appello di Trieste (sentenza n. 5/2009) ha riconosciuto la parziale incapacità di intendere e di volere ad un algerino che uccise un colombiano poiché lo chiamò: “omosessuale”. La Corte riconobbe che: (1) il soggetto aveva un grave disturbo psichiatrico documentato; e, (2) presentava una “vulnerabilità genetica” verso comportamenti aggressivi qualora provocato dal contesto sociale. Le neuroscienze furono usate per integrare e corroborare la diagnosi psichiatrica descrittiva.

Conformemente a Merzagora I, Verde A., Barbieri C. e Boiardi A. (2014), l’a-IAT fu usato in tre casi:

(1) Il primo caso è del Tribunale di Como, 2011. La CTU utilizzo la fMRI, assieme all’elettroencefalogramma (EEG) e la morfometria basata sul Voxel (VBM), per argomentare il vizio parziale di mente. La a-IAT fu usata per valutare la genuinità dell’amnesia circa i due delitti. Il test escluse la genuinità poiché suggeriva, secondo i consulenti, che nella MLT potevano essere stati codificati (e pertanto essere recuperabili) ricordi relativi ai due omicidi. Sebbene l’a-IAT fu usato come elemento utile d’una diagnosi sulla capacità di intendere e di volere, di fatto, divenne un test di verità su quanto affermato dall’imputata: “non ricordare i due omicidi”. Questo lo rende un caso borderline verso l’art. 188 c.p.p. .

Personalmente non ritengo che l’a-IAT fosse necessario alla CTU. Il fulcro d’ogni diagnosi psichiatrica e psicologica è il colloquio clinico. E’ solo nel colloquio clinico che avviene la diagnosi. I tests sono solo elementi ausiliari ed accidentali. Essi sono utili solo a creare: scenografie pittoresche; setting suggestivi; parcelle elevate; … ma non fornire informazioni. I loro risultati, infatti, non hanno alcun significato. Tutt’al più, un rozzo screening. Solo nel colloquio clinico, i risultati dei tests possono acquisire significati. La diagnosi avviene nel colloquio, attraverso il colloquio, non coi tests.

Non solo. L’amnesia implica l’acquisizione dell’esperienza e/o dell’informazione che il soggetto consapevolmente non è più in grado di recuperare. Ciò, però, non fa venire meno l’effetto priming e/o un recupero inconscio. L’effetto priming è stato riscontrato pure in soggetti che soffrivano di amnesia retrograda e/o anterograda d’origine fisiologica e neurologica.

(2) Il secondo caso è del Tribunale di Cremona, GUP, 19/07/2011. Questo caso è interessante in quanto l’IAT ed il TARA furono usate come lie-detectors per valutare l’attendibilità del racconto della persona offesa – testimone.

Il caso riguarda un commercialista che avrebbe posto sgradire attenzioni sessuali su una minorenne.

L’indagine sulla memoria della persona offesa (test I.A.T. e T.A.R.A.) servì per “verificare” se era presente traccia mnestica nella MLT conforme alla testimonianza data. Nel caso di specie, il CTU concluse positivamente.

Di contro, il giudice poteva risolvere il caso “semplicemente” senza ricorrere al test! La parte offesa può essere testimone nel processo penale. La Cassazione riconosce che il giudice può formare il suo prudente convincimento sulla sola testimonianza della parte offesa. Questo qualora siano assenti elementi contrari atti a screditarla.

Pertanto, se la testimonianza è ritenuta attendibile dal giudice: non serve alcun test! Di contro, se esistono elementi contrari atti a togliere credibilità alla testimonianza, quegli stessi elementi contrari sono atti a togliere credibilità al risultato del test!

Quindi, a cosa serve al giudice il test?

Ritagliarsi un po’ di visibilità? Passare per innovativo-progressista? Creare precedenti per agevolarsi la carriera? Deresponsabilizzarsi, delegando ad un test la decisione del caso?

Non vorrei che anche i giudici, come molti psicologi (non degni della professione) finissero per diventare “dipendenti dai tests” delegando ad essi ogni decisione! Non lo dico io: lo dice il test!

Ancora peggio, non vorrei che i test (anch’essi basati al massimo su un condizionale materiale) fossero usati per creare prove inesistenti (che sono incapaci di dare)!

Il giudice condannò l’imputato poiché ritenne vera la testimonianza, non per i motivi detti supra, ma per essere stata confermata dall’a-IAT!

Il giudice affermò che l’a-IAT non ha nulla a che vedere con gli imprecisi lie-detectors!

Chi scrive avrebbe ritenuto valida una “motivazione classica” non fondata sull’a-IAT. Di contro, il presente autore ritiene viziata una decisione fondata su un test (a-IAT) per i motivi ut supra.

(3) Il terzo caso riguarda un omicidio. Durante una festa di famiglia, una persona sparò al cugino che non vedeva da 20 anni. Il fatto avvenne in stato alterato di coscienza. Un particolare sorriso, fatto dal cugino al figlio dell’imputato, attivò il comportamento. Questo avvenne poiché il sorriso fu identico a quello che la vittima fece 20 anni prima, quando abusò sessualmente l’inputato ed il fratellino di quest’ultimo. All’epoca rispettivamente avevano: 11 e 9 anni.

Anche questo caso era risolvibile senza a-IAT. Abbiamo: (1) una amnesia causata da un trauma; (2) la creazione d’un area dissociata, ovvero a là Ericsson: la creazione di memorie, apprendimenti e comportamenti, stato dipendenti; (3) l’attivazione delle memorie, apprendimenti e comportamenti, stato dipendenti nel rivedere lo stesso sorriso.

L’a-IAT fu usata per: convalidare l’autenticità del ricordo dell’abuso; della provocazione; della non frequentazione con la vittima nel corso degli anni; per verificare se abbia agito d’impulso. Il risultato positivo fece concludere i CTU per un’infermità di mente temporanea (rottura psicotica transitoria) atta a giustificare l’incapacità totale di intendere e volere al momento del fatto.

Lo stesso risultato poteva essere raggiunto senza ricorrere all’a-IAT. Bastava una CTU “classica”, fondata sul colloquio clinico e sulla conoscenza della letteratura, eventualmente integrata dalle informazioni acquisibili dai testimoni.

Anche questo caso è un caso borderline. Sebbene l’a-IAT fu usata dal CTU come elemento per valutare la capacità di intendere e volere, di fatto, fu un test sulla verità di quanto affermato dall’imputato.

Secondo Gusmai A. (2017), i giudici tendono ad “appropriarsi” della scienza per farla diventare fonte di legittimazione delle decisioni giuridiche. Problema è che la Scientia è composta da set di teorie mutabili e mutevoli. Per ogni studio che dimostra A; c’è sono altri che dimostrano B, C, D, E, … Z. Tutte co-esistono in un limbo nel quale, di volta in volta, in base all’interesse del caso se ne “pesca” una piuttosto che un’altra.

Per tali motivi, senza scomodare Kuhn (1960; 1972), si è ritenuto che i “fatti scientifici” siano nulla di più d’un accordo interno ad una Comunità di Discorso a là Lyotard (1983). L’accordo che emerge, non rispecchia la Veritas, ma i rapporti di forza e di potere interni alla stessa Comunità di Discorso. Un fatto assai evidente nelle Scienze Psicologiche.

Applicando ciò alla realtà processuale, si traduce nella vittoria (non di chi ha ragione) ma di chi paga i rappresentati più influenti della Comunità di Discorso. Il giudice (qualora privo d’una sua propria capacità critica logico-epistemologica), trovandosi inevitabilmente difronte ad opposte consulenze: o, “sposa” fideisticamente e/o acriticamente e/o opportunisticamente la tesi del CTU (semplificandosi il lavoro di motivazione)[18]; oppure, inevitabilmente, finisce per accogliere la tesi dell’esperto più “rinomato” (alias: con “maggior potere” all’interno della Comunità di Discorso). Ciò deriva dal fatto che l’uomo tende (erroneamente) a ritenere l’Autorità fonte attendibile di informazioni! L’Autorità è vista “degna di fiducia”, esperta in thema. Ciò porta a non mettere in dubbio, né a falsificare o accertare, quanto riferito da essa (Zappalà S., 2007). Di contro, l’informazione d’una fonte autorevole, non garantisce la sua attendibilità. Anzi, l’ipse dixit segue tutti i bias ed errori del caso.

E’ espressione d’una prospettiva situata; è tentativo di “portare acqua al proprio mulino” (alias: al proprio paradigma a là Kuhn; e/o alle proprie teorie versus quelle della “concorrenza”). E’ cercare di fare gli interessi del proprio cliente e/o quelli d’una parte a danno dell’altra. Non mancano poi i “giochi di potere” (incluse le mere simpatie ed antipatie) interni alla stessa Comunità di Discorso.

Come insegna Foucault, Potere e Conoscenza sono “due facce della stessa medaglia”. Questa commissione è tanto maggiore, quanto più la fonte è autorevole[19].

Il giudice, perciò, non deve seguire nessuno se non la legge. Al fine di garantire la giustizia, il giudice deve: porre sullo stesso piano tutte le tesi; vagliarle (testarle e falsificarle) alla luce dei fatti concreti assunti in quel giudizio attraverso il contradittorio; esaminarle con la sua capacità critica logico-epistemologica; approfondire lui stesso l’argomento attraverso la sua capacità di ragionamento interdisciplinare; declinare la Scientia nel giudizio consapevole di quanto detto supra;  etc … etc… ; per arrivare a fondare il suo prudente apprezzamento su tale riflessione ragionata e non su un ipse dixit d’uno “a caso”!

Il giudice deve accertare la verità dei fatti. In caso di dubbio: (1) nel processo penale, l’imputato è innocente; (2) nel processo civile, soccombe la parte che non ha assolto all’onere della prova (impostole dalla legge). Il giudice non è un giocatore d’azzardo: non punta ad un tavolo da Casinò in base a delle probabilità!

Questo rischio, indirettamente, è stato riconosciuto anche da Jones O. D. et al. (2013). L’autore ha evidenziato come i giudici devono sviluppare la capacità di distinguere fra le inferenze corrette e scorrette che possono essere fatte utilizzando la Scientia (in particolare, l’autore si riferiva alle neuroscienze). Questo perchè: “it is easier to misunderstand or misasplly neuroscience data then it is to understand and apply them correctly“.

Nonostante i lie-detectors non possono essere utilizzati nel nostro ordinamento in quanto pregiudicano la libertà morale dell’imputato ex art. 188 c.p.p., come visto sembrano esserci entrati dalla “porta di servizio”.

L’art. 188 c.p.p dice: “non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione“. Pertanto tutti i lie-detectors et similia (incluso l’a-IAT) dovrebbero essere inammissibili in quanto privano l’imputato della facoltà di non rispondere e/o non auto-accusarsi. Passata l’idea della loro ammissibilità[20], il mero rifiuto a sottoporsi al test sarebbe visto come “ammissione di colpevolezza”.

Conclusione

Sebbene l’Homo Sapiens Sapiens, sin dai tempi antichi ha cercato di trovare un sistema per discriminare fra la verità e la menzogna (Segrave K. 2005), non sembra esserci riuscito neppure con la tecnologia.

I risultati, infatti, sono contradittori, con margini di errore elevati. Ciò sembra aver portato la letteratura a dividersi in due fazioni: una fortemente scettica verso i lie-detectors (Nye T., 1988; Carrol D., 1988; Lykken D. T. 1988; etc…); l’altra sostenitrice dei lie detectors. Quest’ultima, però, lo fa più per la loro “utilità”, che per la “robustezza” dei data sulla validità interna ed esterna (Barland G. H., 1988; OTA, 1993; etc…).

Mentre i lie-detectors sono ampiamente utilizzati in USA, come abbiamo visto essi non trovano impiego all’interno di alcuni Ordinamenti Europei quali quello Italiano.

Nonostante ciò, subdolamente, l’a-IAT ha fatto ingresso dalla “porta di servizio” creando alcuni casi borderline.

Al momento, comunque, è precluso il loro utilizzo sia durante la fase delle investigazioni e sia durante il giudizio (dibattimento).

Questa decisione poggia su due motivi. Il primo è prettamente giuridico e riguarda il principio della libertà morale dell’imputato (art. 188 c.p.p.). Il secondo è “scientifico” e ricade sull’alto livello di inaccuratezza degli strumenti.

Nonostante ciò, il Tribunale di Cremona ha messo in dubbio questo secondo motivo, affermando che l’a-IAT sia molto più sicuro dei poligraph e PSE!

Molto probabilmente l’a-IAT darà vita ad un dibattitto giuridico in thema.

Alla fine possiamo concludere con le parole di Leonard Saxe: “a lie-detector does work as long as the subject believes it works. A good examiner scares the crap out of you. It’s theatre“.

Ma Verità e Giustizia non dovrebbero essere ridotte ad una rappresentazione teatrale!

Non le vidi, non so, non ho udito parlare da altri,

non saprei indicare, non potrei avere un compenso

per avere informato, non assomiglio ad un vigoroso ladro di buoi.

Non è opera mia … altre cose ho a cuore:

… …

affermo di non essere colpevole io …”.

(Disse Hermes ad Apollo interrogato sul furto delle vacche, Inno Omerico IV. A Hermes)

[1] in quanto ritenuta una life-skill trasversale, essenziale e necessaria, per la sopravvivenza della specie.

[2] inteso come: abilità codificata nel patrimonio genetico della specie atta ad emergere senza bisogno d’alcun apprendimento.

[3] indipendentemente dalla professione ed esperienza.

[4] con nesso causativo immediato con rapporto asimmetrico ed unidirezionale.

[5] Matteo: “Guardatevi dai falsi profeti; essi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete … ogni albero buono dà frutti buoni … ogni albero cattivo dà frutti cattivi … … Dai loro frutti, dunque, li riconoscere“, 7 (15 – 21).

[6] Il bicondizionale è l’unione di due condizionali materiali legati da congiunzione: (se p allora q) e (se q allora p).

[7] Vero / falso attiene agli enunciati descrittivi. Valido / invalido al ragionamento e/o inferenza.

[8]abilità trasversale ad ogni sapere.

[9] Alcuni usano l’espressione ex post, ergo propter hoc per indicare l’attribuzione di causalità ad un fatto e/o evento antecedente a quello osservato.

Epis (2011/2015), di contro, lo usa in modo specifico e tecnico. Con tale espressione Epis indica una teoria e/o in generale una falsa credenza priva di giustificazione che arriva a creare (tramite: i meccanismi di confermation bias; le dinamiche create dagli atteggiamenti dovuti a queste false credenze iniziali; l’effetto della profezia che si auto-avvera; etc…) un fatto e/o un evento e/o una modifica alla Realtà e/o alle caratteristiche delle persone, che ex post è usato/a a fondamento della validità e/o della verità della stessa falsa credenza iniziale. Quest’ultima è fatta passare per essere: effetto dei suoi stessi effetti. Ciò è ottenuto omettendo di riconoscere che quest’ultimi non sono la causa della credenza ma l’effetto d’essa. Così gli effetti della falsa credenza diventano ex post la causa della falsa credenza che solo a questo punto trova giustificazione (ergo propter hoc).

[10] ovvero: “in social science, everything is somewhat correlated with everything” (Meehl, 1990a; 1990b) così che: il “cosa” correlare è una scelta “politica” del soggetto. Una scelta che, una volta fatta, viene corroborata dalla statistica.

[11] e delle diverse forme che assume. Essa spinge sempre a favore della conferma dell’ipotesi, arrivando (ove assente) a creare la stessa realtà conformemente alla credenza.

[12] Exempli gratia: se un soggetto è condannato sui risultati d’un lie-detector (anche qualora errati e seppur innocente), tale condanna sarà usata come prova del successo del lie-detector!

[13] e.g., agenti segreti che impiegano particolari tecniche di rilassamento.

[14] In quanto gli costa meno pagare le sanzioni e le maggiori imposte seppur innocente che affrontare tutti i costi d’un contenzioso tributario.

[15] Si pensi a come sono manipolabili i software. Un esempio recente è dato dalle Aziende Automobilistiche che (grazie a “ritocchi” fatti sul software) facevano risultare emissioni inquinanti inferiori a quelle reali. La tecnologia non garantisce mai maggiore onestà e trasparenza, ma semplicemente rende l’inganno più sofisticato, nascosto e difficile da riconoscere. Nel caso delle Aziende Automobilistiche le prove fornite dai computer erano in apparenza “valide”. La contraffazione non poteva essere rilevata da esse. L’inganno era su un “piano” diverso: nel software.

