“Qualcosa” sul “Dogma” della Nullità Assoluta ed Insanabilità degli Atti sottoscritti da chi è privo d’Jus Postulandi

ABSTRACT

In questo Post vengono sviluppate alcune riflessioni giuridiche, analizzando la giurisprudenza di legittimità, sulla “reticenza” mostrata dalla Suprema Corte nel sollevare eccezioni dì incostituzionalità che vadano a “minare” la “Dottrina della Nullità Assoluta ed Insanabile” degli atti sottoscritti da persona priva di Jus Postulandi.

RATIONALE

Alcune persone Mi hanno chiesto “perchè” la Suprema Corte non abbia voluto accogliere l’eccezione di incostituzionalità posta nel secondo motivo del ricorso (RG n. 20029/2011) di cui si è parlato nell’articolo pubblicato l’8 Aprile 2016 (Praticanti Avvocati & Jus Postulandi – La Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, numero 3917 del 20 Gennaio, depositata il 29 Febbraio 2016).

Precisando che si rispetta appieno la decisione della Suprema Corte, come giurista però non posso sottrarmi ad una riflessione in thema. Così, non potendo conoscere le ragioni vagliate dai supremi giudici in camera di consiglio, posso solo fare delle riflessioni giuridiche analizzando la giurisprudenza di legittimità nel suo sviluppo storico.

Per chi non avesse letto l’aricolo del 8 Aprile 2016 si riassume l’eccezione sollevata alla Suprema Corte.

I ricorrenti eccepirono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. (sollevando una questione di legittimità costituzionale degli artt. 82 e 182 c.p.c. verso gli artt. 2, 3, 24, 111 della Costituzione) qualora interpretati in modo tale da escludere categoricamente la sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c. per gli atti sottoscritti da un Praticante Avvocato Abilitato al Patrocinio eccedenti i limiti del suo Jus Postulandi.

La questione di legittimità costituzione riguardava alcune interpretazioni di questi articoli: le norme (proposizioni normative) estratte dalle disposizioni legislative (enunciati normativi). Essa non concerneva le disposizioni legislative in quanto tali.

I ricorrenti “sfidarono” la dottrina della “nullità assoluta ed insanabile” dell’atto introduttivo sottoscritto da soggetto privo d’Jus Postulandi (all’interno del processo civile) osservando come questa dottrina, di fatto, fosse già stata superata all’interno del Nostro Ordinamento nel 2000 (e/o almeno fosse stata messa in discussione).

Infatti, nella giurisdizione tributaria fu sollevata tale questione alla Corte Costituzionale che affermò nella celebre sentenza n. 186 del 13/06/2000 che: l’atto introduttivo del giudizio (ricorso), depositato e sottoscritto da persona sprovvista d’Jus Postulandi, non comportasse l’inammissibilità (e/o una nullità assoluta ed insanabile) dell’atto introduttivo stesso, bensì il potere del Giudice di assegnare un termine perentorio per permettere alla parte di sanare tale irregolarità, nominando un difensore con Jus Postulandi.

Questo creò, all’interno del Nostro Ordinamento, una disparità di trattamento (poco compatibile con l’art. 3 della Costituzione) tra la giuristizione tributaria e quella ordinaria civile. Una disparità di trattamento che non trovava motivi giuridici atti a giustificarla.

Infatti, analizzando le discipline degli artt. 12 della L. 546/1992 (Jus Postulandi nel Processo Tributario) e 82 c.p.c. (Jus Postulandi nel Processo Civile) si scopre che esse sono sostanzialmente simili. In realtà, l’art. 12 della L. 546/1992 trova la sua “ispirazione” nell’art. 82 c.p.c.. Così, non apparirebbe ragione alcuna atta a motivare un diverso regime delle nullità.

Ipotizzando che l’agire del Legislatore è un agire razionale (mirante ad armonizzare la legge ai principii costituzionali), i ricorrenti sostennero che con la novellazione del 2009 si volle eliminare questa disparità di trattamento proprio con l’art. 182 c.p.c., introducendo nel processo civile i principii affermati dalla Corte Costituzionale.