[16] Conflitto intrapsichico è un vuoto contenitore. Dice tutto e niente. E’ un principio esplicativo a là Bateson. E’ una moderna forma di nominalismo. E’ l’insieme vuoto (privo d’elementi) sottoinsieme d’ogni possibile insieme in Psicologia (teoria degli insiemi), usato dagli psicologi come gli illusionisti usano l’abracadabra!

[17] Il SAS gestisce le funzioni esecutive e le risorse attentive.

[18] tesi comunque influenzata dal CTP più autorevole, qualora il CTU sia di minor fama e/o abbia minor “peso” d’uno dei CTP all’interno della Comunità di Discorso.

[19] Le variazioni che avvengono all’interno del Corpus di Conoscenza d’una data Comunità di Discorso, infatti, comportano mutamenti nei rapporti di forza fra i membri di quella Comunità (Lyotard, 1983). Oggigiorno, inoltre, la “competizione per il potere” si sviluppa nell’intersoggettività attraverso “lotte per il significato” (Minnini, 2008).

[20] anche come strumenti per verificare l’esistenza d’una traccia mnestica.

Oedipus & the Self-fulfilling Prophecy. As usual, Freud was wrong!

Abstract

This article argues that the myth of Oedipus expresses and/or represents the Self-fulling Prophecy (exempli gratia, described by the Social Psychology). At the same time, this article states that the myth of Oedipus is not allegory and/or representation of the Freudian psychosexual development!!

The myth of Oedipus becomes an opportunity to show the kind of mis-interpretations made by psychoanalyses and psychoanalysts. The latter, in fact, tends: to create false beliefs; and, to attribute false meanings to “events”.

In accordance with a logical and epistemological reflection/analysis, psychoanalytic theories can gain only two states of truth. They can be: valid and/or invalid.

If they are invalid, they can not be applied anywhere.

If they are valid, they must be applied to psychoanalyses itself.

This, however, determines the invalidity of the psychoanalytic Paradigm, which would inevitably turn to implode on itself.

Exempli gratia, psychoanalytic theories turn out to be:
• on the one hand, the “fruit” of primary defensive processes (characterized by a state of confusion between the inside and the outside world, leading to a distorted view of reality, which is typical of psychosis) acted and/or done by the same creators and supporters of psychoanalyses. Examples of these primary defensive processes are: projection; primitive idealization; omnipotent control; etc …;
• on the other hand, the “fruit” of projective identification made by patients who, living a state of “psychic vulnerability”, identify themselves in those constructs due the high level of impressionableness / suggestibleness.

In other words, psychoanalytic theories would create ex post confirmation of themselves, creating “reality”, which would never have been if they had never existed!!

In conclusion, psychoanalytic constructs are new idols, which exist only for the faith that their “priests” place in them.

They are not idols of stone, but they are idols of void words and/or void interpretation. Idols that, however, require dogmas to survive. Dogmas that psychoanalysts have defended with the mis-use and abuse of psychiatry since the beginning of psychoanalyses with Freud.

At the end, they are only a “new form” of Superstition.

Rationale

Epis L. (2012/2015), in the book De Nova Superstitione, wrote about the “difficulties” that the Psychological Sciences have to comply with the criteria of the Scientific Paradigm.

The Psychological Sciences, in fact, are a set of disciplines: which have an heterogeneous epistemological status; and, which are characterized by a low logical-epistemological reflection and awareness (Epis L. 2012/2015). The latter takes different aspects and forms, due: how these disciplines are able to meet the criteria of the Scientific Paradigm; and, the type of biases, which characterize that particular disciplinary area.

If we consider these two criteria (that I wrote supra/above), Psychological Sciences can be divided into four main areas.

The first macro-area includes: Physiological Psychology; Cognitive Psychology; Experimental Psychology. Despite the limitations of its methodology and its own kind of biases, this area has “full citizenship” inside the Scientific Paradigm. Indeed, it is able to comply with: the experimental scientific method (pro tempore); the test of Validity (Logical Positivism); and, the principle of falsification (Popper).

The second macro-area is the Soft Psychology. This area is a “limbo” of ambiguity, confusion and uncertainty. The constructs are based on, and created with, a wide use of correlation. The latter, due the fact of the crud factor, makes these constructs be a mere social creation that, at the end, is based only on “political” choices, which have their reasons in matters of opportunity and/or interest.

Some of them are connected with the relationship that exists between Power and Knowledge. A relationship, which inside the Social Sciences, is stronger than everywhere else.

Indeed, inside this Limbo, opposite theories and constructs coexist. All of them are both never entirely refuted and never fully corroborated. So, the success and/or application of one of these theories instead of another one, depends only for “political choice” (with the widest extension of the term).

Not only. These constructs become glasses that are able to change the perception of Reality in the direction of those theories. Hence, they are able to create ex post a pseudo-corroboration, which is, nothing more and nothing less, a “conjuring trick” that is used to “deride” the gullible people.

The third macro-area is the psychopathology. This area has nothing to do with Science. Science, in fact, is a descriptive language. Science has the aim to describe the reality without telling what is “normal” and what is “abnormal”. On the contrary, psychopathology is a normative language, as well as Law and Moral Sciences. But, everything uses normative language is just a “political” manifestation and/or choice.

Every time someone approaches this discipline, indeed, he/she should remember that psychopathology is in permanent violation of Hume’s Law.

The fourth macro-area is constituted by psychoanalyses. The latter is not: either Science, as it does not use descriptive language; or Normative Discipline, as it does not use normative language.

Psychoanalyses is only a set of “confabulations” that are expressed with expressive language. Therefore, psychoanalyses has nothing to do with: truth and/or validity.

All its theories and constructs are only the “fruit” of the projections that are made by the psychoanalysts. These projections, then, are transformed by psychoanalysts, due the fact of their own delirium of omnipotence, in “universal” constructs and theories that pretend to explain the thoughts of others !!!!!!

In other words, psychoanalyses is the product of the primary processes and primary defences of the psychoanalysts. Psychoanalyses is the psychotic side of Psychology.

An evidence of this is given by the interpretation, which was made by Freud, of the Oedipus myth.

The myth of Oedipus and the Self-Fulfilling Prophecy

The physical laws rule the structure of the universe and everything happens inside it. The psycho-social laws rule the structure and dynamics of the groups of any kind and formation.

The “social beings” follow the psycho-social laws as the atoms and/or “celestial bodies” fallow the laws of physics.

The ancients people knew this Truth. They illustrated it with the language of myth.

One of these laws establishes that:
• Every society is based on an Order that is ruled by an Authority;
• every Social Order and every Authority are doomed to change over time;
• “the changement” is generated by the same actions, which the pro tempore Authority does for attempting to: preserve the status quo and its Power; prevent the “changement”; prevent the prophecy from becoming truth.

The Greek myths repeat this law countless times.

The Kingdom of Uranus is overturned by the Kingdom of Cronus. The Kingdom of Cronus is overflowed by the Kingdom of Zeus. Prometheus, then, prophesies that the Kingdom of Zeus will be overturned by a New Order.

Zeus himself will prepare his own adversary … … so Zeus will learn that one thing is to serve and another thing is to reign … … … … . By Zeus, I care less than nothing. He can rule this kingdom as he wishes. His reign is not long” (Aeschylus, Prometheus Bound).

This concept is illustrated for the macro-cosmos with the stories of gods. For the micro-social-cosmos, the same concept is illustrated with the legends of cultural heroes. Exempli gratia: Perseus and Oedipus.

Acrisius (king of Corinth) received a prophecy. He would be killed by his nephew. So, he tried to prevent the realization of the prophecy. But, this made the prophecy become truth.

In the myth of Oedipus, this concept is repeated twice. The first time, Laius (king of Thebes; Oedipus natural father) received the prophecy that his son would have killed him. To prevent the prophecy from becoming true, Laius made several actions. Subsequently, Oedipus received the prophecy that he would have killed his father (which he thought to be the king of Corinth). To prevent the prophecy from becoming true, Oedipus made several actions. Well, at the end, the sum of all those actions, which were made by Laius and Oedipus to prevent their prophecies from becoming true, made their prophecies become true.

In other words, the myth of Oedipus (far and far away … from representing the phallic stage of the psychosexual development of Freud) is, more than anyone else, the representation of the self-fulfilling prophecy, which is the king of all the psycho-social mechanisms and underlie the social structure and dynamics of every kind of groups.

The concept, which the Greek myth expresses, is the inability and impossibility of men and gods to fights and to rebel against Fate. Once, Fate decides the destiny of men and gods, nothing can prevent it.

On the contrary, everything is done to prevent the prophecy from becoming true will inevitably lead the prophecy at its realization.

This concept was repeated from the Greek myth to our days.

Tolkien, for example, makes Galadriel say about her mirror: “Remember that the Mirror shows many things, and not all have yet come to pass. Some never come to be, the unless those that behold the visions turn aside from their path to prevent them” (Tolkien, The Lord of the Rings).

Before him, William Shakespeare represents this concept in most of his works. Exempli gratia, Macbeth is a tragedy based entirely on self-fulfilling prophecy. The tragedy starts with a prophecy that three witches give to the protagonist. According to this prophecy, Macbeth will become king, but he will need to be careful to Macduff. So, it is only due the prophecy that Macbeth: kills the king to replace him; and, wipe out the family of Macduff. The latter fact caused the revenge of Macduff , which doomed Macbeth to die.

Also the children-literature illustrates this concept.

The saga of Harry Potter is an example. The whole saga, indeed, is based on a self-fulfilling prophecy. The prophecy was not made to the protagonist, but to the anti-hero: Voldemort. The latter, in attempting to prevent the prophecy from becoming true, makes the prophecy become true.

Kung Fu Panda is another example. The first movie starts with a vision that is received by Master Oogway. Master Oogway sees that Tai Lung escapes from the prison where he is detained. Shipo, to prevent the vision from becoming true, starts all the coincidences that will make the vision be true. A concept that was summed up by Master Oogway: “sometimes certain events are caused with the actions that are done to prevent them“.

The same protagonist of the story, the bumbling panda Po, who was not good at kung-fu more than everyone else, is a result of the self-fulfilling prophecy. He becomes the Legendary Dragon Warrior only due the fact that Master Oogway made this “prophecy”.

Plenty of movies, then, expresses with concept.

The Secret Kingdom is one of them.

The saga of Star Wars is another one.
Star Wars’ saga is entirely based on self-fulfilling prophecies.

The prophecies are visions that the protagonists are able to get through the Force.

Anakin becomes a Jedi in the first episode (The Phantom Menace) only due a prophecy. Padme dies in the third episode (The Revenge of Siths) only due a prophecy.

Anakin chooses to pass to the dark side of the Force (in the third episode) only due the actions that are done by his Jedi-Masters. The Jedi-Masters, indeed, attempt to prevent “their fears” from becoming true. So, “their fears” become a “new prophecy” about Anakin, a prophecy that takes the place of the previous one. At the end, the actions, which are done by the Jedi-Masters to prevent their fears from becoming true, make their fears become true.

In the six episode, Anakin (now, Lord Vader) kills the Emperor and the kingdom of the Siths (as the first prophecy told) only because the Emperor attempted to prevent: that prophecy from becoming true; and, the loss of his Power.

Etc … Etc … .

The Self-Fulfilling Prophecy

So, what is the self-fulfilling prophecy?

The self-fulfilling prophecy is the king of all psycho-social mechanisms. There are no psychosocial dynamics that do not express it.

The self-fulling prophecy rules: the role played by individuals within groups; the social identity formation.

It is a “belief” that makes itself be true, due the fact that it is believed.

In other words, there is a recursive dialogical relationship between a “belief” and its “realization“. One creates the other one and vice versa.

To give you a pictorial image, you can think to the painting of Escher: “drawing hands”.

This recursive dialogical relationship exists: both, at the level of “beliefs”; and, at the level of “actions”.

In other words, the events are created by the actions, which are made to prevent “those events” from becoming true. Instead of preventing the events from becoming true, those actions will evocate them.

This is an aspect of self-fulfilling prophecy.

Why?

The answer is simple. This is just an application of the Lex Naturalis. It is the third law of motion that is applyed to social life. If a body A acts with a force F on a body B, then the body B will act towards the body A with a force F of equal intensity and direction, but of opposite direction.

In Philosophy and History of Religions, this concept has been represented, exempli gratia, with the Tao / Dao.

On the contrary, inside the academic literature of Social Sciences, this construct was expressed in 1948 with Merton. According to the author: “… a prophecy … for the sole reason of having been pronounced, manufactures the alleged incident, expected or predicted, confirming thus its veracity“. Beliefs determinate Actions; Actions create ex post “confirmation” of initial Beliefs (even if they are false). There is no separation between the “dimension of the actions” and the “dimension of beliefs”. They are linked in a strong: bond; connection; union; … and/or, as I prefer to say, dialogical recursive relationship. So according to Merton: “The self-fulfilling prophecy is, in the beginning, a false definition of the situation evoking a new behavior which makes the original false conception come true. This specious validity of the self-fulfilling prophecy perpetuates a reign of error. For the prophet will cite the actual course of events as proof that he was right from the very beginning” (Merton R. K., 1948, The Self Fulfilling Prophecy, in Antioch Review, Vol. 8, No. 2, pp. 193 – 210).

Merton took his inspiration from the Thomas’ Theorem which states: “If men define certain situations as real, they are real in their consequences“.

In fact, Beliefs determine Attitudes. Attitudes produce Behaviors. Behaviors cause Responses (confirmation bias). Responses lead ex post “pseudo-corroboration” to the initial belief, creating an infinitevicious cycle“.

The self-fulfilling prophecy, therefore, is the “genetic sub-layer” of any phenomena of the Psychological and Social Sciences. Nothing happens, unless there is a self-fulling prophecy.

The Labeling Theory recognizes it inside the Social Sciences, since the Labeling Theory expresses, at the end, nothing more than the self-fulling prophecy.

Popper, on the contrary, recognized it inside the Philosophy of Sciences and/or Epistemology. According to Popper, self-fulling prophecy is the criterium (criterion) that is able to make a distinction between Social Sciences and Natural Sciences.

You will not believe Me, if I tell you that Popper called the self-fulling prophecy the Oedipus effect.

Exempli gratia, Popper wrote: “One of the ideas I had discussed in  The Poverty of Historicism was the influence of a prediction upon the event predicted. I had called this the “Oedipus effect“, because the oracle played a most important role in the sequence of events which led to the fulfilment of its prophecy. … For a time I thought that the existence of the Oedipus effect distinguished the social from the natural sciences. But in biology, too—even in molecular biology—expectations often play a role in bringing about what has been expected” (Popper, Unended Quest: An Intellectual Autobiography).

Why was Freud wrong?

The mistake of Freud is self-evident. The myth of Oedipus does not express any stage of the psychosexual development.

So, why does Freud see in the myth of Oedipus the most important representation of the phallic stage?

After the death of his father (1896), Freud (who was self-analyzing his dreams) came to the conclusion that: he wished sexually his mother; and he considered his father like a dangerous rival. This happened in the absence of real seduction episodes.

In other words, Freud was a victim of its primary processes and its primary defenses. He projected his retrospective interpretations (which he made self-analyzing his own dreams) in the outside world. So, he came to see them everywhere: in the stories of his patients; in Greek myths; etc … .

Once, his own (mis)interpretations were projected to the outside world, due his own delirium of omnipotence, Freud argued his theories were able to explain the “normal development” of all human beings!!

So, it is clear that psychoanalyses, at the end, is nothing more and nothing less that a set of psychotic delusions that are made by psychoanalysts.

Psychoanalytic theories say nothing about: the World; and, the Human Thought. They speak only about the psychiatric problems of the psychoanalysts who created them.

The deception of psychoanalyses

Psychoanalyses is only a Discursive Practice that is based on retrospective interpretations a là Weik, which are created with interpretative games.

These interpretations have nothing to do with truth and the knowledge of the Self.

The meanings are induced by: the same psychoanalytic theories, which become glasses that are able to deform the whole Reality; and, the same expectations of psychoanalysts, who push to create confirmation of their beliefs.