Fu sostenuto che, se il Legislatore volle novellare il codice di procedura civile non lo volle fare per conservare lo status a quo delle cose, ma per introdurre dei cambiamenti.

Questi, nel caso specifico, sarebbero stati: armonizzare le diverse discipline che si erano venute a creare sui difetti di procura e di rappresentanza tra la giurisdizione ordinaria civile e quella tributaria.

Per tali motivi, i ricorrenti sostennero che il Giudice disapplicò l’art. 182 c.p.c. escludendone l’applicazione ai Praticanti Avvocati con Abilitazione al Patrocinio.

La Suprema Corte, di contro, ribadì la pre-vigente dottrina della “nullità assoluta ed insanabile”, “tagliando corto” sui motivi dedotti e sostenuti.

Alcuni lettori, così, mi hanno chiesto alcune riflessioni su tale “reticenza” mostrata dalla Suprema Corte.

LA SENTENZA N. 189 DEL 13 GIUGNO 2000 DELLA CORTE COSTITUZIONALE 

E’ doveroso dire che, per tradizione, la Suprema Corte ha sempre difeso il “dogma” della Nullità Assoluta ed Insanabile degli atti sottoscritti da persona priva di Jus Postulandi.

Infatti, questa dottrina fu sostenuta con forza all’interno dello stesso processo tributario ( Cass. n. 1781 del 03/03/1999; Cass. n. 7966 del 12/06/2000; Cass. n. 10133 del 02/08/2000).

Tale tesi fu “sfidata” dalla setenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 198 del 13/06/2000 (confermata successivamente con l’ordinanza n. 158 del 09/05/2003).

La Corte Costituzionale affermò che la violazione dell’obbligo d’asistenza tecnica, ovvero la sottoscrizione dell’atto introduttivo da persona priva d’Jus Postulandi, non comporti la nullità assoluta ed insanabile e/o l’inesistenza, ovvero l’inammissibilità del ricorso, in quanto fa scattare il potere/dovere dei giudici d’asegnare un termine perentorio per sanare la situazione. Solo nel mancato rispetto del termine si sarebbe verificata l’inammissibilità.

Da un punto di vista giuridico, ci si sarebbe aspettati un adeguamento immediato da parte della giurisprudenza di legittimità nei confronti della decisione della Corte Costituzionale. Ciò però non avvenne.

Inizialmente, infatti, la Suprema Corte “rifiutò″ d’applicare tale decisione. La sezione tributaria della Suprema Corte, infatti, si rifiutò di dare applicazione a tale principio (Cass. n. 1100 del 29/01/2002).

Ciò rese necessario l’intervento delle Sezioni Unite, le quali, di contro, accolsero il principio emesso dalla Corte Costituzionale (Cass., SS.UU., n. 22601 del 08/07/2004).

Solo dopo la decisione delle Sezioni Unite,  la Suprema Corte “accolse” tale principio all’interno della giurisdizione tributaria (Cass. n. 15958 del 13/06/2008; Cass. n. 246 del 09/01/2009; Cass. ord. 19636 del 16/09/2010).

Questo dimostra come la Suprema Corte in thema di nullità assoluta per difetto d’Jus Postulandi tenda a muoversi “cautamente”.

Il ricorso n. 20029/2011 fu il primo ricorso fatto (dalla novellazione del 2009) sull’art. 182 c.p.c. In particolare fu il primo a sollevare tale questione.

Quindi, visti i precedenti, apparirebbe “scontata” una iniziale “titubanza” da parte della Suprema Corte.

Cio non toglie che, come già accaduto nella giurisdizione tributaria, qualora la questione fosse sollevata dai giudici di merito ed accolta dalla Corte Costituzionale, si possa giungere ad una diversa interpretazione.

Ma nel Mondo Giuridico, nulla accade velocemente!