In other words, psychoanalyses becomes a sort of “brainwashing” that is done on people, who are in a “vulnerable psychic” state.

The patients internalize: theories; psychoanalytic models; expectations of their psychoanalysts; etc…. At the end, they play those internalized roles for projective identification.

In other words, psychoanalyses itself does nothing. It is a way to deride people. If something happens, it is only for the action of the psychosocial mechanism of self-fulling prophecy.

Unfortunately, the prophecies that are done by psychoanalyses do not lead to anything good. Like the witches of Macbeth, they push people into a Shakespearean tragedy.

Those people, who “save” themselves, are “characters” of a self-fulfilling prophecy that was made by “someone else”, who (surely) was not a psychoanalysts.

You can read also: Epis L., De Nova Supertstitione. Unfortunately, the book (at the present tense) is only published in Italian. Link to e-book: De Nova Superstitione – Saggio

A Critical Study on How the Psychopathological Construct of Antisocial Personality and Psychopathy Has Imploded. The Implosion of the Construct

ABSTRACT

This article focuses on the construct of antisocial personality and behaviors. It is proved (with: empirical studies; and, logic arguments) how this construct imploded.

Lilienfeld (1994) gave an example of this. The author, in fact, discovered a positive correlation between persons that were diagnosed psychopaths and/or antisocial and the frequency of altruistic and pro-social behaviours. Instead of inferring the incoherence of the paradigm, he elaborated an illogical auxiliary assumption to save it. He suggested to use, like diagnostic criterion for the antisocial behaviour, the pro-social behavior!!
In other words, this psychopathological construct arrived to have an incoherent logical structure: P AND NOT P. Thus, this construct is not possible to be either corroborated or refuted. It does not comply with the scientific reasoning.

This is a typical example of the incoherent and illogical reasoning that dominates inside psychopathological constructs.

A New Empirical Theory, which is able to explain those phenomena, will be presented in a next article. At the present tence, you could read it in Epis, De Nova Superstitione.

You can get a copy in PDF (with bibliography and index) at this link: A Critical Study on How the Psychopathological Construct of Antisocial Personality and Psychopathy Has Imploded – The Implosion of the Construct – Article

Rationale – Background

Introduction

The Paradigm of Antisocial Personality and Behaviour has always been a very weak and misused construct since the beginning. It is a good example of how the psychopathological constructs became a “modern scientific” form / manifestation of the Human Superstition. Ordronaux (1873) was the first author, who became aware about this. Indeed, he stated that this concept is “… an attempt to return to belief in demon possession of the Middle Ages and a revision to superstition”[1]. From that time, the number of the researchers, who criticized this construct and “how” it is used, increased.

Exempli gratia, Kinberg (1946) said that the concept of psychopath “should be abrogated as theoretically unsatisfactory, practically misleading and destructive to scientific thinking”. Karpman (1948) stated that it is “a myth … a nonexistent entity”.  Vaillant regarded this construct to be a misleading stereotype.

Blackburn (1988) affirmed: “it must be concluded that the current concept of psychopathic or antisocial personality remains «a mythical entity» …”[2].

Calvaldino (1998) suggested that this construct is nothing more than “a moralism masquerading as medical science”. He updated both the Blackburn’s critics and the Ordronaux’s critics. The former, indeed, admitted that: “such a concept is little more than a moral judgment masquerading as clinical diagnosis”. The latter argued[3] that: “the only disease to which the moral nature is subject is sin”.

Toch (1998) observed that the term was a form of negative counter-transference.

Shadish et al. (1999) underlined how the process of validation of the psychopathological construct has never been completed.

Cooke, Michie and Hat (2006), reported how this construct is quite controversial in the academic literature. In the same year, the present writer presented and illustrated “how” the construct: imploded on itself; was lacking in any scientific criteria; and, could be explained with a more Empirical Theory that was able to abandon these modern forms of Superstitions.

Although all these critics were well proved and based, they were neglected and refuted by the establishment. The latter, according to the Kuhn’s theory (1962; 1970), was committed to defend the Paradigm. The critical views were: denied; ridiculed; not taught. The researchers, who dared to show interest in them, were actively: dissuaded; discouraged; isolated. Their studies and works were hindered. They were also attacked with argumenta ad personam. The latter is a strategy that is largely used by psychologists to defend their inconsistent constructs (Epis, 2011/2015).

So, the establishment, instead of considering those critics and improving its constructs, has weakened and weakened them, meantime.

For instance, Hill, Murray and Thorley (1986) warned their colleagues that: “… psychopathic personality is an intriguing tale of confusion and inconsistency”.

Blackburn (1988) made the same critics with “softer” and “more indirect” words. He advised clearly that the construct had a very weak point. According to him, “the taxonomic error of confounding different universes of discourse” was present in the construct. This error leaded to create “a diagnostic category that embraces a variety of deviant personalities. Such a category is not a meaningful focus for theory and research, nor can it facilitate clinical communication and prediction”.

Nevertheless, as I told supra (above), the establishment refused to consider all those warnings. Instead of working for decreasing the heterogeneity of the construct, they increased it as much as they could!! At the end, the construct became so heterogeneous to include two opposite and contradictory types in the same set: the criminal psychopath; and, the non-criminal psychopath.

In other words, several psychologists put into the same set: serial killers (such as Jack the Ripper) committed to criminal activities; and, people (such as Mather Teresa of Calcutta) who, on the contrary, were committed to pro-social behaviours!! Some criminologists attempted to reduce all the violations of the Criminal Law like a manifestation of psychopathy!!

Please, do not think that they were joking. I have also thought it (in first instance), but they were not joking at all. They were strongly “devoted” and convinced in what they were saying. All their career and social prestige came from that!!

So, the present writer had to recognize the self-evident implosion of the psychopathological construct for the reasons that you can read infra (below).

 

Antisocial Personality’s Construct: Birth, Development and Implosion

Before explaining the reasons of the implosion of the construct, a brief résumé (about the “lifespan” of the antisocial personality’s paradigm) is given.  It will be very useful to understand: both, the biases that work in the creation and in the confirmation of the psychopathological paradigms; and, how superstitions can even appear “scientific beliefs”, once they are masked to psychopathological constructs!!

 

Birth and Development

The first label, which described the antisocial personality and behaviours, was: “manie sans delire” (Pinel, 1801). Then, this construct was called: “moral derangement” or “derangement in the moral faculties” (Rush, 1812); “moral insanity” (Pritchard, 1835). At the end, the label has become: antisocial personality disorder (e.g., DSM IV – R); psychopathy (e.g., Lange-Eichbaum, 1931; Henderson, 1939; English Mental Health Act, 1983; Cleckley, 1976; Hare, 1980); sociopathic personality disorder or asocial personality disorder (e.g., Gelder M., Gath D. and Mayou R., 1983); dissocial personality disorder (e.g., ICD-1O[4], F 60.2); and so on.

If you want, you can invent another name!! We need it!!

This construct is a good example of how the psychopathological discourse is completely dominated by: plenty of biases; a lot of fallacies; trickeries such as that one of nominalism; and, an absent epistemological awareness and reflection (Epis, 2011/2015).

The first label, which described the antisocial personality and behaviours, was: “manie sans delire” (Pinel, 1801). Pinel wanted to explain the behaviour of some people who were: violent and social dangerous; committed to criminal activities; cruel and callous; inclined to kill the others. As he could not explain this phenomenum, he used the ancient trickery of the nominalism. He gave a name to something that he was not able to understand (at all). So, he created the illusion to have explained and understood something that he did not!! Bateson (1972) called this trickery: explanatory principle. Actually, psychopathology (… most of the times …) is nothing more and nothing less than: an explanatory principle; and/or, the ancient trickery of nominalism.

This point is pretty important to understand: both, one of the intellectual dishonesties (a là Lakantos) that belong to the clinical psychologists; and, how Psychopathology became a new set for gathering different forms of the modern Superstitions.

So …, I will give you a brief example, … before proceeding with our discourse.

Do you know Treponema Pallidum? It is a micro-organism that causes an infection to the Central Nervous System. Well …, it happened that the human beings (before discovering this microbe) considered “mental ill” the people who were suffering from this infection!! This micro-organism (alone) was the responsible of the 15% of all the psychiatric population. This is how, superstation works. A physical concrete problem (the real cause) is neglected and transferred to an inexistence dimension: a “thought’s illness” (a false and fabricated cause)[5]!?!? There is not any difference from believing in psychopathology to believing in demons’ possession. The psychosocial mechanisms, which underlie and lead those phenomena, are exactly the same. They are used to explain whatever human beings are not able to explain, using the trickery of the nominalism!! So, nowadays, instead of calling a Shaman and/or a Priest, people call a more “modern and fashionable” psychologist!!!! But, there is no change, except (… maybe …) that Shamans and Priests were better than Psychologists!!

Oh God …, save us from psychologists!

So …, now you know “what” psychopathology is and “how” psychopathology works and explains the phenomena. Therefore, we can proceed in our speech.

Although Pinel used psychopathology, like an explanatory principle, for explaining the violent and cruel behaviour, soon this construct moved away from the objective facts (the criminal activities; the social dangerousness; and the cruel behaviours) to landing at “ghostly and eerie traits” that allows any kind of abuse, misuse and interpretation.

Indeed, this construct was re-baptized: moral derangement (Rush, 1812); moral insanity (Pritchard, 1835); … and it ended to include whoever acted in a different manner from the others. It was immediately declined to wide abuses and misuses.

So, as you remember, Ordronaux (1873) had to report how it was an attempt to mask superstitious ideas for science.

According to Prichard (1835), moral insanity (at the end; and, behind the usual doctrinal and technical words and jargon) was just to perform: “the common actions of life in a different way from that usually practised” by the majority. So …, singular, and/or eccentric, and/or wayward persons were all considered moral insane. Therefore, moral insanity showed clearly another aspect of the true nature of psychopathology: to be an instrument of homologation and social control a là Foucault. To be an instrument to force everyone: to be an uncritical lemming; to follow the flock like a sheep. If you do not follow uncritically the flock, … you are “insane”!!

It is exactly how it happened in the Past: the same substance with different forms. People, who do not believe in the superstitions/beliefs of the Majority, nowadays are accused to be mentally insane, whereas, in the Past, they were accused to be heretics, etc…!!

Do you remember Socrates? Actually, he is a very good example.

Oleson (1998) defines Socrates like an eccentric Sophist. Although he presented (in a very peaceful manner) original ideas, Socrates was considered “the most dangerous man in Athens” (Lindsay, 1918). He was accused of: corrupting the young people of Athens; introducing new Gods; etc… . At the end, he was executed for those false “irrelevant and untrue rumours”. If you think that he was an isolated case, you do not have any idea, how much you are wrong[6]!!

Indeed, most of the peaceful men of this World, who have dared to present a mere original and/or different idea from those that were wanted and supported by establishment, have been always persecuted. “Scientists and statesmen alike have been persecuted by established authority. Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Jr., and Nelson Mandela …” as they simply stood “against the powers of established orthodoxy when they disagreed with the existing order” (Eysenck, 1995)[7].

Oleson (1998) supported the idea of Eysenck (1995) using the studies of Ellis (1927) who argued: “that society sought to imprison its great men at every opportunity”.

So…, this is how the majority of times, these constructs are used. Rarely, are they used against serial killers such as Jack the Ripper!! The latters are not as common as media attempt to make people believe!! Actually, they are pretty unusual. Those few cases are used by Power to create social panic. This is a good mean to: both, make people believe in the “rightness” of those superstitions; and, make people renounce their rights and civil liberties to “get” security (a là Bauman)!?!?

Although Milton (1981) stated that the notion of moral insanity, nowadays, has few in common with the construct of antisocial personality and psychopathy, he is right only, and only if, we compare moral insanity with the definitions that were given by: the DSM-IV-R; and, some National Acts such as the English Mental Health Acts 1983. On the contrary, he is hugely wrong if we compare it with the everyday practice that has been done by psychologists and clinicians.

Indeed, only the formers require the presence of objective criminal activities. The latters, on the contrary, have developed (in the practice; and, in the literature) a construct that is used wider and wider than Prichard’s moral insanity.

Whereas moral insanity was (… at least …) connected with an objective behaviour (to act in a different manner from majority), the construct of antisocial personality and psychopathy has lost any link with: both, objective facts; and, criminal behaviours.

Psychologists and clinicians reduced it to be a mere set of personality traits. As personality traits are also very arbitrary and weak creations, the construct came back to be an incongruent, contradictory, unfalsifiable theory. In practice, personality traits allow any kind of interpretation and misinterpretation without any limit. So …, the construct bended to any sort of abuse and misuse. It was not a case, indeed, that two opposite and incompatible types were originated by the same construct: the criminal psychopaths; and, the non-criminal psychopaths.

Whereas the formers are committed to cruel and criminal activities; the latters are normal, pro-social persons, who are well integrated in the society. Just to give an example, Mather Teresa of Calcutta was considered a non-criminal psychopath by several clinicians.

This leaded to a construct that was unable to satisfy any principle of demarcation[8].

Indeed, it was unable to satisfy both the test of validity and the principle of falsification. Any kind of behaviour (both antisocial; and pro-social) was used to confirm the diagnoses, once they were done!! So, they could not be verified and checked with any contra-factual evidence. In other words, once an arbitrary diagnosis is done by a psychologist, any behaviour is retrospectively interpreted to be a confirmation of the diagnosis itself!!

This was one of the reasons that made some researchers take critical positions on this construct, as I wrote in the introduction.

As Kanner said, at the end of the circus and pseudo-scientific jargons (which are used by psychologists to making their superstitions look like science): “a psychopath is somebody you don’t like”.

Please, note: I do not deny the existence of crimes and criminals. I believe: they must be punished. But, I fight the attempt to re-introduce a new “hunting to the witches” a là Maleus Maleficarum[9].

An evidence of how psychologists misuse this construct is given by the necessity, which most Parliaments had, to limit with law its application[10]. Nevertheless, psychologists did not care about law[11]!! So, they extended widely and widely the application of their construct. Therefore, more and more persons committed to pro-social behaviours were considered psychopaths.

This leaded to the creation of a very contradictory construct.  Some authors split the paradigm in two different constructs: the antisocial personality (which kept a connection with an objective criminal activity); and, the psychopathy (which was connected only with personality traits).

Other authors kept a unique paradigm. So, antisocial personality and psychopathy became two different degree of the same “mental illness”.

The increment of the number of the diagnostic scales increased the contradictions among the diagnoses. Most of the time, the diagnoses are made only on “sensations and feelings”, which clinicians have at the moment without using any scale.  This phenomenon was proved during the hearings of the English Mental Health Tribunal. During the contra-examination, it was proved that the diagnoses were done without considering any diagnostic scale (e.g., DSM-IV-R; PCL-R). They were made only using a vague and unclear “clinical experience”. The latter is an “elegant word”, a jargon, which clinicians use, to say that they decided without fallowing any criterion, but their feelings as they had in that moment!!!!

Most of the times, the scales are used only ex post. Before, clinicians decide if somebody is psychopath or not. Then, clinicians create, with a retrospective interpretation (a là Weick), a connection between the factual elements and the theoretical items of the construct, forcing the comparison and assessment.

Epis (2011/2015) used this construct to prove how the functional fixation, the absence of any epistemological awareness and reflection, the confirmation bias, and other fallacies, work within the psychopathological constructs.

Implosion

A very interesting example, of how the paradigm imploded, is given by Lilienfeld (1994). This is just an example. But, endless other examples can be given.

Lilienfeld (1994) arrived to formulate and to support a theory with an incoherent logical structureP AND NOT P.

The author discovered a positive correlation between persons that were diagnosed psychopaths and/or antisocial with the existing scales and the frequency of altruistic and pro-social behaviours.

Instead of inferring incoherence, and/or a contradiction, inside the Paradigm, he elaborated a “wonderful” auxiliary assumption to save it.

He concluded that “the assessment of psychopathy might need to incorporate behaviors that are heroic or altruistic (e.g. helping individual … )” as in their absence a “substantial subset of psychopaths (who) perform frequent pro social behaviors” could not be detected and they may result “false-negative”.

In other words, he suggested like diagnostic criterion for the antisocial behaviour, the pro-social behaviour!! He made an incoherent and illogical reasoning that can be synthetized with the logical model: P AND NOT P.

This is a documented case, which is a good example of how psychologists: both, think most of the times in their everyday activities; and, develop their constructs!!

Although the strong establishment’s blind effort to save this inconsistent Paradigm, the Paradigm imploded.

 

[1] This quotation has also been done by McCord and McCord (1964).

[2] Blackburn’s critics were caused mainly by the heterogeneity of the construct of psychopathy.  Indeed, the latter includes a large amount of different types!

[3] Against the moral insanity, which was the antisocial personality’s name, that was used at his time.

[4] The aim of the International Classification Diseases (ICD) is to promote an international uniformity in the classification of the ailments. Its origin was in the work of Jacques Bertillon, who produced the Bertillon Classification of Causes of Death at the International Statistical Institute in Chicago. The latter became the Manual of International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death (ICD). In the 1948, the World Health Organization (WHO / OMS) assumed the responsibility for revising the ICD every 10 years.

[5] This happens also when the real cause is social.

[6] Other very famous similar cases are: Giordano Bruno; Thomas More; etc… .

[7] “Research funds are suddenly cut off, even though promised. Irrelevant and untrue rumours are spread to impugn the offender. He may lose his job, or at least fail to be promoted. He may be barred from the library and other facilities; privileges of all kinds may be withdrawn. In extreme cases, he may be suffering bodily attacks, his family may be threatened, bombs may be planted under his car, he may be burnt at the stake – it is difficult to list all the sanctions orthodoxy can muster to assert its right to be regarded as guardian of truth” (Eysenck, 1995).

[8] The problem of demarcation focuses on the method of scientific investigation. In particular, it refers to the criterion that is used to mark the boundary between what science is and what science is not. Exempli gratia, this criterion was: the induction for the Empiricism; the test of validity per the Logical Positivism; and the principle of falsification for Popper.

[9] The Malleus Maleficarum was the book, which was published by two Dominican Monks (Kraemer and Sprenger) in 1487 for “diagnosing” the “witches”. It was the “precursor” of DSM!!

[10] Some Nations (such as England) request an objective criminal activity. Other Nations (such as Scotland) deny the existence of this “mental illness”.

[11] There are plenty of examples that support this.

Morality and Crime

ABSTRACT

Nowadays, Wikstrom’s Action Theory of Crime Causation is a good criminological construct for the understanding of criminal behaviours. Wikstrom P. O. et al. (2012) gave good empirical evidences to the theory.

This paper offers a flashback of what the present writer wrote in 2005/2006 about: the “blooming” Situational Action Theory of Crime Causation presented by Wikstrom (2004; 2006a; 2006b; 2006c); and the relationship between Crime and Morality. The Paper repots the writing done in 2005/2006.

Writer’s ideas and beliefs could be changed meanwhile.

“Moral sense shape human behaviour and the judgements people make of the behaviour of others”

James Q. Wilson, The Moral Sense

Introduction

This paper investigates the role of morality in crime’s explanation.

First of all, morality is considered by different criminological theories an important factor in the crime explanation. Then, the “blooming” Situational Action Theory of Crime Causation presented by Wikstrom (2004; 2006a; 2006b; 2006c) seems to be a promising theory. Indeed, despite of other theories, Wikstrom defines a clear mechanism (Bunge, 1999) able to explain how moral norms and moral judgements take part in criminal behaviours’ development or avoidance.

Although the present writer considers Situational Action Theory of Crime Causation a good description on how morality may explain criminal behaviours, he suggests that morality and moral norms could be defined more empirically.

The present writer advices to define morality (customs; moral norms) like social norms. This definition allows: on one side, to overcome most of the critics that could be done by post-modernistic approaches; and, on the other side, to clarify those social and psychosocial mechanisms which make people “comply or not comply” with those norms. Further, the dialogic recursive relationship (between social and individual dimensions) can be improved using the research findings of the social psychology.

Thus, the present writer, at the end, agrees with Dewey (1992): “For practical proposes morals mean customs”.

Theories of Crime and Morality

According to Hirschi (1971), most of the existing criminological theories have considered morality in their theoretical assumptions.

In answering to the Hobbesian’s question: “why do men obey the rules of society?”, Strain, Control, and Cultural Deviance Theories have connected human behaviors with moral norms.

Whereas the Control Theory assumes human beings to be amoral animals, the Strait Theory postulates human beings to be moral animals.

Strait Theory

According to the Strait Theory, people desire to reach some “moral” goals. For doing this, they wish to use the “moral” means indicated by society. The crime is a consequence of “adversative” and “unfortunate” circumstances that do not allow people satisfy their legitimate desires (social goals), using the legal (moral) means (Burke, 2005).

Control Theory

The Control Theory assumes human beings to be amoral. Hence, people are naturally inclined to commit criminal behaviours unless they are educated and forced to avoid criminal conducts by a strong social control (Burke, 2005). The Social Control Theory disagrees entirely with Peters’ view (1958). Indeed, whereas Peters argues man to be “a rule-following animal”[1], the former postulates human beings not to be rule-following animals as their behaviours are determined mainly by selfish desires.

Cultural Deviance Theory

The Cultural Deviance Theory challenged the Control Theory’s assumptions. According to Cultural Deviance Theory, human beings are unable of perform “pure deviant behaviours” as they can merely follow some social rules (Peters, 1958). Behaviours could be: both, deviant inside some cultural or social contexts and /or groups; and, conventional inside other cultural or social contexts and/or groups. In other words, any behaviour (deviant or conventional) is always expression of some social norms. This is proved by the research findings of social psychology[2]. Any behaviour is always: conventional inside a social group; and deviant inside another. What is considered conventional or deviant is just a matter of Power. It is part of the “fighting for Significance and Power” among the different social groups and people, which determinates the dominant and subordinate groups[3]. Nevertheless, Hirschi (1971) rejects both the above mentioned theories. He stressed, inside the Control Theory’s theoretical background, his Bond Theory.

The Bond Theory

According to Hirschi (1971), the Control Theories “embrace two highly complex concepts, the bond of the individual to society”.

Hirschi (1971) argues that: although the control theories have attempted to explain “the elements of the bond to conventional society”, they failed to give a fulfilled explanation of how “each of these elements is related to delinquent behaviour”. Hirschi (1971) attempts to resolve this lack of explanation. According to Hirschi (1971), the social bond theory considers four elements “related to delinquent behaviour”: attachment; commitment; involvement; belief.

The Bond Theory, like the Control Theory, assumes human beings born amoral. Hence, they have “to learn” to conform to social norms.

The weaknesses of Hirschi’s theory (1971) are the following. His theory implodes. This happens when the criminal behaviours are made by people who have developed: strong social bonds; and a good internalization of moral norms. Indeed, also these people can commit criminal behaviours (Taft, 1956). This is because Hirschi (like Control Theory) makes a huge mistake in the assumptions. People are not born amoral, but THEY are BORN FREE and GOOD!!!! By Nature, people tend to people and empathic behaviours. There is trickery behind ideas that affirm “the people’s need” to be “conformed” to social norms! These statements and beliefs hide a “dark side”! They could be polite fashionable manners to support “blind obedience” to any arbitrary Power. Social norms are always created by Power. Social norms are manifestations of Power. Social norms follow and defend the interests of Power.

Thus, also good people with good social bonds can act criminal behaviours, exempli gratia, against a Power that could be more “criminal” than those people are.

At the end, Hirschi’s theory (1971) is not a good construct. The assumptions are wrong; the evidences do not support the theory but present plenty of contrary facts; important social mechanisms (involved in criminal explanation) are not considered.

Reintegrative Shaming Theory

Another theory that deals with morality is the Reintegrative Shaming Theory of Braithwaite (1989).

Braithwaite (1989) agues the relation between criminal law and morality: “… criminal law is a powerfully dominant majoritarian morality compared with the minority subculture …”.

Her theory is an attempt to gather together most of the existing criminological theories (Labelling Theory; Sub-cultural Theory; Control Theory; Opportunity Theory; Learning Theory) around a simple key concept: shaming.

According to Braithwaite (1989), shaming can be used in two different ways: like stigmatisation; and like reintegrative shaming. The former increases the future criminal activities of the offenders, pushing them inside deviant sub-cultural groups; the later decreases the future criminal activities of the offenders, attempting to reintegrate them inside the society (dominant group).

Whereas the theory of reintegrative shaming assumes a relation between criminal law and moral norms, it lacks to explain those mechanisms that make an individual “break moral rules defined as crime in law” (Wikstrom, 2006a) the first time.

The whole theory focuses on the social reaction that follows at the “initial deviance”, and how the two different social reactions (stigmatisation and reintegrative shaming) affect the future criminal behaviour of the offender. Hence, although the Reintegrative Shaming Theory presents the merit to attempt to harmonize most of the existing criminological theories, it falls inside a theoretical chaos.

Braithwaite (1989) is unable to resolve the existing conflict among the opposite theoretical assumptions. Exempli gratia, the relationship between morality and crime that has been postulated by the different criminological theories, which she attempted to integrate. Braithwaite (1989) is also unable to explain the first manifestation of the criminal behavior as I wrote supra.

Situational Action Theory of Crime Causation

At the present tense, there is only a theory that: can be worth to be considered; and, is able to explain “why” and “how” people “break moral rules defined as crime in law” (Wikstrom, 2006a), even if these people are “good” and have “internalized” moral norms.

According to Wikstrom (2006a), “crimes are acts of moral rule breaking. To explain crime is to explain why individuals break moral rules defined as crime in law”. This does not mean that Crime and Morality overlap completely as: “not all moral rules are criminal laws” Wikstrom (2006c); and “a theory of crime causation … does not imply any acceptance of existing laws as necessarily legitimate or morally justified based on higher order moral principles” (Wikstrom 2006a).

The importance of the link between moral rules and criminal law according to the Situational Action Theory of Crime Causation seems to be double.

First of all, both moral norms and criminal law share common structures, languages and functions: “Moral rules prescribe what is right and wrong to do (or not to do) in a particular circumstance. Criminal law is essentially a set of moral rules” (Wikstrom, 2006a).

The present writer underlines that this happens because: on one hand, both of them are normative language; on the other hand, both of them are part of the bigger set of Social Norm. Moral and Legal Norms are two different type of Social Norms.

Second of all, the mechanisms (Bunge, 1999), which operate when people break both moral norms and criminal law, seem to be the same.

This latter point is well described by Wikstom. “To explain why individuals obey the law, or why they commit acts of crime, is to explain why they follow or break moral rules defined in law. To explain why individuals commit crime is, in principle, the same as explaining why they break any moral rule (i.e., the basic casual mechanisms are the same)” (Wikstrom 2006c).

For these reasons, the Situational Action Theory of Crime Causation defines crime “as an act of breaking a moral rule defined in criminal law” (Wikstrom, 2006a).

According to Wikstrom (2006a), the “moral rule guidance plays an essential rule in what moves an individual to act (or not act) in a particular way”. This happens inside the interaction between the “individual moral engagement with the moral context of a particular setting” (Wikstrom, 2006a).

This interaction is described by the Situational Action Theory of Crime Causation with a five steps’ mechanism: individual morality (moral values and emotions); moral perception; either moral judgment or moral habit; moral choice; moral action.

The individual morality represents: the different moral values that individuals can have; the “different moral threshold … for breaking particular moral rules” (Wikstrom, 2006a); and the set of moral categories used by people for interpreting contexts.

The moral perceptions are interpretations of the moral settings through the “filter” of people’s particular moral values. The “ identification of the action alternatives and their moral qualities in response to particular motivations in a particular setting” (Wikstrom, 2006a) is determined by the moral perception.

In the moral judgments and moral habits stage, people evaluate both the moral qualities of the perceived contexts and the potential appropriate alternative actions. Moral judgments happen when people deliberate “over the moral qualities of the perceived action alternatives” (Wikstrom, 2006a). This happens in particular in unfamiliar settings. Moral habits (on the other side) do not involve any deliberation. They are “automatic” responses that have grown out from repeated experiences[4].

In the moral choice stage, people decide how to perform their actions.

Finally, moral actions are the overt outcome of the covert mechanisms described supra.

The importance of these mechanisms is to provide a good explanation of the nature and causes of crime. This is useful for elaborating an effective crime prevention program (Wikstrom, 2006b).

Re-defining Morality

Although the Situational Action Theory of Crime Causation is: both, the best account on Crime and Morality at the present time; and a good example of “the multiform status of … criminology” like “a mixture of data on science, law … and morality” (Wolfgang and Ferracuti, 1982); it could be improved.

The present writer believes the social psychology able to increase the understanding of: both, the criminological phenomena; and, the relationship between criminal law and moral norms.

This could happen in two ways. First of all, it is possible to apply the existing research findings on the moral development (exempli gratia, Piaget, 1932; Kohlberg, 1964; etc…) to the criminological theories. Second, it is possible to improve the definition of moral norm like social norm. Consequently, it is possible to apply the research findings of the latter to the former.

The present writer strongly advises this second method. In other word, I believe to be very important and useful to improve the definition of moral norm like social norm.

This is needed as, when people speak about morality (and moral norms), they usually refer to a set of eternal, immutable, universal law that are based on a either divine or natural ground, which is innately rooted inside the conscience of human beings (Stephen, 1991). People are “good” if they recognize, and comply with, these “self-evident” moral values. People are “bad” if they are not able to identify those “self-evident” values.

Recently, a “self-evidence” based view of Moral Norms was re-presented inside the Natural Law’s Theory of Finnis (1980). This theory re-presents some Aquinas’ ideas (without having the theoretical background that was used by Aquinas!). Moreover, as Ancient Greeks already observed, what is self-evident for someone is not self-evident for someone else, and vice versa.  How can moral codes be self-evident, when “moral codes accepted at different times and places have been … different” (Stephen, 1882)?

Moreover, post-modernistic literature has largely demonstrated the impossibility to justify empirically or logically moral values.

The present writer argues that morality like self-evidence norm is based on the fundamental attribution error. The latter is the “innate tendency for the observers to underestimate situational influences and overestimate dispositional influences upon others’ behaviour” (Myers, 1999). In other words, the fundamental attribution error represents the tendency to under-estimate sociological factors that determined the individual’s behaviors.  Moreover, people tend to assume them and their society / social groups to be “absolute good” (!!), so if someone does not act as they want, he/she should be: “evil”; “ill”; “crasy”; “ugly”; “smelly”; “immoral”; “criminal”; “felonious”;  … unable to understand their absolute right and just “self-evidence” dogmas!!!!!!  They cannot think something wrong could be inside them and their social group!!

Exempli gratia, the fundamental attribution error biases in part the theory of Kohlberg (1964, 1976). According to Kohlberg’s theory, criminals break Law as they “suffer from what is, in essence, an arrested level of moral development” (Haney, 1983). Kohlberg (1964, 1976) argues: both, pro a universal and eternal definition of moral law[5]; and, pro an overestimation of individual dispositional factors. One of these Kohlberg’s Beliefs is that: criminal behaviors are the outcome of the individual inability to progress at higher moral stages[6]!! But, behind the appearance of a pleasant discourse, at the end, these “higher moral stages” mean only to obey to the pro tempore Power’s Will!! Who obeys to the Power is always: “good”; “clever”; “nice”; “good-looking”; “moral”; “sane”; “equilibrate”; “fragrant of roses”; and so on … .  That’s all Folks!!

The present writer argues that Kohlberg does not keep in account a realistic developmental prospective. He neglects important developmental aspects such as non-normative factors (Baltes, 1987), which can affect deeply the human development

The only empirical approach for studying moral norms is to recognize them simply for what they are: social/group norms (customs). The very fact that they are different among people (even if when they are members of the same group) is due the different life experiences. This is not a negative factor. It is a necessary part of the human evolution. What is negative and dis-adaptive is: homologation; standardization; normalization; etc… .

This definition is supported by Dewey (1922) and Stephen (1991).

The former states: “morals means customs” as “everywhere customs supply the standards for personal activities. ” … “Customs (not only)… constitute moral standards”, but “customs (also) make law”. The later argues that law can only be “simply a particular case of custom” as no social organization can last long on coercion since “a bond which rested solely upon fear would give, not an organic compound, but a temporary association, ready to collapse at every instant”.

The present writer agrees with them.

Most people respect criminal law without having any idea of the articles of criminal codes. They do not offend even if they do not know the different interpretations given by Courts.

All in all, moral norms like social norms (customs) seem to be a realistic approach able to enhance the understanding of: both, the relationship between morality and crime; and, our comprehension of the Nature of Crime.

How Social Psychology may help the Situational Action Theory of Crime Causation

I think the Situational Action Theory of Crime Causation could be integrated with some research findings developed inside the Social Psychology, Cognitive Psychology and Social Cognition.

For instance, the research findings on conformity, compliance, acceptance, norm formation (Sherif 1935, 1937), group pressure (Asch, 1955) and authority obedience (Milgram, 1965, 1974) could be integrate in its framework.

People, indeed, could behave in opposite manners respect their: moral values and beliefs; moral perceptions; moral judgments; moral habits. This could happen simply for: group pressure; de-individualization (Freedman, Sears and Carlsmith 1978); compliance to Authority; or, conforming to social roles. Exempli gratia, does somebody still remember the Sanford Prison Experiment (Zimbardo, 1972)?

Conclusion

I believe the Situational Action Theory of Criminal Causation a good construct to enhance the understanding of the relationship between Morality and Crime.

Nevertheless, I argue that this framework may be improved with the research findings of the social psychology.

Indeed, at the present tense, the Situational Action Theory of Criminal Causation seems unable to explain clearly the hypothesis in which: people, who recognize their actions like “wrong”, decide to perform them.

Constructs like social pressure, obedience to authority, norm formation,   etc…, should be integrated to resolve these possible contradictions.

[1] This quotation of Peters (1958) has been also used by Wright (1971).

[2] Exempli gratia, one of the assumptions of the Social Psychology is the Pervasive Nature of the Social Influence (e.g., Smith E. and Mackie D. 2004). Who does not consider this element, does NOT understand a lot in Psychology!!

[3] That’s all. Evidences are given every day. Actions (done by members of differ groups) are evaluated in very dissimilar manners. On one hand, some behaviours (done by some people) are considered “evil”. Media are “forced” to describe them worst and bigger they are. On the other hand, the same (or worst) behaviours (done by others) are considered “good”!! Media: either, cannot speak about them; or, can speak very briefly avoiding any “unpleasant” word!! If this is not a matter of Social Power!?!?

[4] Classical and Operant Conditioning.

[5] Exempli gratia, expressed in his universal valid stages.

[6] Kohlberg copies this “nice idea” from Spiritism!! Indeed, far before Kohlberg, Spiritism suggested that Spirits’ wicked behaviours were consequences: either, their lower Moral Evolution; or, their inability to evolve to higher Moral Stages.

Something about Lie-Detectors

ABSTRACT

Whereas some of the English speaking Countries use Lie-Detectors, other Nations (such as the Wisest and Sagest Italy) do not! This article, very briefly, shows why Lie-Detectors should not be trusted. Exempli gratia, they could be perilous and dangerous instruments during police enquires and/or any other investigation of Truth.

In other word, Lie Detectors could not be more trustable then Medieval “Trial of Ordeal” and/or Judicium Dei!! Why? Read the article and get the answer by Yourself!

 “And after all, what is a lie? Tis but

The truth in masquerade; and I defy

Historians, heroes, lawyers, priests to put

A fact without some leaven of a lie.

The very shadow of true truth would shut

Up annals, revelations, poesy,

And prophecy …

Praised be all liars and all lies!”

Lord Byron, Don Juan

Introduction: lies and human ability to recognise them.

It is believed that abilities to recognize lies have been developed from the earliest human history. They were supposed necessary skills for human survivor (Swanson C. R., Chamelin N. C. and Territo L., 1996). Nevertheless, the homo sapiens sapiens does not seem to have succeed in this “adaptation”! Their abilities to identify lies are not higher then chance (Ekman and O’ Sullivan, 1991). Indeed, even though most people believe to be able to recognize deceiving, very few of them (independently by their professions and experiences) are able to perform better then chance (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004; Kraut and Poe, 1980; De Paulo and Pfeifer, 1986). In some empirical cases, data showed performances lower then chance (Porter S., Woodworth M. and Birt A. R., 2000).

Only the U. S. secret agents of Central Intelligence Agency (C.I.A.) have performed better then chance. They had a score of 64% in deceptions’ identification (Ekman P. and O’Sullivan M., 1991). In other words, they are wrong one third of the cases!! Good job (!), considering the consequences of their actions!

The ability of human beings to read the verbal and not verbal communication of the others was the first kind of lie detector. It was believed (from the Ancient Time) that: when a person lies, he/she is nervous for his/her sense of guilty. Hence, liars manifest physiological arousal and behaviours such as: looking down; avoid gazing at the eyes of accusers; moving their “big toe in circle”; getting dry their mouths (Swanson C. R., Chamelin N. C. and Territo L., 1996; Segrave K., 2004). According to Segrave (2004), Vedas have described some of these clues since Antiquity. More recent studies (from: psychology; ethology; physiology) seem to have confirmed the tendency of the human beings to express their deceiving with some verbal and not verbal signs.

Ekman, O’Sullivan, Friesen and Scherer (1991) suggest that the combination of the verbal and facial clues allowed performances of 86% in lie detector. But, this study has not been confirmed by others literature!

The failing to detect lies (using the verbal and not verbal clues) is originated, according to Vrij A. (2000), from observers’ will, as they “do not want to detect lies”. I do not believe this is the reason. I consider reason: the unreliable nature of these signs. They could be, simply, neutral expressions of emotional states that can: be originated by different sources; indicate opposite feelings. Thus, any associations between these signs and lies …: could be arbitrary; and follow observers’ expectances. Furthermore, human beings react differently each other’s. So, it is not possible to individuate behavioural patterns able to indicate lying. Evidences are given by the study of: Akehurst et. al. (1996);  Kapardis (2005). According to the latter, people are more accurate in recognition their own lying patters of behaviours rather than others.  This implies the existence of different patters of behaviour from person to person.

There are a lot of evidences about the unreliable nature of these indicators. For instance: the eye blinking, considered a deception – indicator (Kapardis, 2005; Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004), has not been confirmed by other studies (Mehrabian, 1971). Then, the avoidance of looking at the other peolple’s eyes does not mean necessary: lying. It can also indicate politeness (e.g. staring is considered aggressive behaviour). Next, it could indicate simply: shyness; etc… .

Further, some authors (Swanson C. R., Chamelin N. C. and Territo L., 1996) consider “opening wider the eyes” like a clue of deceiving. But, this sign can, on the other hand, simply indicate: a state of surprise; and/or the wish to “see clearer” (Eibel-Eibelfeldt, 1993).

More, the higher pitch of voice, considered a good indicator for lying (Kapardis, 2005), correlates also with intimate relation (Eibl-Eibelsfeldt, 1993).

Although Vrij (2000) thinks that “some behaviour are more likely to occur when people are lying”, I believe they caused by different factors (of opposite nature) that do not allow any trustable use.

One of these opposite factors can be: both the fear of the deceiver and the fear of the innocent to be involved in an unpleasant situation (Swanson C. R. Chamelin N. C. and Territo L., 1996). This is as the emotional and physiological arousal is “the same” for every feeling.

Thus, I agree with Kapardis (2005) that human beings are not good lie detectors.

Consequently, we are going to focus on the “technological” lie detectors: voice lair detectors (psychological stress evaluator); and polygraph.

 

Technology employed in the recognition of deceiver: voice lair detectors; polygraph.

Psychological Stress Evaluator (PSE)

According with Kapardis (2005) and Bartol C. R. and Bartol A. M. (2004), Psychological Stress Evaluator (PSE) is based on some assumptions. One of these is that: physiological stress produces changes in the voice of liars. Hence, the Psychological Stress Evaluator attempts to identify low frequency changes in the voice to recognize the presence of a higher stress. The “micro-tremor in the vocal muscles” is used like indicator. Although the PSE could be employed in a wide range of application (Kapardis, 2005; Segrave K., 2004), different studies report it does not perform better then chance (Kapardis, 2005; Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004).

The changes in the voice, indeed, are not characteristic features of lying. They follow a wide range of emotions (Lykken D. T., 1988; Eibl-Eibesfeldt I., 1993). For instance, they can be produced by: the uncomfortable feeling caused by a “particular question”; and/or by the person who makes the question; and/or by the situation itself.

In these cases, one can result “liar” even telling the truth.

Polygrap

A better instrument, with less application then PSE, is the polygraph.

The polygraph attempts to recognize those physiological changes linked with offenders’ fear to be identified like liar (Howitt D., 2002).

Many items are measured (poly = many; graph = measures). They are: respiration; heart rates; blood pressure; electro-derma response.

According to Bartol C. R. and Bartol A. M. (2004), Kapardis A. (2005), Raskin D. C. (1989) and Vrij A. (2000), there are different techniques: the relevant – irrelevant technique (R-I); the control question test (CQT); the guilty knowledge test or Information Test (GKT)[1].

Relevant – irrelevant technique (R-I)

The R-I method assumes that: the fear to be identified like liar produces more physiological responses to relevant questions then the irrelevant ones (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004).  This assumption does not always work. A strong emotional response (to the relevant questions) can be given by: both liars; and truthful people (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004; Gale A., 1988). Is can fallow “the simple fact that innocent” people are “anxious about the outcome”. So, they produce positive responses to the relevant questions (Kapardis A., 2000). Moreover, the literature indicates that R-I has not met an acceptable internal and external validity (Ruskin D. C., 1989).

Control question test (CQT)

The CQT method applies three types of questions: neutral questions; relevant questions; control questions (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004; Ruskin D. C., 1989; Vrij, 2000). The control questions are the key feature of this test. The physiological reactions, exhibited during the control questions[2], are confronted with subjects’ reactions exhibited during relevant questions (Ruskin D. C., 1989; Vrij A., 2000).

This method has several problems. The difficulty to construct control questions “that will elicit stronger physiological responses in the innocent than relevant question about the crime” (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004; Ruskin D. C., 1989; Vrij, 2000). The increase of emotional arousal in innocent subjects that can be caused by different reasons, not related to the sense of guilty (Vrij A., 2000).  The weakness of its theoretical foundation and logical rationale (Ben-Shakher G., 2002). The inadequate standardization (Ben-Shakher G., 2002). The lack of physiological responses’ objective quantification (Ben-Shakher G., 2002). The problem of contamination from not – physiological responses (Ben-Shakher G., 2002). The examinees’ belief about the infallibility of the test (Vrij A., 2000). In absence of this latter, the physiological reactions can be inappropriate to the outcome of a reliable test.

Guilty knowledge test or Information Test (GKT)

The GKT is considered one of the best methods for detecting lying (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004; Ben-Shakher G. and Elaad E., 2002), even though little work has been done for its implementation (Ben-Shakher G. and Elaad E., 2002). According to Ruskin D. C. (1989), Vrij A. (2000), Kapardis A. (2005), the questions[3] are constructed using unknown material about the scene of crime. This material can be known only by: examiners; people present at the criminal scene. The test has the form of a multiple-choice test. It is aim is not to discover deception, but presence of “guilty knowledge”. The guilty knowledge is detected observing strong physiological reactions with alternatives related to the crime scene.

One of the best discriminator, between the presence of guilty knowledge and its absence, appears to be the electro dermal responses (Kapardis A. 2005; Raskin D. C., 1989).

According to Ben-Shakher G. and Elaad E. (2002), this method can resolve different problems that rose with the formers’.

First of all, it applies standard procedure. Thus, all the examinees go through some experiences. Second of all, the risk of results’ bias with not-physiological information is decreased. Next, its “accuracy can be estimated from laboratory studies”. Finally, the risk of false positive is reduced.

Although these positive elements support the GKT, this method has also several limitations: the availability of enough items (unknown about the crime) to use in the questions (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004); the fact that details used by examiners was not perceived by guilty subjects (Vrij A., 2000). The examinees could also forget details (Vrij A., 2000). Then, there are few trained polygraphers, as this method is not included in most of the training programs (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004). Further, the limit number of real crimes in which can be used (Kapardis A., 2005; Vrij A., 2000). Moreover, the main limit of this method is its feature of recognising only guilty knowledge. Hence, offenders can always say they were present to criminal scenes like witness but they were not the offender (Vrij A., 2000). Also, innocent eyes-witness (who denied their presence to avoid to be involved) could be considered offenders (Vrij A., 2000).

As a consequence, I firmly disagree with Kapardis (2005) and Ben-Shakher G. and Elaad E. (2002) when they affirm the CKT able to protect “innocent suspects from being falsely classified as guilty”!?!?!?

Bias factors operating with every method

Independently by methods, a wide range of factors can also bias polygraph results. They are: the experience of examiners (Kapardis A., 2005); the talent of examinees in lying (Kapardis A. 2005); the use of countermeasures by examinees (Vrij A., 2000; Gudjonsson G. H., 1988; Ben-Shakher G. and Elaad E., 2002; Honts C. R. and Amato S. L., 2002)[4]; the confirmation bias, e.g. when examiners know examinees to be suspects (Howitt D., 2002).

In addition, the theoretical foundations and assumptions, on which the polygraph tests are based, have received strong radical critics (Ney T., 1988; Lykken D. T., 1988). Ney T. (1988), after having identified polygraph testing’s four assumptions[5], concludes these are false. The reasons are: people may control their physiological reactions; “specific emotional stimuli cannot predict emotion” as we cannot know how the individual cognition evaluates an “emotional stimulus”; “relationship between the different parameters of emotion is … weak”; “individual may vary between themselves across a number of parameters of emotion”.

Lykken D. T. (1988) argues that the human beings are not “equipped with a distinctive physiological responses that” they emit when they lie. A thesis confirmed by Bull R. M. (1988), who states that does not exist such thing as special physiological responses produced by people when they lie.

Another problem (few considered by the literature) is the inability of the polygraph to distinguish between lies and false memory. In this case, people can result truthful even if they tell something that is not true. The lies-detector “measures” what people “feel” to be true, not what is objective true.

The large amounts of mistakes made by polygraph tests (false positive; false negative) confirm the reasons (supra illustrated) of the critics’ good foundation. According to Carroll D. (1988), false positives are more than false negatives.

The reliability of the laboratory studies emphasized by some writers (such as: Ben-Shakher G. and Elaad E., 2002) was criticized by Howitt (2002). The latter argues laboratory studies not a good instrument to verify the accuracy of polygraph. The examinees are set in different emotional contexts respect those of real criminal investigations. Failing the set – up laboratory polygraph test does not imply anything. Failing a polygraph examination during a police investigation can have serious consequences even if one is innocent.

People, without a strong alibi, prefer confessing false crime rather then to defend their innocence. If they confess a false crime, they have more soft criminal consequences then defending their innocence. Moreover, a good legal defence needs economic resources than not everyone can have.

I disagree with psychologists that believe false confessions (made after a positive polygraph) to be consequences of doubts about memories (Vrij A., 2000). They could be, more likely, a rational choice caused by a Legal System that gives too importance to Psychology! It is better for an innocent (without a good alibi) confessing false crimes rather than challenging polygraph results in the Court. The latter choice will lead to stronger criminal consequences!!

Brainwaves analysis of guilty knowledge & functional magnetic imaging (fMRI)

A possible solution, at these lacks of accuracy, can be seen in the brainwaves analysis of guilty knowledge. According to Kapardis (2005), this method is characterised by detecting P3 or P300 brainwaves. They are supposed to be event-related waves evocated by uncommon stimuli with special significance for people. These waves are assumed to detect guilty knowledge with a better accuracy then CKT.

Using functional magnetic imaging (fMRI), it is possible to individuate areas of the brain that are used when people pay attention and try to control errors (anterior cingulated gyrus and prefrontal cortex).

This system is believed to guarantee a higher accuracy, and at least to exclude countermeasures bias (Kapardis A., 2005).

Personally, I think that these beliefs (like always happened) follow newer methods’ enthusiasm! First of all, it is too early to express any kind of appreciation on these methodologies. They are not been used a lot. Only after some real applications in legal settings, we could “appreciate” both the weaknesses and strengths of these methods. Second of all, the neurosciences are a perilous field! Indeed, the images and brain area activations could be determined always by different processes and functions (e.g. Benso F., 2013). In other word, it is always the REALITY (the material facts) to give meaning to the images of neurosciences, not vice versa!! Third, the data in neurosciences are mediated by computer’ software. They cannot be trusted so much. They are not always able to reflect REALITY.

Anyways, at the end, remember: “everything has its abuse as well as it is use” (Bernard Show).

Conclusion

Although the mankind have been attempting to find a system able to discriminate between true and lie since Antiquity (Segrave K., 2005), human beings have not succeeded in this research. The results are contradictory. The degree of errors is still elevated. The literature is divided into two “parties”. One is for a sceptic idea about lie detectors (Nye T., 1988; Carrol D., 1988; Lykken D. T. 1988; etc…); the other one supports them, despite of their weakness (Barland G. H., 1988; OTA, 1993; etc…).

Whereas polygraphs had a wide use in USA, some European States do not allow lie detectors: both in criminal setting during the investigation and in front of Courts. Polygraphs are not also allowed in labour personnel selection. These decisions have been made: due the high degree of inaccuracy; and, due ethics issues.

All in all, “a lie detector does work as long as the subject believes it works. A good examiner scares the crap out of you. It’s theatre” (Leonard Saxe)[6].

But, Truth and Justice should not be the outcome of theatrical representations!!

[1] Other methods exist, even if they are less used, such as: relevant – relevant procedure (Bartol C. R. and Bartol A. M., 2004); the directed lie control test (Ruskin D. C., 1989). The former was an attempt to resolve some weakness of the R-I method; the second one has been the attempt to resolve some problems of the CQT.

[2] Such as: denying a behaviour that likely every people do.

[3] Used in this method.

[4] Even if some authors does not believe in the effectiveness of the countermeasures used to bias the polygraph (tongue biting; foot tensing; counting sheep or backwards); others studies show that people trained in using countermeasures can be able to beat the polygraph test (Vrij A. 2000). Honts C. R. and Amato S. L. (2002) reports, for instance, how the different countermeasures work with the different methods (R-I, CQT and GKT).

[5] The four assumptions are: the human beings cannot control their physiological reactions and behaviours; “specific emotions can be predicted by specific stimuli”; “there are specific relationships between parameters of behaviour”; there are no differences in the response of people (Ney T. 1988).

[6] This quotation has been reported by Segrave K. (2005).

Methodological Mistakes’ Example in Psychological and Criminological Research. Example number 1: The role played by the “attention shifting in children pro-social behavior” (Wilson B. J., 2003) and how re-doing the research with a better Methodology!

ABSTRACT

This article shows an example of “how” a lot of psychological and criminological research has been done with poor methodology. Behind an apparent “scientific” appearance, some of these studies hid plenty of vitia (methodological mistakes), which prejudice results. In this way, the research findings are biased in the direction wanted by the observers.

This article shows the methodological vitia done by Wilson B. J. (2003) in a research on the “attention shifting” in “pro social” and “antisocial” children.

After having explained the mistakes, the article illustrates how the study should (eventually) re-done with a better methodological awareness.

Rationale – Background (Wilson’s mistakes).  

This Paper shows an example of “how” a lot of psychological and criminological research has been done with poor methodology. Like sample, the study on the attention shifting made by Wilson B. J. (2003) is used. The Paper, after illustrating the methodological mistakes, explains how the study should be “re-done” with a better methodological awareness.

According to Miller, Galanter and Pribram (1960) the cognitive processes are a central aspect to understand the human behaviour. The social information-process research could be applied successfully to the understanding of the aggressive and antisocial behaviour in the human beings (Losel F. 2005).

From the basic information processing model TOTE (Test – Operate – Test – Exit), proposed by Miller G. A., Galanter E. and Pribram K. H. (1960) more accurate models have been developed. Dodge, for instance, applied a social information-processing model for understanding children’s aggressive responses (Losel F. 2005; Lewis M. and Miller S. M. 1990; Dodge K. A. and Coie J. D. 1987; Crick, N. R. and Dodge K. A. 1996; Dodge et al., 2003).

According to Lewis M. and Miller S. M. (1990), Dodge indicated five stages that are involved in producing appropriate or inappropriate response.

These stages are: encoding; interpretation; response research; response decision; enactment. Inappropriate aggressive responses can be produced by some deficits in one or more of these stages. For instance, subjects: can misunderstand situations; or have learned a range of few possible responses to those situations.

Although a relation between cognitive processes and behavioral responses seem to be proved, the research, on “how” individual elements (of the Information Processing Model) affect behavioral responses, presents several limitations.

Some of these studies, for instance, are examples of inaccurate research.

The study of Wilson B. J. (2003) on the rule played by the “attention shifting in children’s pro-social behavior” has presented different methodological mistakes.

First of all, experimental groups were only two: 27 aggressive/rejected participants; and 27 non-aggressive/popular participants. A control group was absent.

Second of all, the subdivision in two groups (aggressive/rejected and non-aggressive/popular) has been an arbitrary distribution. A better study should have considered four different groups: aggressive/rejected; aggressive/popular; non-aggressive/rejected; non-aggressive/popular. Dodge K. A. et al. (2003) have demonstrated that: peer rejection predicts growth in aggression. Thus, from the study of Wilson B. J. (2003), we do not know with “what” attention shifting correlates. We do not know the nature of subjects’ aggressive behaviors. Is this related with “endogenous” aggression (e.g. traits)? Is this related with exogenous aggression (e.g. like natural answer to others’ aggressive behaviors)? Is this related with social rejection? … Etc… . We do not know.

Moreover, we will never know social rejections’ factors that determined aggressive answers. It is true that correlation does not mean causation (Hagan F. E., 2005), but the study of Wilson B. J. (2003) is not able to show the nature of this correlation. The “apparent correlation”, which was found, is the outcome of a chain of methodological mistakes and prejudices. The aggressive behaviors of the aggressive/rejected group, instead of being linked with endogenous factors, could be a mere consequence of social factors (outside the subjects). Those factors could be, exempli gratia, the rejections made by others.  It is possible that who rejected was more aggressive of the rejected one. For instance, the former could have acted with pro-active aggression. The latter could have answered simply with a natural reactive aggression.  Usually, receivers of aggression are the social weaker people. Thus, at the end, the subdivision made by Wilson B. J. (2003) is: arbitrary; biased by social factors such as the relations of “power” existing among the members of the group. Furthermore, traits attributed to subjects could be consequence of social mechanisms such as: just a world; fundamental error of attribution; scapegoat. The “guilty one” should be: the social weaker person. It is easier! It is a “social tradition”!! Thus, the correlation (found by the researcher) was consequence of many bias’ mechanisms operating in the Social and Psychological Sciences Research. An illustration of them, it is given by Epis L. (2011/2015).

The study of Wilson B. J. (2003) itself gives evidences of what the present writer wrote above. One of these is the strong selection bias. No equivalent groups have been chosen for comparison (Hagan F. E., 2005; Bachman R. and Schutt R. K., 2003). Groups have been selected in biased ways, which have affected the result of the Null Hypothesis Test. The aggressive/rejected group had a majority of male; whereas the non-aggressive/popular group had a majority of female. As “girls, regardless of status, have less difficulty then boys (in) shifting attention from one affective state to an others” (Wilson B. J., 2003), the higher presence of girls in the non-aggressive/popular group has enhanced surely the performance of this group. In the same way, the higher presence of boys in the aggressive/rejected group has decreased certainly the performance of this group. This is proved and attested by the same research findings of Wilson B. J. (2003)!!!!! Thus, it is simply a matter of logic! But, RARERY is LOGIC used by Psychologists and in Psychological Research (Epis L., 2011/2015). In other words, the different number of male and female inside the two groups have, according to the same research findings, biased and prejudiced the performances of same groups, creating a statistical significance that would not be existed without these mistakes. But please, do not worry if you cannot understand these logic implications. Even a lecturer of the University of Cambridge (e.g. Painter Kate) was unable to understand those aspects[1]!!

Moreover, as I introduced supra, the study of Wilson B. J. (2003) do not make any distinction between pro-active and reactive aggression. Hence, at least, we do not know if the attention shifting correlate differently with these two types of aggressive behaviors.

The distinction between proactive and reactive aggression is fundamental. According to Vitaro F. and Brendgen M. (2005) the reactive aggression “has its roots in the frustration-anger theory”; whereas the pro-active aggression “is more in line with the social learning model of aggression”. These two types of aggression seem to be present differently in the children. According to Camodeca M. and Goossens F. A. (2005), the reactive aggresion is common both in bullies and victims; whereas the proactive aggression was “only characteristic of bullies”. The proactive aggression, however, is not only a characteristic of the bullies (Camodeca M. and Goossens F. A., 2005), since Dodge and Coie (1987) have found that proactive aggressive boys “were also viewed as leaders”. Moreover, Crick and Dodge (1996) suggested that proactive and reactive children processes social information differently[2].

Hence, also, these research findings prove the presence of biases and prejudiced discussed supra.

For all these reasons, the relation between aggression and attention shifting cannot be proved by the exanimated study.

Here below, I explain how the research could be done with more methodological awareness.

A New Research on the Attention Shifting: the Research Questions

The investigation should verify whether attention shifting operates differently between proactive and reactive aggressive children. Furthermore, more categories should be considered: bullies; leaders; popular and unpopular children[3]; and so on.

Exempli gratia, we will attempt to understand if there is a difference in attention shifting among: proactive bullies; proactive leaders; reactive popular children; reactive unpopular children.

Methodological Approach and Research Hypothesis

 

Methodological Approach

This investigation is a correlation study. Hence, inferential statistic will be used. The level of statistical significance will be the customarily a = 0.05 (p<0.05)[4] (Hagan F. E. 2005). The test of significance will be non-directional (two-tailed), as at the present tense, there is not enough literature (produced with good methodology) that can suggest a direction instead of another one among the considered groups.

Attention shifting will be measured with ten thematic groups of six pictures. The protagonists of each thematic groups present different combination between aggressive/hostile and non-aggressive/friendly “body language” and “expressions”. Attention shifting (between negative and positive emotions) will be measured. The importance given by subjects to opposite cues and their abilities to recognise them will be considered. The pictures will present: both/either aggressive/hostile contexts; and/or non-aggressive/friendly contexts. The pictures should be done in way that: the general population of the children (between six and seven years) recognises half of them like aggressive/hostile and half of them like non-aggressive/friendly. Validity and reliability of the thematic pictures must be checked with a precedent study[5]. A higher number of identification like aggressive/hostile behaviour will indicate more attention to the aggressive/hostile cues. A higher identification of non-aggressive/friendly behaviours will indicate more attention to the non-aggressive/friendly cues. The thematic group of six pictures will be displayed for a short time (10 seconds) on a monitor. Children will have to classify each context like: either aggressive/hostile; or non-aggressive/friendly. The short time given for observing allows researchers understanding where attention shifting focuses more.

Research Hypothesis

The research hypothesises are:

  1. there is statistical significant differences in the classification made by reactive and proactive aggressive children?;
  2. there is statistical significant differences in the classification made by reactive unpopular children and the reactive popular children?;
  3. there is statistical significant differences in the classification made by proactive bullies and the proactive leaders?

The null hypothesises, briefly, are: there is not statistical significant differences BETWEEN and AMONG groups.

Research Design and Method

Participants

Four groups (each one) composed by 40 participants (20 male; 20 female) will be used.

The children will be selected in primary schools. The age will range from six to seven. A wider age difference will be avoided as it could introduce confounding variables. The difference age can itself be a factor able to affect the reactions (Vitaro F. and Brendgen M., 2005).

The reactive and proactive children will be selected using the “teacher-rating instrument” developed by Dodge and Coie (1987). According to Poulin F. and Boivin M. (2000), this scale seems has good validity.

The subdivision of proactive aggressive children in two groups: bullies and leaders (in absence of a validated scale) will be done considering the opinion of the teachers and the opinion of their classmates. Nevertheless, this can be a bias factor. Also the subdivision of the reactive children in two groups: popular and unpopular (in absence of a validated scale) will be done considering the opinion of the teachers and the opinion of their classmates.

All these groups should have (for the reasons illustrated supra) an equal presence of male and female. Otherwise, male and female should be compared only with other male and female. This is due the fact that girls and boys perform differently in attention shift (Wilson B. J., 2003). Hence, the prevalence of male or female in a group will bias the group performance.

Procedure   

The four groups will have to classify 60 pictures. They are gathered in 10 thematic groups with 6 items each. Each thematic group is constituted by: the same protagonists; the same contexts; with different body language and expressions. The body language cues will be gradually changed from aggressive/hostile to non-aggressive/friendly. Exempli gratia, one should have 100% of aggressive/hostile body expressions; one should have a mix of aggressive (65%) and friendly (35%) expressions; two should have a mix of friendly (50%) and aggressive (50%) expressions; one should have a majority of friendly cues (65%) and a minority of aggressive (35%); one should have only friendly expressions.

The children will sit in front of a personal computer (PC).

Each thematic group will be displayed on monitors for 10 seconds. The children will have additional 10 seconds to give their choices (without the pictures). The thematic groups will be presented in different order (made at random).

The child will have to classify the situation represented by the six pictures like: either aggressive/hostile; or not-aggressive/ friendly.

A short break is done between each thematic group. During this break, the test-administrator asks to children if all is right and they are ready to proceed. It should last 30-40 seconds approximately.

The computer program will record the choices automatically.

Measures

The data will be analysed using the program SPSS.

An analysis of variance (ANOVA), correlation and regression, will be performed. The null hypothesises will be accepted or rejected according to these data. The level of statistical significance will be the customarily a = 0.05 (p<0.05).

The assumptions of: normality; homogeneity of variance; and continuity and equal intervals of measures; … are also tested. It is suggested by Kerlinger F. N. (1973).

Contribution

A study, made according to these criteria, could be a good attempt to understand if:

  1. exist a possible correlation between the attention shifting and aggressive behaviour;
  2. this correlation is different between proactive aggressive children and reactive aggressive children;
  3. this correlation is different between aggressive children with opposite social rules.

Ethics Issues

According to the code of practice (1993) of British Psychological Society, the informed consent of the parents (or those peoples who act in loco parentis) will be asked. The permission should be given after having received full information. It should be free and informed. Researchers will organise meetings with parents to explain the research study.  The study will avoid harming participants. Children (who will feel uncomfortable) will be withdrawn. Assistance will be provided if needed. Researchers will be committed to stay away from harming the participants as it happened in some experiments and studies such as, for instance, Cambridge-Summerville (1930). In that case, the boys of the treatment group have been harmed by their participation (Kimmel A. 1988; Ruane J. M. 2005).

The anonymity of the participants will be guaranteed using a number instead of their names.

Limits of the studies

It was believed that the main limitation about all these studies was about the overlap between attention and perception. This was believed as attention and perception are two different cognitive processes (Sternberg R. J. 2000).

Nevertheless, it is not. Indeed, according to Benso F. (2013) there is not perception without attention. This thesis is corroborated by plenty of recent research findings in cognitive neurosciences.

Thus, even if this question was not considered enough by Wilson B. J. (2003), nowadays it seems not to be an important issue.

After this study, further studies should be done to verify the relation between the different types of aggression and the attention[6].

Common limits for every study done with the actual customary methodological quantitative research are those described by Meehl. Exempli gratia, Meehl (1990a) argues that the: “Null hypothesis testing of correlational predictions … is subject to the influence of ten obfuscating factors whose effects are usually (1) sizeable, (2) opposed, (3) variable; (4) unknown”[7].

Meehl (1990a) suggests a possible way to reduce at least the problem of inadequate statistical power: applying at “your sample size at a power of .9 or better”. This can reduce the source of type I error (a) (risk to reject a true null hypothesis), but, on the other side, this increases the type II of error (b) of not rejecting a false null hypothesis

Different problem is the crud factor. According to Meehl (1990a; 1990b) the crud factor is that: “in social science, everything is somewhat correlated with everything (“crud factor”), so whether Ho is refuted depends solely on statistical power” (Meehl P. 1990b). The crud factor does not deal with “some source of statistical error” (Meehl P. 1990a), but when we speak about the crud factor “we are taking about real differences, real correlations, real trends and patterns for which there is, of course, some true but complicated multivariate casual theory”. Meehl (1990a) proceeds: “I am not suggesting that these correlations are fundamentally unexplainable. They would be completely explained if we had the knowledge of Omniscient Jones, which we don’t. The point is that we are in the weak situation of corroborating our particular substantive theory by showing that X and Y are “related in a non-chance manner,” up a range of admissible values that would be counted as corroborative”.

This problem cannot be resolved by statistics, but only inside an epistemological reflection (Meehl P. 1997). From this reflection, Meehl (1997) suggests “a corroboration index C*”. On the crud factor see also Epis L. (2011/2015).

The actual research, according to Meehl (1990a; 1990b; 1997), presents a weak use of significance testing. “What make this use weak, again, has nothing to do with the ratio a:b, but involves the epistemic relation between the inference H*: d > 0 and the alleged consequent confirmation of T” (Meehl P. 1997).

The risk is: when the Ho is refuted “gives powerful support to a weak theory” (Meehl P. 1997).

In other words, whereas we can decrease the problem of inadequate statistical power; at the present time it is not possible resolve completely the problem of the crud factor, unless we do not increase an epistemic and logic reflection as, also, Epis L. (2011/2015) strongly suggested.

For these reasons, further research should be done to verify possible positive outcomes.

 

[1] An evidence of how very few people (nowadays) are able to understand the logical and epistemological mistakes inside the Psychological Research and Paradigm. It shows, also, how Academia, instead of keeping a critical thinking, tends to “wear” and to “defend” the easier common “group’s thinking”. The facts happened in 2006.

[2] Pro-active aggressive children “evaluated verbally and physically aggressive acts in significantly more positive ways than did non-pro-active aggressive children”; and that pro-active aggressive “children are less likely to endorse relationship-enhancing goals during social interaction”.

[3] The rejection and social isolation is a form of aggression, where the aggression from a physical domain is applied indirectly in a social domain (Vaillancourt T. 2005).

[4] The level of significance a=0.05 is considered the more appropriate by the majority of the literature:  Lipsey M.W. (1990); Neuman W.L. and Wielgand B. (2000); Ronald J.H., Douglas G. H. and Regoli R.H. (1983). The latter suggests: an a=0.05 for samples which range from 30 to 100; and an a=0.01 for both samples that are higher then 100 and unavoidable small samples (lower then 30).

[5] The validity of the cues used in the pictures will be based on the studies of Eibl-Eibelfeldt (1993). The reliability of these pictures will be done with two validation studies: a test retest; and a split half. The customary research reliability coefficient of correlation (alpha) of 0.80 (Hagan F. E. 2005) will be substitute with an alpha of 0.90 (suggested by Meehl 1990a).

[6] Nevertheless, it is possible to develop additional studies for considering: the theory of attention “bottleneck” of Broadbent (1958); the theory of “the different allocation of the limited attentive resources” proposed by Kahneman (1973). In the same way, extra studies could be done to analyze the relation between perception and aggression. Exempli gratia, the different theories of perception (the theory of the constructive perception of Bruner and Gregory and Rock; the theory of direct perception supported by Gibson (Sternberg R. J. 2000); etc…) could be tested. This is as in “sciences” is better always verifying … and re-verifying  … everything. Nothing should be given for definitive!

[7] The ten obfuscating factors are: loose derivation chain; problematic auxiliary theories; problematic ceteris paribus clause; experimenter error; inadequate statistical power; crud factor; pilot studies; selective editorial bias; detached validation claim for psychometric instruments.

De Anima – Parte III – Nel Regno di Psyche

Allorché la sua mente è così concentrata … la dirige alla conoscenza del ricordo delle sue vite passate. … … Così egli ricorda le sue molteplici vite … nei loro modi e dettagli”.

Dvedhavitakkasutta (Il Discorso dei Due Generi di Pensiero)[1].

 

Ipnosi Regressiva e Meditazione BuddistaWikipedia -220px-Amore_e_psiche_(1)

Mentre l’Occidente ha considerato la possibilità di ricordare le vite passate solo di recente, l’Oriente lo ha fatto per millenni colla meditazione.

Exempli gratia, la Pratica del Ricordo usata dai monaci buddisti è descritta in alcuni testi quali il: Samannaphalasutta (il discorso sul frutto della vita ascetica); Dvedhavitakkasutta (il discorso dei due generi di pensiero); Visuddhimagga (il cammino verso la liberazione).

Inoltre, il ricordo delle vite passate del Buddha è riportato: nel Jataka; e nel Jatakamala.

La tecnica usata dai monaci buddisti applica la meditazione al ricordo.

Conformemente al Visuddhimagga, per raggiungere tale scopo, il monaco dopo essere passato attraverso i quattro stati d’assorbimento meditativo dirige l’attenzione alle vite precedenti. La capacità rievocativa dipende dall’abilità raggiunta. Questa inizialmente richiede la necessità di seguire la successione degli aggregati; in seguito conduce allo sviluppo dell’abilità di poter rievocare qualsiasi vissuto in centinaia di milioni di eoni.

Un novizio, per apprendere la pratica del ricordo, una volta emerso dal quarto assorbimento meditativo dirige a ritroso la sua attenzione cercando di ricordare tutto ciò che ha compiuto dall’ultima azione. 

All’insorgere d’una difficoltà, il monaco ripercorre i quattro stati d’assorbimento meditativo, riemergendo dai quali, l’evento problematico gli apparirà in tutta la sua chiarezza (Visuddhimagga).

La pratica richiede il suo tempo poiché il novizio retrocede, giorno dopo giorno, col ricordo fino al momento della sua nascita. Solo a quel punto, passa alle vite precedenti.  Un’attività difficile per i principianti che non devono scoraggiarsi. Tentativo dopo tentativo, riusciranno a ricordare dettagliatamente le esistenze passate vissute. Possedere una forte risoluzione è necessario. Ciò ha portato i buddisti a considerare l’adhitthana (termine pali per indicare la ferma determinazione)[2] una delle dieci perfezioni (parami e/o paramita). Ogni momento d’adhitthana è considerato come un “piccolo risveglio”, capace col tempo, di condurre al risultato ricercato.

La capacità di ricordare le vite passate è chiamata pubbenivasanussatinana (ricordo dei precedenti stati di esistenza). La capacità di ricordare gli eventi passati fino alla nascita è chiamata: conoscenza del passato[3].

Anche l’ipnosi regressiva è una metodologia che guida un soggetto[4] al ricordo delle vite passate. Essa è un’applicazione della tecnica ipnotica. Raggiunto lo stato ipnotico, il soggetto dirige l’attrizione al ricordo delle vite passate. Essa permette risultati in tempi più rapidi rispetto a quelli richiesti dalla meditazione buddista. Di contro, la qualità sembra essere minore.

La tecnica ipnotica è una disciplina nata in Occidente con Franz Anton Mesmer. Egli la scoprì accidentalmente imbattendosi in uno dei suoi espedienti base: l’esperienza destabilizzante e/o lo stato di confusione che spinge il soggetto in uno stato di suggestionabilità. L’essere umano posto in una situazione strana (difficile da capire; mai vissuta prima; etc…) sperimenta una sensazione d’incertezza che gli provoca uno stato di malessere. Il bisogno di dare significato all’insolito, rende il soggetto particolarmente sensibile ad ogni suggestione offerta dall’ambiente. E’ proprio la necessità d’uscire dallo stato d’incertezza, e/o di confusione, a cagionare la suggestionabilità.

Da allora, l’ipnosi si evolse in cinque tappe (Del Castello e Casili, 2007). Ognuna dominata da una figura leader. La prima tappa, come detto, fu quella dell’ipnosi classica di Masmer. La seconda quella dell’abate Faria che distinse tra soggetti ipnotizzabili e no[5]. La terza tappa ebbe due protagonisti: James Braid e Phineas Parkhurst Quimby[6]. La quarta tappa ebbe protagonista la scuola di Nancy ed il medico francese Ambrosie Lièbeault. La quinta tappa, la scuola della Salpetriere ed il neurologo Jean-Martin Charcot. Quest’ultimo distinse tra due tipi d’induzione ipnotica: quello “forte e brusco”; e quello “debole e prolungato”. Col primo si provocano stati di catalessia attraverso stimolazioni violente ed improvvise (e.g. l’apparizione d’una luce in una camera scura). Col secondo, i soggetti sono condotti in uno stato ipnotico con l’uso di alcune tecniche classiche quali: il progressivo affaticamento della vista; le pressioni delicate sul corpo; l’uso di comandi verbali; etc… .

In contrapposizione all’ipnosi classica, Milton Erickson propose l’ipnosi naturalistica.

I sostenitori di quest’ultima affermano di condurre i soggetti alla trance ipnotica usando le “risorse ipnotiche” di questi[7]. Le tecniche usate non procedono in modo autoritativo, ma, di volta in volta, sono ricucite e riadattate su misura sui soggetti. Ciò la rende flessibile. L’importante è seguire alcune linee guida quali: guidare l’attenzione; costruire “responsività” ai “segnali minimi”; usare la confusione; guidare le associazioni; promuovere la dissociazione; istaurare la regressione; favorire cambiamenti nello schema percettivo; accedere alle motivazioni; definire la situazione come ipnosi; ratificare le risposte “come ipnosi”; e lavorare subito con l’ipnosi (Del Castello e Casilli, 2011).    

Molto studiata è: la costruzione delle frasi e del discorso; la creazione del consenso; la polarizzazione dell’esperienza[8].

La differenza tra l’ipnosi e l’ipnosi regressiva sta nell’oggetto verso cui è diretta l’attenzione. Il soggetto, entrato nello stato ipnotico, è guidato progressivamente al ricordo d’eventi passati. Partendo dall’infanzia, il ricordo è portato verso le vite precedenti.

Un esempio di “istruzioni” per ricordare l’infanzia è il seguente:

“Ora la tua mente, libera dai limiti temporali, può ricordare gli eventi dell’infanzia. Lascia emergere un ricordo felice”.

Oppure:

Restando in questo stato di profondo rilassamento, puoi ricordare tutto. Lascia che la mente scelga un ricordo di quando eri bambino”. 

Un esempio d’“istruzioni” per ricordare vite passate è il seguente:

“Ora immagina una porta chiusa … una porta che ha un particolare potere … quello d’aprirsi sui ricordi d’una tua precedente vita. Aprendola sarai pervaso da una chiara luce … una luce amorevole … che infonde pace e tranquillità … mentre lentamente … da essa emergerà … prederà forma … il ricordo d’una tua precedente esistenza”.

Oppure:

“La tua memoria non ha limiti, può sporsi liberamente nello spazio-tempo… essendo capace di rievocare qualsiasi ricordo inerente alle tue precedenti esistenze. Per facilitare ciò, immagina che dinanzi a te appai una cabina d’un ascensore, entravi. Essa è una macchina del tempo, capace di portare la tua mente indietro nel Tempo. Rendi la cabina confortevole … e quando sei pronto … alza lievemente la mano destra … … . Bene ora sei pronto a proseguire il viaggio. Per partire premermi un tasto da tè scelto e/o immagina di dare tale comando alla cabina. Durante il viaggio, la cabina sarà pervasa d’una piacevole luce. Arrivato a destinazione, la luce si affievolirà … ed all’apertura della porta vedrai il ricordo evocato”.

Il resto è solo: esperienza individuale; ed interpretazioni sulle esperienze avute.

I ricordi possono essere assunti come ipotesi di ricerca. Potranno essere verificati (o confutati) attraverso la ricerca di controfattuali storici a là Stevenson.

In questo scritto non analizzo themae cari alla letteratura New Age quali: le anime gemelle; i colori dell’anima; le tipologie dei gruppi di anime; le guide spirituali; etc… .

For me, I know nothing; nothing I deny,

Admit-reject-contemn: and what know you,

Except perhaps that you were born to die?

And both may after all turn out untrue.

An Age may come, Font of Eternity,

When nothing shall be either old or new.

Death, so called, is a thing which makes me weep,

And yet a third of life is passed sleep”.

Lord Byron, Don Juan, canto XIV

Sogni Lucidi e Yoga del Sonno

In Occidente s’affermò un certo interesse per sogni lucidi durante la seconda metà del 1900. Di contro, la tradizione tibetana li studiò da secoli.

La tradizione Bon[9] sostiene che le tecniche legate allo yoga del sogno e del sonno sono state tramandate all’interno del suo lignaggio per più di 17.000 anni. Un lignaggio iniziato da Buddha Shenrab Miwoche.

In questo paragrafo parleremo: dello yoga tibetano del Sogno; dello yoga tibetano del Sonno; e delle ricerche sui sogni lucidi avvenute in Occidente.

Gli autori di riferimento, pubblicati in occidente, sulle tecniche yoga sono: Tenzin Wangyal Rinpoche (1998; 1997); Lama Lodo (1996); Namkhai Norbu Rinpoche (1993); Gyatrul Rinpoche (1993).

Conformemente ai loro insegnamenti, l’attività onirica è: un’estensione del samsara; determina dal karma. Durante lo stato intermedio dei sogni, la mente d’un individuo non ancora realizzato è guidata dal prana karmico. Questo, unendosi e stimolando le tracce karmiche depositate nella “coscienza deposito”, crea immagini oniriche. I sogni esprimono così le tracce karmiche accumulate dal soggetto nel suo pellegrinaggio nei sei regni d’esistenza (Tenzin Wangyal Rinpoche, 1998).

Conformemente alla tradizione bon, esistono tre tipi di sogni: i sogni samsarici; i sogni della chiarezza; i sogni della Chiara Luce.

Parallelamente, esistono tre tipi di sonno: il sonno dell’ignoranza; il sonno samsarico; ed il sonno della Chiara Luce.

I sogni samsarici sono i “sogni comuni” originati da tracce karmiche individuali. Hanno significati prevalentemente soggettivi, non in senso psicoanalitico ma karmico. In altre parole, questi sogni riguardano la vita (e/o le precedenti esistenze) dell’individuo. In essi eventi della vita presente e d’esistenze passate si mescolerebbero in un caotico e disordinato affiorare d’immagini a causa: della stimolazione del prana karmico; e dell’assenza del filtro della coscienza vigile. I ricordi che emergono in superfice, si mescolano fra di essi, come bolle d’aria nell’acqua. In questo tipo di sogni non avvengono incontri reali con altre entità, richiedendo questi il mantenimento della coscienza ivi assente.

I sogni della Chiarezza compaiono col progredire della pratica. Richiedono la capacità di: equilibrare il prana e la mente; entrare in uno stato di presenza mentale non-duale. Essi sono causati dalle tracce karmiche collettive. In altre parole, essi hanno significato oggettivo. Questo poiché la mente in essi può entrare in contatto con altri esseri reali. Con questi, il soggetto può comunicare e/o ricevere insegnamenti. Ad esempio si possono incontrare maestri spirituali, antenati, amici, con i quali dialogare.

I sogni della Chiara Luce richiedono maestria nella pratica dello yoga. Il soggetto acquisisce l’abilità di rimane saldo nella presenza mentale non duale[10]. In altre parole, la sua mente rimane stabile nella Chiara Luce[11]. In essi possono esserci, come non esserci, immagini oniriche. Ciò che li contraddistingue è l’abilità a mantenere la consapevolezza della natura illusoria di tutto ciò che accade, evitando di identificarsi con essa.

I primi due tipi di sogno possono essere: lucidi e/o non lucidi.

Il terzo tipo può essere solo lucido. Una lucidità costante che rimane nello stato di sogno e di sonno. Infatti, anche il sonno di Chiara Luce è l’abilità dello yogin di dimorare stabilmente nella Radiosità[12]. Raggiunte queste due abilità, lo yogin crea attraverso lo yoga del sogno[13] il corpo divino ed attraverso lo yoga del sonno[14] la mente divina.

Le tecniche insegnate in Tibet presentano un grado di “complessità” maggiore rispetto alle tecniche insegnate in Occidente[15]. Ai novizi è chiesta una costante disciplina nella pratica dello yoga.

Una pratica ‘suddivisa’ in: tecniche di base; tecniche preparatorie alla notte; tecniche principali; e tecniche d’integrazione attraverso le quali, l’abilità di mantenersi nella Chiara Luce è estesa a tutti gli altri stati intermedi.

Un esempio delle tecniche base è il seguente: riconoscere la natura onirica della vita[16]. Una pratica che ha l’obiettivo di trasferire tale abilità nel sogno.

Un’altra tecnica è la “pratica del ricordo”. Quest’abilità, esercitata due volte al giorno, richiede di ricordare gli eventi della giornata come fossero sogni, prima di addormentarsi, e al risveglio, ricordare i sogni allo stesso modo.

Esempi di tecniche preparatorie alla notte sono: la purificazione della mente[17]; la “protezione” durante il sonno[18]; lo sviluppo d’una connessione con un Maestro che aiuti il soggetto nell’avanzamento nella pratica[19].

La pratica principale consiste nell’integrare le immagini mentali colle dinamiche energetiche proprie della struttura psico-fisica del soggetto (descritta in summa nella prima parte). Per comprenderla, è necessario illustrare la fisiologia energetica dei tre canali energetici principali[20]. Questi canali possono essere identificati con Ida, Pingala e Susumna, sebbene nella riflessione tradizionale inerente lo yoga del sonno sono stati rielaborati[21].  Il canale centrale è raffigurato dal colore blu; il canale destro dell’uomo, dal colore bianco; il canale sinistro dell’uomo, dal colore rosso. La posizione dei canali laterali (destro e sinistro) nella donna è invertita.

Nel canale bianco circola il prana karmico[22]; nel canale rosso il prana della saggezza[23]. Nel canale centrale è realizzata la non-dualità.

Molti aspetti della pratica dello yoga tengono conto della fisiologia energetica.

Per istanza, essa determina il lato su cui dormire. Gli uomini dormono coricati sul lato destro; le donne sul sinistro. Questo favorirebbe l’apertura del canale rosso in cui scorre il prana della saggezza, grazie ad una lieve pressione esercitata, di contro, sul canale bianco. Questa pressione provocherebbe una parziale chiusura del canale bianco, ostacolando in tal guisa lo scorrimento del prana karmico.

L’obiettivo delle tecniche principali è: portare la coscienza nel canale centrale; e sviluppare la presenza della Chiara Luce.

L’integrazione è lo scopo finale dello yoga.

Attraverso questa tecnica è estesa la ‘presenza mentale nella Chiara Luce’ in tutti gli altri stati intermedi. In questo modo si accresce la capacità: di mantenersi distaccati dagli eventi; d’acquisire maggiore obiettività; di radicarsi più saldamente nella permanenza della Chiara Luce; ed di superare i Klesa.

In questo modo, lo stato intermedio di morte non è diverso dall’addormentarsi. Rimanendo consapevoli, è vinto il ciclo delle rinascite.

Per comprendere ciò, è da fare un’ultima precisazione.

Innanzi tutto è da chiarire come l’esistente per la tradizione buddista emerga dall’Unione di Vacuità e Chiara Luce attraverso l’azione della ruota della co-produzione condizionata. Quindi, per comprendere il pensiero buddista è sempre da tenere presente i concetti di Vacuità e di Chiara Luce.

Vacuità è definita come: la natura ultima della Realtà; l’essenza di tutti gli esseri ed entità (includendovi tutti: i fenomeni esterni; ed interni). Nonostante fu Buddha il primo a parlarne, il concetto fu sviluppato particolarmente nel II secolo d. C. dal fondatore della scuola Madhyamaka (Nagarjuna).

La Chiara Luce, di contro, è un concetto ampio che (in questo contesto) può essere identificato colla natura ultima della mente. Essa è il livello “più sottile della mente”. Nonostante sia onnipervasiva, la mente grossolana non la riesce ad avvertire. Solo durante lo stato intermedio di morte, avvenendo la dissolvenza della mente grossolana, la persona riesce a percepirla.

Lo yoga del sogno e del sonno cercano di allenare progressivamente i soggetti a prendere contatto colla Chiara Luce mentre dormono. In questo modo, imparano ad integrarla con tutti gli altri stati intermedi. E’ la capacità di restare nella Chiara Luce a liberare il soggetto dal ciclo delle rinascite.

Come lo yoga del sogno, anche lo yoga del sonno è costituito da un insieme di tecniche di visualizzazione. Il suo obiettivo è restare consapevoli durante il passaggio dallo stato di veglia a quello di sonno. Per riuscire, la consapevolezza è orientata al riconoscimento del progressivo estinguersi delle percezioni sensoriali. Questo processo è suddiviso in cinque fasi. Ognuna di esse è rappresentata da un tiglè[24] di colore diverso.

La prima fase comincia col coricarsi. La consapevolezza è focalizzata sul tigle’ di luce gialla. La seconda fase inizia col chiudere gli occhi. L’attenzione verso il Mondo esterno diminuisce. La coscienza è portata sul tiglè verde. La terza fase s’instaura col diminuire dell’esperienza sensoriale. La coscienza è trasferita sul tiglè rosso. La quarta fase inizia quando l’esperienza sensoriale è quasi estinta. La coscienza è spostata sul tiglè blu. Infine, entrati nel sonno, inizia la quinta fase. La coscienza è visualizzata sul tiglè bianco.

La visualizzazione è un “sostegno” usato dalla coscienza per mantenersi nella Chiara Luce.

L’apprendimento dello yoga del sonno può essere facilitato, e.g. visualizzando un Maestro.

Altre tecniche di visualizzazione quali il dissolvimento graduale possono essere usate.

Il dissolvimento graduale è una tecnica colla quale è visualizzata la progressiva espansione della luce bianca. Essa parte da un tiglè grande quanto un pollice che lentamente s’irradia diffondendosi all’intero corpo. In seguito, procedendo progressivamente, s’espande all’intero universo. Mentre si diffonde, la luce dissolve tutto ciò che tocca: la stanza; il pianeta; il sistema solare; l’universo. Tutti i tre mondi[25] si dissolvono in essa. Alla fine rimane solo la mente che dissolve i suoi pensieri integrandosi nella Chiara Luce.

In Occidente, la ricerca sul sogno lucido non mira a liberare l’individuo dal ciclo delle rinascite. Gli Occidentali hanno posto la loro attenzione sugli aspetti più piacevoli e ludici dell’esperienza. Molti sono interessati a fare esperienze piacevoli quali quella di volare.

In Occidente quest’argomento fu toccato di rado in passato. Il sufi Ibn El-Arabi, nel XII secolo, affermò che una persona può ricevere grandi benefici nell’allenarsi a controllare i propri pensieri mentre dorme (Shah, 1971). San Tommaso d’Aquino parlò della lucidità affermando che avviene più spesso negli uomini savi e dotati d’immaginazione sul finire dei sogni.

La prima trattazione vera e propria fu fatta dal Marchese Hervey de Saint Denis che nel 1867 pubblicò un diario nel quale racconta: le sue esperienze; come ricordare e controllare i sogni. Una pubblicazione che però non ebbe successo nel grande pubblico.

In seguito, Nietzsche ne fa alcuni accenni nei suoi scritti.

La prima trattazione scientifica fu condotta dallo psichiatra Van Eadem (1913) che coniò anche l’espressione sogno lucido. Lo psichiatra definì il sogno lucido come uno stato di consapevolezza durante il quale è possibile dirigere ed esercitare la propria attenzione e volontà, proseguendo indisturbatamente un sonno profondo e ristoratore. Van Eadem partecipò ai lavori della Society for Psychical Research. Egli riferì d’aver fatto 340 sogni lucidi in quattordici anni.

Altre pubblicazioni furono quelle di: Brown (1936); e Moers-Messmer (1938).

Sognatori lucidi autodidatti, invece, furono: Rudolf Steiner (1947); Hugh Calloway (1962), conosciuto come Oliver Fox; George Gurdjieff.

In campo antropologico, Kilton Stewart (1951) scrisse sulle tecniche di controllo dei sogni usate dai Senoi della Malesia.

Altri autori furono: Rapport (1948); Cecila Green (1968); Charles Tart (1963; 1969; 1979b); Sri Aurobindo (1970); Ann Faraday (1972; 1976); Watkins M. (1976).

Lo studioso Occidentale di riferimento che ha permesso al grande pubblico di conoscere il Sogno Lucito è stato La Berge (1979; 1980; 1981; 1985)[26].

Benché studiò all’Università di Stanford, La Berge, inizialmente, mostrò poca conoscenza del backgraunds culturale dell’oggetto dei suoi studi. Questo lo portò a fare affermazioni “imbarazzanti” ed a non considerare molte delle tecniche e conoscenze acquisite su di esso. LaBerge sostenne, ad esempio, che i sogni lucidi furono trattati molto spesso come un misterioso talento piuttosto che come abilità apprendibile (La Berge 1981). Un’affermazione che mostra come l’Accademico di Stanford ignorasse: lo yoga del sogno e del sonno; e molti scritti antecedenti al suo lavoro, e.g. quelli del Marchese Hervey de Saint Denis (1867).

Egli, durante le ricerche iniziali, considerò gli studi della Garfield che presentava un metodo basato sull’auto-suggestione. Vedendo i risultati modesti ottenuti dalla collega, LaBerge si chiese se fosse possibile incrementare l’abilità di fare sogni lucidi sviluppando metodi più efficaci. Così, sperimentando su se stesso una varietà di tecniche d’autosuggestione, arrivò a sviluppare una propria metodologia. In tre anni di studi fece 389 sogni lucidi, ottenendo col suo metodo un picco di 26 sogni lucidi in un mese.

L’autore ritenne che il problema principale fosse la vaghezza ed inefficienza delle tecniche precedenti. Per questo sviluppò un metodo capace, a suo dire, di produrre a comando i sogni lucidi.

La Berge (1981) individuò due fattori principali utili a produrre i sogni lucidi: la motivazione; e l’intenzione del soggetto, prima d’addormentarsi, di ricordarsi d’essere lucido durante il sogno successivo.

La tecnica sviluppata fu chiamata: MILD (Mnemonic Induction of Lucid Dreams). Una tecnica suddivisa in cinque fasi.

La prima fase è il naturale risveglio del soggetto di primo mattino.

La seconda fase è lo stato di veglia durante il quale il soggetto: memorizza i sogni fatti; e si dedica per 10 / 15 minuti alla lettura e/o altra attività che richieda full wakefulness.

La terza fase è costituita dal ritorno a dormire. In questa fase, il soggetto, nel coricarsi, ripeterà a se stesso una frase suggestiva quale: “Durante il prossimo sogno, diverrò cosciente di stare sognando”.

La quarta fase è caratterizzata dal tentativo del soggetto di creare un’associazione tra il R.E.M. (rapid eye movements) e l’acquisto di coscienza. Nel fare ciò, il soggetto potrà impiegare la visualizzazione. Usando questa tecnica, creerà un’associazione tra la fase R.E.M. e l’emergere della consapevolezza nello stato onirico. Exempli gratia, il soggetto potrà immaginare che l’attività onirica sia connessa ai movimenti oculari rapiti e che, l’occorrere di quest’ultimi, ingeneri l’insorgere dello stato di consapevolezza nel soggetto sognate all’interno del proprio stato onirico.

La quinta fase è costituita dalla ripetizione della terza e quarta fase fino a quando l’intenzione si fissa chiaramente nella mente.

La Berge (1981) riporta d’avere avuto una media di 21,5 sogni lucidi al mese utilizzando questa metodologia.

L’interesse mostrato dall’Università di Stanford (Sleep Research Center della School of Medicine[27]) rese l’argomento di ‘pubblico’ dominio.

Gli scritti di La Berge (1979; 1980; 1981) stimolarono, da allora, nuove ricerche sull’argomento.

Alcuni lavori susseguiti ad essi sono i seguenti.

Gackenbach, J.I. (1988) studiò la presenza di differenze nelle personalità degli individui e nella frequenza dei sogni lucidi.

Larry G. Peters (1989) contrappose lo stato di coscienza dei sogni lucidi allo Shamanistic State of Consciousness (SSC) e all’Ordinary State of Consciousness (OSC).

Paul Tholey (1989) pubblicò un’overview sulle ricerche avvenute in Germania. Egli riporta che lo studio dei sogni lucidi iniziò nel 1959 alla Johann Wolfgang Goethe Università. Descrive pure la “Reflection Technique” da lui sviluppata. Una tecnica che richiede al soggetto di domandarsi più volte al giorno: “Sono sveglio o sto sognando?” al fine di creare un’attitudine critica verso i propri stati di coscienza. Nell’usare questa semplice tecnica, l’autore ottenne il suo primo sogno lucido dopo quattro settimane.

Spadafora A. & Hunt H. T. (1990) compararono e correlarono: sogni lucidi; sogni archetipi-mitologici; ed incubi.

Richard Smoley (1992) affrontò l’argomento facendo “brevi accenni”, assai generici e vaghi, alle diverse tradizioni.

Walsh R. N & Vaughan F. (1992) esplorarono le implicazioni transpersonali legate ai sogni lucidi. Essi ipotizzano come i sognatori lucidi potessero decidere d’usare, ad un certo punto, il sogno lucido come tecnica transpersonale per avere esperienze transpersonali.

Donald J. DeGracia (1999) applica the Global Workspace System di Baars (1988) nel comparare i processi consci ed inconsci  operanti nello stato di veglia, di sogno non lucido, e di sogno lucido.

Un boom editoriale, e di siti internet, sull’argomento esplose nel primo decennio del 2000.

[1] Opera buddista in lingua Pali.

[2] Adhisthana (sanscrito).

[3] E/o conoscenza propria della concentrazione di base.

[4] Ipnotizzabile.

[5] Egli usò tecniche quali: l’ordine di dormire; l’uso di pressioni delicate sul corpo.

[6] Il primo coniò il termine “ipnosi” ed introdusse la pratica di concentrare l’attenzione su un oggetto. L’attenzione focalizzata provoca uno stato di affaticamento oculare che diventa l’“esperienza destabilizzante” per indurre l’ipnosi. Il secondo fu il “primo” a capire che l’ipnosi cura attraverso la suggestione.

[7] In realtà tutte le tecniche ipnotiche conducono alla trance ipnotica usando le “risorse ipnotiche” proprie dei soggetti, non potendo essere diversamente. Nonostante ciò la letteratura così “tradizionalmente” la descrive.

[8] Per un’idea sulla tecnica ipnotica di Erickson vedere: Milton H. Erickson & Ernest L. Rossi (1982); Milton H. Erikson (1982), Opere, a cura di Ernest L. Rossi; Richard Bandler & John Grinder (1984).

[9] La tradizione indigena tibetana.

[10] Viene meno la distinzione tra: il soggetto (chi sogna); e l’oggetto (il sogno).

[11] Preciso che è la Consapevolezza che si mantiene nella Chiara Luce.

[12] Un altro modo per chiamare la: Chiara Luce.

[13] La meditazione.

[14] La presenza mentale nella ‘coscienza non-duale’.

[15] Exempli gratia: La Berge, 1980;  La Berge S. P., Nagel L. E., Dement W. C., and Zarcone V. P. Jr. , 1981; Gackenbach J. & LaBerge S. P., 1988; La Berge S. P. & Rheingold H., 1990

[16] D’altronde la comprensione della natura illusoria della Realtà è fondamento della pratica.

[17] Exempli gratia: la tecnica dei nove respiri di purificazione.

[18] Exempli gratia: trasformare lo spazio circostante (usando delle immagini mentali) in un luogo sacro. La tradizione Bon immagina questo luogo protetto dalle Dakini e/o dai Buddha e/o dalle Boddhisattva.

[19] Exempli gratia: visualizzando (attraverso un’immagine mentale) un Maestro. Questo è scelto dal soggetto. Gli appartenenti alla tradizione Bon scelgono il loro Maestro tra: le Dakini; i Yidam; i Buddha. Molti ricorrono a Buddha Shenla Odker: una manifestazione di Buddha Shenrab Miwoche.

[20] I canali energetici in tibetano sono chiamati tsa.

[21] Ci sono diverse modifiche rispetto allo yoga tradizionale. Exempli gratia, le misure di riferimento dei canali.

[22] In tibetano: rlung.

[23] In tibetano: je rlung.

[24] Tiglè ha diversi significati. Nello yoga del sonno simboleggia i diversi stati della coscienza.  Tiglè, deriva dall’espressione tibetana thig le. In sanscrito è tradotto con bindu (punto; goccia).

[25] I tre mondi sono: del desiderio; della forma; e dell’assenza di forma.

[26] Oltre ad essere stato co-autore, ed editore, di molte pubblicazioni tra le quali ricordo: La Berge S. P., Nagel L. E., Dement W. C., and Zarcone V. P. Jr. (1981); Gackenbach J. & LaBerge S. P. (1988; Eds); La Berge S. P. & Rheingold H. (1990).

[27] Dove La Berge fece un PhD in Psico-Fisiologia.